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Neurologi: “Entro 2050 triplicheranno casi demenza con costi per 60mld”

Neurologi:

A causa del rapido invecchiamento della popolazione in Italia, "si prevede che il numero di persone affette da demenza quasi triplicherà entro il 2050, passando da 1,2 milioni nel 2019 a oltre 3 milioni, con costi stimati diretti fino a più di 60 miliardi di euro. L'aumento dell'aspettativa di vita inoltre determinerà un aumento delle persone affette da demenza nei paesi a basso reddito e in povertà". A fare il punto è la Sin, la Società italiana di Neurologia, in occasione della Giornata Mondiale dell’Alzheimer che si celebra il 21 di settembre e della riunione del G7 sulle demenze prevista ad Ancona l’8 di ottobre.

"Negli ultimi anni diversi studi hanno sottolineato come lo sviluppo di una demenza e soprattutto della Malattia di Alzheimer non sia inevitabile. Infatti, intervenire sui fattori di rischio modificabili, a partire dall'infanzia e continuando per tutta la vita, potrebbe prevenire o ritardare di molti anni quasi la metà dei casi di demenza - prosegue la Sin - Anche se in Italia le persone vivono più a lungo e a parità di età si ammalano meno rispetto a 30 anni fa, il numero di persone affette da demenza è destinato ad aumentare in virtù dell’invecchiamento della popolazione. Ciononostante, il potenziale per prevenire e gestire meglio la demenza è elevato se si interviene per contrastare i fattori di rischio, anche nelle persone con un elevato rischio genetico di demenza".

Sulla base di recenti prove, "sono stati individuati due nuovi fattori di rischio: elevati di lipoproteine a bassa densità (Ldl) o colesterolo 'cattivo' nella mezza età e la perdita della vista non trattata in età avanzata - ricordano i neurologi - Questi nuovi fattori di rischio si aggiungono ai fattori di rischio precedentemente identificati dalla 'Lancet Commission' nel 2020 (bassi livelli di istruzione, problemi di udito, ipertensione, fumo, obesità, depressione, inattività fisica, resistenza all’insuline e diabete, consumo eccessivo di alcol, traumi cranici, inquinamento atmosferico e isolamento sociale), che sono collegati al 40% di tutti i casi di demenza. Oltre a questi, tuttavia, devono essere tenuti in considerazione anche la contaminazione e sofisticazione degli alimenti, le alterazioni del microbiota intestinale e orale, i disturbi del sonno, le infezioni da Hsv e probabilmente l’invecchiamento immunitario o immunosenescenza".

La Sin chiede ai governi e alla società di 'impegnarsi nell'affrontare i rischi della demenza nel corso della vita'

La Sin chiede ai governi e alla società "di impegnarsi nell'affrontare i rischi della demenza nel corso della vita, sostenendo che una azione di promozione a favore della Prevenzione primaria e secondaria rappresenta la vera arma per vincere la sfida con le demenze, incrementando nello stesso tempo i sostegni socio-sanitari a favore dei malati e dei loro familiari".

“Per ridurre il rischio di Alzheimer può e deve essere fatto molto di più - afferma Alessandro Padovani, presidente della Sin - Abbiamo prove convincenti del fatto che un'esposizione più lunga ai diversi fattori di rischio ha un effetto maggiore e che i rischi agiscono maggiormente nelle persone vulnerabili. Ecco perché è fondamentale incentivare gli sforzi preventivi verso coloro che ne hanno più bisogno, compresi coloro che vivono in aree a basso e medio reddito e nei gruppi socio-economicamente svantaggiati. É un compito che riguarda tutti e che deve mirare a ridurre le disuguaglianze di rischio rendendo gli stili di vita sani il più possibile raggiungibili per tutti".

Le raccomandazioni della Sin

Per ridurre il rischio di demenza nel corso della vita, la Sin delinea diverse raccomandazioni tra cui: offrire un'istruzione scolastica di buona qualità incentivando gli studi superiori; promuovere un’istruzione permanente nelle diverse fasi della vita sostenendo le Università della terza età e le attività associative volontarie: promuovere l’uso del casco e protezioni per la testa nell’uso di monopattini e biciclette, nei luoghi di lavoro a rischio e nelle attività sportive di contatto: ridurre l'esposizione all'inquinamento ambientale e alimentare attraverso rigorose politiche per un ambiente pulito e sano; ampliare le misure volte a ridurre il fumo di sigaretta, come il controllo dei prezzi, l'innalzamento dell'età minima per l'acquisto e il divieto di fumo nei luoghi comuni anche all’esterno; ridurre il consumo di alcol e ampliare le misure volte a ridurre l’eccessivo consumo di superalcolici nei luoghi di ritrovo

E ancora: la promozione di una lotta all’isolamento e alla solitudine a tutte le età favorendo la realizzazione di ambienti comunitari e alloggi di supporto per contrastare il disagio sociale; promuovere una attiva campagna di prevenzione dei disturbi della vista e dell’udito nella logica dell’approccio 'One Health', favorendo screening oftalmologici e audiologici dell’età di 65 anni; promozione della salute dentaria rendendo accessibili a tutti gli screening odontoiatrici mediante il coinvolgimento degli Ordini dei Medici e degli Odontoiatri; monitorare i livelli di trigliceridi e colesterolo unitamente alla glicemia e al colesterolo Ldl, a partire dai 35 anni promuovendo una campagna di prevenzione ai disturbi alimentari; monitorare i livelli di pressione arteriosa periodicamente a partire dai 35 anni riducendo l’uso di sale negli alimenti; prevenire e trattare i disturbi del sonno mediante un’educazione all’igiene del sonno; individuare precocemente i disturbi del tono dell’umore anche mediante il coinvolgimento dell’Ordine degli Psicologi favorendo una tempestiva presa in carico da parte della Psichiatria nei centri di cura; promuovere nelle scuole e nei luoghi di lavoro una attiva campagna di informazione a favore di un’alimentazione sana e di una attività fisica costante anche nelle età avanzate

Secondo la Sin, "queste azioni sono particolarmente importanti alla luce delle nuove prove che dimostrano che la riduzione dei rischi di demenza non solo aumenta gli anni di vita in buona salute, ma riduce anche il tempo che le persone che sviluppano demenza trascorrono in cattiva salute, a supporto della necessità di una diagnosi precoce e di interventi di prevenzione secondaria".

'Puntare a migliorare la qualità della vita'

"Uno stile di vita sano – prosegue Padovani - che preveda esercizio fisico regolare, non fumare, un sonno regolare, fornire stimoli cognitivi e mentali anche al di fuori dell'istruzione formale e che eviti un uso eccessivo di sostanze alcoliche e favorisca un’alimentazione equilibrata ricca in verdure e frutta, non solo è in grado di ridurre il rischio di demenza, ma può anche ritardarne l'insorgenza così come rallentarne il decorso. Ciò ha enormi implicazioni sulla qualità della vita per gli individui e benefici in termini di risparmio sui costi per le società". Secondo i neurologi, l’Italia "potrebbe in questo modo ottenere in 20 anni risparmi sui costi attuali pari a circa 10 miliardi di euro da destinare alla realizzazione di attività di sostegno ai malati e ai familiari".

In uno studio pubblicato sulla rivista 'The Lancet Healthy Longevity', Naaheed Mukadam (UCL Psychiatry) e i coautori hanno modellato l'impatto economico dell'implementazione di alcune di queste raccomandazioni, usando l'Inghilterra come esempio. I risultati "dello studio suggeriscono che l'uso di interventi a livello di popolazione di nota efficacia per affrontare i fattori di rischio della demenza potrebbe avere un profondo effetto sulla prevalenza della demenza e sulle disuguaglianze, nonché significativi risparmi sui costi", chiosa la Sin.

Proprio per sensibilizzare la popolazione sulla Malattia di Alzheimer, a partire da sabato 21 settembre sui canali social ufficiali della Società italiana di Neurologia verranno pubblicate delle video pillole in risposta ad alcune delle domande ricevute dagli utenti.

Le richieste della Sin al Governo

La Sins chiede anche "un maggiore supporto per le persone affette da demenza e le loro famiglie. In molte regioni e in molte aree del nostro Paese, gli interventi efficaci che si sa possano giovare alle persone affette da demenza non sono ancora disponibili o non sono una priorità. Allo stesso modo, le esigenze di molti caregiver non sono adeguatamente considerate e soddisfatte. Sarebbe importante fornire interventi di 'coping' per i familiari che prestano assistenza e che sono a rischio di depressione e ansia, garantendo oltre ad agevolazioni e supporti economici, anche supporto emotivo, pianificazione per il futuro e informazioni sulle risorse mediche e socio-sanitarie. A maggior ragione, è quanto mai necessario promuovere azioni concertate a sostegno delle persone sole e isolate così come di tutte le persone fragili, data l’evidenza che queste sono a maggior rischio di sviluppare la Malattia di Alzheimer".

“Per dare la piena attuazione alle azioni sopradescritte è necessario creare una migliore organizzazione dei servizi per la demenza a livello dei distretti sanitari – sostiene Camillo Marra, presidente delle Sindem (Associazione autonoma aderente alla Sin per le demenze) - allo scopo di mettere in rete tutte le competenze presenti a livello territoriale dando piena attuazione a quelli che sono i dettami del Dm 77. La creazione di Pdta locali potrà facilitare l’accesso dei pazienti in fase più precoce di malattia e permettere quelle politiche di stratificazione del rischio e screening di popolazione propedeutiche alla attuazione di programmi di prevenzione e presa in carico precoce dei pazienti e dei caregiver”.

Per la ricerca, la Sin chiede "una maggiore integrazione tra le diverse Istituzioni nazionali e regionali al fine di accedere a finanziamenti Europei per incentivare la ricerca di base, traslazionale e epidemiologica nel nostro paese, già tra i primi al mondo per quanto riguarda gli studi su Alzheimer e Demenze. Ancora molto deve essere fatto per comprendere i diversi meccanismi che favoriscono le malattie del cervello e ad oggi non abbiamo una terapia miracolosa in grado di impedire lo sviluppo della Malattia di Alzheimer né di bloccare la Malattia. Ci sono diverse evidenze a supporto del fatto che essa può essere rallentata con farmaci che in Europa non sono ancora autorizzati, soprattutto se diagnosticata precocemente, ma dobbiamo fare di più per garantire cure efficaci e sicure e soprattutto per sostenere la creazione di reti regionali che permettano di avere registri di patologia".

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Salute e Benessere

Schillaci, cancro al colon: casi in aumento, i segnali...

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E' l secondo carcinoma più diffuso nel nostro Paese, con oltre 48mila diagnosi nel 2022

Una corsia d'ospedale

In Italia i casi di tumore al colon retto, la malattia che ha colpito Salvatore Schillaci morto oggi a 59 anni, "sono in aumento": è il secondo carcinoma più diffuso nel nostro Paese, con oltre 48mila diagnosi nel 2022 e una mortalità stimata di 21.700 decessi nel 2021 (dati Aigo), "e purtroppo l'adesione degli agli screening non è alta, mentre la prevenzione è la strada per anticipare questa malattia e proprio chi sta bene deve fare prevenzione. La tragica scomparsa di Totò Schillaci deve far capire quanto non deve essere sottovalutato questo tumore e l'importanza dei test". Così all'Adnkronos Salute Maria Di Paolo, consigliere nazionale dell'Aigo (Associazione italiana gastroenterologi ed endoscopisti digestivi ospedalieri).

"Quando c'è la comparsa di sangue nelle feci, associata ad un calo di peso, deve scattare la prima sirena d'allarme - spiega la specialista - quindi fare il test del sangue occulto nelle feci e procedere poi con la colonscopia. Quello che vediamo in ospedale, invece, è che quando si scopre il sangue nelle feci si fa passare del tempo prima di arrivare allo screening - sottolinea Di Paolo che lavora al Ao San Giovanni di Roma - Se il sangue è visibile si deve fare un'indagine di secondo livello come la colonscopia". Se invece si ha una familiarità con il tumore del colon, con adenomi o polipi, "la colonscopia va anticipata ai 40 anni e se c'è un parente di primo grado con la malattia scoperta da giovane si deve anticipare la prevenzione", rimarca la gastroenterologa.

"La grande forza dello screening - conclude - è poter interrompere il passaggio dalla lesione con potenzialità cancerogene allo sviluppo del tumore. Se si anticipa questo passaggio, si può intervenire e rimuovere il tumore con una sopravvivenza molto alta. Una lesione ci mette 7-10 anni a sviluppare un tumore, il nostro obiettivo come specialisti è di non fare arrivare questi pazienti all'oncologo".

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Salute e Benessere

Sondaggio, declino cognitivo e demenza preoccupano 9...

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Oltre 1 mln con demenza e 600mila con Alzheimer

Sondaggio, declino cognitivo e demenza preoccupano 9 italiani su 10

In un'Italia che invecchia, i disturbi cognitivi e le demenze sono un'emergenza sociosanitaria crescente e sempre più temuta: 9 italiani su 10 sono preoccupati per se stessi o che un proprio caro possa soffrirne in futuro, temendo soprattutto la perdita di autonomia, l'isolamento e il carico emotivo ed economico sul nucleo familiare, anche a causa della carenza di servizi socio-assistenziali, paventata da oltre il 70% di cittadini. Sono alcuni dei dati emersi da un'indagine realizzata dall’istituto di ricerche 'Emg Different' su un campione di mille italiani tra i 24 e i 75 anni, che ha indagato il livello di conoscenza su declino cognitivo e demenza, portando all'attenzione percezioni e bisogni informativi dei cittadini. La ricerca è stata presentata oggi a Milano nel corso dell'evento 'Declino cognitivo e demenza: quanto ne sappiamo, cosa stiamo facendo e quale impatto sulla società e sul Servizio sanitario nazionale', promosso da Neopharmed Gentili nel mese dedicato all'Alzheimer, la forma più diffusa di demenza, di cui ricorre la Giornata mondiale il 21 settembre.

Nel nostro Paese - si legge in una nota - il declino cognitivo e la demenza interessano 2 milioni di pazienti e, di riflesso, 4 milioni di caregiver. Si stima che oltre 1 milione di persone soffrano di demenza (di cui 600mila con malattia di Alzheimer) e altre 900mila siano affette da declino cognitivo live, conosciuto anche con l'acronimo inglese Mci (Mild Cognitive Impairment). Si tratta di una condizione clinica caratterizzata dal peggioramento in uno o più domini cognitivi (memoria, attenzione, linguaggio) che non compromette le normali attività quotidiane, ma su cui è necessario agire tempestivamente perché in circa il 50% dei casi progredisce in demenza nell'arco di 3 anni.

Una sfida, dunque, da affrontare con diagnosi precoci e interventi mirati, ma anche promuovendo la conoscenza e la lotta allo stigma sociale. Gli italiani sono concordi (93%) sulla necessità di una maggiore informazione sull'argomento: nonostante la crescente sensibilità sui disturbi cognitivi, che per il 97% della popolazione costituiscono un grave problema per le famiglie e per la società, quasi 1 italiano su 2 (46%) dichiara di non sapere che la prevenzione è un'alleata per contrastare il declino cognitivo, e solo il 29% è consapevole della possibilità di intervenire sul decorso della malattia con trattamenti adeguati. Da non sottovalutare anche l'impatto della demenza sulla spesa sanitaria, che per il 63% è totalmente a carico delle famiglie. "Con l'aumento dell'aspettativa di vita, la demenza è destinata ad acquisire sempre più rilevanza - afferma Camillo Marra, presidente Sinfem, associazione autonoma aderente alla Società italiana di neurologia per le demenze - Oggi ne soffre il 7% della popolazione over 60 e la percentuale sale al 30% negli over 85. Intervenire preventivamente nelle forme di precliniche di demenza è cruciale per contrastare la progressione della malattia".

E' stato evidenziato che "un intervento su tutti i fattori di rischio modificabili, tra i 40 e i 60 anni - continua Marra - potrebbe ridurre del 40% l'evoluzione del declino cognitivo lieve in demenza. Ciò vuol dire agire su fumo, alcol, sedentarietà, diabete, ipertensione, dislipidemie, ma anche sugli aspetti legati alla socialità. L'ipovisione e la perdita di udito non riconosciute in età adulta sono altri fattori di rischio da non sottovalutare. Ma la 'vera' prevenzione inizia sui banchi di scuola, riducendo il tasso di abbandono scolastico per agire su un fattore chiave di protezione rappresentato dal livello culturale: più siamo istruiti, infatti, più siamo in grado di alimentare la riserva cognitiva per quando saremo anziani. Anche sul fronte terapeutico, più si interviene in fase precoce, anche limitatamente ai trattamenti oggi disponibili, meglio si riesce a modificare il decorso della malattia".

All'esordio del disturbo cognitivo la persona è autonoma, può continuare a lavorare, guidare e svolgere le attività abituali, anche se inizia a mostrare segnali che dovrebbero rappresentare dei campanelli d'allarme. Tuttavia, a fronte di un'ampia consapevolezza dei sintomi, riscontrata in oltre il 90% degli intervistati, non sempre risulta facile percepirli su se stesso o su un proprio caro. "Il declino cognitivo lieve è un quadro clinico da attenzionare al massimo - spiega Alessandro Pirani, rappresentante della Simg (Società italiana si medicina generale) al tavolo permanente Demenze del ministero della Salute - perché rappresenta la fase della diagnosi precoce e coinvolge in prima persona il medico di medicina generale. Il disturbo delle capacità di memoria è il segnale più eclatante, ma spesso viene ignorato o sminuito a causa dello stigma che lo 'relega' a un normale aspetto dell'invecchiamento. Altri campanelli d'allarme sono la comparsa di depressione, cambiamenti del carattere, la tendenza a perdere il filo del discorso. Inoltre, nella progressione della malattia, compaiono i disturbi del comportamento: insonnia, oppositività (il paziente non mangia, non si lascia lavare), aggressività fisica e verbale. La stabilizzazione di questi sintomi, che causano forte stress emotivo nei familiari, è un obiettivo assistenziale prioritario e decisivo ai fini della gestione del paziente al domicilio".

Le ripercussioni sul nucleo familiare sono tra le principali preoccupazioni degli italiani: per oltre il 90% degli intervistati, prendersi cura di un paziente affetto da disturbo cognitivo è fonte di stress e influisce sull'economia e sulla socialità di tutta la famiglia. "La demenza non è una condizione da accettare con rassegnazione - avverte Piero Secreto, componente Comitato tecnico-scientifico per le linee guida 'Diagnosi e trattamento di demenza e Mild Cognitive Impairment' - Serve un impegno condiviso, anche sul piano dell'informazione all'opinione pubblica, per superare i pregiudizi verso le persone anziane e combattere lo stigma sociale che ancora accompagna la malattia".

La linea guida "riempie un vuoto culturale rispetto alla possibilità di attuare una serie di interventi che riguardano la diagnosi, il trattamento, l'assistenza e il supporto ai pazienti, per metterli nelle condizioni di conservare una buona qualità di vita. Una novità rispetto alle linee guida internazionali - precisa Secreto - ha riguardato l'inserimento del declino cognitivo lieve accanto alla demenza, a conferma del valore di un intervento precoce sull'evoluzione della malattia e sul benessere complessivo del paziente". Assistere una persona con demenza "è un impegno gravoso che ricade quasi per intero sul nucleo familiare, sul piano psicofisico, sociale ed economico - sottolinea Donatella Oliosi, presidente associazione Diana onlus, associazione diritti non autosufficienti - ed è comprensibile che questo sia uno degli aspetti che più preoccupa gli italiani rispetto all'eventualità che la malattia possa colpire un proprio caro. Questo perché, pur rientrando nella competenza del Servizio sanitario nazionale, in quanto malati cronici, le famiglie non ricevono sufficienti prestazioni e adeguati sostegni dai servizi sanitari territoriali: in molti casi i centri diurni rappresentano un sollievo per le famiglie, ma andrebbero dimensionati sul reale fabbisogno, così come dovrebbe essere garantito in maniera uniforme l'accesso in struttura per quei pazienti che non possono più essere assistiti al domicilio. I malati e le famiglie devono essere accolti e accompagnati nella presa in carico di competenza del Servizio sanitario nazionale".

Attualmente "il 64% dei pazienti con demenza non risulta in carico presso strutture sociosanitarie - puntualizza Paolo Sciattella, farmacoeconomista dell'Università degli Studi Tor Vergata di Roma - Un dato che dà la misura dell'onere della malattia sulle famiglie dei pazienti, non solo sul piano assistenziale, ma anche economico. Circa il 63% dei costi per la gestione e il trattamento dei pazienti è completamente a carico del paziente (spesa out-of-pocket), pari a 14,8 miliardi di euro su una spesa totale annua complessiva di 23,6 miliardi di euro. A ciò si aggiungano i costi indiretti legati alla perdita di produttività dei caregiver, quantificati in 4,9 miliardi di euro, che interessano prevalentemente i pazienti non istituzionalizzati".

Il mese dedicato all'Alzheimer costituisce "un'importante occasione - dichiara Daniela Rossi, condirettore generale di Neopharmed Gentili - per accendere i riflettori sul declino cognitivo e la demenza, patologie che meritano un'attenzione particolare per l'impatto che hanno sulle famiglie e per l'alto livello di complessità assistenziale. L'impegno di Neopharmed Gentili è volto a migliorare la qualità di vita delle persone, anche e soprattutto durante l'invecchiamento. Per questo crediamo sia essenziale promuovere la consapevolezza dei cittadini, informarli sull'importanza della prevenzione e della diagnosi precoce e scardinare i pregiudizi che allontano i pazienti dal loro percorso di cura, trasferendo un messaggio di vicinanza, inclusione e fiducia per una migliore qualità della vita".

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Salute e Benessere

Ieo, anticorpi coniugati svolta contro il cancro al seno...

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Ieo, anticorpi coniugati svolta contro il cancro al seno metastatico

Una svolta contro il cancro al seno metastatico. Così l'Istituto europeo di oncologia (Ieo) di Milano presenta i risultati di uno studio internazionale coordinato da Giuseppe Curigliano, direttore della Divisione Nuovi farmaci per terapie innovative dell'Ieo e presidente eletto dell'Esmo (Società europea di oncologia medica), "destinato a cambiare la pratica clinica nella cura delle metastasi dei tumori del seno più diffusi", quelli positivi ai recettori ormonali (Hr+), che rappresentano il 70% del totale. Gli autori del lavoro - pubblicato sul 'New England Journal of Medicine' - hanno infatti dimostrato che per questo tipo di neoplasie "l'utilizzo dell'anticorpo coniugato trastuzumab deruxtecan dopo la terapia ormonale standard per le fasi iniziali migliora la sopravvivenza libera da progressione" di malattia, "rispetto alla chemioterapia, e riduce il rischio globale di progressione e morte. Trastuzumab deruxtecan si conferma come nuova opzione di trattamento, fra terapia endocrina e chemioterapia, capace di aumentare il periodo senza malattia in media di 5 mesi".

"Questo studio - afferma Curigliano - è una pietra miliare verso la definizione di terapie efficaci per i tumori della mammella positivi per i recettori per estrogeni (Er+) metastatici e basso livello di espressione di" recettore "Her2 (Her2 low). Per le pazienti è una svolta perché la parola stessa 'metastasi' farà meno paura e aderiranno alle cure con più fiducia. Con la giusta sequenza di terapie, la cronicizzazione della malattia metastatica è oggi un obiettivo raggiungibile".

Attualmente - ricorda una nota dell'Irccs fondato da Umberto Veronesi - dopo la terapia endocrina nelle fasi iniziali lo standard di cura è la chemioterapia, i cui benefici non sono notoriamente soddisfacenti. La possibilità di svolta è nata pochi anni fa dagli anticorpi coniugati, nuovi farmaci mirati composti da un anticorpo in grado di riconoscere i recettori per Her2, coniugati a molecole di chemioterapico. In sostanza, l'anticorpo riconosce i recettori, penetra nella cellula tumorale e rilascia la carica distruttiva del chemioterapico, agendo come un cavallo di Troia. Uno di questi farmaci è trastuzumab deruxtecan, molecola capace di legarsi ai recettori Her2, anche se solo debolmente espressi dalla cellula tumorale. Il farmaco viene già utilizzato nel tumore al seno metastatico, ma come seconda linea di trattamento, dopo la chemioterapia. Nello studio appena pubblicato (Destiny-Breast06), gli autori hanno valutato l'utilizzo dell'anticorpo coniugato subito dopo la terapia endocrina, evitando il trattamento chemioterapico.

"I risultati sono stati straordinari", assicurano dall'Ieo. "Nello studio - evidenzia Curigliano - le pazienti con tumore della mammella metastatico Hr+, Her2 low e Her2 ultralow trattate con trastuzumab deruxtecan dopo terapia endocrina hanno vissuto più a lungo (in media 5 mesi in più) senza progressione o peggioramento della malattia, rispetto a quelle trattate con chemioterapia standard".

"Questo risultato - conclude lo specialista - cambia il modo di trattare il tumore del seno metastatico Hr+, perché utilizzando trastuzumab-deruxtecan più precocemente non solo otteniamo un trattamento più efficace, ma possiamo estendere la popolazione di pazienti che può averne i benefici".

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