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Rientro a scuola: allarme burnout genitoriale, Italia seconda in Europa

Stress da rientro a scuola. Non si tratta di capricci, di termometri riscaldati sotto il calore delle lampadine o di mal di stomaco improvvisi, ma di un fattore critico per la salute pubblica. L’allarme parte dagli Stati Uniti ma travolge anche l’Europa, con impatti significativi sul benessere mentale dei genitori e dei bambini. Tra i Ventisette, l’Italia è persino seconda per stress dei genitori da ritorno a scuola.

Ma andiamo con ordine. Un avviso del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani Usa, supportato da ricerche di enti autorevoli come l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la Harvard T.H. Chan School of Public Health, ha evidenziato come la pressione derivante dalla gestione della routine scolastica stia portando a livelli di stress che potrebbero sfociare in sindromi più gravi, come il burnout genitoriale e lo stress cronico.

Il 64% dei genitori dichiara di sentirsi esausto entro il primo mese di scuola. Tra questi, 6 su 10 attribuiscono tale fatica al sovraccarico mentale legato alla pianificazione familiare. Lo stress impatta anche il benessere emotivo dei bambini, che risentono indirettamente delle difficoltà affrontate dai genitori, oltre a vivere in prima persona il ritorno tra i banchi di scuola. La Harvard T.H. Chan School of Public Health ha confermato che i genitori che soffrono di esaurimento tendono a trasmettere ai figli ansia e nervosismo, aumentando il rischio di disturbi comportamentali nei giovani.

I costi emotivi ed economici del ritorno a scuola

C’è anche un tema di ‘stress finanziario’ anche a fronte degli aumenti che sono arrivati anche per il nuovo anno scolastico. Non si tratta di una novità, ma di un trend inflazionistico che colpisce ogni bene e servizio (ma non gli stipendi): secondo una ricerca Eurispes, nel 2023, le famiglie italiane hanno speso mediamente 600 euro per l’acquisto di materiale scolastico e libri di testo, un aumento del 5% rispetto all’anno precedente.
Cambia l’anno, ma non la sostanza: secondo il monitoraggio effettuato dall’Osservatorio nazionale Federconsumatori, per l’anno scolastico 2024/2025 i prezzi del “back to school” hanno registrato in media il +6,6% rispetto allo scorso anno (considerando grande distribuzione organizzata, cartolibrerie e segmento online), con una spesa complessiva per materiali e ricambi scolastici di circa 647 euro per alunno.

Questi rincari, uniti alle spese per le attività extrascolastiche e l’abbigliamento, stanno mettendo in crisi molte famiglie, soprattutto quelle che già affrontano difficoltà economiche.

Come emerge dal sondaggio di HelloFresh, il servizio di box ricette a domicilio leader del settore, commissionato all’istituto di ricerca Censuswide, la preparazione dei pasti è tra le prime cause del carico mentale provato dai genitori durante il periodo del ritorno a scuola.

Quasi 3 genitori su 4 (74%) hanno confermato che la pianificazione, il budget, la spesa e la preparazione della cena per la famiglia sono tutti momenti che incidono sul livello di stress mentale quotidiano.

Nel panorama europeo, gli italiani sono il secondo popolo più stressato dal rientro a scuola, dietro solo a quelli spagnoli (78%). Sul terzo gradino del non invidiabile podio si collocano i genitori francesi con il 68% dei genitori che riferisce un eccessivo stress per il back to school.

Altre attività che vengono considerate stressanti sono l’esecuzione corretta dei compiti dei propri figli (45%), il ritorno ad un’efficace routine quotidiana mattutina pre-scuola (41%), l’organizzazione logistica dei trasporti dei vari componenti della famiglia (31%), la preparazione delle nuove divise e la ricerca del materiale scolastico (25%).

Le conseguenze a lungo termine sulla salute mentale

Dunque, oltre allo stress economico, il ritorno a scuola è spesso associato a disturbi del sonno e a un aumento dei sintomi ansiosi tra i genitori. Secondo uno studio del National Institute of Mental Health, il 40% dei genitori riferisce di dormire meno di sei ore a notte durante i primi due mesi dell’anno scolastico. La mancanza di sonno e il carico mentale costante possono portare a condizioni di burnout, una sindrome riconosciuta dall’Oms come una condizione medica associata a esaurimento fisico e mentale.

La Harvard Medical School ha evidenziato come il burnout sia direttamente collegato a un peggioramento della salute mentale e fisica dei genitori, con un aumento dei rischi di depressione e malattie cardiache. Per i bambini, le conseguenze sono altrettanto preoccupanti: lo stress genitoriale è stato correlato a una maggiore incidenza di disturbi comportamentali e difficoltà scolastiche. Il rischio è che si apra un ciclo che può influenzare negativamente lo sviluppo emotivo e cognitivo degli studenti.

A questo, va aggiunta la preoccupazione per quello che gli esperti definiscono il “burnout empatico” dei più giovani. Spesso, però, la mancanza di empatia è solo l’anticamera di problemi più gravi: alcuni hanno sottolineato sui social la difficoltà di molti studenti delle scuole medie nel mantenere la concentrazione anche per pochi secondi durante le esperienze di tirocinio. Molti hanno attribuito all’uso eccessivo dei social media, in particolare TikTok, la riduzione della capacità di attenzione e comunicazione.
È difficile individuare una causa specifica di questa condizione ma gli esperti sono concordi su un aspetto: il ruolo dei genitori e del dialogo in famiglie è cruciale per formare i giovani sia intellettualmente che emotivamente. A tal proposito, alcuni utenti hanno evidenziato un cambiamento nel rapporto tra genitori e scuola, con i primi che spesso si comportano come “clienti”, interferendo in modo controproducente nell’educazione dei figli e rallentandone la maturità.

La flessibilità lavorativa come soluzione

Per affrontare questa emergenza, sia gli esperti americani che europei richiedono un cambio di prospettiva culturale. Il Centro Nazionale per la Salute Pubblica degli Stati Uniti ha pubblicato una serie di raccomandazioni che invitano le istituzioni e le aziende a offrire maggiore flessibilità lavorativa ai genitori, quindi orari di entrata e uscita dinamici o giornate di lavoro ridotte durante i primi mesi di scuola. Come abbiamo spesso sottolineato su queste pagine, inoltre, una maggiore flessibilità lavorativa potrebbe aiutare la fertilità. Uno studio dell’Institute for Fiscal Studies ha evidenziato che l’aumento della fertilità era concentrato tra le donne che, con il lockdown, hanno aumentato la propria flessibilità lavorativa: “Interpretiamo questo come una prova che l’aumento della flessibilità dovuto al lockdown ha permesso a queste donne di conciliare meglio carriera e famiglia, in linea con il nostro modello teorico. Stabiliamo anche che la fertilità è aumentata di più per le donne che guadagnavano sopra il reddito medio prima del lockdown”, scrivono gli autori del rapporto.

In Italia, il Censis e altre associazioni hanno suggerito l’introduzione di bonus scolastici e agevolazioni fiscali per le famiglie, oltre alla creazione di servizi di supporto psicologico per i genitori in difficoltà. Anche l’OMS sostiene che sia necessaria una maggiore consapevolezza sociale del problema, con politiche pubbliche mirate che diano priorità al benessere familiare.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Denatalità, Bilotta: “Infertilità per il 15% di coppie, ma...

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Circa il 15% delle coppie in Italia non è fertile. Il numero medio di figli per donna negli ultimi sessant’anni è sceso dal 2,70 a 1,20. Da quarant’anni il tasso di fertilità non supera l’1.5. E l’infertilità è una delle cause.

Le crescenti difficoltà di concepimento nelle coppie che desiderano avere un figlio rischiano di contribuire all’aumento della denatalità. Il 22 settembre si celebra la Giornata nazionale della salute riproduttiva. Per quell’occasione, il Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita “Alma Res” di Roma, ha spiegato quali sono e come si possono superare tali difficoltà.

Le cause della denatalità

La dimensione del fenomeno della denatalità è evidente. Con appena 379mila bambini venuti al mondo, il 2023 ha evidenziato nel nostro Paese l’ennesimo minimo storico di nascite, l’undicesimo di fila dal 2013. Il trend non si è fermato sin dal 2008 (577mila nascite), determinato sia da un’importante contrazione della fecondità (numero di figli per donne in età riproduttiva) sia dal calo del numero di donne in tale fascia di età (per l’invecchiamento della popolazione).

E se nel 1964 il numero di figli per donna si assestava sui 2.70, nel 2023 era pari a 1.20. Il bassissimo numero medio di figli per donna interessa tutto il territorio nazionale. Nel dettaglio, il Nord Italia ha una media di 1.21 figli per donna, il Centro 1.12 e Sud e Isole, 1.24. Fino a trent’anni fa la fecondità era molto superiore nel Sud rispetto al Centro e al Nord: basti pensare che nel 1964 era 3.30 nel Mezzogiorno, 2.38 nel Centro e 2.37 nel Nord.

Diverse sono le cause che hanno contribuito in questi anni a peggiorare la situazione:
Cause economico-sociali: come stipendi bassi, aumento del costo della vita, mancanza di servizi a sostegno delle famiglie
• Crescenti difficoltà di concepimento nelle coppie che desiderano avere un figlio.

In Italia è stata istituita la Giornata nazionale della salute riproduttiva (22 settembre), proprio con l’obiettivo di promuovere l’attenzione e l’informazione sul tema della fertilità.

“Infertilità? C’è soluzione”

“Secondo le stime dell’Istituto Superiore di Sanità – afferma il Professor Pasquale Bilotta, direttore del Centro Fecondazione Assistita “Alma Res” di Roma -, in Italia circa il 15% delle coppie è infertile e questa condizione può dipendere in egual misura sia dalla donna che dall’uomo. Non esistono in Italia dati specifici sulla prevalenza di questo fenomeno. Generalmente si parla di infertilità di coppia in caso di mancato raggiungimento della gravidanza dopo un anno di rapporti sessuali regolari e non protetti”.
Tra le cause primarie, spiega Bilotta, vi è senz’altro il fattore età: “Dai 40 anni in poi la percentuale di fertilità media è il 20% rispetto a quella riscontrata a 25 anni”. Ma non solo. A pesare sull’infertilità ci sono “anche abitudini non sane, come fumo, consumo di alcol oppure condizioni psicologiche limitanti, quali ansia e stress da ritmi di vita/lavoro troppo frenetici”.

Spesso, quest’ultime, sono patologie prevenibili facilmente curabili: “Per questo è molto importante una corretta informazione”, ha aggiunto il professore.

Prevenzione e possibili soluzioni all’infertilità

Ricorrere a trattamenti di fecondazione assistita è una soluzione. Stando ai dati più recenti dell’Istituto Superiore di Sanità, nel 2021, oltre 86.000 donne in Italia si sono sottoposte a questo tipo di procedure. La fascia d’età più rappresentata è quella tra i 35 e i 40 anni, seguita dalla fascia tra i 30 e i 35 anni.

Il tasso di successo delle procedure varia in base all’età della donna e alla tecnica utilizzata, con una media nazionale del 25% di gravidanze per ciclo di trattamento di fecondazione in vitro. Le donne sotto i 35 anni hanno registrato i tassi di successo più alti, con una percentuale che raggiunge il 40%, mentre per le donne sopra i 40 anni il tasso di successo scende al 15%.

“Non esiste un percorso universalmente valido per tutte le coppie – ha spiegato il Professor Bilotta – Per questo, l’obiettivo primario del nostro Centro è ricercare approcci personalizzati, basati su caratteristiche genetiche e biologiche individuali. Non solo: puntiamo al miglioramento delle tecniche di congelamento e scongelamento di ovociti ed embrioni e investiamo nello sviluppo di nuove metodologie per la diagnosi precoce di malattie genetiche rare”.

Secondo il prof. Bilotta – tra i primi ricercatori in Italia che, nel 1980, realizzarono su coppia infertile il prelievo, la fecondazione dell’ovocita ed il trasferimento embrionario in utero – è fondamentale continuare a migliorare il quadro normativo per assicurare un accesso equo e sicuro per tutti: “Nel Lazio, per esempio, le coppie che decidono di ricorrere alla fecondazione assistita tramite Sistema sanitario nazionale si recano in altre regioni. Le motivazioni sono legate alla scarsa offerta pubblica o convenzionata nel territorio regionale, lunghe liste d’attesa e costi elevati. Con altri 21 Centri autorizzati privati, stiamo costituendo un Coordinamento a livello regionale: auspichiamo la creazione di un Network di centri pubblici e privati, disponibili a erogare prestazioni in convenzione con il Servizio sanitario nazionale, in modo da aumentare l’offerta e garantire alle coppie un maggiore accesso ai trattamenti di fecondazione assistita”.

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La voce dei giovani: una lettera aperta alla Scuola

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Cosa pensano i giovani della Scuola? A rispondere a questa domanda c’è il collettivo “Nubi Pe(n)santi”, composto da ragazzi e ragazze della provincia di Torino, che ha deciso di scrivere una lettera aperta a questa istituzione.

Utilizzando il metodo maieutico, gli studenti hanno riflettuto profondamente sul tema dell’educazione. La lettera è stata presentata durante il Caffè pedagogico con Daniele Novara (premio ricevuto durante il convegno Cpp “La scuola non è una gara” a cui i ragazzi e le ragazze hanno partecipato con una rappresentanza).

La Scuola è una seconda casa?

La scuola è spesso definita come una “seconda casa” per i giovani, ma non sempre ciò corrisponde al vero. “La maggior parte di noi non sente questo luogo simile a una casa perché nel percorso scolastico gli aspetti negativi prevalgono rispetto a quelli positivi.” Questo mette in luce come molti studenti non percepiscano la scuola come un luogo sicuro e di supporto.

Un sondaggio condotto da Unisona Live e Unicef ha rilevato che il 75% degli studenti associa il proprio malessere a episodi legati alla scuola. Questo dato sottolinea quanto sia cruciale creare un ambiente scolastico positivo per il benessere degli studenti. La percezione di un ambiente accogliente è fondamentale per la salute mentale degli studenti.

Il peso del giudizio

Uno dei temi principali emersi è il giudizio costante a cui sono sottoposti gli studenti. “Essere valutati e valutate e avere un voto che giudichi il nostro operato non può che generare in ognuno di noi un vorticoso senso di ansia e frustrazione.

I voti e le valutazioni generano ansia e frustrazione, distogliendo l’attenzione dal vero obiettivo dell’educazione: l’apprendimento e la crescita personale. Lo ha dimostrato un’indagine Ocse-Pisa che ha rilevato che gli studenti italiani manifestano ansia e disagio in situazioni legate al rendimento scolastico, con il 56% degli alunni che dichiara di diventare particolarmente nervoso durante le verifiche. Questo evidenzia l’importanza di un ambiente scolastico che supporti non solo l’apprendimento, ma anche il benessere emotivo degli studenti.

Incoerenza e preferenze

Il collettivo torinese ha, inoltre, criticato la mancanza di coerenza tra i professori, che inviano messaggi contraddittori riguardo all’importanza dei voti. “Ci insegnano che il giudizio personale negativo non va bene, ma invece perché quello positivo va bene?”. La risposta è “No”. Il fenomeno si chiama “ansia da prestazione” e ha portato centinaia di studenti a soffrire di disturbi di vario tipo o, spesso, anche al suicidio.

L’American College Health Association (Acha), ritiene che ansia e depressione siano i principali ostacoli al rendimento negli studi. Questo espone i soggetti ad un maggiore rischio di abuso di sostanze tossiche e a pensieri suicidi. Secondo i dati, il 65,7% degli studenti ammette di aver provato “ansia travolgente” raddoppiata negli ultimi 10 anni.

Inoltre, nella lettera è emerso quanto gli studenti percepiscano i favoritismi e i pregiudizi, che influenzano negativamente il clima scolastico e i rapporti tra pari. Studi hanno dimostrato che le percezioni degli insegnanti riguardo alla motivazione e all’impegno degli studenti possono influenzare significativamente i risultati scolastici.

Competizione e conformismo

La scuola per i giovani del collettivo viene poi descritta come un ambiente competitivo e conformista, dove gli studenti sono spinti a competere tra loro piuttosto che a collaborare. “Si innesca una competizione ‘sgomitante, muscolare, darwiniana’ in cui si perde di vista il significato originario di ‘cumpetere: procedere insieme, correre insieme verso la stessa meta’”.

Questo sistema promuove una standardizzazione che annulla il pensiero critico e la crescita individuale, favorendo un conformismo opprimente. Un’analisi del Centro Studi Erickson ha esaminato l’inclusione scolastica e sociale in Italia, evidenziando come la competizione possa creare un ambiente meno inclusivo e aumentare il rischio di esclusione per gli studenti.

Il Registro Elettronico: tra controllo e fiducia

Il registro elettronico, sebbene utile, è stato descritto come uno strumento di controllo che riduce l’autonomia degli studenti e la comunicazione tra loro e i genitori. “I nostri genitori vengono costantemente informati di quello che facciamo, i voti che prendiamo, dove siamo, annullando la comunicazione tra genitori e studenti“.

Questo sistema, infatti, tende a ridurre la comunicazione diretta e immediata, fondamentale per il funzionamento delle relazioni umane, soprattutto quando si parla di figli in età scolare.

Non è la prima volta che l’uso di strumenti digitali influenzi negativamente l’autonomia degli studenti e la loro capacità di autoregolarsi. Ma se si parla sempre dei cellulari e del loro divieto nelle scuole, si deve considerare anche valido poter mettere in discussione anche gli strumenti di controllo e non solo di “distruzione di massa” (come definito dal ministro italiano Valditara).

Il collettivo “Nubi Pe(n)santi” è costituito da un gruppo di adolescenti residenti nella ValMessa, Bassa Val di Susa, che si interrogano, negli spazi dell’Associazione LiberAmente, concessi dal Comune di Almese, in collaborazione con la Consulta Giovani, su argomenti a loro cari, su cui hanno necessità di esprimersi liberamente, senza giudizio, scambiando pensieri ed emozioni, utilizzando diversi linguaggi.

La loro lettera rappresenta una voce critica e riflessiva sul sistema scolastico attuale. I giovani esprimono il desiderio di un cambiamento radicale, basato su una maggiore comunicazione, empatia e comprensione reciproca. La loro speranza è che, attraverso il dialogo e la riflessione, sia possibile rendere la scuola un luogo migliore per tutti.

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Vincent Cassel papà per la quarta volta: ma quali sono i...

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Vincent Cassel, 57 anni, diventa papà per la quarta volta. A dare il dolce annuncio è la fidanzata Narah Baptista, 27 anni, che con una foto sui social ha fatto sapere della gravidanza.

La modella brasiliana ha condiviso su Instagram le prime foto col pancione scrivendo: “Mamma ti aspetta. Fotografie scattate dalla nonna”. L’attore ha risposto con un dolce “Sono fortunato ad averti nella mia vita”. I due sono legati da poco più di un anno. E se per la modella è la prima gravidanza, per Cassel è la quarta volta.

L’attore è già padre di tre figlie, Deva e Leonie, rispettivamente 20 e 14 anni, nate dal matrimonio con Monica Bellucci. Poi cinque anni fa, con la seconda moglie Tina Kunakey, altrettanto 27enne, è venuta al mondo Amazonie.

E mentre l’attore diventerà papà per la quarta volta, c’è qualche collega che ha ampiamente superato questo record. Scopriamo alcuni dei papà vip “più proliferi”.

I papà vip più proliferi: ieri e oggi

Se prendessimo esempio da questi papà famosi, il problema della denatalità sarebbe estinto. Quantomeno non si può dire che non abbiano contribuito alla messa al mondo di un numero di figli tale sufficiente a mantenere alto il ricambio generazionale (almeno quello delle proprie famiglie). Perché mentre il tasso di natalità crolla a picco, alcune personalità dello showbiz hanno fatto la differenza e sono passate alla storia per essere dei papà proliferi, maternità surrogate incluse.

Di un’altra epoca, ma un evergreen della genitorialità rinomata per la quantità, c’è Marlon Brando. L’attore, noto per la sua tumultuosa vita privata, sia con partner maschili che con quelli femminili, ha messo al mondo e riconosciuto 12 figli, avuti da tre mogli diverse e donne sconosciute al grande pubblico e ne ha adottati altri tre, per un totale di 15.

Elon Musk, il miliardario fondatore di Tesla e SpaceX, ha 12 figli da diverse relazioni. L’imprenditore, di quasi 53 anni, ha accolto il terzo figlio con la compagna attuale Shivon Zilis, di 38 anni, lo scorso giugno.

A seguire, Eddie Murphy, con i suoi dieci figli: i primi due, li avuti da due donne diverse, sono nati prima di sposare la modella Nicole Mitchell, dalla quale ne ha poi avuto altri cinque. Dopo il divorzio nasce Angel Iris, riconosciuta grazie al test del Dna, dalla relazione con la Spice Girl Mel B. Infine, ha avuto gli ultimi due figli dalla modella Paige Butcher.

Ma c’è anche, Mel Gibson con i sette figli, tutti nati dalla stessa madre, l’infermiera Robyn Moore, con cui il matrimonio è durato ben 26 anni e poi altri due figli, una avuta dalla musicista russa Oksana Grigorieva, e l’ultimo con la sceneggiatrice televisiva Rosalind Ros.

Rimanendo in tema non si possono non considerare altrettanto “proliferi” anche gli attori Robert De Niro, Brad Pitt e Jude Law. Tutti e tre hanno in comune le carriere costellate di successi e sei figli, nel caso di Pitt, tre adottati insieme alla moglie e collega Angelina Jolie.

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Papà-vip italiani

Spostandoci in Italia, invece, celebri sono diventate le parole dell’attore Christian De Sica che sul padre Vittorio ha dichiarato: “Mio padre ci ha lasciato in eredità anche la scoperta di numerosi fratelli e sorelle nascoste. La mia non era una famiglia, ma una cooperativa. Gli uomini erano maschilisti e lui era innamorato di tutte quelle donne”. Dalla stessa mamma è nato il fratello Manuel De Sica, mentre da altre donne, Vittorio De Sica ha avuto Emiliana De Sica e Vicky Lagos. Gli altri figli ai quali ha alluso Christian non sono noti al grande pubblico.

Non è un attore, ma è famoso in tutta Italia per la sua musica: Gigi D’Alessio, negli scorsi giorni sul palco dell’Arena di Verona, al Tim Music Awards, ha risposto in modo ironico al conduttore Carlo Conti sul numero di figli messi al mondo fino ad oggi. Napoletano, 57 anni, il cantante ha in totale sei: ha avuto Claudio, Ilaria e Luca dal matrimonio con Carmela Barbato, poi Andrea dalla relazione con Anna Tatangelo e Francesco e Ginevra, nati dall’amore con la fidanzata Denise Esposito.

E sempre in tema musica, c’è Roby Facchinetti dei Pooh con i suoi cinque figli e Al Bano Carrisi con i suoi sei figli. Mentre, nel mondo dello sport c’è Antonio Cassano che ne ha avuti cinque.

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