Stop agli smartphone per gli under 14, ai social per gli under 16: la petizione di esperti e vip
Vietare l’uso dei cellulari sotto i 14 anni e dei social sotto i 16 anni. Questa volta la petizione contro l’uso degli smartphone non arriva da San Marino, dalla Florida o da qualche partito politico, ma è un appello accorato di esperti e personaggi dello spettacolo italiani.
Il dibattito torna al centro dell’attenzione grazie all’appello lanciato da Daniele Novara, pedagogista, e Alberto Pellai, medico e psicoterapeuta. Questa richiesta, firmata anche da attori come Paola Cortellesi, Pierfrancesco Favino e Luca Zingaretti, invita il governo italiano a vietare l’uso personale di smartphone ai minori di 14 anni e l’apertura di profili social ai ragazzi sotto i 16.
L’appello che mette in luce i rischi di un’esposizione prematura e massiccia alle tecnologie, in particolare per lo sviluppo cerebrale e la salute sociale dei più giovani.
Smartphone, quali rischi per il cervello?
Le neuroscienze sono alla base di questa iniziativa. “Ogni tecnologia ha il suo giusto tempo”, affermano i firmatari dell’appello, spiegando che il cervello dei bambini e degli adolescenti non è ancora completamente sviluppato per gestire l’uso continuo e non regolato di dispositivi digitali. Studi recenti hanno dimostrato che l’abuso di smartphone e schermi, soprattutto in età prescolare, può causare alterazioni della materia bianca, la sostanza fondamentale per la connessione tra le diverse aree del cervello che supportano abilità come la lettura e la scrittura.
Inoltre, Novara e Pellai avvertono che un uso troppo precoce e intenso delle tecnologie digitali può portare a “deprivazione sociale, deprivazione del sonno e frammentazione dell’attenzione”. Il problema è già visibile tra i più giovani, che mostrano segni di dipendenza digitale e difficoltà a interagire nel mondo reale.
Come evidenziato dal Global Mind Project del Sapiens Lab, “la traiettoria del declino che stiamo vedendo nella salute mentale segue l’avvento degli smartphone, e c’è un bel po’ di letteratura che collega i social media e lo smartphone a risultati negativi, quindi, era in cima alla lista di potenziali cause alla radice da esplorare”.
Sapiens ha monitorato l’età in cui gli intervistati hanno ricevuto per la prima volta i telefoni cellulari e l’ha confrontata con la loro salute mentale dichiarata. I risultati sono stati lampanti: i bambini che hanno ricevuto i telefoni in giovane età hanno una salute mentale peggiore, anche dopo essersi adattati agli incidenti segnalati di traumi infantili. Nello specifico:
tra le bambine che hanno ricevuto il loro primo smartphone all’età di 6 anni la percentuale con problemi di salute mentale è del 74%;
tra le bambine che hanno ricevuto il loro primo telefonino a 18 anni, la percentuale crolla fino al 46%;
i bambini che hanno ricevuto lo smartphone già a 6 anni hanno avuto problemi di salute mentale nel 42% dei casi;
i bambini che hanno ricevuto il cellulare a 18 anni, invece, hanno riscontrato problemi di salute mentale nel 36% dei casi.
La ricerca ha dimostrato inoltre che i bambini trascorrono online tra le 5 e le 8 ore online al giorno, ossia fino a 2.920 ore all’anno. Tutto tempo sottratto ad altre attività più salutari e più “sociali” dei social.
I danni per la socialità e la scuola
Dunque, non è solo il cervello a soffrire, ma anche la capacità di vivere esperienze fondamentali per il corretto sviluppo emotivo e sociale. L’appello sottolinea che i bambini che trascorrono troppo tempo sui dispositivi digitali rinunciano a momenti cruciali di socializzazione, come il gioco libero, il contatto con la natura e l’attività manuale, come l’uso della penna a scuola. La tecnologia, se introdotta troppo presto, “impedisce di vivere nella vita reale le esperienze fondamentali per un corretto allenamento alla vita”.
Alcuni studi hanno inoltre rilevato che l’abuso di smartphone può causare isolamento, disturbi del sonno e difficoltà a concentrarsi, aumentando i rischi di una deprivazione cognitiva e di una diminuzione delle competenze sociali. Secondo Pellai, “più precoce è l’uso dello smartphone, più i minori sviluppano problemi di isolamento e dipendenza“.
La richiesta di una legge per proteggere i più giovani
La famiglia, affermano Novara e Pellai, non può affrontare da sola questa sfida. Di fronte alla crescente pressione delle tecnologie digitali e ai rischi che queste comportano per i più giovani, è necessaria una legge che regolamenti l’accesso ai dispositivi mobili. “Serve una legge”, concludono i firmatari dell’appello, per proteggere i minori dagli effetti negativi di un uso precoce e incontrollato della tecnologia.
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“Motivi comprensibili”, niente ergastolo per doppio...
Un verdetto che lascia il paese intero attonito, una sentenza che sta scuotendo la coscienza collettiva: la Corte d’Assise di Modena ha condannato Salvatore Montefusco a 30 anni di reclusione, e non all’ergastolo come richiesto dalla Procura, per il duplice omicidio di Gabriela Trandafir e di sua figlia Renata, uccise a fucilate il 13 giugno 2022 a Castelfranco Emilia. La motivazione che ha scatenato il dibattito politico e sociale è quella della “comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il reato“, un concetto che ha suscitato indignazione tra le vittime e in ampi settori della politica.
Una sentenza che scuote
Il caso di Gabriela Trandafir e della figlia Renata ha sollevato un velo doloroso su una realtà che, purtroppo, continua a essere troppo spesso invisibile: la violenza di genere. La sentenza, emessa dalla Corte d’Assise di Modena, ha condannato Montefusco, un uomo di 70 anni, per aver ucciso la sua compagna e la figlia di lei. Sebbene l’imputato avesse collaborato con la giustizia, le attenuanti generiche, tra cui la confessione e l’atteggiamento collaborativo, sono state considerate in modo tale da ridurre la pena da quella che la Procura avrebbe voluto, ovvero l’ergastolo, a una condanna di 30 anni di carcere.
Barbara Iannuccelli, avvocata che assiste la famiglia delle vittime, ha definito la decisione “un messaggio grave”, affermando che tale sentenza rappresenta un segnale pericoloso nella lotta contro il femminicidio e la violenza di genere. Le sue parole, cariche di incredulità, riflettono la delusione per una decisione che considera in modo disgiunto le circostanze emotive dell’assassino rispetto alla brutalità del crimine stesso. “Questa sentenza ci riporta indietro nel tempo, quando omicidi di questo tipo venivano giustificati con la gelosia o le difficoltà familiari. Il messaggio che passa è grave: legittimiamo l’idea che in una situazione conflittuale, un uomo possa eliminare il problema a colpi di fucile”, ha dichiarato l’avvocato, che ha aggiunto come il testimone diretto, il figlio della vittima, avesse fornito una testimonianza cruciale nel processo.
Il caso ricorda la sentenza emessa nel 2016, che riguardava l’omicidio di Olga Matei, quando la corte d’appello aveva ridotto la pena per l’assassino, ritenuto in preda a una “tempesta emotiva” dovuta alla gelosia. Anche in quel caso, l’elemento umano, la comprensione dei motivi che avevano spinto l’autore al crimine, era stato preso in considerazione, creando un precedente che ha suscitato ampie polemiche.
Un messaggio che non può passare inosservato
L’incredulità di Iannuccelli è condivisa da numerosi esponenti politici, che non hanno mancato di esprimere il loro disappunto per la decisione dei giudici. Il ministro per gli affari regionali, Roberto Calderoli, ha commentato: “Non capisco come possano esserci motivi ‘umanamente comprensibili’ per uccidere a fucilate due donne. Come è possibile giustificare un atto così crudele? Non ho parole.” Calderoli ha aggiunto che, sebbene trent’anni o l’ergastolo possano apparire simili in pratica, è la motivazione dietro la pena a destare preoccupazione.
Anche il ministro per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, Eugenia Roccella, ha espresso forti perplessità sulla sentenza. “Se ciò che emerge dagli stralci pubblicati fosse confermato, la decisione conterrebbe elementi discutibili e certamente preoccupanti che rischierebbero di produrre un arretramento nella lotta contro i femminicidi e la violenza maschile sulle donne”, ha dichiarato. Secondo Roccella, il problema non è la pena inflitta, ma il ragionamento alla base della decisione: “Colpisce il principio secondo cui ‘la situazione familiare’ avrebbe ‘indotto’ l’imputato a compiere il tragico gesto, rendendo ‘umanamente comprensibili’ i motivi del reato. È un nesso causale pericoloso che potrebbe minare lo sforzo di cambiamento culturale contro la violenza di genere”.
La deputata del PD, Ilenia Malavasi, ha definito la sentenza “un insulto alle donne” e ha accusato i giudici di aver dato troppa importanza alle attenuanti, minimizzando le circostanze aggravanti del crimine. “Questa è la risposta che la giustizia dà alla violenza di genere? Un giudizio che riduce un duplice femminicidio a una mera conflittualità familiare? Un messaggio che rischia di legittimare la violenza maschile contro le donne”, ha detto la Malavasi, criticando l’uso di espressioni che sembrano avallare la cultura patriarcale e la giustificazione di atti violenti.
Luana Zanella, capogruppo di Avs alla Camera, ha rincarato la dose, affermando che le motivazioni della sentenza rappresentano “un pericoloso precedente” nel contrasto alla violenza di genere. “C’è ancora molto lavoro da fare per abbattere la cultura patriarcale che emerge anche nei tribunali”, ha commentato, sottolineando come una tale giustificazione possa alimentare la percezione che gli uomini possano risolvere i conflitti con la violenza.
Le critiche politiche e le richieste di cambiamento
La politica, nel suo complesso, ha risposto a questa sentenza con un coro di proteste che non lascia spazio a interpretazioni. Il Movimento 5 Stelle, attraverso la deputata Stefania Ascari, ha espresso il suo profondo turbamento per le motivazioni adottate dalla Corte d’Assise di Modena. Secondo Ascari, la giustificazione di un omicidio sulla base di “forti conflitti familiari” e di una condizione psicologica di “profondo disagio” è una riduzione inaccettabile della violenza di genere. “Queste motivazioni evidenziano le criticità di un sistema giudiziario che tende a giustificare la violenza e che non riesce a comprendere la gravità del fenomeno”, ha detto Ascari, chiedendo un cambiamento radicale nella formazione dei magistrati, degli avvocati e di tutti gli operatori del sistema giudiziario.
In una nota congiunta, le parlamentari del Movimento 5 Stelle nella commissione bicamerale di inchiesta sul femminicidio e la violenza di genere hanno sottolineato come la decisione della Corte di Assise di Modena rappresenti “un passo indietro”, soprattutto alla luce dei progressi ottenuti con le battaglie delle donne. “Questa sentenza riduce l’assassinio di due donne a un conflitto familiare”, hanno commentato le parlamentari, sollecitando la necessità di un’educazione giuridica che affronti il problema della violenza maschile contro le donne.
Anche Ilenia Malavasi, deputata del PD, ha espresso forti preoccupazioni, denunciando come il linguaggio utilizzato nella sentenza possa portare alla riabilitazione del vecchio delitto d’onore sotto nuove vesti. “Se le motivazioni della Corte non vengono correttamente interpretate e messe in discussione, rischiamo di legittimare la violenza e di dare spazio a giustificazioni che non hanno fondamento”, ha dichiarato.
Un’analisi che va oltre la sentenza
La sentenza della Corte di Assise di Modena, purtroppo, non è un caso isolato. Negli ultimi anni, si sono susseguite decisioni che hanno sollevato interrogativi sulle reali intenzioni della giustizia nel contrastare il femminicidio e la violenza di genere. La tendenza a considerare le dinamiche familiari e i conflitti come attenuanti in omicidi di questo tipo è un tema che continua a riaffiorare nelle aule di tribunale, minando la percezione di equità e giustizia per le donne.
Le critiche al sistema giudiziario sono rivolte soprattutto alla sua incapacità di trattare la violenza di genere con la necessaria severità. Le legislazioni più recenti, che hanno cercato di rafforzare la protezione delle donne, sembrano spesso non essere supportate da un’efficace interpretazione giuridica. “Le parole giuste sono fondamentali per cambiare la cultura della violenza”, ha detto Maria Elena Boschi, deputata di Italia Viva, sottolineando come il linguaggio giuridico possa perpetuare pregiudizi che vanno a minare gli sforzi per superare la cultura patriarcale.
La decisione della Corte d’Assise di Modena non è solo una questione giuridica, ma anche un problema sociale. “Le motivazioni di questa sentenza rischiano di far riemergere il delitto d’onore sotto nuove vesti”, ha dichiarato Mara Carfagna, deputata di Noi Moderati. Secondo Carfagna, l’idea che ci possano essere motivi “comprensibili” per un femminicidio mina le fondamenta di una società che dovrebbe invece proteggere le vittime e condannare senza esitazioni i colpevoli.
Le parole della sorella di Gabriela Trandafir, “l’ergastolo è per noi”, riassumono il dolore e l’amarezza di chi resta. Per i familiari delle vittime, questa sentenza rappresenta una sconfitta, non solo personale ma collettiva. È il fallimento di un sistema che, invece di tutelare le donne, sembra giustificare chi le uccide.
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Bambino inquadrato allo stadio, la scuola gli annulla la...
Antonio Gramsci diceva che “Il calcio è il regno della lealtà umana esercitata all’aria aperta”. Ecco, proprio l’area aperta, unita alle telecamere della televisione, ha incasinato Sammy, il giovanissimo tifoso del Newcastle che aveva saltato la scuola per andare a seguire in trasferta la propria squadra del cuore.
Non che lui se ne fosse fatto un problema, mentre celebrava a pugni chiusi e con un grande sorriso la vittoria dei Magpies a danno dell’Arsenal durante la semifinale di andata della Carabao Cup. La sua esultanza, però, è stata trasmessa in diretta televisiva e così la giustificazione apportata alla sua assenza non è stata ritenuta valida dalla scuola che ha scritto ai genitori del piccolo, presenti con lui allo stadio.
La lettera della scuola ai genitori
“Gentili genitori, vi informiamo che l’assenza di Sammy per martedì 7 gennaio 2025 sarà ora classificata come non autorizzata a causa della copertura mediatica che lo mostrava ad una partita di calcio a Londra. Non esitate a contattarci se desiderate discutere ulteriormente questo argomento”, ha scritto la scuola.
Dopo la partita, la pagina Facebook di Away Day Tours ha condiviso un’immagine di Sammy, colto in un momento di festa durante la trasmissione dal vivo, con la didascalia scherzosa che ha attirato l’attenzione di innumerevoli tifosi: “Questo giovane è stato colto a festeggiare la straordinaria vittoria del Newcastle sull’Arsenal. Ha saltato la scuola quel giorno, portando la sua famiglia a ricevere la seguente e-mail. Momenti come questi sono ciò che il calcio rappresenta. E diciamocelo, era un viaggio di geografia!”
Incluso nel post c’era lo screenshot di un’email inviata dalla scuola ai genitori di Sammy.
Le assenze in Inghilterra
Il riferimento “alla lezione di geografia” ha convinto i tifosi a schierarsi dalla parte del piccolo tifoso e della sua famiglia, ma perché l’assenza risulta ingiustificata anche se i genitori ne erano a conoscenza?
Alla base c’è una diversa disciplina della presenza scolastica. In Inghilterra, le assenze non giustificate da scuola possono comportare sanzioni pecuniarie per i genitori. Questo sistema di multe è stato implementato per incentivare la frequenza scolastica regolare e contrastare il fenomeno dell’abbandono o del disinteresse verso la scuola, aumentato considerevolmente dopo la pandemia.
Se un bambino salta la scuola senza l’autorizzazione del dirigente scolastico per almeno cinque giorni, i genitori possono ricevere una multa di £80. Se la multa non viene pagata entro 21 giorni, l’importo raddoppia a £160.
Se un genitore riceve una seconda multa per lo stesso bambino entro un periodo di tre anni, l’importo della multa sarà immediatamente di £160. Dopo la terza infrazione, le autorità possono considerare azioni legali alternative, che potrebbero includere procedimenti penali.
L’intento del governo è quello di promuovere una frequenza scolastica regolare e affrontare le disparità nelle politiche di sanzione tra diverse autorità locali. Nel 2022-2023, sono state emesse quasi 400.000 multe per assenze non autorizzate, con una prevalenza di casi legati a famiglie che prenotano vacanze durante il periodo scolastico.
Confronto con altri Paesi
In altri paesi europei, come la Francia e la Germania, esistono normative simili:
- Francia: I genitori possono essere multati fino a €1.500 per aver portato i figli in vacanza durante il periodo scolastico senza autorizzazione del dirigente scolastico;
- Germania: Le multe variano a seconda dello stato federale e possono arrivare fino a €1.000. Le autorità possono anche segnalare i genitori alla polizia per infrazioni ripetute.
Vista l’assenza di un solo giorno, comunque, nessuna conseguenza grave per Sammy. Anzi, un po’ di notorietà e il sorriso per la vittoria dei Magpies, che hanno battuto per 2-0 l’Arsenal e si preparano con più calma alla gara di ritorno del 5 febbraio al St. James’ Park.
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La ricchezza italiana? È over 60
In Italia, la distribuzione della ricchezza segue una linea di separazione netta tra le generazioni. L’ultimo rapporto Censis sulla situazione sociale dell’Italia evidenzia che la ricchezza pro-capite è in diminuzione, ma soprattutto che la maggior parte del patrimonio si concentra nelle mani della popolazione anziana. Dal 2003 al 2023, il reddito disponibile lordo pro-capite è calato del 7%, mentre la ricchezza netta pro-capite si è ridotta del 5,5%. A ciò si aggiunge il dato impressionante che l’85,5% degli italiani considera la mobilità sociale un obiettivo quasi irraggiungibile.
La ricchezza “anziana”
Secondo il Censis, il 58,3% della ricchezza netta italiana appartiene alle famiglie con un capofamiglia nato prima del 1980. Ma se ci addentriamo nei dettagli, il dato è ancora più sbilanciato. I baby boomer (nati tra il dopoguerra e i primi anni ’60) detengono il 43,3% del totale, con una ricchezza media di oltre 360.000 euro per famiglia. La generazione silenziosa, i nati prima della Seconda guerra mondiale, si difende con 280.000 euro in media.
E i giovani? Non pervenuti. Le famiglie capeggiate da millennial o membri della generazione Z arrancano, con una ricchezza media di circa 150.000 euro, meno della metà rispetto ai baby boomer. In altre parole, la disuguaglianza generazionale si fa ogni anno più evidente, mentre la mobilità sociale è un miraggio per l’85,5% degli italiani.
Ma c’è di più: questa ricchezza “anziana” è destinata a diventare ancora più concentrata. La denatalità ha ridotto il numero di potenziali eredi e, quindi, aumentato il valore medio delle future eredità. E qui si apre un altro scenario inquietante.
Un imbuto generazionale
Il fenomeno della denatalità – che ormai rappresenta uno dei mali endemici del nostro Paese – aggrava ulteriormente questa disparità. non solo riduce la popolazione giovane, ma rischia di creare una concentrazione di patrimoni senza precedenti. Dal 2008 al 2023, le nascite si sono ridotte del 34,1%, mentre le donne in età fertile sono diminuite di oltre 2 milioni. Un trend che, anche in caso di inversione miracolosa, non potrà essere recuperato.
Il risultato? Un passaggio intergenerazionale di ricchezza sempre più ristretto, con pochi eredi che erediteranno tanto. Ma questa attesa sta già avendo effetti deleteri. Il Censis parla di una ridotta propensione al rischio imprenditoriale: molti giovani crescono con l’idea di essere “destinatari di successione”, sviluppando una mentalità da rentier, poco incline all’intraprendenza. Un freno, questo, che l’Italia non può permettersi in un momento storico in cui avrebbe bisogno di idee fresche e spirito innovativo.
La crisi demografica e le sue implicazioni
L’analisi demografica del Censis è altrettanto preoccupante: tra il 1984 e il 2024, la popolazione di 20-29enni è diminuita del 17,5%, mentre quella di 30-39enni ha subito un crollo del 29,4%. Guardando al futuro, si prevede un ulteriore calo: entro il 2044, i giovani tra 20 e 29 anni diminuiranno di un altro 15,6%, rendendo sempre più difficile garantire un ricambio generazionale in qualsiasi ambito.
A fronte di una popolazione sempre più anziana, il rischio è quello di un Paese che si muove a rallentatore. Il patrimonio continuerà a rimanere nelle mani degli over 60, mentre i giovani, numericamente inferiori, saranno costretti a contendersi le briciole, senza avere le risorse per innovare, investire o semplicemente immaginare un futuro migliore.
Infinite forme di povertà
A tutto questo si aggiungono le nuove forme di povertà rilevate dal rapporto. L’Italia registra percentuali di rischio di povertà superiori alla media europea: il 27,2% degli italiani è a rischio prima dei trasferimenti sociali, e il 18,9% anche dopo di essi. Inoltre, il 9,8% delle famiglie non riesce a coprire le spese mensili, mentre l’8,4% vive in povertà alimentare e il 9,5% in povertà energetica. Il 36,9% degli italiani, invece, ha dovuto tagliare altre spese per far fronte ai costi sanitari, con punte del 50,4% tra le famiglie a basso reddito.
In questo contesto, la sanità rischia di diventare un privilegio per pochi. Ogni 100 tentativi di accedere al Servizio sanitario nazionale, 35 finiscono nel privato a pagamento. Non è un caso che l’84,2% degli italiani sia convinto che i ricchi possano curarsi meglio e prima degli altri.
Il boom dei miliardari e il rischio della “medietà”
A fronte di questi numeri impietosi, c’è un’altra faccia della medaglia che fa riflettere. Mentre il reddito pro-capite diminuiva del 7% e la ricchezza netta del 5,5% negli ultimi vent’anni, il numero di miliardari italiani è aumentato. Dal 2023 al 2024, sono 6 i nuovi miliardari registrati, per un totale di 62 super-ricchi con un patrimonio complessivo di 199,8 miliardi di dollari. Una crescita del 23,1%, che ci colloca ai vertici europei. Il paradosso è evidente: mentre una fetta sempre più grande della popolazione fatica ad arrivare a fine mese, una piccola élite continua ad arricchirsi, ampliando il divario sociale.
L’Italia si trova in una situazione di stallo, dove la “medietà” denunciata dal Censis non consente al Paese di avanzare né economicamente né socialmente. Da un lato, abbiamo raggiunto record positivi nell’occupazione e nel turismo. Dall’altro, la spinta verso un benessere diffuso si è fermata. La scelta di non osare, di accontentarsi, è il vero nemico del progresso, dice il rapporto.
La concentrazione della ricchezza nelle mani degli anziani e il declino demografico rappresentano due facce della stessa crisi strutturale, ma cosa fare per invertire la rotta? Le soluzioni non sono semplici e richiederebbe interventi immediati e coraggiosi che passano inevitabilmente per tre direttrici: incentivare la natalità, promuovere politiche di redistribuzione del reddito e investire in programmi per favorire la mobilità sociale. Tuttavia, senza un cambio di paradigma, il rischio è quello di rimanere intrappolati in un circolo vizioso di disuguaglianze crescenti e opportunità sempre più limitate.