Question time alla Camera con i ministri Ciriani, Giuli, Tajani e Urso
La diretta televisiva a partire dalle 15
Si svolge oggi, mercoledì 11 settembre, alle 15, il question time trasmesso dalla Rai in diretta televisiva dall'Aula di Montecitorio, a cura di Rai Parlamento.
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Luca Ciriani, risponde a una interrogazione -rivolta al ministro dell’Ambiente- sulle misure volte ad affrontare l'emergenza siccità, anche attraverso opere di prevenzione e contrasto dei cambiamenti climatici nonché tramite il rafforzamento degli obiettivi del Piano nazionale integrato per l'energia e il clima (Morfino, M5S).
Il ministro della Cultura, Alessandro Giuli, risponde a una interrogazione sulla recente nomina di componenti della commissione ministeriale per la concessione di contributi per progetti cinematografici da parte dell'ex ministro (Faraone, IV-C-RE).
Il ministro degli Affari esteri e della Cooperazione internazionale, Antonio Tajani, risponde a interrogazioni sulle iniziative in relazione alla legittimità del procedimento elettorale e al rispetto dei principi democratici in Venezuela, nonché a tutela dei diritti dei cittadini italiani ivi residenti (Orsini, FI-PPE); sulle iniziative volte a garantire l'incolumità dei cittadini italiani in Venezuela e a favorire il rispetto dei diritti umani, civili e politici nel Paese (Lupi, NM (N-C-U-I)-M).
Il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, risponde a interrogazioni sulle iniziative volte ad una migliore fruizione dei benefici derivanti dall'iscrizione al registro pubblico delle opposizioni (Benzoni, AZ-PER-RE); sulle iniziative volte al rilancio della produzione siderurgica nazionale ed intendimenti circa l'accordo di programma per lo stabilimento Acciai Speciali di Terni (Ascani, PD-IDP); sulla concessione di adeguate garanzie pubbliche per l'accesso al credito alle piccole e medie imprese (Barabotti, Lega); sulla proposta del Governo volta ad anticipare la revisione del divieto di produzione di auto termiche in Europa (Foti, FDI); sulle iniziative volte al rilancio industriale della Portovesme Srl nonché a garantire i livelli occupazionali del comparto, anche attraverso la convocazione di un tavolo con le parti interessate (Ghirra, AVS).
Politica
M5S, nuova lettera di Grillo a Conte: “Demolisci...
Il garante attacca: "Demolisci presidi democratici, segnalerò tue minacce". La replica: "Se ha altro da dire o da scrivere parlasse con gli avvocati..."
Continuano a volare stracci tra Beppe Grillo e Giuseppe Conte. "Finiamola qua con questa pantomima. Se il garante ha altro da dire o da scrivere parlasse con gli avvocati..." è il ragionamento che Conte sta portando avanti in queste ore, dopo la diffusione di una nuova lettera di Beppe Grillo in cui, tra l'altro, il fondatore del Movimento minaccia di rivolgersi al comitato di garanzia 5S.
L'ex premier, raccontano, sarebbe tra l'altro parecchio infastidito dall'"uso di missive riservate, date in pasto alla stampa". Per il leader del Movimento, "un chiaro segno di debolezza del garante e di chi lo consiglia...": parole, le sue, che sembrerebbero dirette a Virginia Raggi, che oggi, chiamata in ballo da diversi quotidiani sul braccio di ferro in atto, ha scritto un post su Facebook marcando le distanze.
Conte sarebbe dunque determinato a tirare dritto. Tant'è che oggi, riferiscono i beninformati, sul sito del Movimento potrebbe essere fatto un ulteriore passo avanti per la seconda fase della 'costituente', con la pubblicazione dei temi e dossier della kermesse scelti sulla base dei 22mila contributi arrivati dagli attivisti pentastellati.
La lettera di Beppe Grillo
Nella lettera, pubblicata da Il Foglio, Beppe Grillo si rivolge a Conte con il consueto "Caro Giuseppe", ma di caro c'è ben poco. "Mi scrivi accusandomi per l’ennesima volta - dopo averlo fatto più volte pubblicamente - di avere una visione padronale del movimento e contraria suoi valori democratici. La verità è che, al contrario, ho sempre inteso tutelare i valori democratici su cui il movimento è stato fondato. Dunque, se proprio vogliamo parlare di atteggiamenti contrari ai valori democratici del movimento, questi sono da trovare nelle manovre striscianti con cui si sta tentando di demolirne i presidi, invocando ipocritamente un presunto processo democratico, che, come sai bene (ma fingi di non sapere) non può prescinderne", si legge nella missiva.
"Le ragioni per cui è in corso un tentativo di demolire i presidi democratici del movimento sono peraltro ben note, e non rispondono certo ai suoi valori democratici, ma agli interessi di pochi. Vorrei però tenermi alla larga dal girone in cui alcuni di voi sembrano essere sprofondati, per condurvi lungo la natural burella e farvi rivedere le nostre prime stelle, partendo dagli inizi del movimento, che nasce innanzitutto per realizzare una democrazia più autentica e vicina ai cittadini".
"In un mio post recente ho ricordato che Gianroberto e io abbiamo voluto prevenire i rischi delle altre forze politiche, che tendevano a sclerotizzarsi e alienarsi dai cittadini. Il limite del doppio mandato nasce proprio dalla volontà di prevenire questi rischi. Dunque, sostenere che l’insindacabilità di certe regole sia incompatibile con i valori democratici del movimento è non solo un ovvio controsenso, ma è addirittura un ribaltamento della realtà, che rivela, viceversa, le reali intenzioni di chi invece vorrebbe metterle in discussione", mette nero su bianco Grillo. "Sicché, accusarmi di una visione padronale del movimento non è altro che lo specchio delle intenzioni di altri. Al contrario, ribadire l’importanza di certe regole equivale a difenderne i suoi valori democratici. Tant’è vero che nessun’altro fondatore di una forza politica ha mai avuto il coraggio, l’altruismo e la fantasia di non porsi al suo vertice, ma solo di ritagliarsi un ruolo di garanzia, come abbiamo fatto Gianroberto e io".
"In questi giorni - prosegue Grillo - stiamo assistendo allo spettacolo delle tempeste ormonali di commentatori eccitati al pensiero di ciò che potrebbe accadere, che speculano su battaglie, scissioni, contese sul nome e sul simbolo, e così via. E’ uno spettacolo che francamente non m’interessa, e che trovo nauseante, perché il suo risultato sarebbe comunque dannoso per tutti. Quindi mi auguro che non sia messo in scena. Ciò posto è ormai diventato irrinunciabile tornare ai veri valori democratici del movimento, senza operazioni funzionali all’interesse di pochi. Il fatto che si cerchi di impedirlo con il metodo di legittimazione popolare tipico delle autocrazie non è certo un buon segno, ma quale che sia il suo risultato non potrà certo tradire i tratti distintivi e i valori del movimento, a prescindere dalla titolarità del nome e del simbolo, che peraltro è già stata accertata giudizialmente".
"Concludo rispondendo alla tua minaccia di sospendere gli impegni assunti dal movimento nei miei confronti, questa sì indegnamente strumentale e indebita, essendo essi strettamente legati alle funzioni che ho svolto e continuo a svolgere per il movimento. Nella mia qualità di “elevato” mi astengo dal scendere così in basso rispondendo a tono, ma mi limito a osservare che gli impegni di manleva sarebbero comunque dovuti, a prescindere da un impegno contrattuale in tal senso, mentre i miei “compensi” - che in realtà, come sai, coprono anche i costi d’ufficio della funzione che svolgo per il movimento - sono non solo congrui per la mia funzione e i relativi costi, ma lo sono a maggior ragione nel momento in cui è in corso un tentativo di stravolgere l’identità e i valori del movimento".
"Alla luce di quanto sopra - annuncia dunque Grillo - mi riservo di valutare il da farsi, eventualmente anche sottoponendo le tue minacce agli organi competenti del movimento. Ne approfitto per invitarti, piuttosto, a rispondere quanto prima alle mie richieste di chiarimenti sul processo che porterà alla assemblea “costituente” del prossimo ottobre".
Politica
Migranti, Meloni incassa ok Starmer: “Se modello...
Tarda apertura dell'hotspot per via di forti grandinate. Per la premier "qualche settimana ancora" ma c'è chi parla di novembre
E' laburista, ha preso il posto dell''amico' Rishi Sunak a Downing Street mandando a casa il conservatore con cui Giorgia Meloni aveva stretto un asse di ferro. Eppure è il primo ministro inglese Keir Starmer a servire alla premier italiana l'assist che non ti aspetti, perché regge su uno dei dossier più invisi alla sinistra italiana, ovvero il modello Albania e l'apertura dei due hotspot per migranti nati da un accordo stretto nel novembre scorso con Edi Rama. Chiuso in un cassetto il modello Ruanda di Sunak, per lo più a causa dei costi e dei dubbi sull'efficacia del suo potenziale dissuasivo, Starmer vola a Roma per capire come il governo di centrodestra abbia innescato "le riduzioni piuttosto drastiche" di flussi immigratori irregolari. "Voglio capire come è successo", afferma prima di incontrare la premier.
Migranti e Ucraina
A prova del suo interesse, Starmer - al fianco di Martin Hewitt, guida della task force voluta dal governo laburista per contrastare gli sbarchi illegali sulle coste del Regno Unito in un'iniziativa alternativa al piano Ruanda - visita in mattinata il Centro di coordinamento per l'immigrazione di Roma. E ripropone lo stesso 'registro' comunicativo battuto dalla presidente del Consiglio: "Credo da tempo che impedire alle persone di viaggiare sia uno dei modi migliori per affrontare” il problema. Dunque giunge a Villa Doria Pamphilj per il colloquio con Meloni, che si prolunga mezz'ora più del previsto. Colazione di lavoro e dichiarazioni congiunte alla stampa, durante le quali la premier rimarca la piena intesa con il nuovo inquilino di Downing Street, dal dossier migranti a quello ucraino, in giorni resi 'caldi' dal dibattito sull'uso di missili a lungo raggio contro il territorio russo.
Con Starmer, spiega la presidente del Consiglio ai cronisti, "abbiamo parlato del protocollo Italia-Albania su cui il governo britannico ha molta attenzione, abbiamo offerto elementi per comprendere meglio questo meccanismo". Non solo. Con il leader laburista "siamo anche d'accordo suol fatto che non bisogna avere timore ad esplorare soluzioni nuove" per fronteggiare l’emergenza migranti, si dice convinta Meloni, sostenendo che, se il modello Albania funzionerà, "può diventare una chiave di volta per tutti".
Il punto sull'Albania
Per vedere i due hotspot di Shengjin e Gjader operativi, tuttavia, servirà ancora del tempo, "qualche settimana", profetizza Meloni, tornando a ribadire la necessità di fare le cose al meglio: "Abbiamo gli occhi del mondo puntati". A rallentare l'avvio dei due centri per migranti, spiegano fonti di governo, le forti grandinate che si sono abbattute nelle ultime settimane sul territorio albanese, e che avrebbero fermato la posa dell'asfalto a Gjader, dove già si registravano problemi di tenuta del terreno. Il timore, piuttosto diffuso, è che per avviare i due hotspot serva più tempo. "Si rischia di arrivare a novembre", ammette una fonte di governo interessata dal dossier all'Adnkronos, nonostante lo sforzo in atto per accelerare con un avvio quanto meno parziale, ovvero 400 posti da rendere operativi entro fine mese, seppur la strada al momento appaia in salita.
I tempi lunghi rispetto alle premesse iniziali sembrano tuttavia non scoraggiare affatto Meloni, che difende a spada tratta il progetto. Negli hotspot che l'Italia si appresta ad avviare in Albania si applicherà la legge italiana, con personale di polizia e giudici italiani, e dunque "non c'è alcuna violazione dei diritti umani dei migranti", mette in chiaro con foga ribattendo alla domanda di una giornalista inglese che chiedeva conto a Starmer di possibili violazioni: "Non so a quale violazione di diritti umani lei si riferisca. In Albania si applica una giurisdizione italiana ed europea: o lei ritiene che sia una giurisdizione che violi i diritti dei migranti o questa accusa non trova fondamento".
I migranti che saranno portati in Albania, rimarca, "avranno lo stesso trattamento che avrebbero a Lampedusa o in qualsiasi altro hotspot italiano, solo in una porzione di territorio che non si trova in Italia. Questo perché ci aiuta a decongestionare una situazione difficile, e perché pensiamo che garantendo la piena tutela e realizzazione della giurisdizione italiana ed europea, con nostre forze di polizia, nostri giudici, nostri modelli, non si possa sostenere che quello che fa l'Italia violi i diritti umani dei migranti".
Sostegno a Kiev
E dopo aver incassato i ringraziamenti di Starmer per "la sua leadership così forte soprattutto per quanto riguarda l'Ucraina", Meloni chiarisce che l'Italia non intende indietreggiare sul sostegno a Kiev, e che, su questo, la sua maggioranza è compatta. Una puntualizzazione resa necessaria dal dibattito - che vede protagonista proprio Londra - sull'uso di missili a lungo raggio in territorio russo. "Queste sono decisioni che prendono le singole nazioni - ha chiarito Meloni ai cronisti -, i singoli Paesi che forniscono questi armamenti anche tenendo in considerazione quelle che sono le loro legislazioni di riferimento, la loro Costituzione. In Italia, come voi sapete, questa autorizzazione oggi non è in discussione ma sono tutte decisioni che noi condividiamo ovviamente con i nostri alleati. Lo dico semplicemente per dire che non va letto, come invece mi è sembrato che in alcuni casi si facesse, come un indietreggiare rispetto al sostegno all'Ucraina".
"Del resto - rimarca Meloni - quando il presidente Zelensky è venuto in Italia non più tardi di due settimane fa ha detto: non chiediamo all'Italia nulla di più di quello che sta già facendo. Chiaramente ognuno ha i propri riferimenti per prendere queste decisioni e noi abbiamo preso la nostra, ma penso che si veda e si continui a vedere come il sostegno italiano all'Ucraina sia un sostegno a 360 gradi che andrà avanti fin quando è necessario che ci sia".
L'incontro a Villa Pamphilj si chiude con la sigla di una dichiarazione congiunta dei due leader che conferma l'ambizione di entrambi "a continuare a rafforzare e approfondire il partenariato strategico tra le due Nazioni in ogni ambito di comune interesse". E la promessa di rivedersi presto, molto presto. Del resto Meloni mostra con chiarezza la volontà di non voler perdere il rapporto privilegiato con Londra, al netto dell'addio di Sunak a Downing Street.
"L'Italia - afferma la premier - vuole continuare in questo solido rapporto che ha costruito e che continua a implementare con il Regno Unito e vuole anche accompagnare il Regno Unito, sostenerlo, in questo lavoro molto importante che sta facendo per favorire una nuova e più stretta cooperazione con l'Unione Europea, nel rispetto chiaramente delle intese che disciplinano i rapporti del post Brexit".
Politica
Processo Open Arms, Salvini: “Non patteggio, ho...
Il leader della Lega: "Non sono un sequestratore"
"Patteggerò? No. Io ritengo di aver mantenuto una promessa, quella di ridurre gli sbarchi. Io non patteggio, sono convinto di aver ragione. Non sono un sequestratore". Matteo Salvini si esprime così, a Quarta Repubblica su Rete4, rispondendo alla domanda sull'ipotesi di un pareggiamento dopo la richiesta di 6 anni di carcere avanzata dal pm.
"Ho paura di essere condannato? No. Questo non è un processo a Salvini, è un processo all'Italia. "Non è stato un processo ma un comizio. Questo signore", il magistrato "si candidi e cambi le leggi", dice Salvini. "Paura per me? No. Rifarei quello che ho fatto: difendere i confini del Paese. Avevo promesso di ridurre gli sbarchi: lo abbiamo ridotti del 90%. Non sono preoccupato per me, onestamente mi è pesto spiegare ai miei figli quello che stava succedendo". "Credo nella magistratura e cerco di dirlo senza sorridere troppo. Questo è un processo politico con cui attaccare il centrodestra e il governo. E' un processo assurdo", prosegue.
C'è spazio per un giudizio politico sull'operato del governo: "Era tutto concordato con Conte, che ora è smemorato". "Il giudice che è terzo può leggere gli atti e dire che Salvini ha fatto il suo dovere e lo assolvo. Se mi condannano, c'è l'appello ma lo considererei un precedente pericoloso, non per Salvini che ha le spalle larghe. Se viene confermata la condanna a 6 anni, che non viene data neanche a uno stupratore, vado in carcere", afferma. "Siccome non riesco a sconfiggere Salvini che è mio avversario politico alle elezioni, provo a farlo fuori" per via giudiziaria.