Vannacci sospeso da vicepresidente Patrioti? “Devo vedere sul sito”
L'europarlamentare della Lega: "Nessuna comunicazione ufficiale"
Il generale Roberto Vannacci, eurodeputato eletto nelle liste della Lega, è stato "sos peso" dalle funzioni di vicepresidente del gruppo dei Patrioti per l'Europa. Ne dà notizia il capodelegazione del Rassemblement National Jean-Paul Garraud, a Strasburgo a margine di una conferenza stampa dedicata al processo nei confronti del leader della Lega Matteo Salvini per il caso Open Arms.
"Non parlo al posto degli italiani - premette Garraud - noi siamo rispettosi delle nazioni, siamo i primi a dire che bisogna rispettare la loro sovranità e non mi permetterò certo di parlare dei miei colleghi".
Pressato dai cronisti per sapere se Vannacci sia ancora vicepresidente o meno, puntualizza: "Allora, non so che termine possa essere usato in relazione a questa vicenda, ma allo stato non è più vicepresidente in quanto tale. Le sue funzioni sono sospese per ora". E perché? "Non lo dirò certo a voi", risponde.
Sul sito del Parlamento Europeo Vannacci risulta allo stato semplice "membro" del gruppo dei Patrioti, mentre prima della pausa estiva era "vicepresidente" dello stesso. Interrogato prima che parlasse Garraud per sapere se sia ancora presidente o no, Vannacci ha risposto che "fino a due giorni fa sul sito era così riportato. Questa è la mia risposta". Ma ora non lo è più? "Non ne ho idea, devo vedere sul sito", dice.
"Perché mi dovrei far carico di problemi della stampa?", risponde. "Perché siete così interessati? Io potrei chiederle - obietta al cronista, che porta la barba corta - perché non si è fatto la barba stamattina". Perché la tengo così, risponde il cronista. "Finché non c'è un documento ufficiale è inutile che continuiamo a farci domande di questo tipo", taglia corto. Quindi lei non è più vicepresidente? "Non ho mai detto una cosa del genere", replica.
Ma sul sito del Parlamento, gli viene fatto notare, non risulta più vicepresidente dei Patrioti. "Non risulto?". No, gli ribadiscono i cronisti. "Fino a qualche giorno fa risultavo", osserva. Per quello glielo chiediamo, spiegano i giornalisti. "Non lo so, devo vedere sul sito". Cioè, lei deve vedere sul sito se è vicepresidente dei Patrioti? "Assolutamente - replica - sono i documenti ufficiali che cantano, non quello che si sente in giro detto dalla stampa. Io non ho ricevuto nessun documento ufficiale al riguardo". E ancora: "Parlo italiano o un'altra lingua? Mi ha capito? Se mi fa sempre la stessa domanda, pensa che io cambi la risposta?", replica ad un giornalista.
La domanda, ripete il cronista, è se è ancora vicepresidente dei Patrioti o no. "Fino a due giorni fa sul sito era così riportato. E' quella la mia risposta", dice. Il fatto che ora non è più riportata quella qualifica cambia qualcosa? "Non ne ho idea. Devo vedere il sito. Sino ad adesso - continua - non ho alcun documento ufficiale che mi dica" se è ancora vicepresidente o meno. "Me lo state dicendo voi", ribatte. Ma qualcuno le avrà pur detto qualcosa, gli viene obiettato dai cronisti. "No. Le sembra strano?".
Abbastanza. E il generale riprende: "Quello che conta sono i documenti ufficiali. Quindi, non appena avrò modo di vedere quello che voi sembrate avere già visto, ma che io non ho visto, vedrò la questione. Però, visto che fino a due giorni fa sembrava che io fossi" vicepresidente, "a me basta. Nessuno mi ha detto nulla. Questo è un problema che vi fate solo voi". Insomma..."No, solo voi. Va bene? Buona giornata e buon lavoro", conclude prima di prendere l'ascensore
Sport
Milan-Roma 1-1, Dybala risponde a Reijnders
Indebolita ulteriormente la panchina di Fonseca
Il Milan non va oltre ad un pareggio per 1-1 in casa con la Roma nel posticipo domenicale della 18esima giornata di Serie A. Al vantaggio rossonero con Reijnders al 16' risponde Dybala al 23'. Un punto che non può soddisfare i padroni di casa e che indebolisce ulteriormente la panchina di Fonseca, oggi espulso per proteste nel finale del primo tempo e sempre più a rischio esonero. Ora il Milan è ottavo in classifica con 27 punti e un match da recuperare (con il Bologna in trasferta), mentre i giallorossi sono decimi insieme al Torino a quota 20.
La prima occasione della partita è per la Roma, al 3', con Dybala che arriva al tiro dal limite dell'area su suggerimento dalla sinistra di Angeliño. La conclusione della Joya è centrale e Maignan para. Al 5' ammonito Koné per un fallo su Jimenez. Un minuto dopo punizione di Reijnders: Svilar blocca in due tempi con qualche brivido. Al 10' Dovbyk lavora un pallone spalle alla porta, poi scambio uno-due con Salemaekers e tiro dal centro destra dell'area con la palla che si stampa in pieno sul palo. Al 13' giallo anche per Hummels che stende in scivolata Theo Hernandez lanciato sulla sinistra.
Al 16' il Milan passa in vantaggio: bella ripartenza rossonera con Fofana che allarga per Morata, lo spagnolo ritrova Fofana al limite che smarca Reijnders sulla destra dell'area: tiro forte sotto la traversa e 1-0. Al 18' Jimenez si smarca sulla sinistra e cerca Morata a centro area, immediato il tocco in mezzo a cercare la porta, ma il suo tiro esce di poco. Al 23' il pareggio degli ospiti: Dovbyk riceve in area spalle alla porta e alza il pallone con un tocco di prima per l'arrivo di Dybala a rimorchio, conclusione al volo di destro dell'argentino dall'altezza del dischetto e palla in rete.
Al 32' Milan vicino al nuovo vantaggio: Angeliño perde malamente palla in disimpegno e lancia Chukwueze sulla destra: in mezzo c'è Morata tutto solo, pronto a spingere il pallone in rete, ma Ndicka salva tutto. Al 39' duro intervento di Saelemaekers su Jimenez non segnalato da Fabbri: Fonseca protesta e viene ammonito.
Al 42' proteste Milan per un contatto su Reijnders in area. L'olandese riceva dalla destra, prova a sterzare verso il centro e va giù nel contatto con Pisilli. Per Fabbri è tutto regolare, sul proseguo dell'azione Theo Hernandez ferma Dybala e viene ammonito. Nelle proteste Fonseca si becca un secondo giallo e viene espulso. Ammonizione anche per Morata.
Al 46' grande azione di Chukwueze sulla destra: salta tutti e penetra sul fondo, ma non trova per poco Reijnders in mezzo. Si ritorna in campo con tre giocatori cambiati, Celik e Pellegrini per Hummels e Koné nella Roma, mentre nel Milan torna in campo Bennacer, al posto di Terracciano. Al 5' ospiti pericolosi con Pellegrini che ruba palla a Bennacer e guida il contropiede, palla allargata per Dovbyk che può calciare dalla destra, anche se un po' defilato: Maignan c'è e para in tuffo. Al 7' mischia in area su corner del Milan, Fofana arriva al tiro in precario equilibrio e manda alto.
Al 10' sinistro di Bennacer da fuori area: Svilar si allunga e respinge in tuffo. Al 12' ancora Milan pericoloso con un sinistro a giro dal limite dell'area di Chukwueze, dal centro destra, diretto sul secondo palo: Svilar di nuovo bravissimo in tuffo a salvare. Al 17' cambio forzato nel Milan: Chukwueze esce per un problema muscolare, al suo posto l'ex giallorosso Abraham. Al 22' giallo per Paredes per un intervento duro su Morata. Passamo quattro minuti e c'è l'ammonizione anche per Celik per un fallo su Theo Hernandez in ripartenza.
Nel finale cresce la squadra di Ranieri. Al 33' percussione centrale di Pisilli che preferisce il tiro allo scarico verso Dovbyk: la conclusione non è delle migliori e finisce larga. Subito dopo entra un altro ex in campo: El Shaarawy subentra a Saelemaekers tra gli applausi dei suoi ex tifosi. Al 39' sponda di Pellegrini per il piazzato di Dybala dal limite, l'argentino calcia a colpo sicuro ma Fofana si immola e devia il pallone in angolo. Al 40' ancora Roma pericolosa: El Shaarawy raccoglie sulla destra dell'area, molto defilato, un corner dalla sinistra, gran botta sul primo palo, con Maignan che salva in tuffo.
Un minuto dopo scocca l'ora di Camarda, esce Morata, tra gli ospiti esce Dovbyk, al suo posto Shomourodov. Al 43' punizione dalla tre quarti di sinistra di Paredes: Shomurodov tocca di testa e prende la traversa ma era in posizione di fuorigioco. Al 46' tentativo di Dybala da fuori area che finisce alto non di molto. Al 49' Gabbia spende un giallo sulla 'Joya' per evitare la ripartenza. Si chiude tra i fischi di San Siro.
Esteri
E’ morto l’ex presidente Usa Jimmy Carter,...
Il democratico era il più anziano presidente degli Stati Uniti vivente di tutti i tempi. Trump: "Verso di lui un debito di gratitudine"
L'ex presidente Usa Jimmy Carter è morto oggi, 29 dicembre, nella sua casa di Plains, Georgia. Lo ha riferito il figlio. Eletto alla Casa Bianca nel 1976, Carter aveva 100 anni ed era il più anziano presidente degli Stati Uniti vivente di tutti i tempi.
Carter aveva partecipato, sulla sedia a rotelle, attorniato da figli e nipoti e bisnipoti, ai funerali della moglie Rosalynn, morta a 96 anni il 19 novembre 2023. Era stata una delle rare apparizioni pubbliche dell'allora 99enne ex presidente, malato terminale di cancro, da quando, a febbraio dello stesso anno, aveva annunciato che si sarebbe sottoposto solo a cure palliative, ritirandosi nella sua casa di Plains, in Georgia. A maggio poi era stato annunciato che la moglie era affetta da demenza senile.
Il primo ottobre Carter aveva compiuto 100 anni, rinnovando ancora una volta il record di presidente più longevo. Prima di lui il più longevo era stato George H.W. Bush che è morto a 94 anni nel 2019.
Alla guida degli Stati Uniti fra il 1977 e il 1981, il democratico Jimmy Carter ha vissuto un mandato presidenziale segnato dalla drammatica crisi degli ostaggi nell'ambasciata americana a Teheran e dal tragico fallimento dell'operazione militare per mettervi fine. Sconfitto da Ronald Reagan, Carter ha poi avuto una seconda vita pubblica grazie all'impegno della sua Carter Foundation che gli fruttò il premio Nobel per la pace nel 2002.
Il figlio: "Un eroe per coloro che credono nella pace"
"Mio padre era un eroe, non solo per me ma per tutti coloro che credono nella pace, nei diritti umani e nell'amore disinteressato", ha detto Chip Carter, il figlio dell'ex presidente.
Biden: "Il mondo ha perso uno straordinario leader"
"Oggi, l'America e il mondo hanno perso uno straordinario leader", ha detto il presidente Usa Joe Biden ricordandone l'impegno per "sradicare le malattie, forgiare la pace, promuovere i diritti civili e umani, promuovere elezioni libere ed eque, ospitare i senzatetto e difendere sempre gli ultimi tra noi. Ha salvato, sollevato e cambiato la vita di persone in tutto il mondo". Biden ha definito Carter "un uomo di grande carattere e coraggio, speranza e ottimismo" e ricorda l'amore che lo unito alla moglie Rosalynn, invitando "tutti i giovani di questa nazione e a chiunque sia alla ricerca di cosa significhi vivere una vita con uno scopo e un significato, la bella vita, a studiare Jimmy Carter, un uomo di principi, fede e umiltà. Ha dimostrato che siamo una grande nazione perché siamo un popolo buono, onesto e onorevole, coraggioso e compassionevole, umile e forte".
"Per onorare un grande americano, ordinerò un funerale di stato ufficiale che si terrà a Washington D.C. ".
Trump: "Verso di lui un debito di gratitudine"
Anche il presidente eletto Donald Trump ha reso omaggio a Jimmy Carter. "Quelli di noi che hanno avuto la fortuna di essere stati presidenti capiscono che questo è un club molto esclusivo e solo noi possiamo comprendere l'enorme responsabilità di guidare la più grande nazione della storia - ha scritto Trump su Truth Social - . Le sfide che Jimmy ha dovuto affrontare come presidente sono arrivate in un momento cruciale per il nostro paese e lui ha fatto tutto ciò che era in suo potere per migliorare la vita di tutti gli americani. Per questo, tutti noi gli dobbiamo un debito di gratitudine". Trump ha detto che lui e sua moglie "pensano con affetto alla famiglia Carter e ai loro cari in questo momento difficile" e ha esortato tutti a tenerli nei loro cuori e nelle loro preghiere.
Dalla Georgia alla Casa Bianca
James Earl Carter Jr. era nato il primo ottobre del 1924 a Plains, in Georgia. Dopo aver frequentato l'accademia navale, servì nei sommergibili della Us Navy nell'immediato dopoguerra. Nel 1953, la morte prematura del padre lo costrinse a prendere le redini dell'azienda agricola di famiglia per la produzione di noccioline. Animato da una profonda fede battista e impegnato contro la segregazione razziale, Carter si lanciò in politica, diventando prima senatore e poi governatore della Georgia.
Nel 1976 ha vinto a sorpresa le primarie democratiche, malgrado fosse inizialmente poco conosciuto fuori dal suo stato. Considerato un outsider, a novembre sconfisse di misura Gerald Ford, che aveva assunto la presidenza dopo le dimissioni di Richard Nixon per lo scandalo Watergate. Immediatamente dopo il suo insediamento, Carter sancì una grazia senza condizione a tutti i giovani che si erano sottratti alla leva per non combattere in Vietnam, in tutto 100mila giovani che tra gli anni sessante e settante erano fuggiti all'estero, il 90% in Canada.
Durante la sua presidenza, Carter si è impegnato per creare una politica nazionale per l'energia e, sul piano diplomatico perseguì una politica di pacificazione. Grazie agli accordi Camp David, favorì la firma della pace fra Egitto e Israele nel 1979. Con l'Unione Sovietica negoziò il secondo round del trattato Salt sulla limitazione delle armi strategiche. Ma il 1979 fu segnato dalla crisi energetica e, alla fine dell'anno, dall'invasione sovietica dell'Afghanistan, che fece ripiombare il mondo nel clima della guerra fredda.
La crisi e la mancata rielezione
Il 4 novembre 1979, un gruppo di studenti iraniani fece irruzione nell'ambasciata americana a Teheran e prese in ostaggio 52 diplomatici e cittadini americani. Fu l'inizio di una drammatica crisi, che gli americani vissero come un'umiliazione nazionale, tanto più dopo il fallimento, il 24 aprile 1980, di un raid militare per liberare gli ostaggi. Gli americani furono rilasciati dopo 444 giorni, il 20 gennaio 1981, quando ormai Carter era stato drammaticamente sconfitto da Ronald Reagan alle elezioni di novembre.
La seconda vita del presidente
Se il giudizio degli storici sulla presidenza Carter non è sempre lusinghiero, l'ex presidente ha poi avuto una lunga seconda vita impegnata con successo nella promozione del dialogo internazionale e lo sviluppo attraverso il suo Carter Center. In questa veste ha condotto negoziati di pace, monitorato elezioni, ottenuto la liberazione di prigionieri, appoggiato iniziative di cooperazione per eradicare povertà e malattie. Per questo suo impegno ha ottenuto il Nobel per la pace nel 2002.
Politica
Schlein chiude il 2024 con dem più forti ma la sfida 2025 è...
Zen e "testardamente unitaria", la segretaria consolida la leadership e porta il Pd nettamente primo partito dell'opposizione ma la coalizione ancora non c'è
Se l'obiettivo del 2024 era quello di rafforzare il Pd e blindare la leadership, Elly Schlein può chiudere l'anno con un bilancio positivo. I dem sono nettamente il primo partito dell'opposizione e chi vince, si sa, difficilmente viene messo in discussione. Se a questo, però, la segretaria sperava di aggiungere anche l'avvio di un nuovo centrosinistra da contrapporre alla destra di Giorgia Meloni, le cose non sono andate per niente bene. La coalizione ancora non c'è, un'alternativa solida e credibile nemmeno e gli esiti dello sforzo 'testardamente unitario' di Schlein tutti da verificare. Sarà la sfida cruciale del 2025. E le insidie non mancano.
Il mantra dell'unità e l'inedita pax dem
All'assemblea nazionale Pd di metà dicembre, Schlein ha presentato la nuova tessera dem per il 2025. Dopo gli occhi di Enrico Berlinguer del 2024, sarà uno slogan indicativo a segnare la direzione dell'anno che sta per iniziare: 'Unità'. "E' una parola bellissima e impegnativa ma soprattutto un programma, un metodo, un approccio alle cose”, ha spiegato la segretaria. Un messaggio rivolto ad alleati riottosi ma anche all'interno. Con Schlein si è realizzata una inedita pax dentro il Pd. Complice l'approccio unitario di Stefano Bonaccini, il perdente al congresso. Hanno pesato anche i continui appuntamenti elettorali del 2024: un voto quasi ogni mese è stato argine alle polemiche interne. E un Pd insolitamente poco litigioso è stato premiato nei consensi riportando i dem stabilmente ben sopra il 20 per cento e accorciato la distanza da Fdi di Meloni. Schlein riuscirà a mantenere la pax anche nel 2025?
Dal timore del sorpasso M5S al Pd pigliatutto
Se c'è un dato di chiarezza che il 2024 ha portato nel campo delle opposizioni è quello sui rapporti di forza. Il Pd chiude l'anno in uno stato di salute che era difficile prevedere. Era aprile, mancavano appena due mesi alle europee, quando tutti i sondaggi davano il Movimento 5 Stelle a una incollatura dai dem. Il timore del sorpasso serpeggiava tra i capanelli Pd in Transatlantico. Dopo due mesi di campagna elettorale in cui Schlein ha battuto il Paese insistendo su pochi temi chiave - la difesa della sanità pubblica, lavoro e salari innanzitutto -, è finita con quasi 15 punti di scarto tra i due partiti: 24,1 il Pd e 9,9 i 5 Stelle. Una caratterizzazione che ha premiato. Insieme alla potenza di fuoco, squadernata in termini di preferenze, dal 'partito degli amministratori': Stefano Bonaccini, il recordman del Sud Antonio Decaro, Dario Nardella, Giorgio Gori, Matteo Ricci, l'ex-presidente Nicola Zingaretti.
Un trend che si è confermato anche con le vittorie 6 a 0 nei capoluoghi di regione a giugno. E poi in autunno nelle regionali in Emilia Romagna e Umbria: con Michele De Pascale, sindaco di Ravenna, il Pd vola al 42,9% e arriva al 30,2% con Stefania Proietti, sindaca civica di Assisi. E pure in Liguria dove la vittoria è sfuggita di un soffio ad Andrea Orlando, il Pd è comunque primo partito con il 27,6%, doppiando quasi Fdi. Ma accanto al successo dem, ci sono i 5 Stelle in caduta libera, la quasi scomparsa a livello regionale delle formazioni centriste. Schlein riuscirà a dar vita a una coalizione competitiva?
Schlein la zen e le tensioni con i 5 stelle
"Il mio avversario è la destra di Meloni, non dirò mai una sola parola contro le altre forze di opposizione". Schlein la Zen. E' questo il segno che la segretaria del Pd ha dato ai rapporti, spesso molto difficili, con i 5 Stelle e Giuseppe Conte nel corso dell'anno che si sta chiudendo. Sono state soltanto due le volte, in cui Schlein ha rotto la linea che si è autoimposta. La prima quando in un incontro alla Camera, Conte le disse in faccia che il Pd è un partito "bellicista". Dopo 24 ore e con i dem in subbuglio, arrivò la replica: "Dal M5S esigo rispetto, basta con i continui attacchi e le mistificazioni che non servono a costruire l’alternativa. Se Conte attacca più noi che il governo Meloni sbaglia strada".
La seconda quando Conte annullò le primarie per le comunali a Bari alla vigilia dei gazebo. “Non ci sono più le condizioni per svolgere seriamente le primarie”, disse il leader M5S a seguito di alcune inchieste giudiziarie. Sulla 'questione morale', non ci fu Zen di sorta a tenere Schlein. La segreteria andò a Bari e dal palco la replica a Conte fu durissima in difesa dell'onorabilità del Pd e con l'accusa ai 5 Stelle di slealtà. “Ritirarsi dalle primarie a tre giorni dal voto è uno schiaffo alle persone perbene. Una scelta unilaterale che rappresenta un favore alle destre”. Fu rottura e alla fine a vincere a Bari è stato il candidato dem, Vito Leccese, al secondo turno con il 70%. Da allora, la segretaria ha ripreso la linea Zen. Nonostante un fine anno teso con i 5 Stelle che, pure dopo la vittoria di Conte su Grillo alla Costituente, restano riottosi all'alleanza: 'progressisti indipendenti', la definizione del leader M5S. Che ha fatto vacillare la pazienza di Schlein. "So bene che i processi di maturazione richiedono pazienza ma allo stesso tempo -ha detto la segretaria all'assemblea nazionale di metà dicembre- non possiamo passare il prossimo anno ognuno a farci gli affari propri, pensando rinviare alla vigilia delle politiche la sintesi e la costruzione dell'alternativa che dobbiamo alla nostra gente". Riuscirà Schlein a stringere un'alleanza organica con i 5 Stelle?
Il centro e i suoi federatori
"Il rischio è quello di avere una Quercia addirittura senza cespugli, ma solo circondata dall'erba". Parola di Romano Prodi dopo le regionali in Emilia Romagna e Umbria. Un rischio sentito da molti nel Pd, specie da chi avverte la mancanza di una gamba centrista alla coalizione che si cerca di costruire. Diversa dal fu Terzo Polo di Matteo Renzi e Carlo Calenda. In questi mesi si è parlato di possibili federatori: da Beppe Sala per un'area liberale e riformista a Ernesto Maria Ruffini con un taglio più cattolico-democratico. Al momento i lavori sono in corso ma il successo è tutt'altro che scontato. Schlein, da parte sua, sulle ipotesi in campo non ha proferito parola. C'è chi sostiene che un eventuale federatore del centro potrebbe diventarlo dell'intera coalizione 'scippando' a Schlein la candidatura a palazzo Chigi. Riuscirà Schlein a conquistare la premiership della coalizione?
De Luca, armi e salva Milano: i primi nodi del 2025
Nell'anno che sta per aprirsi, ci sono almeno due o tre nodi che Schlein troverà già ad attenderla. Due sono materie parlamentari: la questione dell'Ucraina e delle armi e quella del cosiddetto Salva Milano. Su entrambe le questioni ci sono diverse sfumature tra i dem e su entrambe il Pd è sotto il fuoco amico di M5S e anche di Alleanza Verdi e Sinistra. Il rischio di una spaccatura delle opposizioni è quasi una certezza. A gennaio poi è attesa la sentenza della Consulta sul referendum contro l'autonomia. Se fosse ammissibile potrebbe al contrario rappresentare l'occasione per una battaglia unitaria di tutte le opposizioni. E sempre a gennaio, entro il 10, il governo dovrà decidere se impugnare o meno la legge De Luca per il terzo mandato. Schlein non ne vuol sapere di ricandidare il presidente campano e lui non ne vuol sapere di non ricandidarsi. La decisione di Meloni sarà determinante. Riuscirà Schlein a tenere la Campania a guida centrosinistra?