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Solo 2 bambini su 5 che frequentano la scuola primaria di primo e secondo grado hanno accesso al tempo pieno, e meno della metà degli alunni può usufruire di una palestra o di una mensa. Queste sono solo alcune delle disuguaglianze emerse dal report Save The Childre “Scuole disuguali. Gli interventi del Pnrr su mense, tempo pieno e palestre”.

In vista della riapertura degli istituti scolastici è bene evidenziare le disparità territoriali nell’offerta di spazi e servizi scolastici, come anche la presenza o meno delle palestre, ad esempio. Ecco cos’è emerso dal report.

Mense e palestre

La mensa scolastica, il tempo pieno e le palestre sono al centro del rapporto, che mostra come l’accesso a questi servizi sia fortemente disomogeneo tra le regioni italiane. Questi servizi non solo favoriscono l’apprendimento, ma contrastano anche la povertà educativa e la dispersione scolastica. In altre parole, offrono ai bambini vere e proprie opportunità educative, ricreative e culturali che migliorano il loro rendimento.

Tuttavia, le disuguaglianze territoriali continuano a penalizzare molte zone d’Italia, soprattutto al Sud.
Nel biennio 2021-22, solo il 36,9% delle studentesse e degli studenti delle scuole statali primarie e secondarie di primo grado usufruiva del servizio mensa. A livello regionale, i dati mostrano che solo il 55,2% degli alunni della primaria e il 10,5% di quelli della secondaria di primo grado hanno accesso a una mensa.

Queste percentuali variano enormemente tra Nord e Sud: in alcune province settentrionali, come Trento e Monza e della Brianza, oltre il 65% degli studenti ha accesso a una mensa, mentre in molte province del Sud, come Agrigento e Palermo, meno del 10% degli alunni ne può usufruire.

Pnrr: opportunità mancata?

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr) ha rappresentato un’opportunità unica, con oltre 17 miliardi di euro destinati al Ministero dell’Istruzione per ridurre le disparità educative tra Nord e Sud.

Tuttavia, l’analisi del rapporto evidenzia che, in molte aree svantaggiate, gli interventi già avviati non stanno avendo l’impatto sperato. Per quanto riguarda le mense scolastiche, il 50% degli interventi finanziati dal Pnrr si trova nelle regioni del Sud, ma solo il 38,1% delle risorse totali è stato allocato a queste aree. Questo squilibrio mostra come gli interventi nel Sud siano meno costosi, ma anche meno efficaci nel colmare il divario con il Nord.

Disparità territoriali: province a confronto

Le disuguaglianze emergono chiaramente dall’analisi delle province italiane. A Biella e Monza e nella Brianza, il 70% degli studenti della primaria e secondaria di primo grado usufruisce della mensa scolastica, mentre in Trentino-Alto Adige il dato arriva al 91,3%.

Al Sud, invece, le province di Agrigento, Palermo, Siracusa, Ragusa e Catania vedono meno del 10% degli alunni accedere a questo servizio essenziale. Inoltre, l’allocazione delle risorse è stata disomogenea anche all’interno delle regioni meridionali: Palermo ha ricevuto 2 milioni di euro per 6 interventi, mentre Foggia ha ricevuto quasi 6,5 milioni per 18 interventi, nonostante una situazione di bisogno simile.

Il tempo pieno, una risorsa non per tutti

Anche l’accesso al tempo pieno nelle scuole italiane è fortemente disomogeneo. Mentre nelle regioni del Centro-Nord, come Lazio (58,4%) e Lombardia (55,1%), oltre la metà delle scuole primarie offre il tempo pieno, al Sud le percentuali sono molto più basse.

In Molise, solo il 9,4% degli alunni della primaria può usufruirne, seguita dalla Sicilia con l’11,1% e la Puglia con il 18,4%. Le province più penalizzate sono Ragusa, Catania, Palermo, Siracusa, Campobasso e Isernia, che mostrano percentuali di tempo pieno inferiori al 10%. In molti casi, queste province coincidono anche con quelle che presentano le percentuali più basse di alunni che usufruiscono della mensa.

Palestre: un lusso per pochi

Anche le palestre scolastiche sono un servizio poco diffuso. Meno della metà delle scuole italiane (46,4%) ha una palestra, con una percentuale che varia dal 41,5% per le scuole primarie al 53,2% per quelle secondarie di primo grado.

Dal rapporto emerge che il 62,8% degli interventi Pnrr per palestre è stato avviato nelle regioni del Sud e delle Isole, che hanno ricevuto il 52,7% dei fondi complessivi. Questo dato è rilevante, poiché dimostra un tentativo di colmare il divario nelle infrastrutture sportive tra Nord e Sud.

Le province con meno del 30% di scuole dotate di palestra, come Messina, Reggio Emilia, Ferrara, Palermo, Crotone, Catanzaro, Cosenza, Catania e Vibo Valentia, hanno ricevuto circa 51,3 milioni di euro per 72 interventi, ovvero 3 progetti ogni 100 scuole. Tuttavia, la distribuzione rimane disomogenea: Crotone ha ricevuto 14 interventi, mentre Palermo, pur con una maggiore popolazione scolastica, ne ha ricevuti solo 6.

Inoltre, le province con percentuali di palestre superiori al 65%, come Prato, Barletta-Andria-Trani, Firenze, Savona, Genova, Lecce, Grosseto, Taranto e Siena, hanno ottenuto circa 17,6 milioni di euro per 21 interventi, una distribuzione che riflette un progetto ogni 100 scuole.

Nonostante i 433 interventi complessivi sulle strutture sportive scolastiche rappresentino un passo avanti, essi risultano insufficienti per garantire una copertura uniforme su tutto il territorio nazionale e ridurre i divari tra le province.

La necessità di interventi strutturati

“È un campanello di allarme che deve spingere a realizzare al più presto un’analisi di impatto sulla povertà educativa di tutti gli investimenti della missione 4 del Pnrr, dedicati all’istruzione, in corso ed in programma. Nei territori più svantaggiati, è necessario integrare le risorse del Pnrr con altri fondi disponibili, per garantire un’offerta di servizi educativi a tutti i minori”, ha affermato Raffaela Milano, Direttrice Ricerca di Save the Children Italia.

Save the Children chiede al Governo di definire i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) sulla mensa e il tempo pieno alla scuola primaria, assicurando il servizio mensa gratuito alle bambine e ai bambini in condizioni di povertà. È necessario agire sulle disuguaglianze territoriali che con l’autonomia differenziata rischiano di aggravarsi ancor di più. “Il futuro dei giovani va messo al centro dell’agenda politica, è l’investimento più importante per lo sviluppo del Paese”, ha dichiarato Giorgia D’Errico, Direttrice Affari pubblici e Relazioni istituzionali di Save the Children Italia.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Tumori, sempre più guarigioni ma disuguaglianze e stili di...

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medico stetoscopio

Tassi di guarigione in aumento, diminuzione della mortalità e un numero crescente di persone che convivono con un tumore. Ma anche persistenti disuguaglianze sociali nell’accesso alla diagnosi precoce e la permanenza di stili di vita che favoriscono lo sviluppo della malattia. È la fotografia che emerge dalla 14esima edizione del censimento ‘I numeri del cancro in Italia 2024‘ dell’Associazione italiana oncologia medica Aiom, presentata oggi a Roma a Palazzo Baldassini.

Cominciamo dai nuovi casi: in Italia nel 2024 sono stimate 390.100 nuove diagnosi di tumore, di cui 214.500 negli uomini e 175.600 nelle donne. Cifre sostanzialmente stabili rispetto al 2023, quando sono state 395.900, e al 2022, quando furono 391.700. Il tumore più frequentemente diagnosticato quest’anno è il carcinoma della mammella (53.686 casi), seguito dai tumori a colon-retto (48.706), polmone (44.831), prostata (40.192) e vescica (31.016).

La buona notizia è che la metà di questi malati guarirà e avrà la stessa attesa di vita di chi non ha sviluppato il cancro, grazie soprattutto alla diagnosi precoce. Nello specifico, la probabilità di guarigione per le donne colpite, nello scorso decennio, da tumore dell’utero è stata del 69%, per il collo dell’utero del 58%, per l’ovaio del 32%. Nel carcinoma della mammella la sopravvivenza è pari complessivamente al 73%, ma passa dal 99% nello stadio I all’81% nello stadio II, per scendere al 36% negli stadi III e IV. Per il tumore del colon-retto, considerando tutti gli stadi, la probabilità di guarire è del 56%, oscillando tra il 92% se la malattia è diagnosticata in stadio precoce e il 71% in stadio II.

Un altro elemento positivo, determinato soprattutto dai progressi nelle terapie, è costituito dal costante incremento del numero di persone che vivono dopo la diagnosi di tumore: nel 2024 sono circa 3,7 milioni, il 6,2% dell’intera popolazione, spiega Diego Serraino, direttore Soc Epidemiologia oncologica e Registro tumori del Friuli Venezia Giulia, Centro di riferimento oncologico Irccs Aviano.

Mortalità in calo

Quanto a chi non ce la fa, nel 2022 in Italia sono stati stimati 35.700 decessi per cancro del polmone, 24.200 per il colon-retto, 15.500 per la mammella, 14.900 per il pancreas e 9.900 per lo stomaco. Dei quasi 10 milioni di morti oncologiche ogni anno in tutto il mondo, il 10,5% avviene in giovani adulti, cioè persone di età compresa tra 20 e 49 anni. In Europa, dove le popolazioni sono più vecchie, le morti per cancro in giovani adulti rappresentano il 4,3% di tutti i decessi oncologici registrati nel 2022.

Inoltre, sempre secondo il censimento, la mortalità per cancro nei giovani adulti in 15 anni (2006-2021), è diminuita del 21,4% nelle donne e del 28% negli uomini. Una riduzione particolarmente accentuata per il carcinoma polmonare: -46,4% di decessi nelle donne e -35,5% nei maschi. Un dato particolarmente importante, se si considera che questa neoplasia rappresenta la prima causa di morte oncologica negli uomini giovani adulti e la seconda nelle donne dopo il tumore della mammella, come ha sottolineato Massimo Di Maio, presidente eletto Aiom.

Fabrizio Stracci, presidente Airtum, ha anche evidenziato come “un ruolo, seppure parziale, nel potenziale calo delle nuove diagnosi di cancro vada anche attribuito alla riduzione di circa il 2,5% della popolazione italiana tra il 2017 e il 2024, da 60.484.000 abitanti a 58.990.000″.

C’è ancora molto da fare, a partire dagli screening

Rimangono comunque alcune aree su cui intervenire, a partire dalla prevenzione che passa dagli stili di vita e dai tre programmi di screening. Nel 2023, rispetto agli anni precedenti – evidenzia il report – si registra una maggiore copertura della popolazione, che raggiunge il 49% per lo screening mammografico, il 47% per quello cervicale e il 32% per quello colorettale. Tuttavia, restano notevoli differenze territoriali, con le regioni meridionali che fanno registrare livelli di adesione inferiori rispetto alle altre aree in tutti e tre i programmi.

Basta vedere i dati: per la mammografia la copertura ha raggiunto il 62% al Nord, il 51% al Centro e il 31% al Sud, mentre lo screening cervicale mostra un livello di copertura pari al 57% al Nord, al 45% al Centro e al 35% al Sud. Inferiori le percentuali di adesione allo screening colorettale: 45% al Nord, 32% al Centro e 15% al Sud, snocciola Paola Mantellini, direttrice Osservatorio nazionale screening, organismo coordinato dall’Istituto per lo studio, la prevenzione e la rete oncologica della Regione Toscana.

Eppure, “individuare un tumore o i suoi precursori in fase iniziale permette di intervenire tempestivamente, con trattamenti più efficaci, meno invasivi e con minori rischi di complicanze, garantendo maggiore sopravvivenza e qualità della vita”, rimarca l’esperta.

La prevenzione passa dagli stili di vita

Altro grosso capitolo, gli stili di vita, un aspetto sottolineato anche dal ministro della Salute Orazio Schillaci nella prefazione del volume del censimento, frutto della collaborazione tra Aiom, Airtum (Associazione italiana registri tumori), Fondazione Aiom, Osservatorio nazionale screening (Ons), Passi (Progressi delle aziende sanitarie per la salute in Italia), Passi d’Argento e Società italiana di anatomia patologica e di citologia diagnostica (Siapec-Iap): “Oggi sappiamo che l’errata alimentazione incide per circa il 35% sull’insorgenza dei tumori e che la dieta mediterranea riduce del 10% la mortalità complessiva, prevenendo lo sviluppo di numerosi tipi di cancro”.

“La prevenzione è un pilastro fondamentale della nostra strategia. Promuovere stili di vita sani e incrementare l’adesione ai programmi di screening organizzati sono obiettivi strategici per ridurre il rischio di sviluppare molte tipologie di tumore, consentire una diagnosi precoce e intercettare tempestivamente la malattia. In questo contesto, il ruolo della ricerca è fondamentale”, ha sottolineato ancora Schillaci nel messaggio inviato al presidente Aiom Francesco Perrone in occasione della presentazione del censimento.

Sullo stile di vita è intervenuto anche lo stesso Perrone, il quale ha evidenziato come a fronte di una lieve riduzione dei nuovi casi di cancro il quadro rimanga ancora preoccupante proprio per la permanenza di alti fattori di rischio, comportamentali e ambientali.

Italiani rimandati sugli stili di vita

Gli italiani, infatti, non fanno benissimo quanto a stile di vita: il 24% degli adulti fuma, il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso, il 18% consuma alcol in quantità a rischio per la salute. E si registra un boom di sedentari, aumentati dal 23% nel 2008 al 28% nel 2023.

Più nel dettaglio, il fumo è più frequente fra gli uomini (28% vs 21%), fra i più giovani, fra i residenti nel Centro-Sud ed è fortemente associato allo svantaggio sociale, coinvolgendo molto di più le persone con difficoltà economiche (36% vs 21%) o bassa istruzione (26% fra chi ha al più la licenza elementare vs 18% fra i laureati), ha spiegato Maria Masocco, responsabile scientifico dei sistemi di sorveglianza Passi e Passi D’Argento, coordinati dall’Istituto superiore di sanità.

Quanto all’alcol, considerato sostanza tossica e cancerogena secondo le principali Agenzie internazionali di salute pubblica, non esiste rischio zero e qualsiasi modalità di consumo comporta un rischio, tanto più elevato quanto maggiore è la quantità di alcol consumata. Nel biennio 2022-2023, in Italia meno della metà degli adulti di età compresa tra i 18 e i 69 anni (42%) dichiara di non consumare bevande alcoliche, ma 1 persona su 6 (18%) ne fa un consumo definito a ‘maggior rischio’ per la salute, per quantità e/o modalità di assunzione.

Da notare che, diversamente dagli altri fattori di rischio comportamentali, il consumo di alcol è più frequente fra le classi sociali più abbienti, senza difficoltà economiche e/o con livelli di istruzione elevati.

Anche sull’attività fisica c’è molto margine di miglioramento: facendo riferimento ai livelli attualmente raccomandati dall’Oms, nel biennio 2022-2023 il 48% della popolazione adulta in Italia può essere classificata come ‘fisicamente attiva’, il 24% ‘parzialmente attiva’, e il 28% è completamente ‘sedentaria’.

La sedentarietà è più frequente fra le donne (32% vs 24% fra gli uomini), aumenta con l’età (24% fra 18-34enni vs 33% fra i 50-69enni), disegna un chiaro gradiente geografico a sfavore delle regioni del Meridione (40% vs 16% nel Nord) e un gradiente sociale a svantaggio delle persone con maggiori difficoltà economiche (42%) o basso livello di istruzione (48% fra chi ha al più la licenza elementare vs 25% fra i laureati). Non solo, ma negli anni la sedentarietà è aumentata significativamente e costantemente passando dal 23% del 2008 al 28% nel 2023, coinvolgendo allo stesso modo uomini e donne e tutte le classi di età, ma più velocemente i più giovani e soprattutto il Meridione e il Centro, ampliando il gradiente geografico fra Nord (dove resta costante) e Sud del Paese; infine è aumentata anche fra le persone abbienti e meno abbienti, ma più velocemente fra le persone con maggiori difficoltà economiche.

Infine sovrappeso e obesità, altro importante fattore di rischio oncologico: nel biennio 2022-2023 più di 4 adulti su 10 sono in eccesso ponderale, ovvero il 33% è in sovrappeso e il 10% è obeso. L’obesità è poco più frequente fra gli uomini (11% vs 10% fra le donne), aumenta significativamente con l’età (5% fra 18-34 anni, 10% fra 35-49 anni e 14% fra 50-69 anni) e coinvolge particolarmente le persone con svantaggio sociale (18% fra persone con molte difficoltà economiche vs 9% fra chi non ne riferisce). Storicamente più frequente nel Sud del Paese, oggi il gradiente geografico fra Nord e Sud del Paese si è annullato.

Insomma nella lotta ai tumori ci sono segnali incoraggianti e risultati visibili, ma c’è ancora molto da fare, e in questo contesto si inserisce a tutto tondo il Piano oncologico nazionale 2023-2027 che, ha sottolineato infine Schillaci nel suo messaggio, “è una risposta concreta a queste sfide: dall’integrazione dei percorsi assistenziali al potenziamento della prevenzione, fino allo sviluppo della ricerca”.

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Vaccinazioni, novità e obiettivi per il 2025

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Vaccino Bimba Canvafree

La prevenzione è un tema che tocca tutti, senza eccezioni. Non c’è età, non c’è fascia di popolazione che possa considerarsi immune dalla necessità di prendersi cura della propria salute, e il nuovo Calendario della vita 2025 lo conferma con una visione a 360 gradi. Questo documento non è solo un aggiornamento delle linee guida vaccinali ma è una vera e propria mappa per orientarsi nell’universo della prevenzione: un vademecum per tutti, dai neonati agli anziani, passando per gli adolescenti e gli adulti.

Il documento, che raccoglie le evidenze scientifiche più aggiornate, è il frutto di un lavoro sinergico tra esperti e società scientifiche di rilievo, con un obiettivo preciso: aggiornare il piano vaccinale per tutte le età, dando nuove indicazioni e rispondendo alle sfide che la medicina ci presenta.

Le novità del calendario vaccinale

Il nuovo Calendario della Vita non è solo un aggiornamento tecnico, ma un vero e proprio vademecum per la salute. Sono molte le novità e i miglioramenti rispetto alla versione precedente del 2019. Prima fra tutte, l’introduzione della vaccinazione contro il virus respiratorio sinciziale (RSV) per neonati e bambini. Questo virus, responsabile di malattie respiratorie gravi nei piccoli, ha visto un innovativo approccio grazie all’uso di anticorpi monoclonali da somministrare ai neonati ad alto rischio. Una vera e propria rivoluzione che promette di ridurre drasticamente i ricoveri ospedalieri per bronchiolite nei più piccoli.

Un altro aggiornamento importante riguarda il vaccino contro il meningococco B, che viene offerto gratuitamente agli adolescenti. Il meningococco B è una delle cause principali di meningite e sepsi nelle persone giovani, quindi garantirne la prevenzione in età adolescenziale è fondamentale. Un piccolo gesto, che potrebbe fare una grande differenza nella vita dei ragazzi, salvando vite e prevenendo complicazioni gravi.

E non finisce qui. Il vaccino contro lo pneumococco è ora disponibile in nuove formulazioni, in grado di coprire un numero maggiore di ceppi (15 e 20). Si tratta di un vaccino essenziale per anziani e adulti fragili, che previene polmoniti e infezioni gravi. Anche l’Herpes Zoster, che può causare dolorosi focolai di varicella nell’età adulta, è al centro di un nuovo vaccino che garantisce una protezione più lunga e

Il Calendario della Vita 2025 non dimentica gli adulti, anzi. Se la vaccinazione infantile è ormai una routine consolidata, quella per gli adulti e gli anziani ha bisogno di essere potenziata. Malattie come l’influenza, lo pneumococco e l’Herpes Zoster (che può causare il doloroso fuoco di Sant’Antonio) richiedono una protezione continua. La medicina generale e i medici di famiglia sono sempre più chiamati a svolgere un ruolo fondamentale in questo tipo di prevenzione, promuovendo la vaccinazione tra i pazienti più vulnerabili.

Il tema del vaccino contro l’HPV (Human Papillomavirus) è un altro punto importante. Sebbene questo vaccino abbia già mostrato la sua efficacia nel prevenire il cancro al collo dell’utero, le coperture in Italia sono ancora insufficienti, soprattutto tra gli adolescenti. L’obiettivo è aumentare sensibilmente il numero di persone vaccinate, per ridurre ulteriormente l’incidenza di malattie oncologiche correlate al papillomavirus.

Un capitolo del Calendario è dedicato al vaccino contro il Covid-19, che ha cambiato il volto della sanità mondiale negli ultimi anni. L’introduzione di questo vaccino ha avuto un impatto senza precedenti, con milioni di vite salvate e una protezione straordinaria che ha ridotto i decessi e le complicazioni. Eppure, nonostante il suo successo, il vaccino contro il Covid è anche simbolo di una certa stanchezza da parte della popolazione. Il messaggio che viene ribadito con forza nel Calendario è che vaccinarsi è un investimento per il futuro, non solo per la propria salute, ma anche per la salute degli altri.

Anagrafe vaccinale nazionale

Ma c’è un aspetto che fa da filo conduttore in tutto il documento: la necessità di creare un’anagrafe vaccinale nazionale. In altre parole, un sistema centralizzato che raccolga e gestisca i dati relativi alle vaccinazioni non solo per i bambini, ma anche per gli adulti e gli anziani. Questo non è solo un passo verso una maggiore efficienza nella gestione delle campagne vaccinali, ma è anche un modo per garantire che nessuno venga lasciato indietro.

Se da un lato ci sono bambini che non ricevono i vaccini di routine, dall’altro ci sono adulti che dimenticano di rinnovare le proprie vaccinazioni o di chiedere quelle raccomandate dalla propria fascia di età. Un database che tenga traccia delle vaccinazioni di tutti potrebbe essere la soluzione.

In generale, le raccomandazioni contenute nel documento sono il risultato del lavoro di cinque società scientifiche e di oltre 50mila professionisti sanitari, tra cui medici pediatri, medici di medicina generale e specialisti in igiene e sanità pubblica. Il documento si propone come base per l’aggiornamento delle politiche sanitarie nazionali e auspica una maggiore integrazione delle vaccinazioni nelle politiche di salute pubblica, coinvolgendo anche i medici di base e gli specialisti nella promozione della prevenzione tra gli adulti e gli anziani.

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Ssn al bivio, digitale e donne la combinazione vincente?

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Medico Donna Tablet Canva

Cosa succede quando il cuore pulsante del Servizio Sanitario Nazionale si spezza? Una generazione di medici e infermieri stremati, che non cercano più solo una cura per i pazienti, ma una via di fuga. Il III Rapporto sulla Salute e il Sistema Sanitario presentato da Eurispes ed Enpam sembra quasi il referto di una malattia cronica: un sistema nato per servire il benessere collettivo, oggi arranca tra carenze di personale, contratti precari e un burnout che brucia come febbre alta.

Un Ssn in transizione

Tra il 2008 e il 2022, il personale medico e infermieristico del Ssn è passato dall’espansione alla decrescita. Se un tempo 100 dipendenti usciti venivano sostituiti da 80 nuove assunzioni (nel 2014), oggi il saldo è ben più magro, aggravato dall’aumento del lavoro precario (+44,6% di contratti a tempo determinato tra il 2019 e il 2022). Il risultato? Età media sempre più alta (50,5 anni per i medici, 46,9 per gli infermieri) e una produttività che soffre di invecchiamento precoce.

Ma non è solo questione di numeri. I turni infiniti, le aggressioni nei Pronto Soccorso e la burocrazia opprimente non fanno che spegnere la passione per una professione che dovrebbe essere sinonimo di vocazione. La conseguenza? Un Ssn che si svuota di significato e di talento, con un medico su due in burnout (52%) e poco meno per gli infermieri (45%). E ancora una volta, le donne pagano il prezzo più alto: non solo sono le più esposte alle difficoltà di conciliazione lavoro-famiglia, ma anche alle aggressioni, che colpiscono i due terzi delle professioniste.

Donne e tecnologia al timone del cambiamento

Eppure, nel cuore della crisi, c’è una rivoluzione che pulsa silenziosa: quella delle donne. Oggi, due terzi del personale sanitario è femminile, e più di un medico su due è donna (51,3%). Ma attenzione: non è tutto oro ciò che luccica. Le posizioni di potere restano in mano agli uomini, con solo il 10% delle donne alla guida degli Ordini professionali e meno del 20% dei primari al femminile. Una disparità che sembra paradossale in un settore dove la presenza femminile è tanto forte quanto invisibile nelle stanze dei bottoni.

La tecnologia potrebbe essere l’alleata inaspettata di questo cambiamento. Tra intelligenza artificiale e telemedicina, il Ssn potrebbe non solo risparmiare tempo e risorse, ma anche migliorare le condizioni di lavoro dei suoi operatori. Già oggi, la digitalizzazione delle cartelle cliniche e la refertazione a distanza stanno cambiando il volto della professione, mentre la robotica chirurgica promette interventi più rapidi e precisi. Tuttavia, l’Italia è al 18° posto per digitalizzazione tra i 27 Paesi dell’Ue: il gap è evidente e pericoloso, soprattutto se le disuguaglianze dell’era analogica rischiano di moltiplicarsi in quella digitale.

Infine, c’è una nuova leva che spinge dal basso: la Generazione Z. Flessibili, mobili, digitalmente nativi, i giovani che si affacciano oggi alla professione portano con sé un nuovo modo di concepire il lavoro. Vogliono conciliare vita e carriera, chiedono ambienti di lavoro più sani e turnazioni sostenibili. Ma per trattenere questi giovani talenti, il Ssn deve cambiare pelle: stipendi più competitivi, meno burocrazia, più supporto per la conciliazione lavoro-vita privata.

Il Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza è forse l’ultima occasione per rimettere il Servizio Sanitario Nazionale sui binari giusti. La digitalizzazione è una strada obbligata, ma non sufficiente: serve un’azione integrata che tocchi tutte le dimensioni del sistema, dalla formazione del personale alla riforma delle carriere. E soprattutto, serve una visione che riconosca il valore umano di chi, ogni giorno, tiene in piedi il Ssn, spesso con sforzi sovrumani.

Il futuro del Ssn non è scritto, ma una cosa è certa: sarà più femminile, più digitale e, si spera, più giusto. Riusciremo a trasformare la crisi in opportunità?

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