Dall'ente regolatorio il via libera a deucravacitinib, farmaco first-in-class inibitore della tirosin-chinasi 2
L'Agenzia italiana del farmaco (Aifa) ha approvato la rimborsabilità di deucravacitinib per il trattamento della psoriasi a placche da moderata a severa. Da oggi i pazienti che falliscono la terapia convenzionale possono usufruire di un nuovo trattamento. La terapia orale - riporta una nota - presenta un meccanismo d'azione innovativo e selettivo che permette di raggiungere livelli di efficacia e sicurezza duraturi nel tempo. La decisione dell'Aifa fa seguito a quella analoga del 2023 dell'Agenzia europea per i medicinali. Deucravacitinib è un farmaco first-in-class inibitore orale della tirosin-chinasi 2 (Tyk2) ed è il primo di una nuova classe di "piccole molecole". Agisce selettivamente su Tyk2, inibendo la segnalazione dell'interleuchina-23 (IL-23), dell'interleuchina-12 (IL-12) e degli interferoni (Ifn) di tipo I. Queste ultime sono delle citochine che hanno un ruolo importante nella patogenesi della psoriasi e di altre malattie immunomediate. La novità terapeutica viene presentata oggi a Roma, in una conferenza stampa promossa da Bristol Myers Squibb.
"Oltre un milione e mezzo di persone solo in Italia sono colpite da psoriasi e di questi pazienti 500mila presentano la forma da moderata a severa - sottolinea Antonio Costanzo, professore ordinario di Dermatologia e direttore dell'Uoc di Dermatologia presso l'Irccs Istituto clinico Humanitas Rozzano, Milano - Si tratta di una patologia infiammatoria della pelle che presenta un andamento cronico e recidivante. Si manifesta soprattutto con placche arrossate e squamose in genere distribuite in maniera simmetrica su gomiti, ginocchia, mani, piedi, cuoio capelluto e anche orecchie. E' causata da un'anomala attivazione del sistema immunitario che si traduce in un'infiammazione cutanea, eccessiva proliferazione delle cellule dell'epidermide e nella formazione di nuovi vasi sanguigni nel derma. Le attuali cure disponibili possono ridurre i sintomi e le manifestazioni più evidenti ma non siamo ancora in grado di eradicare completamente la malattia".
Per arrivare al via libera dell'Aifa - si legge - è stato condotto il programma di studi clinici di fase 3 Poetyk Pso-1, Pso-2 e l'estensione a lungo termine (Poetyk Pso-Lte). Sono state valutate l'efficacia e la sicurezza di deucravacitinib vs apremilast e placebo. La terapia orale ha dimostrato una risposta duratura nel tempo, mantenendo e migliorando l'efficacia di molteplici indicatori della psoriasi (Pasi 75, Pasi 90 e sPga 0/1). Gli ultimi dati presentati allo Spring Symposium 2024 dell'European Academy of Dermatology and Venereology hanno mostrato tassi di risposta Pasi 75 mantenuti fino a 4 anni in pazienti trattati continuativamente con deucravacitinib (Poetyk Pso-Lte). Il valore clinico di questo nuovo farmaco orale è stato dimostrato anche nelle aree più difficili da trattare come il cuoio capelluto, dove è risultato significativamente più efficace rispetto a placebo e apremilast.
"I pazienti con psoriasi da moderata a severa presentano dei bisogni insoddisfatti - evidenzia Maria Concetta Fargnoli, professore ordinario di Dermatologia e Venereologia presso l'Università dell'Aquila e responsabile Uoc Dermatologia generale ed oncologica Du presso l'Ospedale S. Salvatore - La malattia necessita di un trattamento che sia efficace, rapido e sicuro e che consenta un controllo a lungo termine della psoriasi. La nuova terapia risponde a queste esigenze anche grazie al suo meccanismo d'azione a largo spettro. Infatti, non svolge un'inibizione selettiva su un'unica molecola, ma può modulare contemporaneamente più citochine coinvolte nella patogenesi della malattia. Inoltre, è un trattamento 'maneggevole' grazie alla somministrazione orale da effettuarsi una sola volta al giorno. Non presenta interazioni farmacologiche, non richiede aggiustamenti della dose e può essere assunto con o senza cibo".
"Deucravacitinib, in quanto terapia orale, ottimizza la gestione della patologia e semplifica il percorso di cura del paziente - afferma Valeria Corazza, presidente Apiafco-Associazione psoriasici italiani amici Fondazione Corazza - La psoriasi, come molte altre malattie dermatologiche, presenta un forte impatto sulla vita quotidiana in quanto i sintomi sono molto visibili e provocano un forte senso di vergogna e frustrazione. Anche se non è infettiva né contagiosa, la persona colpita tende a limitare i contatti sociali a causa dell'imbarazzo che genera. E' poi spesso associata ad altre malattie o condizioni come l'obesità, il diabete, la sindrome metabolica, l'artrite psoriasica o la depressione. Non deve essere sottovalutata e ben vengano tutte le innovazioni terapeutiche in grado di normalizzare il decorso della patologia".
"Accogliamo con grande soddisfazione la recente decisione dell'Agenzia italiana del farmaco - conclude Cosimo Paga, Executive Country Medical Director, Bristol Myers Squibb - Deucravacitinib, frutto della ricerca di Bristol Myers Squibb, è un trattamento che presenta delle grandi potenzialità, così come è stato dimostrato negli studi registrativi, ed è importante che questa nuova opzione terapeutica sia ora disponibile per i pazienti anche in Italia. In Bristol Myers Squibb siamo stati pionieri nello studio del sistema immunitario, sia nel campo delle malattie auto-immuni sia nel campo dell’immuno-oncologia. Non ci fermiamo qui, ma continuiamo il nostro impegno in immunologia studiando deucravacitinib in diverse altre indicazioni come l'artrite psoriasica o la sindrome di Sjogren. L'obiettivo che ci poniamo è trovare soluzioni terapeutiche innovative e migliorare la qualità di vita dei pazienti compromessa da patologie debilitanti e che determinano conseguenze notevoli a livello fisico, emotivo e sociale".
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Ritorno a Wuhan: un nuovo studio punta sull'origine naturale Sars-CoV-2
Alle radici del covid. Ritorno a Wuhan, Cina, dove tutto è cominciato a fine 2019, anno in cui un nuovo coronavirus, Sars-CoV-2, faceva il suo ingresso nel mondo degli esseri umani scatenando di lì a poco una pandemia senza confini. Virus fuggito da un laboratorio o arrivato all'uomo per vie naturali, tramite un animale 'ospite intermedio'? E' il giallo mai risolto di Covid-19. Un nuovo studio riavvolge il nastro, seguendo le tracce del 'Dna fantasma' nei campioni ambientali raccolti a inizio 2020 nel mercato all'ingrosso di frutti di mare di Huanan, dove sono stati censiti i primi casi umani. Gli autori del lavoro pubblicato su 'Cell' sono riusciti così a stringere il cerchio, fornendo una 'short list' delle specie selvatiche presenti nel mercato su cui si concentrano i sospetti.
Lo studio collaborativo internazionale porta la firma di scienziati di diversi atenei statunitensi ed europei e si basa su una nuova analisi dei dati pubblicati dal Cdc cinese, Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, provenienti da oltre 800 campioni raccolti nel mercato di Huanan e nei dintorni, a partire dall'1 gennaio 2020 e dai genomi virali segnalati dai primi pazienti Covid.
Nell'elenco delle specie da cui secondo il team molto probabilmente ha fatto il salto all'uomo Sars-CoV-2, ci sono diversi sospettati: secondo la ricerca, il virus era presente in alcune delle stesse bancarelle della fauna selvatica venduta al mercato, tra cui cani procioni (piccoli animali simili a volpi con macchie simili ai procioni) e zibetti (piccoli mammiferi carnivori imparentati con manguste e iene).
"Questo - evidenzia Florence Débarre, coautrice corrispondente del Centro nazionale francese per la ricerca scientifica (Cnrs) - è uno dei set di dati più importanti esistenti sull'origine della pandemia di Covid e siamo grati che siano stati condivisi". Lo studio, aggiunge il coautore corrispondente Kristian Andersen dello Scripps Research Institute, "aggiunge un ulteriore livello alle prove accumulate che puntano tutte allo stesso scenario: che gli animali infetti sono stati introdotti nel mercato da metà a fine novembre 2019, il che ha innescato la pandemia". Come si è arrivati a questi risultati. Analizzando i dati raccolti dal Cdc cinese "in modi nuovi e rigorosi", interviene l'altro coautore corrispondente, Michael Worobey dell'Università dell'Arizona.
Le indagini
L'1 gennaio 2020, dopo che gli animali erano stati rimossi e a poche ore dalla chiusura del mercato di Huanan, i ricercatori del Cdc cinese si sono recati nella struttura per raccogliere campioni. Hanno fatto tamponi su pavimenti, pareti e altre superfici delle bancarelle e sono tornati giorni dopo per concentrarsi sulle aree in cui si vendevano animali selvatici, e quindi su gabbie e carrelli usati per spostare gli animali. Infine hanno anche raccolto campioni dagli scarichi e dalle fogne.
Su quei campioni è stato eseguito il sequenziamento metatrascrittomico, tecnica che mira a ottenere tutte le sequenze di Rna (e che può anche raccogliere il Dna) da tutti gli organismi presenti in un campione: virus, batteri, piante, animali, esseri umani. Il team cinese, guidato da Liu Jun, ha pubblicato i propri risultati nel 2023 su 'Nature' e ha condiviso in modalità ad accesso aperto i dati raccolti. Quello che veniva lasciato irrisolto era il nodo delle identità esatte delle specie animali trovate che potrebbero rappresentare plausibili ospiti intermedi. Secondo l'ultima analisi di questi dati condotta dal team internazionale, in alcuni casi il materiale genetico del virus Sars-CoV-2 e degli animali è stato persino trovato sugli stessi tamponi. Le specie sono state identificate tramite la genotipizzazione dei loro genomi mitocondriali nei campioni.
"Molte delle specie animali chiave erano state eliminate prima dell'arrivo dei team del Cdc cinese, quindi non possiamo avere prove dirette che gli animali fossero infetti", afferma Débarre. "Stiamo osservando i 'fantasmi' del Dna e dell'Rna di questi animali nei campioni ambientali, e alcuni si trovavano in stand in cui è stato trovato anche il virus. Questo è ciò che ci si aspetterebbe di vedere in uno scenario in cui ci fossero stati animali infetti nel mercato". Tra l'altro, fa notare Worobey, "questi sono gli stessi tipi di animali che sappiamo aver facilitato il passaggio del coronavirus Sars originale agli esseri umani nel 2002. La cosa più rischiosa che si può fare è prendere animali selvatici che pullulano di virus e poi metterli a contatto con esseri umani che vivono nel cuore di grandi città, la cui densità di popolazione rende facile per questi virus prendere piede".
Potrebbe essere successo proprio questo nel 2019. Il team internazionale ha anche eseguito un'analisi evolutiva dei primi genomi virali riportati, comprese queste sequenze ambientali, e ha dedotto i genotipi progenitori più probabili del virus che ha infettato gli esseri umani e portato alla pandemia di Covid. I risultati implicano che ci fossero pochissime persone infettate, se non nessuna, prima del focolaio nel mercato.
Gli animali 'sospettati'
Attraverso la nuova analisi si è arrivati alla short list di specie animali presenti nel mercato umido e trovate contestualmente a campioni virali, che potrebbero rappresentare gli ospiti intermedi più probabili per Sars-CoV-2: il comune cane procione, specie suscettibile al virus e nota per aver portato la Sars nel 2003, è l'animale geneticamente più abbondante nei campioni delle bancarelle, e poi è stato trovato in una bancarella con Rna di Sars-CoV-2 del materiale genetico di civette delle palme mascherate, anch'esse associate alla precedente epidemia di Sars. Anche altre specie come il ratto del bambù e i porcospini malesi sono state trovate presenti in campioni positivi a Sars-CoV-2, così come una moltitudine di altre specie.
Gli esperti sottolineano l'importanza di comprendere le origini della pandemia di Covid, anche ora che è alle spalle, soprattutto alla luce di altri recenti 'spillover', salti di specie come quello che ha portato negli Usa alla diffusione del virus dell'influenza aviaria nei bovini. "C'è stata molta disinformazione" sulle radici di Sars-CoV-2, conclude Worobey. Capire queste dinamiche può avere un peso, a suo avviso, per la sicurezza nazionale e la salute pubblica. "La verità - chiosa - è che da quando la pandemia è scoppiata più di 4 anni fa, nonostante ci sia stata una maggiore attenzione al tema della sicurezza in laboratorio, non è stato fatto molto per ridurre la possibilità che uno scenario perfetto per una zoonosi si verifichi di nuovo".
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