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Diagnosi di Hiv, in un podcast i consigli su come affrontarla

Realizzato nell'ambito di 'Hiv. Parliamone ancora!', nuova iniziativa della campagna 'Hiv. Ne parliamo?' promossa da Gilead Sciences.

Diagnosi di Hiv, in un podcast i consigli su come affrontarla

La diagnosi di positività all'Hiv oggi non deve più essere vissuta come una condanna, ma deve essere affrontata con consapevolezza e fiducia. Infatti, chi segue la terapia secondo lo schema prescritto dal medico con costanza e regolarità, può avere un'aspettativa di vita sovrapponibile a chi non ha l'infezione. Eppure, il momento della diagnosi può rappresentare un trauma per chi la riceve: un momento in cui si affollano angosce, paure e domande che devono trovare una giusta risposta. Solo così sarà possibile affrontare il percorso terapeutico in modo corretto, arrivando ad avere una carica virale non rilevabile, che consente di non essere più contagiosi e di ottenere una buona qualità di vita. Come affrontare una diagnosi di Hiv è l'argomento del secondo episodio del podcast 'A voce alta - Dialoghi sull'Hiv', realizzato da OnePodcast in collaborazione con Gilead Sciences, da oggi disponibile al link https://open.spotify.com/show/3WO4OGtxxupBJBiR7Oy1sz.

Sulla piattaforma - ricorda una nota - è già disponibile la prima puntata, uscita a giugno e dedicata ai temi dell'aderenza terapeutica e dello sviluppo di resistenze ai farmaci e al concetto di U=U. I due podcast fanno parte di 'Hiv. Parliamone ancora!', iniziativa nell'ambito di 'Hiv. Ne parliamo?', la campagna di sensibilizzazione promossa da Gilead Sciences con il patrocinio di 16 associazioni di pazienti, della Società italiana di malattie infettive e tropicali (Simit) e dell'Italian Conference on Aids and Antiviral Research (Icar).

In Italia, nel 2022, sono state effettuate 1.888 nuove diagnosi di infezione da Hiv. Circa il 60% dei neo-diagnosticati aveva una compromissione del sistema immunitario e, tra questi, più del 40% con una diagnosi di Aids conclamata. "Questi numeri ci dicono che la maggior parte delle persone arriva alla diagnosi di Hiv in una fase avanzata, quando ha già dei sintomi, anziché per un'abitudine al controllo del proprio stato di salute - afferma Alessandro Lazzaro, Dipartimento di Sanità pubblica e Malattie infettive Sapienza Università di Roma - Purtroppo, non c'è adeguata informazione sul test Hiv, che può essere effettuato attraverso un prelievo di sangue oppure tramite il test rapido - salivare o capillare, con una goccia di sangue - a cui seguirà un'analisi più specifica in caso di positività".

I test rapidi si possono fare anche nei 'check point', centri gestiti da persone con Hiv, dove gli utenti trovano un ambiente senza pregiudizi, familiare, che offre un servizio d'eccellenza. "Al momento della diagnosi le persone pensano che la loro vita cambierà per sempre e non sarà più recuperabile. Non è così - spiega Daniele Calzavara, Milano Checkpoint Ets - Oggi è possibile vivere una vita libera, come quella di tutte le altre persone. E' importante però che fin da subito le persone vengano informate correttamente. Nei check point si può avere un confronto tra pari, che permette di normalizzare fin da subito il vivere con Hiv".

Una volta ottenuta la diagnosi, le persone vengono prese in carico da un centro specializzato e lì intraprendono il loro percorso, che ha come obiettivo quello di iniziare la terapia il prima possibile per poter raggiungere l'abbattimento della carica virale e lo stato di U=U, ovvero Undetectable=Untransmittable. Questo vuol dire che, se il virus non è rilevabile nel sangue, allora non può essere trasmesso. "Raggiungere questo stato è molto importante per le persone con Hiv perché consente di riappropriarsi della propria vita e di viverla liberamente - sottolinea Maria Aurora Carleo, Unità operativa complessa Malattie infettive e Medicina di genere dell'Azienda ospedaliera dei Colli di Napoli - E' necessario però che venga capita l'importanza di assumere la terapia con regolarità e costanza. Per questo diventa fondamentale parlare con il medico".

Insieme al podcast - continua la nota - è stato realizzato anche un nuovo opuscolo informativo che sarà reso disponibile per i medici a supporto della loro comunicazione con i pazienti. L'opuscolo affronta il tema del paziente neo-diagnosticato, con informazioni utili per affrontare al meglio questo momento. Sulla landing page della campagna - hivneparliamo.it - sono inoltre disponibili le storie dedicate a tutte le tematiche toccate in questi mesi di attività: il benessere mentale, l'aderenza terapeutica, lo sviluppo di resistenze ai farmaci e diversi altri aspetti legati alla quotidianità del vivere con Hiv. Tutti gli strumenti messi a disposizione da 'Hiv. Ne parliamo?' hanno l'obiettivo di promuovere il dialogo fra i medici e le persone con Hiv, per una migliore qualità di vita.

"In questi quasi 40 anni di attività a fianco delle persone con Hiv abbiamo lavorato per far sì che la diagnosi di positività all'infezione non fosse più una condanna, e ci siamo riusciti. Oggi chi vive con Hiv, grazie alle terapie, può avere un'aspettativa di vita paragonabile a chi non ha l'infezione e una buona qualità di vita", dichiara Gemma Saccomanni, Senior Director Public Affairs Gilead Sciences.

"Ma possiamo e vogliamo fare ancora di più - aggiunge - e ci impegniamo ogni giorno a sviluppare nuovi farmaci, sempre più efficaci e a promuovere una corretta informazione e un maggior dialogo tra medici e pazienti, fin dal momento della diagnosi. Un obiettivo che è anche alla base di 'Hiv. Ne parliamo?', una campagna che offre strumenti concreti a clinici e persone che vivono con questa infezione per costruire un rapporto di fiducia".

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Salute e Benessere

Melanoma in stadio avanzato, grazie a terapie migliora...

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Oltre il 40% dei pazienti trattati con nivolumab più ipilimumab è vivo a 10 anni, i dati presentati all'Esmo di Barcellona

Melanoma in stadio avanzato, grazie a terapie migliora sopravvivenza

Bristol Myers Squibb ha annunciato i dati del follow-up a 10 anni di CheckMate-067, studio clinico di fase 3 randomizzato, in doppio cieco, che mostra un miglioramento continuo e duraturo della sopravvivenza con la terapia di prima linea con nivolumab più ipilimumab e nivolumab in monoterapia, rispetto al solo ipilimumab nei pazienti con melanoma avanzato o metastatico non precedentemente trattati. Al follow-up minimo di 10 anni, la sopravvivenza globale mediana (Os) è risultata di 71,9 mesi con nivolumab più ipilimumab - è la Os mediana più estesa riportata da uno studio di fase 3 nel melanoma avanzato - di 36,9 mesi con nivolumab e di 19,9 mesi con ipilimumab. Questi dati sono stati presentati al Congresso 2024 della European Society for Medical Oncology (Esmo) a Barcellona, e contemporaneamente pubblicati su 'The New England Journal of Medicine'.

Tra tutti i pazienti randomizzati nello studio - riporta una nota - il 64% che ha ricevuto la combinazione, il 50% trattato con nivolumab e il 33% trattato con ipilimumab non hanno ricevuto una successiva terapia sistemica al follow-up di 10 anni. "Questi dati continuano a dimostrare il beneficio clinico significativo e duraturo di nivolumab in associazione ad ipilimumab con le curve di sopravvivenza che rimangono consistenti per parecchi anni - afferma James Larkin, Consultant Medical Oncologist, Department of Medical Oncology, The Royal Marsden - In particolare, il 43% dei pazienti trattati con nivolumab e ipilimumab è vivo a 10 anni e per molti pazienti non è stata necessaria una terapia successiva". Inoltre, al follow-up a 10 anni la combinazione nivolumab più ipilimumab mostra tassi di sopravvivenza specifica per il melanoma del 52% (la mediana non è stata raggiunta) rispetto al 44% (mediana di 49,4 mesi) e al 23% (mediana di 21,9 mesi) nei pazienti trattati con il solo nivolumab e con il solo ipilimumab, rispettivamente.

"Solo 10 anni fa una diagnosi di melanoma avanzato significava una probabilità di vita di pochi mesi. La duplice combinazione immunoterapica di nivolumab e ipilimumab ha cambiato radicalmente la prospettiva per molti pazienti - dichiara Dana Walker, vice president, global program lead, melanoma and gastrointestinal and genitourinary cancers, Bristol Myers Squibb - Il nostro obiettivo era ed è tuttora ridefinire le aspettative di sopravvivenza dei pazienti con il melanoma; questi dati dimostrano il nostro impegno nei confronti di questo traguardo e continuano a renderci fiduciosi".

Il beneficio clinico duraturo e sostenuto - dettaglia la nota - è stato osservato con nivolumab e ipilimumab o con il solo nivolumab nei sottogruppi rilevanti, tra cui i pazienti con mutazione di Braf e tumori wild-type. Nei pazienti con tumori con mutazione di Braf il tasso di Os a 10 anni è risultato del 52% nei pazienti trattati con nivolumab più ipilimumab, del 37% con il solo nivolumab e del 25% con il solo ipilimumab. Nei pazienti con tumori Braf wild-type, il tasso di Os a 10 anni è stato del 39% nei pazienti che hanno ricevuto nivolumab più ipilimumab, del 37% con il solo nivolumab e del 17% con il solo ipilimumab. Al follow-up a 10 anni, il tasso di risposta obiettiva (Orr) è risultato maggiore nei due gruppi con nivolumab, in associazione a ipilimumab e da solo, pari al 58,3% e 44,9% rispettivamente, rispetto al gruppo con ipilimumab, pari al 19%. La durata mediana della risposta (Dor) non è stata raggiunta in coloro che hanno ricevuto nivolumab e ipilimumab, mentre la Dor mediana è stata di 103,2 mesi nei pazienti trattati con nivolumab e 19,2 mesi in quelli trattati con ipilimumab.

Il profilo di sicurezza di nivolumab più ipilimumab è coerente con i risultati precedenti - si evidenzia nella nota - in assenza di nuovi segnali di sicurezza, e non sono stati rilevati decessi legati al trattamento dopo le tre analisi precedenti. Gli eventi avversi di grado 3/4 correlati al trattamento sono stati riportati nel 62,6% dei pazienti nel gruppo di combinazione, dal 24,6% nel gruppo nivolumab e dal 29,6% nel gruppo ipilimumab. Bristol Myers Squibb ringrazia i pazienti e gli sperimentatori che hanno partecipato allo studio clinico CheckMate -067.

Il melanoma è una forma di tumore della pelle caratterizzata da un'incontrollata crescita delle cellule che producono il pigmento (melanociti) localizzate nella pelle. Il melanoma metastatico è la forma più letale della malattia e si manifesta quando il cancro si diffonde oltre la superficie della pelle agli altri organi. L'incidenza del melanoma è aumentata costantemente negli ultimi 30 anni. Globalmente, l'Oms stima che entro il 2035 l'incidenza di melanoma raggiungerà quota 424.102, con 94.308 decessi correlati. Negli Stati Uniti sono stimate nel 2024 100.640 nuove diagnosi di melanoma e circa 8.290 morti correlate. Il melanoma è per la maggior parte curabile quando trattato negli stadi iniziali; tuttavia, le percentuali di sopravvivenza diminuiscono alla progressione della malattia.

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Salute e Benessere

Emofilia, oggi a Bari il campus itinerante ‘Atleti...

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Al Cus il primo percorso di avvicinamento all'atletica leggera per bambini e giovani adulti con la patologia

Emofilia, oggi a Bari il campus itinerante 'Atleti con la A'

Una mattinata all'insegna dello sport, ma anche del dialogo, per educare e informare le persone con emofilia e i loro caregiver sui benefici del movimento e la protezione articolare funzionali al raggiungimento di una migliore qualità di vita, nonché per essere da stimolo alle nuove generazioni e abbattere qualche tabù. Arriva a Bari, oggi 21 settembre presso il Cus, 'Atleti con la A', il primo percorso di avvicinamento all'atletica leggera per bambini e giovani adulti con emofilia. Il progetto di Sobi Italia, con il patrocinio di FedEmo (Federazione delle associazioni emofilici), del Coni (Comitato olimpico nazionale italiano) e della Fidal (Federazione italiana di atletica leggera), ha lo scopo di educare e informare sui benefici della pratica dell'attività fisica e sportiva per persone con emofilia e di approcciare il tema con maggior consapevolezza grazie anche al prezioso contributo di clinici, specialisti e istruttori che parteciperanno all'iniziativa.

"L'emofilia è una malattia rara emorragica ereditaria - spiega Giuseppe Lassandro, dirigente medico del Centro emofilia pediatrico del Policlinico-Giovanni XXIII di Bari - La trasmissione genetica avviene da madre (portatrice) al figlio maschio. E' una patologia che ha un forte impatto sulla vita dei pazienti e dei suoi caregivers, perché la carenza dei fattori della coagulazione provoca sanguinamenti prevalentemente articolari. Negli ultimi anni lo scenario di cura si è radicalmente modificato, perché abbiamo a disposizione terapie farmacologiche innovative che possono permettere la normalizzazione dell'emostasi. E' possibile, dunque, personalizzare i trattamenti e garantire una qualità di vita simile ai pari. La somministrazione preventiva (chiamata profilassi) dei farmaci garantisce l'assenza di sanguinamenti e la protezione articolare. L'attività fisica, sin da piccoli, deve essere garantita alle persone con emofilia perché rafforza i muscoli, le ossa e le articolazioni nonché svolge una fondamentale funzione sociale ed educativa. La presa in carico da parte di un team multidisciplinare - con ematologi, pediatri ematologi, ortopedici, fisiatri, medici dello sport e laureati in scienze motorie - risulta fondamentale per accrescere la conoscenza reciproca e attuare quella corresponsabilità tra esperti e persone con emofilia che garantisce un percorso di cura vincente".

L'iniziativa 'Atleti con la A' - si legge in una nota - nasce dall'ascolto di chi convive con l'emofilia e da una serie di importanti considerazioni rispetto a quanto oggi sia cambiata (in meglio) la loro qualità di vita. Vivere con l'emofilia in modo più libero e sereno significa anche poter scegliere quale sport piace di più praticare, in particolar modo per i giovani che spesso sono spaesati rispetto alla propria condizione con il risultato di rinunciare a praticare l'attività sportiva. Al fine di poter decidere con maggiore consapevolezza e sicurezza è importante seguire alcuni accorgimenti, primo tra tutti quello di valutare, insieme al proprio ematologo, quali siano le proprie capacità e la propria condizione fisica. Prima di scegliere uno sport, infatti, bisognerebbe pensare a quali effetti potrebbe avere sul proprio corpo, quanto contatto ci sarà con altri eventuali giocatori e soprattutto quali muscoli e quali articolazioni andrà a coinvolgere.

"Fino a poco tempo fa si pensava che l'emofilia riducesse la possibilità di praticare attività fisica a causa del rischio di incorrere in emorragie - sottolinea Cristina Cassone, presidente FedEmo e presidente Abce Onlus Martina Franca - Allo stato attuale, per un emofilico praticare uno sport tra quelli suggeriti dal proprio medico è invece non solo possibile, ma anche fortemente consigliato. Oggi i tempi sono maturi per consentire alle persone emofiliche di praticare in modo continuativo l'attività sportiva e migliorare attraverso di essa il proprio benessere psico-fisico in totale sicurezza. Ora le persone con emofilia possono infatti fare affidamento su trattamenti terapeutici di profilassi in grado di scongiurare l'insorgere dell'artropatia emofilica. Tale circostanza segna un importante cambio di paradigma nella gestione della patologia e le associazioni di pazienti devono essere parte di questo cambiamento veicolando le corrette informazioni".

E' proprio su queste premesse che si basa il campus itinerante rivolto ai giovani con emofilia di tipo A, ma non solo, che potranno scoprire, in sicurezza, alcune discipline dell'atletica guidati in pista da un team di istruttori esperti del Cus Bari. Mentre i più giovani si cimenteranno nella pratica sportiva, gli adulti avranno modo di partecipare a una sessione dedicata all'informazione su attività fisica ed emofilia grazie al coinvolgimento di un team multidisciplinare di clinici e dell'associazione pazienti locale.

"Da sempre cerchiamo di promuovere una presa in carico della persona con emofilia che tenga conto di aspetti e variabili che esulano dalla sola terapia - afferma Carina Fiocchi, direttore Medico di Sobi Italia - Siamo orgogliosi di lavorare al fianco delle associazioni pazienti e ascoltare i bisogni ancora insoddisfatti dando risposte concrete con iniziative che hanno l'obiettivo di migliorare la loro qualità di vita. Siamo convinti che solo attraverso un lavoro multidisciplinare sia possibile permettere alle persone con emofilia di aprirsi a una vita libera e piena, protetti e sicuri. Il nostro impegno nella campagna 'Atleti con la A' intende promuovere la corretta informazione e si pone l'obiettivo di educare al movimento, a partire dai più piccini. Inoltre, ci consente di veicolare un messaggio importante, ovvero che, grazie a una corretta profilassi, la gamma delle attività sportive praticabili dalle persone con emofilia è aumentata notevolmente".

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Salute e Benessere

Vaccino bronchiolite, il piano per le Regioni: cosa prevede

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Ministero della Salute: va individuata "una soluzione rapida per eliminare disparità di trattamento"

Manina di un neonato - (Xinhua)

Il picco dell'infezione da virus sinciziale nei bimbi è tra novembre e dicembre e dura fino a febbraio-marzo, fanno sapere gli esperti. Ma come si muoveranno le Regioni per la somministrazione del vaccino? Con una nota il ministero della Salute, che ieri ha annunciato di voler rendere disponibile gratis il trattamento in tutta Italia, fa sapere che oggi "si è svolto un incontro dei capi dipartimento e i direttori generali della Prevenzione e della Programmazione sanitaria con il presidente e il direttore tecnico scientifico di Aifa, in merito all'anticorpo monoclonale per le infezioni da virus respiratorio sinciziale" Rsv. E "si è condivisa la necessità di individuare una soluzione rapida per eliminare disparità di trattamento nelle Regioni in piano di rientro in merito all'utilizzo del monoclonale. Per questo è stato chiesto ad Aifa di valutare e indicare il percorso più idoneo e veloce per il raggiungimento dell’obiettivo". La precisazione arriva dopo le polemiche sorte in seguito all'annuncio da parte del ministero della Salute di voler rendere disponibile gratis in tutte le Regioni per il trattamento dei neonati.

Come ha ricordato all'Adnkronos Salute Luigi Orfeo, presidente della Società italiana di neonatologia (Sin), in merito al farmaco in grado di prevenire il 90% delle ospedalizzazioni da virus respiratorio sinciziale (Rsv), "è importante che a novembre ci facciamo trovare pronti e si possa cominciare a somministrare il nuovo anticorpo su tutto il territorio nazionale, senza differenze. Questo è quello che ci hanno assicurato e noi naturalmente abbiamo accolto con grande soddisfazione questa ipotesi".

"Ci auguriamo - auspica il presidente dei neonatologi - che in tempi ragionevoli si possa cominciare a somministrare questo anticorpo". Si tratta di un trattamento preventivo.

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