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Donne, tre esami del sangue per scoprire ictus e infarto con trent’anni di anticipo

Tre esami del sangue per diagnosticare il rischio di ictus o infarto di una donna fino a trent’anni prima che si verifichino. Lo studio condotto dal Brigham and Women’s Hospital di Boston, e presentato al Congresso della Società Europea di Cardiologia (Esc), è un grande passo avanti nel contrasto al rischio cardiovascolare delle donne. L’analisi si concentra su tre biomarcatori fondamentali, ecco come funziona.

I tre marcatori chiave per individuare ictus e infarto nelle donne

Secondo lo studio condotto su 27.939 donne statunitensi nel contesto del Women’s Health Study, il monitoraggio combinato di alcuni marcatori biologici può predire il rischio di eventi cardiovascolari in modo più accurato rispetto all’analisi di uno solo:

Proteina C-reattiva ad alta sensibilità (hsCRP): questo esame misura il livello di infiammazione nel corpo. L’infiammazione, pur essendo spesso trascurata, ha un impatto significativo sul rischio cardiovascolare;
Colesterolo LDL (low-density lipoprotein): conosciuto anche come colesterolo “cattivo”, questo esame permette di valutare il rischio legato all’accumulo di grassi nelle arterie, con conseguente aumento del rischio di infarti e ictus;
Lipoproteina(a) [Lp(a)]: si tratta di una lipoproteina che gioca un ruolo cruciale nella predisposizione genetica a malattie cardiovascolari. Questo esame viene eseguito una sola volta nella vita, ma ha un forte valore predittivo.

Durante il periodo di osservazione di trent’anni, sono stati rilevati 3.662 eventi cardiovascolari importanti, come infarti, ictus o la necessità di interventi di rivascolarizzazione.

Il ruolo dell’infiammazione nella prevenzione cardiovascolare

Uno dei punti centrali dello studio condotto da Paul Ridker e dal suo team è che, sebbene abbia un peso simile a quello del colesterolo nel determinare il rischio cardiovascolare, spesso l’infiammazione non viene monitorata adeguatamente. La misurazione della hsCRP, in combinazione con gli altri due marcatori, si è rivelato un indicatore fondamentale per prevenire eventi cardiovascolari: le donne con i livelli più alti di hsCRP presentavano un rischio del 70% maggiore di subire un evento cardiovascolare significativo nei successivi trent’anni rispetto alle donne con un livello di hsCRP più basso.

In particolare, l’infiammazione ha mostrato un impatto ancora più marcato nel rischio di ictus. Le donne con i livelli più elevati di tutti e tre i marcatori avevano una probabilità 3,7 volte superiore di essere colpite da ictus nei successivi trent’anni rispetto a quelle con livelli più bassi.

Prevenzione personalizzata: perché è fondamentale agire in anticipo

La rilevanza di questa ricerca risiede nella possibilità di utilizzare questi esami come strumenti di prevenzione personalizzata. Come sottolinea Julie Buring, coautrice dello studio e ricercatrice del Brigham’s Division of Preventive Medicine, “Aspettare che le donne abbiano 60 o 70 anni per iniziare la prevenzione è una ricetta per il fallimento”. Le donne spesso sono sottodiagnosticate per quanto riguarda il rischio cardiovascolare, e interventi tempestivi, già nella mezza età, potrebbero fare la differenza tra una vita sana e un futuro di problemi cardiaci.

Le misurazioni di hsCRP, LDL e Lp(a) forniscono una fotografia del rischio cardiovascolare individuale, permettendo ai medici di intervenire con un approccio mirato. Questo può includere modifiche nello stile di vita, come un’alimentazione sana, attività fisica regolare e l’eliminazione del fumo, combinate, se necessario, con terapie farmacologiche personalizzate.

I benefici a lungo termine della prevenzione cardiovascolare

Prevenire è meglio che curare, prevenire con precisione ancora di più. In tal senso, la combinazione dei dati ottenuti da questi tre esami offre un’opportunità unica di implementare una prevenzione cardiovascolare mirata e personalizzata. Il futuro della prevenzione potrebbe includere nuovi farmaci mirati a ridurre i livelli di Lp(a) e a controllare meglio l’infiammazione, aumentando significativamente le possibilità di evitare eventi cardiovascolari maggiori.

Il messaggio chiave che emerge dallo studio è chiaro: i medici devono essere proattivi nel monitoraggio del rischio cardiovascolare nelle donne, senza aspettare che i sintomi si manifestino. Come afferma il dott. Ridker, “i medici non possono curare ciò che non misurano”, e la combinazione di hsCRP, LDL e Lp(a) rappresenta uno strumento potente per la prevenzione a lungo termine.

Il ruolo della menopausa nelle malattie cardiovascolari

Se le donne sono tendenzialmente molto attente per gli screening del tumore del seno e dell’utero, lo stesso non si può dire per le malattie cardiovascolari, spesso associate agli uomini e sottovalutate dalle donne. Alcuni fattori di rischio sono uguali a quelli degli uomini, ma altri sono esclusivi della biologia femminile, come per esempio la menopausa precoce, tra i 30 e 40 anni, e alcune malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, la miastenia, la tiroidite e altre che hanno una prevalenza nelle donne con conseguenze importanti sulla loro qualità di vita e sulla salute cardiaca.


Soprattutto la menopausa rappresenta una variante importante per la salute cardiovascolare femminile. Per tutta l’età fertile, la donna è protetta dall’infarto grazie al cosiddetto “ombrello estrogenico”, cioè gli ormoni femminili, ma quando subentra la menopausa questo viene meno. Non solo: le donne rischiano di confondere alcuni sintomi dell’infarto con quelli della menopausa. È il caso della mancanza di fiato nel salire le scale, del dolore toracico anche passeggero, del gonfiore agli arti, della sudorazione ‘fredda’, o di episodi di tachicardia. Per questo, diventa cruciale prevenire e farlo bene, senza mai abbassare la guardia.

L’analisi del rischio cardiovascolare nelle donne è un campo in continua evoluzione. Le nuove strategie di prevenzione si stanno muovendo verso un approccio sempre più personalizzato, basato su esami del sangue mirati e sul controllo precoce dei principali fattori di rischio. Questo non solo permette di ridurre il rischio di infarti e ictus, ma offre anche l’opportunità di migliorare la qualità della vita di milioni di donne in tutto il mondo.

Le future innovazioni mediche, unite a screening regolari e a un controllo più stringente dei fattori di rischio, potrebbero rappresentare una svolta nel campo della prevenzione cardiovascolare femminile.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Se il papà mangia male è la figlia a pagarne le...

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Immagina che la salute dei tuoi figli possa essere influenzata dalla tua dieta, persino prima che nascano. E no, non parliamo dei nove mesi di gravidanza delle mamme, ma delle cattive abitudini dei papà. Questo è quanto è emerso da una recente scoperta scientifica pubblicata su JCI Insight che ha rilevato che, se un padre ha il colesterolo alto prima della nascita dei figli, le sue figlie femmine potrebbero affrontare un rischio significativamente maggiore di contrarre malattie cardiache, mentre i maschi sembrano non essere colpiti da questo effetto.

Utilizzando topi come modello, i ricercatori dell’Università della California hanno scoperto che le alterazioni nei piccoli frammenti di Rna presenti nello sperma dei padri influenzano il rischio di aterosclerosi nelle figlie. L’aterosclerosi è una condizione in cui le arterie si ostruiscono a causa dell’accumulo di grassi, colesterolo e altre sostanze, formando delle placche. Queste placche, chiamate ateromi, si sviluppano sulle pareti interne delle arterie e possono ridurre il flusso sanguigno. Col tempo, l’aterosclerosi può portare a gravi problemi di salute come ictus o malattie cardiovascolari.

Lo studio

I ricercatori hanno utilizzato topi incapaci di eliminare correttamente il colesterolo dal sangue, rendendoli suscettibili all’aterosclerosi. I topi maschi sono stati alimentati con una dieta ricca di colesterolo e poi è stato analizzato l’impatto sui loro figli.

I risultati hanno mostrato che solo le figlie femmine dei topi esposti a un alto livello di colesterolo hanno sviluppato un aumento significativo dell’aterosclerosi, mentre i maschi non hanno mostrato lo stesso effetto. Questo ha portato a indagare se ci fosse una trasmissione genetica specifica tramite lo sperma dei padri.

Il ruolo degli sncRNA

Gli scienziati hanno scoperto che gli sncRNA, piccoli frammenti di Rna presenti nello sperma, erano alterati nei topi con colesterolo alto. Questi “messaggeri” genetici sembrano trasmettere informazioni sullo stato di salute dei genitori e influenzare lo sviluppo del feto, in particolare le arterie delle figlie femmine.

Perché solo le femmine?

La ricerca non ha ancora chiarito completamente perché solo le femmine siano colpite, ma si ipotizza che gli ormoni, come gli estrogeni, possano interagire diversamente con queste informazioni genetiche, aumentando il rischio di malattie cardiache nelle figlie.

Il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne aumenta dopo la menopausa, quando i livelli di estrogeni, che hanno un effetto protettivo sul cuore, diminuiscono. Dopo la menopausa, il rischio di malattie cardiovascolari nelle donne può superare quello degli uomini.

I tassi di mortalità femminili per questo genere di malattie sono più elevati rispetto agli uomini, specialmente in età avanzata. Le donne tendono anche a presentare sintomi diversi o meno tipici di malattia cardiaca, il che può influenzare o ritardare la diagnosi e il trattamento.

Colesterolo e il futuro delle generazioni

“Le nostre scoperte offrono nuove intuizioni su come le condizioni di salute dei genitori, come il colesterolo alto, possano avere un impatto diretto sulla salute cardiovascolare dei figli – hanno dichiarato i ricercatori dell’Università della California -. Questo studio suggerisce che i piccoli Rna presenti nello sperma possono fungere da mediatori di questi effetti, trasmettendo informazioni sullo stato di salute dei genitori e influenzando il rischio di malattie cardiache nelle generazioni future. È fondamentale considerare questi meccanismi nella prevenzione e nella gestione delle malattie cardiovascolari.”

In Italia, il colesterolo alto è una preoccupazione significativa per la salute pubblica. Secondo i dati più recenti, circa il 30% della popolazione adulta italiana ha livelli di colesterolo totale superiori ai valori raccomandati. In particolare, gli uomini tendono ad essere più colpiti, con una prevalenza di circa il 35% rispetto al 25% delle donne. Questo studio sottolinea ulteriormente l’importanza di gestire il colesterolo alto per prevenire non solo le malattie cardiovascolari, ma anche potenziali effetti sui propri figli.

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Cristiano Ronaldo: “Non pressiamo i nostri figli”, ma...

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Cosa vuoi fare da grande? Il calciatore, come papà. Oppure, il medico, l’avvocato, il notaio, l’odontoiatra…basta che sia come papà, o come mamma.

In una recente intervista rilasciata al suo amico ed ex compagno di squadra Rio Ferdinand, Cristiano Ronaldo ha parlato del suo rapporto con i figli, in particolare con il primo genito, Cristiano Ronaldo Junior. Dopo aver riconosciuto con orgoglio la competitività dei suoi figli, la stella portoghese ha invitato a non mettere troppa pressione su di loro solo perché figli di persone famose.
Una riflessione buona, in realtà, anche per chi Vip non è: tanti genitori ‘pretendono’ (a volte anche senza virgolette) che i loro figli abbiano una carriera come la propria, che facciano successo in un determinato campo, senza chiedersi quali siano le conseguenze di questa pressione sulla salute dei figli.

Cristiano Ronaldo e la pressione sui figli

Le parole pronunciate dal campione portoghese a TheFiveUk sono un monito per tutti i genitori: “Ero sul Mar Rosso un paio di giorni fa, giocando a padel tutti i giorni. Capita che io e Cristiano Jr ci arrabbiamo, non parliamo per un paio di giorni. Ecco perché sono felice, anche il piccolo Matteo sta diventando competitivo, mi piace. Dimostra che hanno personalità”. Opinabile? Decisamente.

Il 14enne Cristiano Jr sembra aver ereditato la passione del padre e gioca nelle giovanili dell’Al Nassr, in Arabia Saudita, la stessa di Cristiano Ronaldo ‘senior’. Nonostante l’attenzione di Cr7 nel non mettere troppe pressioni sul figlio, il ragazzo sta seguendo non solo la carriera del padre, ma anche le squadre in cui gioca: ha giocato anche nelle giovanili della Juventus e del Manchester United.

Cristiano Ronaldo Jr. nell’Under 9 della Juventus_fotogramma

Eppure, a quell’età non è facile avere le idee chiare su cosa fare da grande, neanche se si è figli di Cristiano Ronaldo. Anzi, la straordinaria carriera del cinque volte Pallone d’Oro potrebbe orientare le scelte prima ancora che i tempi siano maturi. Lo stesso vale per qualsiasi genitore che svolge un lavoro economicamente e socialmente apprezzato.

“In questo momento – continua l’attaccante dell’Al Nassr – Cristiano vuole diventare un calciatore, ma non gli metto troppa pressione. Ha 14 anni, ha già la pressione di essere il figlio di Cristiano Sr. Lasciamogli fare i suoi errori, ma spero che in futuro possa essere un giocatore professionista. Se non diventa un giocatore, forse farà un altro lavoro, ma lo sosterrò sempre. Non possiamo fare pressione sui nostri figli perché siamo famosi”.

Peccato che questo succeda ancora troppo spesso anche tra la gente comune.

L’impatto delle aspettative genitoriali sulla salute mentale

Un’ampia ricerca condotta dalla American Psychological Association ha rilevato che il 40% dei giovani che percepiscono una pressione costante da parte dei genitori sviluppa sintomi di ansia o depressione. Questi sintomi, collegati al desiderio di non deludere le aspettative, portano spesso a una riduzione dell’autostima e a un aumento dei livelli di stress. Non solo i genitori, spesso è la società stessa, il confronto con gli altri, il foglio bianco sulla scritta futuro a deprimere i giovani.

Uno studio del Journal of Child Psychology and Psychiatry ha confermato che circa il 30% dei bambini che si sentono sotto pressione manifesta ansia da prestazione, con particolare incidenza tra gli atleti e i giovani impegnati in competizioni accademiche o artistiche​. Molti giovani atleti hanno dichiarato di sentirsi costantemente spinti a raggiungere standard irrealistici dai propri genitori, entrando in un circolo vizioso di stress e frustrazione.

Carriere influenzate dalle pressioni familiari

Il tema delle pressioni familiari diventa ancora più complesso quando si parla di scelte di carriera. Secondo uno studio del Child Development Journal, il 60% dei figli di genitori celebri sente di dover seguire le orme dei propri genitori, anche se solo il 35% di loro è realmente interessato a quel campo. Questo scontro tra aspettative e desideri personali può portare a una mancanza di autenticità nelle scelte professionali e a una maggiore insoddisfazione.

La conferma più lampante arriva dalla University of Michigan, che in uno studio ha evidenziato che i giovani che seguono carriere imposte dai genitori mostrano un tasso di insoddisfazione professionale del 45%, contro il 28% di quelli che scelgono autonomamente il proprio percorso.

La situazione in Italia

In Italia, la pressione delle aspettative genitoriali è altrettanto rilevante. Secondo una ricerca del Centro Studi Censis, circa il 40% dei giovani italiani che provengono da famiglie di successo sente l’obbligo di seguire la stessa carriera dei genitori, anche se solo il 20% di loro ha un reale interesse per quel campo. Questo fenomeno è particolarmente evidente nel settore legale e medico, dove molti figli di avvocati e medici si sentono costretti a intraprendere le stesse professioni.

In aggiunta, un’indagine condotta dall’Università di Bologna ha rivelato che il 35% dei giovani italiani che seguono carriere imposte dai genitori sviluppa sintomi di ansia o depressione entro i primi cinque anni di lavoro. Il 45% di loro ha ammesso di provare un forte conflitto interiore, diviso tra il desiderio di soddisfare le aspettative familiari e la volontà di perseguire i propri interessi.

Quella appena descritta è una realtà tanto persistente da trovare spazio nel cinema, come accade nella brillante commedia “Se Dio vuole” scritta e diretta da Edoardo Falcone. Tommaso De Luca (interpretato da Marco Giallini) è un affermato cardiochirurgo, felice della sua vita fin quando suo figlio Andrea, studente di Medicina, rivela di voler diventare sacerdote. Un duro colpo per il padre, che ancor prima di sapere che il figlio abbandonerà definitivamente gli studi, si chiede ad alta voce: “Ma perché buttare la propria vita a fare il prete? Il prete è un mestiere anacronistico, sarebbe come fare lo spazzacamino, l’arrotino, lo zampognaro. Io non lo voglio un figlio zampognaro!”. Un momento di rabbia e delusione, magistralmente interpretato da Marco Giallini che racconta uno spaccato di vita sociale.

Le pressioni sociali e la società dell’immagine

Il problema delle pressioni genitoriali non riguarda solo le famiglie celebri, ma riflette una più ampia tendenza sociale a glorificare il successo e le performance. Un rapporto della World Health Organization ha sottolineato che il 70% dei giovani in Europa vive in contesti familiari che esaltano il successo accademico o professionale come misura principale di realizzazione personale. Questa visione riduttiva del successo, centrata sulla performance, può creare un ambiente soffocante per le nuove generazioni, già alle prese con un futuro incerto.

Secondo il Global Health Journal, un ambiente familiare più inclusivo e supportivo ridurrebbe i rischi di stress e ansia del 30%, migliorando notevolmente la salute mentale dei giovani e consentendo loro di fare scelte di carriera più consapevoli e autentiche. Possiamo scegliere da che parte andare.

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Giorgetti: “Emergenza demografica? Conseguenze sulla...

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L’emergenza demografica dovrebbe diventare un argomento nell’agenda europea. Lo ha sostenuto con chiarezza il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti, in una nota diffusa al termine della sessione dell’Ecofin a porte chiuse, a Budapest, dedicata alla demografia e alle conseguenze sulla sostenibilità economica e sociale dei Paesi europei.

“Come Italia sosteniamo questa iniziativa – ha affermato Giorgetti sulla necessità di rendere comune il problema della crisi demografica -. L’auspicio è che il dibattito non si esaurisca con la denuncia di una condizione simile a molti Paesi, compresa l’Italia, ma diventi oggetto di riflessioni e proposte della commissione”.

Crisi demografica: problema europeo

“Prudentemente la commissione in questi anni non si è mai occupata di dare raccomandazioni su un tema ritenuto delicato – ha aggiungo il ministro – ma è anche vero che il Pnrr affronta diversi aspetti non secondari, come la necessità di implementare gli asili nido per rendere possibile la coesistenza della maternità con la partecipazione al lavoro. Il fattore demografico, non dimentichiamolo, ha implicazioni su moltissimi aspetti comprese produttività e crescita: quando parliamo della competitività del sistema europeo inevitabilmente dobbiamo anche ricordare che le corti giovani sono più produttive e tendono a essere più ricettive delle trasformazioni dei cambiamenti”.

Le parole del ministro arrivano in seguito alla riunione informale dei ministri dell’Economia e Finanze europei. Il think tank Bruegel ha così presentato un’analisi per sostenere con chiarezza che il calo demografico avrà conseguenze ingenti sul futuro economico dei Paesi membri.

Il calo della popolazione, in sintesi, metterà a dura prova i sistemi di welfare e le finanze pubbliche nei prossimi decenni. Dall’analisi, come riporta Reuters, è emerso che l’invecchiamento della società europea ridurrà il numero di persone con un lavoro e che pagano le tasse, aumentando al contempo il numero di coloro che percepiscono la pensione e necessitano di maggiore assistenza sanitaria.

Anche se si permettesse all’immigrazione di continuare ai ritmi attuali, una soluzione già inaccettabile per molti Paesi europei, non basterebbe a compensare il calo della popolazione in età lavorativa. In assenza di un’immigrazione netta, il numero di persone nella fascia di età lavorativa 20-64 anni in Europa diminuirà di circa un quinto, passando da 264 milioni nel 2022 a 207 milioni nel 2050.

E, anche se l’Unione europea (attualmente composta da 450 milioni di cittadini) accettasse poco più di un milione di immigrati all’anno, ciò compenserebbe meno della metà del calo della popolazione in età lavorativa.

Oltre l’immigrazione, secondo il think tank, servirà una migliore gestione dei costi dell’assistenza sanitaria e dell’assistenza a lungo termine, nonché la riforma dei sistemi pensionistici e sanitari. Secondo il rapporto sull’invecchiamento della popolazione del 2024 della Commissione europea, nel 2070 per ogni 10 persone inattive con più di 65 anni ci saranno solo 14 persone occupate, in calo rispetto alle 22 del 2022.

La proposta italiana crea polemiche

Lo stesso ministro Giorgetti, mentre sottolineava la necessità di introdurre nell’agenda europea la questione demografica, promuoveva degli sgravi fiscali a chi ha almeno due figli. Stando a quanto anticipato da Il Foglio, il ministro avrebbe esposto il progetto che mira a “cambiare le regole delle detrazioni fiscali” a favore di chi sceglie di avere figli, “anche a costo di eliminare o rivedere “le agevolazioni per chi invece non ne ha”. Il tutto a prescindere dal reddito.

In vista della manovra di Governo, si parla di maggior sussidi alle mamme dipendenti o con partita iva. Ma per tutti gli altri?

La notizia ha già attirato numerose polemiche. Sui social, infatti, si sono scagliati in molti contro la presunta decisione del ministro che – se approvata in manovra – costerà un aumento delle tasse a chi figli non ne ha.

“Noi che abbiamo quattro gatti siamo figli di un Dio minore”, scrive qualche utente su X. O ancora, si legge sui social: “Pagheranno i single? In un Paese in cui mancano servizi non dovrebbero essere prioritari asili nido accessibili e sostegno economico a chi vuole figli, ma non può permetterseli? E che fine farà chi i figli non può averli?”.

Per il momento nulla di ufficiale. Ma che la denatalità sia già un problema evidente è sotto gli occhi di tutti. “Oggi in Italia viviamo una situazione di iniquità perché non si pagano le tasse in base alla composizione famigliare ma solo in base al reddito e quindi è iniquo il fatto che una famiglia con più figli paghi le stesse tasse di una famiglia composta da una sola persona“. Gigi De Palo, presidente della fondazione per la Natalità e ideatore degli Stati Generali della Natalità, plaude alla proposta del ministro dell’Economia: “Anche perché – osserva all’Adnkronos – i cittadini di domani pagheranno la pensione anche a chi i figli non li ha voluti o non li ha potuti fare. Tutti dovrebbero tifare per questo tipo di politiche famigliari”.

De Palo riflette sull’idea del ministro: “Avendo parlato più volte con Giorgetti, so che questa cosa ce l’ha molto chiara. Ora si tratta di trasformarla insieme a tutto il governo. La natalità è una questione economica del Paese, non di un ministero della famiglia senza portafoglio. Quindi, ben venga che sia il ministro dell’Economia a fare questo ragionamento, speriamo che il governo lo segua. Il mio auspicio, – tenendo presente la levata di scudi che c’è stata attorno all’assegno unico – è che questa proposta porti ad una convergenza di tutto il Parlamento, di tutte le forze politiche perché stiamo andando verso un punto di non ritorno. O lo facciamo il prima possibile, o tutti si dovranno assumere tutte le responsabilità, non solo chi ha governato. Perché anche dall’opposizione sento una serie di ragionamenti, per esempio sulla sanità, ma l’unico modo per investire seriamente sulla sanità non è mettendo soldi sulla sanità ‘tout court’ ma parallelamente vanno messi soldi sulle famiglie per non fare andare la sanità in default”.

“Se l’opposizione farà opposizione in maniera intelligente, creando una situazione di non conflittualità su questo tema, potrà aiutare – ha concluso De Palo -. Ora c’è la proposta del ministro, c’è sempre stata la volontà politica della presidente del Consiglio, se anche l’opposizione mostra volontà politica in tal senso allora si fa strada e si cambia la storia, invertendo la tendenza”.

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