Papa, Hedges (Nanyang Technological University): “Suo viaggio in continuità con Giovanni Paolo II”
"Il viaggio di Francesco non è stato fatto solo in età avanzata, ma sia in termini di tempo che di chilometri percorsi è il suo più lungo e uno dei più lunghi mai fatti da un Papa. Lo abbiamo visto celebrare messe e visitare i luoghi in cui è stato Giovanni Paolo II durante il tour papale nel sud-est asiatico negli anni Ottanta. Quindi sta anche manifestando una continuità e creando un nesso tra sé ed il santo che l'ha preceduto". Lo afferma in un'intervista all'Adnkronos - tracciando un bilancio della missione di Papa Francesco in Asia e Oceania alla vigilia della sua conclusione - Paul Hedges, professore di Studi interreligiosi presso la Rajaratnam School of International Studies (Rsis) della Nanyang Technological University di Singapore.
Proprio Singapore è l'ultima tappa del tour che dal 2 settembre ha condotto il Papa in Indonesia, in Papua Nuova Guinea e a Timor Leste. "Prima di diventare Papa, l'allora cardinale Bergoglio tenne un discorso agli altri cardinali parlando della missione della Chiesa nei confronti dei popoli più lontani, un discorso che alcuni ipotizzano abbia aiutato la sua elezione", premette Hedges, secondo cui la sua visita non solo in Papua Nuova Guinea, ma anche alla piccola ed emarginata comunità di Vanimo, è "un adempimento fisico e simbolico di questa promessa".
C'è poi l'aspetto dell'importanza che il sud del mondo rappresenta per la Chiesa cattolica che continua a "crescere e prosperare", prosegue lo studioso, evidenziando come il Papa, con questa visita, abbia voluto sottolineare "l'importanza di questa parte di mondo per il Vaticano e per l'intera comunità cattolica globale".
Il professore indica quindi nel dialogo interreligioso in particolare tra cristiani e musulmani e nella volontà di stare al fianco dei giovani cattolici i due elementi chiave che caratterizzano il lungo viaggio di Francesco. La sua prima tappa in Indonesia, Paese dove vive la più grande comunità islamica al mondo, è "indicativa", dichiara Hedges, rimarcando come il momento saliente della visita a Giakarta sia stata la cerimonia della firma di un documento sul dialogo interreligioso che si è svolta nella più grande moschea della regione.
"Questo interesse si vede anche nella sua visita a Singapore, dove il Pontefice partecipa a un incontro sul dialogo interreligioso con i giovani presso il Catholic Junior College", sottolinea il professore, evidenziando come quest'incontro indichi anche "un'altra grande preoccupazione" del Papa ovvero "il coinvolgimento dei giovani" nella Chiesa, già manifestato a Timor Leste.
"Il fatto che Francesco stia visitando tre Paesi in cui i cattolici sono solo minoranze dimostra anche la volontà di sostenere la Chiesa cattolica globale, in particolare dove è piccola, e di far sentire i fedeli apprezzati e connessi al centro", aggiunge Hedges, secondo cui il viaggio del Papa ha avuto "chiaramente" anche "obiettivi politici".
"La Santa Sede è ciò che a volte viene definito nella teoria delle relazioni internazionali come un attore ibrido, il che significa che è sia uno Stato-nazione, ma anche un'autorità religiosa. L'Iran è un altro esempio spesso citato - spiega il professore di Studi interreligiosi - In quanto tale, qualsiasi cosa faccia il Papa come capo dei cattolici del mondo, viene fatta anche come capo di Stato. In termini di attività politiche dirette, nel suo 'discorso di Stato' a Singapore parlerà di pace, di evitare la violenza religiosa, di buone relazioni tra persone di religioni diverse. Insomma cerca di cambiare il mondo attraverso le sue parole e tutto ciò è politica".
Secondo Hedges, c'è infine la possibilità che la visita di Francesco a Singapore sia in una certa maniera preparatoria a un'eventuale apertura del Vaticano verso la Cina. "Ci sono decenni di negoziati dietro le quinte, e sempre più aperti, tra la Santa Sede e la Repubblica popolare cinese -conclude - Bisognerà aspettare e vedere cosa si dirà a riguardo".
Esteri
Elezioni Usa, cresce vantaggio di Harris: avanti di 6 punti...
Secondo un sondaggio pubblicato oggi da Morning Consult la vice presidente è al 51% dei favori, il vantaggio più ampio registrato dalla sua 'discesa in campo' il 21 luglio scorso
Ad una settimana dal dibattito in cui è apparsa la chiara vincitrice, Kamala Harris continua a veder crescere il suo vantaggio su Donald Trump, ora distanziato di 6 punti a livello nazionale. Secondo un sondaggio pubblicato oggi da Morning Consult la vice presidente è al 51% dei favori, il vantaggio più ampio registrato dalla sua 'discesa in campo' il 21 luglio scorso, con l'ex presidente al 45%. C'è poi un 2% di indecisi ed un 2% di elettori che preferirebbero altri candidati.
Il rilevamento poi conferma che la netta maggioranza, il 61%, degli elettori che hanno seguito il dibattito trasmesso la scorsa settimana da Abcnews, ritiene che Harris abbia vinto il duello. Una conclusione condivisa anche da un repubblicano su 5. Mentre appena il 33% afferma che il vincitore è stato Trump.
Tra i punti di forza di Harris ci sono gli elettori più giovani, tra i quali ha il 56% contro il 41% di Trump, e gli afroamericani che in stragrande maggioranza, il 78% contro il 18%, la sostengono. Inoltre un altro sondaggio, pubblicato oggi da Human Rights Campaign registra che il 77% degli elettori che appartengono alla comunità Lgbtq voteranno per Harris, contro appena l'8% che sostiene Trump.
Harris in vantaggio su Trump in Pennsylvania
In Pennsylvania, uno dei sette stati chiave che appare cruciale nelle elezioni del 5 novembre per la Casa Bianca, Harris ha un vantaggio di 3 punti su Trump, emerge da un sondaggio Usa Today/Suffolk University, secondo il quale la vice presidente è al 49% contro il 46% dell'ex presidente.
Il vantaggio della democratica cresce ancora tra gli elettori indipendenti, con una forbice tra i due candidati di 5 punti, il 43% contro il 38%. Il punto di forza del repubblicano rimangono gli elettori maschi bianchi, tra i quali Trump raccoglie il 53% dei favori contro il 41% di Harris, che però ha un vantaggio ancora maggiore, 17 punti, tra le elettrici, con il 56% contro il 39%.
Infine la democratica può contare in Pennsylvania su tasso di popolarità più alto, al 49%, rispetto a quello di impopolarità, al 47%. Cosa su cui non può contare Trump, con il 45% che ha un'opinione positiva su di lui, contro il 54% che ne ha una negativa.
Mobilitazione per registrare i giovani americani
Harris intanto lancia una mobilitazione per registrare i giovani americani, base elettorale cruciale per i democratici, al voto. E la campagna parte proprio nel giorno in cui si celebra negli Stati Uniti il National Voter Registration Day, istituito nel 2012 per aiutare milioni di americani a registrarsi per esercitare il diritto al voto.
"La posta in gioco questo novembre non potrebbe essere più alta e la vice presidente Harris sa che la nostra democrazia è più forte quanto tutti votiamo", dice il manager della campagna di Harris, Juilie Javez, sottolineando che "siamo concentrati ad incontrare giovani americani" per registrarli dal momento che "quando noi votiamo, vinciamo". Secondo un recente sondaggio, Harris negli stati chiave ha un vantaggio di 8 punti su Donald Trump tra gli elettori più giovani, tra i 18 e i 29 anni.
Tim Walz, il candidato dem alla vice presidenza, guiderà una serie di eventi negli stati chiave di Georgia e North Carolina, mentre la moglie Gwen incontrerà in Nevada i giovani che saranno esortati non solo a registrarsi ma anche a votare in anticipo. Vi saranno eventi in università di altri stati chiave, come la Penn State dove sarà presente il governatore della Pennsylvania Josh Shapiro, e l'University of Michigan dove l'attrice Jane Fonda parteciperà ad un evento sul clima.
Esteri
Usa, Donald Trump lancia una piattaforma di criptovalute
Permette transazioni dirette tra utenti, senza intermediari come le banche
Mentre prosegue la campagna elettorale per le presidenziali Usa, Donald Trump lancia una nuova piattaforma di criptovalute chiamata World Liberty Financial che permetterà transazioni dirette tra utenti, senza intermediari come le banche.
Esteri
“L’Italia ha ottenuto quello che voleva”....
Oggi la nomina a vice-presidente esecutivo con delega alla Coesione, al Pnrr e alle riforme
La nomina di Raffaele Fitto a vice-presidente esecutivo con delega alla Coesione, al Pnrr e alle riforme arriva dopo settimane di ricostruzioni per lo più sbagliate sul rapporto tra Giorgia Meloni e Ursula von der Leyen, e sul portafoglio che l’Italia avrebbe potuto conquistare in ragione dell’opposizione del gruppo Ecr alla conferma della presidente della Commissione. Adnkronos ha chiesto di commentare la nomina a tre esperti di Europa, economia e relazioni internazionali.
Secondo Stefano da Empoli, presidente di I-Com e in questi giorni impegnato con il lancio di “Cantiere Europa” tra Roma e Bruxelles, sono stati “smentiti i pronostici negativi, non c’è affatto l’umiliazione paventata da qualcuno quest’estate dopo l’apparente scontro tra Meloni e von der Leyen. Sotto il profilo formale, siamo al livello di Francia, Germania e Spagna. Sotto il profilo sostanziale, è tutto da vedere: sicuramente i pesi massimi sembrano il francese Stephane Séjourné e la spagnola Teresa Ribera, insieme alla finlandese Henna Virkkunen. Ma era difficile ottenere di più - sottolinea - perché i tre che ho citato rappresentano rispettivamente Liberali, Socialisti e Popolari, ovvero i gruppi che compongono la maggioranza che ha sostenuto von der Leyen. Resta il fatto che il portafoglio di Fitto è molto importante per l’Italia”.
L’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello Iai, Istituto affari internazionali, parla di una premier che ha ottenuto “quello che voleva”, ovvero la vicepresidenza esecutiva, e che per capire meglio il significato dei portafogli assegnati, “non solo quelle di Fitto, ma anche degli altri commissari - bisognerà comunque attendere le audizioni davanti alle commissioni competenti del Parlamento europeo. Sulla carta le deleghe ottenute non lo coinvolgono direttamente nelle strategie di punta della Commissione”.
Nelle scorse settimane era circolata l’indiscrezione che Raffaele Fitto, oltre ai portafogli sulla Coesione e il Pnrr, avrebbe avuto la delega all’Economia, e dunque oggi si potrebbe pensare che sia andata peggio del previsto. “Io non ho mai creduto che all’Italia sarebbe stata data una delega importante sull’economia”, spiega all’Adnkronos Arturo Varvelli, direttore dell’ufficio di Roma e senior fellow dello European council on foreign relations.
“La vicepresidenza esecutiva è un’ottima notizia”, prosegue Varvelli, “e mi sembra che Ursula von der Leyen stia sostenendo con grande vigore il fatto che l'Italia debba essere molto ben rappresentata, sorvolando sul fatto che Fitto non appartiene alla maggioranza che l'ha sostenuta in Parlamento. L’Italia avrebbe potuto evitare frizioni con gli altri gruppi (socialisti e liberali) proponendo qualcuno di Forza Italia, che fa parte del Ppe come la presidente, ma Fitto sarà comunque nella posizione di costruire un ruolo importante in questa commissione. Non per forza guardando alle deleghe, ma perché il governo italiano è uno dei pochi stabili, uno dei pochi a non avere grossi problemi interni in questo momento, al di là delle piccole beghe che ci sono e che continuano a esserci tra il mondo moderato-berlusconiano e l’ala più sovranista dei leghisti. Francia e Germania sono in grossa difficoltà e l’Italia dovrebbe farsi paladina delle proposte di Draghi, ne avrebbe tutto l’interesse”, conclude.