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La dieta “Mind” riduce il rischio di declino cognitivo: ecco in cosa consiste

L’età avanza e la paura di non essere più lucidi come una volta si inizia a far sentire? C’è chi sostiene che la combinazione della dieta Mediterranea insieme ad un regime alimentare sano e completo possa ridurre il rischio di declino cognitivo.

Un nuovo studio pubblicato il 18 settembre 2024 sulla rivista online Neurology, dell’American Academy of Neurology, suggerisce che le persone che seguono una dieta simile alla dieta “Mind” potrebbero avere un rischio ridotto di sviluppare questi problemi. Ma in cosa consiste?

Cos’è la dieta “Mind”?

Con il termine “Mind” si fa riferimento al “Mediterranean-Dash Intervention for Neurodegenerative Delay”. È un regime alimentare che combina la dieta mediterranea a quella Dash, entrambe note per i loro benefici per la salute cardiovascolare, ma non solo.

La combinazione delle due includerebbe mangiare verdure a foglia verde come spinaci, cavoli e biete. Così come aggiungere un consumo moderato di cereali integrali, olio d’oliva, pollame, legumi, pesce e noci.

E se il pesce è consigliato almeno una volta a settimana, le due diete richiedono un consumo ridotto della carne rossa, dei cibi fritti e dei dolci. In altre parole: preferire cibi ricchi di nutrienti che supportano la salute del cervello è la regola.

Lo studio

Lo studio, condotto dal dottor Russell P. Sawyer dell’Università di Cincinnati, ha coinvolto e monitorato per dieci anni ben 14.145 persone con un’età media di 65 anni. Ai partecipanti è stato chiesto di compilare un questionario sulle loro abitudini alimentari, e i ricercatori hanno valutato quanto la loro dieta si avvicinasse a quella Mind.

Per ciascun aspetto della dieta rispettato, veniva assegnato un punto: tre o più porzioni giornaliere di cereali integrali, sei o più porzioni settimanali di verdure a foglia verde, una porzione giornaliera di altre verdure, due porzioni settimanali di bacche e così via. Il punteggio massimo era di 12 punti, e i partecipanti sono stati divisi in tre gruppi in base ai loro punteggi: basso, medio e alto.

Alla fine dello studio, il 12% delle persone nel gruppo con una dieta meno aderente al modello Mind ha sviluppato declino cognitivo, contro l’11% nel gruppo intermedio e il 10% nel gruppo più aderente alla dieta.

Differenze di genere

Un dato interessante emerso dallo studio è che le donne che seguivano la dieta Mind in modo coerente avevano un rischio di declino cognitivo inferiore del 6%, mentre per gli uomini non è stata osservata la stessa riduzione del rischio.

Limiti dello studio

“Siamo entusiasti di vedere che semplici modifiche alla dieta possano ridurre o ritardare il rischio di problemi cognitivi,” ha affermato il dottor Sawyer. Tuttavia, ha anche evidenziato che i risultati dovrebbero essere interpretati con cautela, in quanto lo studio ha incluso solo persone anziane, e non è detto che i risultati siano applicabili alle altre fasce di età.

Lo studio è stato finanziato dal National Institute of Neurological Disorders and Stroke e dal National Institute on Aging, e apre la strada a ulteriori ricerche, soprattutto per capire meglio le differenze tra uomini e donne.

Questa ricerca, però, si aggiunge a una crescente letteratura scientifica che collega l’alimentazione alla salute cerebrale. Studi precedenti hanno dimostrato che sia la dieta mediterranea che la dieta Dash possono contribuire a ridurre il rischio di Alzheimer e altre forme di demenza.

In un’epoca che guarda sempre più alla longevità come un rischio per i sistemi di welfare statali è importante promuovere modelli alimentari specifici come fattore chiave per la prevenzione del declino cognitivo.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Quando la diagnosi di infertilità diventa un peso

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Dal 2016 ogni anno, il 22 settembre, si celebra la “Giornata nazionale di informazione e formazione sulla fertilità”, un’iniziativa nata con l’obiettivo di sensibilizzare la popolazione italiana su un tema fondamentale ma spesso trascurato: la fertilità. Questa ricorrenza, istituita con una direttiva del presidente del Consiglio dei Ministri, ha il compito di promuovere la salute sessuale e riproduttiva in tutte le fasi della vita, fornendo informazioni utili per preservare la fertilità e promuovere una cultura della prevenzione.

La Giornata si inserisce nel quadro del Piano Nazionale Fertilità, un progetto che coinvolge istituzioni, medici, società scientifiche, farmacie, scuole e famiglie, con l’obiettivo di creare una rete di consapevolezza sulla fertilità umana. L’evento mira a sottolineare l’importanza di proteggere la fertilità non solo come questione individuale o di coppia, ma anche come un valore per l’intera società.

Fertilità: un patrimonio da proteggere

Il concetto di fertilità non riguarda solo la capacità di avere figli, ma si estende alla salute generale del corpo. La Giornata nazionale di informazione sulla fertilità si propone di:

informare i cittadini sull’importanza della fertilità nella loro vita, su come essa si evolve nel tempo e su quali siano i fattori di rischio che potrebbero comprometterla;
promuovere la prevenzione e la diagnosi precoce delle malattie che possono influenzare negativamente l’apparato riproduttivo;
incoraggiare l’educazione sessuale e riproduttiva, sensibilizzando sulle condizioni migliori per favorire il concepimento;
modificare la mentalità attuale, rileggendo la fertilità non solo come un bisogno personale, ma anche come una questione di interesse collettivo.

A questi obiettivi si affianca il messaggio chiave della Giornata: non si deve avere paura di parlare di fertilità, anche quando emergono difficoltà nel concepimento. Troppo spesso, infatti, il tema dell’infertilità è accompagnato da sentimenti di angoscia, fallimento e senso di colpa. È proprio su questo fronte che l’iniziativa cerca di aprire un dibattito più ampio e inclusivo, mettendo in risalto l’importanza del dialogo e dell’assistenza psicologica.

Infertilità: quando la diagnosi diventa un peso emotivo

Secondo la psicologa clinica della riproduzione Vincenza Zimbardi, del Centro PMA (Procreazione Medicalmente Assistita) di IVI Roma, l’infertilità può essere vissuta come un evento traumatico. Durante la Giornata nazionale di informazione sulla fertilità, l’esperta sottolinea come “molti pazienti vivano la diagnosi di infertilità come un lutto, un evento che stravolge la loro vita”. Spesso si tratta di coppie che per anni hanno rimandato l’idea di una gravidanza, e che, proprio quando si sentono pronte per affrontare questa fase, scoprono di avere delle difficoltà.

La reazione iniziale, come spiega la psicologa, è quasi sempre di shock e incredulità. L’infertilità può minare l’autostima, portando le persone a percepire questa condizione come una “mancanza personale” piuttosto che come una patologia. È proprio qui che interviene il supporto psicologico, aiutando i pazienti a comprendere che l’infertilità non è una colpa o una punizione, ma una condizione medica che può essere affrontata con l’aiuto della scienza.

Se l’infertilità è una condizione che riguarda entrambi i sessi in misura simile, la reazione emotiva è spesso molto diversa. Le donne tendono a vivere l’infertilità con maggiore sofferenza, arrivando a sentirsi inadeguate o vergognose. Daniela Galliano, ginecologa e responsabile del Centro PMA di IVI Roma, evidenzia come molte pazienti si sentano giudicate o non comprese durante il loro percorso verso la genitorialità. “Non bisogna vergognarsi di chiedere aiuto alla scienza per risolvere problemi di fertilità”, afferma Galliano, sottolineando come l’infertilità sia una condizione che merita attenzione medica, al pari di altre malattie.

La procreazione medicalmente assistita (PMA) rappresenta una speranza per molte coppie, ma il percorso può essere lungo e impegnativo, sia dal punto di vista fisico che psicologico. Il sostegno psicologico diventa quindi essenziale, soprattutto per gestire le inevitabili tensioni che possono emergere nella coppia. Le emozioni negative come la solitudine, la vergogna, la rabbia e la tristezza possono diventare opprimenti, influenzando la qualità della vita quotidiana e mettendo a dura prova le relazioni personali.

Fertilità e cambiamento culturale

Uno degli obiettivi più ambiziosi della Giornata nazionale di informazione sulla fertilità è quello di cambiare la percezione della fertilità all’interno della società. Troppo spesso, il tema viene affrontato in modo superficiale o, peggio, evitato. La fecondazione assistita è ancora oggetto di pregiudizi e stereotipi, e le coppie che decidono di ricorrere a queste tecniche si sentono spesso isolate.

Per affrontare l’infertilità con serenità, è importante “prendere consapevolezza del problema, affrontarlo apertamente e informarsi adeguatamente”, consiglia Zimbardi. Il dialogo tra partner è cruciale, così come il confronto con medici specializzati e il supporto di figure psicologiche qualificate. La condivisione delle esperienze con altre coppie che hanno vissuto situazioni simili può inoltre facilitare l’accettazione della propria condizione e rendere meno pesante il percorso di cura.

La Giornata nazionale di informazione sulla fertilità serve proprio a questo: a far conoscere i percorsi possibili, a rompere il silenzio sull’infertilità e a promuovere una nuova cultura della riproduzione. La fertilità non è solo una questione individuale, ma un patrimonio collettivo che merita di essere protetto e valorizzato.

Consigli per proteggere la fertilità

La salute riproduttiva è fondamentale per la realizzazione di un desiderio di genitorialità, e ci sono molteplici fattori che possono influenzare la fertilità sia degli uomini che delle donne. L’Istituto Superiore di Sanità ha stilato una serie di consigli pratici per proteggere e preservare la fertilità. Uno dei primi consigli è di smettere di fumare. Il fumo ha effetti devastanti sulla qualità degli spermatozoi negli uomini, riducendo sia la loro quantità che la vitalità. Studi hanno dimostrato che i fumatori forti possono sperimentare una diminuzione della produzione di spermatozoi fino al 22%, aumentando anche il rischio di anomalie genetiche. Nelle donne, il fumo riduce l’indice di fecondabilità e può portare a complicazioni come aborti spontanei e gravidanze extrauterine. Smettere di fumare non solo migliora la salute generale, ma rappresenta anche un passo cruciale per chi cerca di concepire.

Un altro fattore da considerare è l’attenzione alle infezioni. Sia gli uomini che le donne possono essere colpiti da infezioni dell’apparato genitale, come la Chlamydia e la gonorrea, che possono compromettere gravemente la fertilità. Negli uomini, le infezioni possono causare ostruzioni nei dotti deferenti e ridurre la produzione di sperma. Nelle donne, queste infezioni possono portare a infiammazioni che compromettono la salute riproduttiva. È fondamentale consultare un medico o un ginecologo al primo sospetto di infezione per evitare complicazioni a lungo termine.

Inoltre, il consumo di alcol deve essere limitato. Anche piccole quantità possono influenzare negativamente la qualità degli spermatozoi e la libido. Gli alcolisti non cirrotici presentano spesso anomalie nella morfologia e nella motilità degli spermatozoi, rendendo più difficile il concepimento. Anche nelle donne, l’assunzione di alcol può avere effetti deleteri sulla fertilità, rendendo cruciale la moderazione.

Il peso corporeo gioca un ruolo altrettanto importante nella salute riproduttiva. Non ingrassare né dimagrire eccessivamente è fondamentale. L’obesità può alterare l’equilibrio ormonale e causare irregolarità mestruali nelle donne, mentre un eccessivo dimagrimento può portare ad amenorrea e assenza di ovulazione. Mantenere un peso sano è essenziale e può contribuire a riattivare la fertilità.

Infine, è importante considerare il tempo. Per le donne, non aspettare troppo a lungo per cercare una gravidanza è un aspetto cruciale. La fertilità femminile inizia a diminuire significativamente dopo i 35 anni, e il rischio di anomalie cromosomiche e complicanze ostetriche aumenta con l’età. Pertanto, è consigliabile considerare la maternità in un periodo di vita in cui la fertilità è ancora ottimale.

In caso di trattamenti oncologici, sia uomini che donne dovrebbero considerare la preservazione della fertilità. Tecniche come il congelamento di ovociti o spermatozoi possono essere cruciali per mantenere le possibilità di concepimento in futuro.

Prendersi cura della propria salute riproduttiva è una responsabilità che riguarda entrambi i partner. Adottare uno stile di vita sano, evitare comportamenti a rischio e consultare professionisti della salute può fare la differenza nel raggiungimento di un desiderio di genitorialità.

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Sfida demografica in Europa, previsto calo della...

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L’Europa si trova di fronte a una sfida demografica senza precedenti. Secondo un recente report di Bruegel, un think tank economico, la popolazione dell’Unione europea è destinata a diminuire drasticamente nei prossimi decenni.

Senza un significativo afflusso di immigrati, si prevede che la popolazione dell’Ue scenderà da 451 milioni nel 2022 a 406 milioni nel 2050. Questo calo del 10% è accompagnato da una riduzione ancora più marcata della popolazione in età lavorativa.

Un futuro con una forza lavoro ridotta

Le previsioni indicano che la popolazione in età lavorativa (20-64 anni) nell’Unione europea diminuirà significativamente, passando da 264 milioni nel 2022 a 207 milioni entro il 2050, con un calo pari al 21%. Parallelamente, la popolazione anziana (65 anni e oltre) registrerà un incremento di circa 32 milioni di individui, mentre il numero di giovani al di sotto dei 20 anni scenderà di 21 milioni.

Questi cambiamenti demografici comporteranno un aggravamento del rapporto di dipendenza degli anziani, aumentando la pressione sui sistemi di welfare e sui bilanci pubblici dei Paesi europei, che dovranno affrontare crescenti spese per pensioni, sanità e assistenza a lungo termine.

L’immigrazione uguale soluzione?

Secondo il report di Bruegel, l’immigrazione proveniente da Paesi non appartenenti all’Ue potrebbe contribuire a ridurre l’impatto di questi sviluppi demografici sfavorevoli. Si stima che, entro il 2050, l’immigrazione extra-Ue potrebbe portare a un aumento di 41 milioni di persone, attenuando così in parte la contrazione della forza lavoro.

Tuttavia, le previsioni riguardanti i flussi migratori sono meno certe rispetto a quelle sui cambiamenti naturali della popolazione, rendendo questa soluzione solo parzialmente affidabile e insufficiente a compensare del tutto il calo della popolazione in età lavorativa.

Il caso dell’Italia

L’Italia è uno dei Paesi più colpiti dalla crisi demografica. Si prevede una diminuzione della
popolazione tra il 15% e il 18% entro il 2050. Il report sottolinea che l’Italia vedrà un aumento significativo dei costi legati all’invecchiamento della popolazione.

Per mantenere la sostenibilità fiscale, l’Italia dovrà aumentare il suo saldo primario strutturale di circa 4 punti percentuali del PIL entro il 2031. Questo significa che il Paese dovrà fare significativi aggiustamenti fiscali per compensare l’aumento dei costi legati all’invecchiamento.

Senza interventi adeguati, l’Italia potrebbe essere costretta ad aumentare ulteriormente la tassazione o a ridurre la spesa pubblica in settori non legati all’invecchiamento, generando difficili scelte di bilancio.

Politiche per affrontare la crisi demografica

Per affrontare queste sfide, il report propone diverse soluzioni:

Aumento della partecipazione alla forza lavoro: Incentivare la partecipazione al lavoro di donne, anziani, giovani e persone svantaggiate. Migliorare l’accesso ai servizi di assistenza all’infanzia e a lungo termine, aumentare i livelli di competenza e rimuovere gli incentivi negativi al lavoro sono alcune delle misure suggerite.
2. Riforma dei sistemi pensionistici e sanitari: Collegare l’età pensionabile alla speranza di vita, armonizzare l’età pensionabile tra uomini e donne e migliorare l’adeguatezza delle pensioni minime sono passi cruciali per rendere i sistemi pensionistici più sostenibili.
3. Incremento della produttività: Investire in ricerca e innovazione, promuovere la digitalizzazione e migliorare l’ambiente imprenditoriale possono aiutare a stimolare la crescita economica e compensare il calo della popolazione in età lavorativa.
4. Politiche per aumentare la fertilità: Offrire politiche a favore della famiglia, come l’assistenza all’infanzia pubblica e i congedi parentali, può avere effetti duraturi sulla fertilità e sulla partecipazione al lavoro. Inoltre, sovvenzionare i trattamenti di riproduzione assistita e rendere l’assistenza sanitaria più accessibile possono contribuire ad aumentare i tassi di natalità.

La crisi demografica rappresenta una delle sfide più grandi per l’Europa, e Paesi come l’Italia si trovano in prima linea. L’invecchiamento della popolazione e la riduzione della forza lavoro minacciano la sostenibilità economica e sociale, imponendo la necessità di interventi urgenti.

Affrontare questa crisi richiede un approccio multidimensionale: incentivare la partecipazione alla forza lavoro, implementare riforme strutturali nei sistemi pensionistici e sanitari, promuovere l’innovazione e sostenere politiche che favoriscano la natalità e l’immigrazione. Tuttavia, il successo di queste politiche dipenderà dalla volontà politica e dalla capacità di collaborazione tra tutti gli attori coinvolti, dai governi nazionali alle istituzioni europee.

Sebbene le proiezioni evidenzino scenari difficili, è possibile invertire la rotta. Con strategie mirate e un impegno coordinato, l’Europa può riuscire a trasformare la sfida demografica in un’opportunità per costruire un futuro più resiliente, inclusivo e sostenibile. Il tempo per agire è ora, e ogni decisione che sarà presa nei prossimi anni giocherà un ruolo cruciale nel definire il destino delle generazioni future.

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Alcuni comuni veneti hanno più richieste di cittadinanza...

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C’è qualcosa che non funziona nel diritto di cittadinanza italiano, almeno seguendo il buon senso. Ragazze e ragazzi nati in Italia non possono fare richiesta di cittadinanza, mentre altri, che magari non hanno mai visto il Belpaese, possono.

Da una parte, persone nate in Italia da genitori stranieri, che pur frequentando scuole italiane e vivendo nel Paese sin dal primo giorno, devono attendere anni prima di poter avanzare la richiesta di cittadinanza. Dall’altra, ci sono oriundi italiani, persone nate all’estero, che possono ottenere la cittadinanza italiana anche senza aver mai vissuto in Italia, perché il meccanismo di attribuzione si basa sullo ius sanguinis.

Caos cittadinanza, il caso del Veneto

Questa disparità è particolarmente evidente nel Veneto, dove 92 mila bambini e ragazzi, figli di genitori stranieri, vivono e studiano senza avere la cittadinanza, mentre 300 mila oriundi nati all’estero, con un trisavolo veneto, riescono a ottenerla. Si tratta di un fenomeno che pone serie domande sul senso di appartenenza e cittadinanza nel nostro Paese, ma anche sui criteri con cui vengono stabiliti i diritti civili.

Il Veneto è una delle regioni italiane più colpite da questa dinamica, a causa del suo passato di forte emigrazione verso le Americhe tra Ottocento e Novecento. Molti discendenti di emigranti veneti, principalmente in Brasile e Argentina, richiedono la cittadinanza italiana grazie alla legge sullo ius sanguinis. Salvatore Laganà, presidente del Tribunale di Venezia, ha confermato che il 43% delle richieste per discendenza in tutta Italia proviene proprio dal Veneto. Dal trasferimento della competenza nel 2022, il Tribunale ha gestito oltre 23 mila pratiche, con ancora 18 mila richieste pendenti.

La regione oggi si trova a gestire migliaia di richieste di cittadinanza, un compito che grava pesantemente sui piccoli Comuni. Il paradosso demografico è evidente: in un territorio in cui nascono sempre meno bambini – circa 30 mila all’anno – il numero di nuovi cittadini per discendenza supera di gran lunga quello delle nuove nascite.

Questo scenario sottolinea quanto sia urgente una riforma del sistema di cittadinanza in Italia, che tenga conto non solo dei legami di sangue, ma anche del radicamento effettivo e dell’integrazione nella società italiana.

Un fattore che aggrava la situazione è che una singola pratica può riguardare interi nuclei familiari, portando il numero di persone coinvolte a moltiplicarsi. Questo ha intasato le anagrafi dei piccoli Comuni veneti, come Val di Zoldo, dove le richieste di cittadinanza superano di gran lunga il numero di nascite locali: nel 2024, il Comune ha registrato 54 nuove cittadinanze, contro soli 11 nuovi nati.

La critica ai benefici per gli oriundi

Il sindaco di Val di Zoldo, Camillo De Pellegrin, ha espresso preoccupazione riguardo al fatto che questi nuovi cittadini, pur ottenendo il passaporto italiano, raramente vivono in Italia o contribuiscono alla comunità locale. In molti casi, la cittadinanza italiana rappresenta uno strumento per ottenere benefici, come la possibilità di viaggiare e lavorare in Europa, senza che ci sia un reale interesse a vivere nel Paese. De Pellegrin ha sottolineato come questo fenomeno sovraccarichi gli uffici comunali, distogliendo risorse dalle necessità locali, come la gestione dell’immigrazione e del mercato del lavoro.

Rivedere la cittadinanza

Proprio nelle scorse settimane, la maggioranza di governo si è spaccata sul diritto di cittadinanza e sui modelli Ius soli, Ius scholae e Ius culturae, che si pongono come alternative al vigente sistema basato sul principio dello Ius sanguinis.

L’attuale legislazione sulla cittadinanza italiana pone l’accento sui legami di sangue piuttosto che sui legami reali con il Paese. Il diritto italiano consente ai discendenti di italiani all’estero di richiedere la cittadinanza attraverso lo ius sanguinis, anche se vivono a migliaia di chilometri di distanza e non hanno alcun legame tangibile con l’Italia. Brasile e Argentina sono tra i Paesi con il maggior numero di discendenti di italiani, e molti di loro sfruttano questa possibilità. Secondo Laganà, il numero di richieste è in costante aumento, complicando ulteriormente il lavoro delle autorità locali.

Una situazione inconcepibile per il vicepremier e leader di Forza Italia, Antonio Tajani che in un’intervista al Corriere della Sera ha chiosato: “Svegliamoci, il mondo è cambiato. Il Paese è maturo per lo Ius scholae”. Di tutt’altro avviso l’altro vicepremier e leader della Lega, Matteo Salvini, che ha scritto in un post: “”La legge sulla cittadinanza va benissimo così, e i numeri di concessioni (Italia prima in Europa con oltre 230mila cittadinanze rilasciate, davanti a Spagna e Germania) lo dimostrano. Non c’è nessun bisogno di ius soli o scorciatoie”.

Intanto, l’Istat certifica che l’80,3% dei giovani stranieri residenti in Italia si sente italiano, nonostante non sia riconosciuto come cittadino.

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