Credo ortodosso lo conferma come 'madman'
La Russia ha storicamente considerato i suoi armamenti nucleari come "grossi proiettili di artiglieria", ricorda Dmitry Adamsky, analista militare alla Reichman University di Tel Aviv, e alla Vytautas Magnus di Kaunas, in Lituania, nel saggio "The Russian Way of Deterrence" pubblicato di recente per la Standford University Press. Il concetto di deterrenza è entrato nel vocabolario strategico di Mosca solo verso la fine della guerra fredda, con 50 anni di ritardo sul pensiero occidentale, ed è stato poi declinato in una modalità unica, arricchita da elementi della religione ortodossa, modalità che aiuta a spiegare le parole pronunciate dal Presidente russo.
Vladimir Putin coltiva da tempo una immagine ispirata da Dio, anche per presentarsi come incarnazione perfetta del 'madman', un madman con il kalimavkion (il tradizionale berretto dei monaci ortodossi), vale a dire la personalità irrazionale, i cui comportamenti non sono prevedibili, su cui non è possibile fare i conti in un regime di deterrenza di concezione americana (Mad, acronimo Mutual Assured Destruction alla base della teoria formulata negli Stati Uniti per cui se una parte attacca per prima l'altra, quest'ultima ha la possibilità di contro attaccare prima di essere distrutta, rendendo appunto folle, quindi impossibile, un primo colpo). Il suo abbraccio pubblico all'ortodossia sostiene la deterrenza strategica russa.
Se è vero che gli Stati Uniti devono "modellare su misura" su ogni Paese avversario le loro strategie di deterrenza, se è vero quindi che il modo migliore per esercitare deterrenza sulla Cina perché non invada Taiwan è diverso da quello da usare con la Russia perché non invada l'Estonia, e che minacce che possono funzionare con un Paese, rischiano di provocarne un altro, allo stesso tempo è necessario anche comprendere quale è la cultura della deterrenza propria di ognuno di questi Paesi, per evitare di "riflettere l'immagine", quindi "male interpretare i segnali che gli avversari lanciano", ha scritto Foreign Policy presentando il libro di Adamsky. I Paesi sono diversi con valori, obiettivi e tolleranza al rischio diverso.
Una delle parti coinvolte nel conflitto può ritenere, per esempio, che mettere le sue armi nucleari in stato di allerta sia un segnale di deterrenza per de-escalare, ma l'avversario potrebbe non capire il segnale se è troppo sottile, o peggio, rischia di male interpretare tale passo come un imminente attacco nucleare e primo colpo. Nel caso dell'Urss, gli Stati Uniti hanno sbagliato nel ritenere che il Paese condividesse lo stesso loro concetto di deterrenza. I piani di guerra di Mosca prevedevano infatti attacchi nucleari su larga scala in Europa anche nella prima fase di uno scontro, nel quadro di un piano per vincere una guerra nucleare.
La teoria della deterrenza è approdata in Russia solo verso la fine della guerra fredda. Quando si è posto il nuovo problema: come compensare la superiorità militare convenzionale dell'Occidente. La risposta è stato un concetto che si è poi, una volta crollata l'Urss, sviluppato in modo unico "più olistico e trasversale ai vari domini, integrando tutti gli elementi del potere nazionale, incluse le operazioni di informazione, il potere militare convenzionale, le armi nucleari". E anche con elementi della religione ortodossa.
La religiosità esibita da Putin - l'immagine più iconica è quella del suo viso illuminato da una candela in celebrazioni private delle ricorrenze religiose - serve per rafforzare la deterrenza strategica. Se Putin si presenta come leader messianico, in una missione ispirata da Dio, allora sfugge alla deterrenza così come era stata concepita negli Usa, proponendosi come 'madman' col 'kalimavkion', quindi.
Se l'Occidente distingue fra deterrenza (minacce alla difesa che hanno come obiettivo quello di mantenere lo status quo) e costrizione (minacce offensive che hanno come obiettivo quello di costringere un avversario a fare quello che si vuole), la Russia invece non fa differenza fra queste due posture. Il termine usato è spesso lo stesso per entrambe le possibilità: 'sderzhivanie'.
Per gli strateghi russi anche la differenza fra tempo di pace e tempo di guerra è più sfumata. L'engagement permanente dell'avversario, in particolare con operazioni di informazione, rientra fra gli elementi necessari nella definizione delle operazioni che contribuiscono a una deterrenza strategica in senso ampio. Come in Occidente, i russi ritengono che deterrenza sia influenzare i calcoli dell'avversario. Ma Mosca pone maggiore importanza alla disinformazione per ingannare un avversario e portarlo a una percezione falsa della realtà.
La Russia eccelle nell'analisi accurata delle vulnerabilità della controparte e nel successivo sviluppo di una strategia per sfruttarne le debolezze. La teoria della deterrenza sviluppata da Mosca è più elegante di quella occidentale. Ma è spesso inefficace nella traduzione dalla teoria alla pratica. "La frequente caduta fra una teoria elegante e la sua esecuzione negligente è un elemento della radicata tradizione gestionale russa".
Alla Russia mancano poi strumenti efficaci per analizzare il successo della sua strategia di deterrenza, quindi spesso il Paese si spinge troppo avanti. Azioni formulate per segnalare misure di deterrenza per costringere l'Occidente a fare un passo indietro rischiando di essere male interpretate dall'Occidente come azioni di aggressione che spesso provocano l'avversario e lo portano a rafforzarsi ulteriormente contro la Russia.
Adamsky sostiene che l'offerta di pace di Putin, in cui il Presidente russo chiede all'Occidente di rinunciare al suo bottino nella vittoria nella guerra fredda e di concedere a Mosca una sfera di influenza in Europa dell'Est, è stata sincera fino alla vigilia della guerra in Ucraina. Non si trattava di un pretesto per invadere. Putin, secondo Adamsky, riteneva davvero che l'Occidente avrebbe accettato di rinegoziare l'architettura di sicurezza dell'Europa a vantaggio di Mosca. Una volta che si è reso conto che non avrebbe funzionato, ha dato il via all'invasione dell'Ucraina, per il Cremlino "solo il passo successivo nell'elaborato manuale putiniano per costringere l'Occidente a rivedere l'architerruta di sicurezza", non la prova che le sue minacce non avevano funzionato. Perché per Mosca "le operazioni di deterrenza arrivano a includere l'uso della forza militare, fino a e incluso attacchi nucleari, e se la campagna coercitiva di Putin alla fine avrà successo o fallirà non sarà determinato sul campo di battaglia dell'Ucraina".
Minacciando l'uso del nucleare, come è tornato a fare ieri Putin e hanno fatto nei mesi passati diversi altri esponenti della leadership russa, e altri strumenti coercitivi, il Cremlino è fino a ora riuscito a impedire un coinvolgimento diretto dell'Occidente nella difesa di Kiev. Ma Mosca non è ancora riuscita nel suo intento più ampio, il suo obiettivo principale, che è quello di costringere l'Ucraina ad arrendersi.
Esteri
Uragano Helene verso Florida, allerta per “tempesta...
L'uragano diventa di categoria 3: allarme per onde di 6 metri e venti a 180 km orari
L'uragano Helene si rafforza, diventa di categoria 3 mentre punta verso la Florida e si appresta a raggiungere le coste dello stato, dove scaricherà la sua potenza. Il National Hurricane Center ha lanciato l'allerta per onde potenzialmente "catastrofiche e mortali" che potrebbero raggiungere i 6 metri. Gli effetti di Helene non si fermeranno alle zone costiere. Sono previsti venti fino a 180-200 km orari che arriveranno nell'entroterra. La violenta ondata di pioggia coinvolgerà anche zone della Georgia, del Nord e del Sud Carolina.
Secondo quanto riferiscono dalla Casa Bianca, "l'intera amministrazione Biden-Harris è pronta a dare ulteriore assistenza alla Florida e gli altri stati che si trovano sul cammino dell'uragano, se necessario".
"Il presidente e la vice presidente continuano a chiedere i residenti, specialmente quelli nelle zone con ordine di evacuazione, di ascoltare le autorità locali", si aggiunge dalla Casa Bianca. Diverse contee della Florida hanno emesso ordini di evacuazione, in particolare quattro, per un totale di 70mila abitanti, hanno ordinato a tutti di partire, parlando del rischio di un evento "catastrofico".
"Non sarò un evento a cui sarà possibile sopravvivere nelle zone costiere, una tempesta di questa magnitudine non ha mai colpito Wakulla secondo le cronache registrate", ha scritto su Facebook Jared Miller, lo sceriffo di una di queste contee, la contea di Wakulla, che si affacciano sul Golfo del Messico. Secondo le previsioni dopo essersi abbattuto sulla Florida, l'uragano continuerà il suo cammino verso nord ovest e si teme che possa rafforzarsi ulteriormente.
Esteri
Attacco russo con missili ipersonici – Ascolta
Esteri
Abbas all’Onu: “Stop genocidio, basta inviare...
Appello del presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese: "Questa follia non può continuare. Il mondo intero è responsabile di ciò che sta accadendo alla nostra gente a Gaza e in Cisgiordania"
''Smettete di uccidere bambini e donne. Fermate il genocidio. Smettete di inviare armi a Israele''. Questo l'appello che il presidente dell'Autorità Nazionale Palestinese (Anp) Mahmoud Abbas ha rivolto all'Assemblea Generale delle Nazioni Unite. ''Questa follia non può continuare. Il mondo intero è responsabile di ciò che sta accadendo alla nostra gente a Gaza e in Cisgiordania'', ha detto, aggiungendo che il popolo palestinese è stato sottoposto a ''uno dei crimini più atroci della nostra era'' per quasi un anno ormai. Si tratta, ha proseguito, di un ''crimine di una guerra e di un genocidio su vasta scala'' che Israele sta perpetuando.
"Non ce ne andremo. Non ce ne andremo. Non ce ne andremo", ha scandito Abbas per tre volte, affermando così che i palestinesi non lasceranno la loro terra nonostante le operazioni israeliane.
Tra gli applausi dell'aula, il presidente dell'Anp ha aggiunto che ''la Palestina è la nostra patria. E' la terra dei nostri padri, dei nostri nonni. Resterà nostra. E se qualcuno dovesse andarsene, sarebbe un occupante usurpatore''.
Nel suo discorso Abbas ha detto che ''il governo israeliano ha approfittato'' del massacro compiuto da Hamas il 7 ottobre ''per lanciare una guerra totale di genocidio contro Gaza'', ed ha sottolineato la necessità di porre fine immediatamente alla guerra. Quindi ha condannato l'uccisione di civili da entrambe le parti dopo il 7 ottobre.
''Israele deve fermare la guerra in Libano e Palestina. Condanniamo questa aggressione e pretendiamo che cessi immediatamente'', ha scandito ancora, sottolineando che ''Israele non merita di far parte dell'Onu'' perché si ''rifiuta di implementare le risoluzioni delle Nazioni Unite''.
''Ci spiace che gli Stati Uniti abbiano per tre volte votato contro le bozze di risoluzioni del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite che chiedevano un cessate il fuoco'' nella Striscia di Gaza e ''spiace che gli Stati Uniti forniscano a Israele armi mortali'', ha aggiunto, invitando la comunità internazionale a imporre sanzioni nei confronti di Israele.
Abbas ha invece espresso ''riconoscimento'' e ''gratitudine'' nei confronti del popolo americano che marcia per le strade e manifesta il proprio sostegno alla causa palestinese.
Il piano di Abbas per il dopoguerra
Un cessate il fuoco ''completo e permanente'' nella Striscia di Gaza, che porti con sé ''la fine delle aggressioni militari'' in Cisgiordania e a Gerusalemme Est. Quindi l'invio di aiuti umanitari nell'enclave palestinese, che devono essere consegnati con urgenza ''perché a Gaza non c'è più nulla''. Quindi il ''pieno ritiro israeliano dalla Striscia di Gaza'', senza la creazione di zone cuscinetto o l'occupazione di qualsiasi parte di Gaza. Questi i primi tre punti del piano che il presidente dell'Anp ha elaborato per il dopoguerra a Gaza e che ha illustrato all'Assemblea generale delle Nazioni Unite.
''Non permetteremo lo sfollamento di alcun palestinese, né l'espulsione dalle loro terre'', ha detto Abbas chiedendo, al quarto punto, ''la protezione dell'Unrwa e delle organizzazioni umanitarie'' che operano a sostegno dei palestinesi. Il presidente dell'Anp ha poi chiesto la protezione internazionale per i palestinesi nelle loro terre. "Non stiamo combattendo Israele. Non possiamo combattere Israele e non vogliamo combattere, ma vogliamo protezione", ha affermato.
Come sesto punto, Abbas ha chiesto che lo Stato di Palestina si assuma le proprie responsabilità a Gaza e imponga su di essa il suo pieno mandato e la sua giurisdizione.