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La famiglia è ancora il cuore della società? Un’analisi con Milena Santerini

Nel cuore di una società in costante cambiamento, la famiglia rimane il perno su cui si fonda ogni relazione sociale. È un tema che merita attenzione, specialmente in un contesto in cui i modelli familiari si diversificano e si complicano, rispecchiando le sfide e le opportunità del nostro tempo. Milena Santerini, politica di spicco e pedagogista di grande esperienza, offre uno sguardo illuminante su questa realtà.

Le evoluzioni della famiglia

Milena Santerini riflette su come i modelli familiari si siano sempre evoluti nel tempo, ma osserva che negli ultimi decenni questa trasformazione ha subito una forte accelerazione, soprattutto nei Paesi occidentali. “I fattori che incidono su questi cambiamenti sono molteplici”, spiega Santerini, “dalla crescente partecipazione della donna al mondo del lavoro, fino all’evoluzione del ruolo paterno. Anche la configurazione delle nostre società industrializzate, dal punto di vista urbanistico, e le nuove tecnologie hanno avuto un impatto significativo”.

La professoressa sottolinea come la famiglia si sia progressivamente ridotta, diventando sempre più nucleare, ossia passando dalla famiglia estesa o allargata (in cui più generazioni vivevano insieme o in stretta prossimità) verso un modello più isolato e limitato al nucleo centrale di genitori e figli. In Italia, il calo demografico è particolarmente marcato, tanto che “siamo tra i primi Paesi per diminuzione delle nascite,” nota Santerini, evidenziando come al contempo l’età media della popolazione continui ad aumentare. “Abbiamo una piramide demografica completamente diversa rispetto al passato, con una popolazione sempre più anziana e un numero ridotto di giovani”.

Accanto alla famiglia tradizionale, composta da madre, padre e uno o due figli, Santerini riconosce l’emergere di nuovi modelli: “Abbiamo famiglie monoparentali, famiglie arcobaleno, e famiglie allargate che si ricompongono dopo separazioni o divorzi”. Questi modelli, secondo lei, non sono del tutto nuovi: “Se guardiamo indietro nella storia, vediamo che tutti questi tipi di famiglia sono sempre esistiti in forme diverse”.

Santerini identifica un aspetto centrale dei cambiamenti odierni: “Viviamo in una società sempre più individualista”, spiega. Da un lato, questo può avere effetti positivi, come il rispetto della dignità umana e dell’autonomia personale. Tuttavia, aggiunge, “questo individualismo porta anche a una maggiore solitudine”. Per questo motivo, sottolinea l’importanza di tutto ciò che promuove relazioni e solidarietà: “Tutto ciò che crea relazione e solidarietà è fondamentale, soprattutto oggi, in un momento storico in cui la dimensione collettiva è trascurata o relegata alla comunicazione sui social, per questo i modelli familiari, che incarnano valori come la reciprocità e l’aiuto, sono cruciali per sostenere la società”.

Affrontare le fragilità delle famiglie

Nel panorama contemporaneo, le famiglie italiane si trovano a fronteggiare una serie di sfide che, sebbene variegate, sembrano tessere un comune denominatore di fragilità e vulnerabilità. Milena Santerini, con la sua acuta osservazione del contesto sociale, mette in luce alcuni di questi nodi critici, avvalendosi di un linguaggio che riesce a mescolare serietà e vivacità.

In primo luogo, il fenomeno dell’isolamento sociale è diventato un tema caldo, soprattutto nelle metropoli italiane. “Nelle grandi città” commenta Santerini “assistiamo a una crescita esponenziale di persone che vivono sole”. Questo non è solo un dato statistico, ma una realtà palpabile che riflette la frammentazione delle comunità e delle reti di supporto. Le famiglie, in questo contesto, emergono come un faro di speranza, un baluardo contro la solitudine. “La famiglia rimane una risposta fondamentale alla sfida dell’isolamento sociale” sottolinea. È evidente che la connessione familiare non è solo una questione di legami di sangue, ma diventa una necessità vitale per il benessere collettivo.

Tuttavia, il quadro non si ferma qui. Santerini porta alla luce un altro tema cruciale: la conciliazione tra lavoro e vita familiare, una questione che tocca da vicino le donne, tradizionalmente le più colpite da questa disarmonia. “Il lavoro delle donne è una conquista irrinunciabile” afferma con vigore, ma aggiunge che spesso ciò si traduce in una scelta dolorosa tra carriera e figli. Questa realtà mette in discussione l’equilibrio che molte famiglie cercano di mantenere, evidenziando come le istituzioni politiche debbano intervenire con misure concrete e lungimiranti. “È necessario”, insiste Santerini, “creare una cultura di supporto alle famiglie” piuttosto che limitarsi a rispondere solo in caso di crisi.

Investire in servizi di assistenza e supporto alla genitorialità diventa così un imperativo. “Ogni famiglia deve avere accesso a risorse adeguate” afferma, poiché affrontare le sfide quotidiane non dovrebbe essere un’impresa isolata. La costruzione di reti di sostegno, che includano servizi per l’infanzia e supporto psicologico, può rivelarsi la chiave per permettere a ogni membro della famiglia di prosperare.

Un altro aspetto di grande rilevanza è l’educazione dei giovani, che vivono un periodo di grande incertezza riguardo al futuro. “Molti giovani oggi affrontano sfide considerevoli” osserva Santerini, e ciò non solo influisce sulla loro vita individuale, ma ha ripercussioni dirette sulle dinamiche familiari. La fragilità dei legami generazionali può portare a tensioni e incomprensioni che richiedono un’attenzione particolare.

Le relazioni familiari al centro del dibattito pubblico

Milena Santerini, con una forte convinzione, mette in evidenza come le relazioni familiari siano sempre più al centro del dibattito pubblico. “In un’epoca in cui l’individualismo sembra prevalere, è cruciale tornare a valorizzare la dimensione collettiva, con un’attenzione particolare per le persone vulnerabili e le situazioni di fragilità, creando un ponte tra le famiglie e le istituzioni e promuovendo politiche più inclusive e sensibili alle esigenze reali delle persone” afferma. Questa necessità di riconnettere le famiglie con le istituzioni si traduce in un appello a sviluppare interventi socio-educativi mirati. “Per questo servono interventi socio-educativi e pratiche competenze nella gestione delle dinamiche familiari attraverso metodologie innovative” prosegue Santerini, sottolineando l’importanza di formare professionisti capaci di affrontare le fragilità e le vulnerabilità delle famiglie contemporanee.

Docente del Master in Esperti delle Relazioni Familiari, organizzato dall’Università degli Studi Roma Tre in collaborazione con l’Istituto Giovanni Paolo II, al via il prossimo ottobre, Santerini si impegna a formare professionisti capaci di affrontare le fragilità e le vulnerabilità delle famiglie contemporanee. Ma quali sono le competenze richieste per navigare in questo panorama complesso? Il Master propone un’educazione che combina teoria e pratica, enfatizzando l’importanza di un approccio riflessivo e operativo. Attraverso il suo impegno nel Master, Santerini non solo forma esperti, ma cerca anche di sensibilizzare l’opinione pubblica su quanto sia fondamentale investire nelle relazioni familiari, contribuendo così al rafforzamento del tessuto sociale.

Il Master si propone di affrontare tematiche cruciali come l’isolamento sociale, la conciliazione tra vita lavorativa e familiare, e il supporto a persone vulnerabili, riflettendo così la varietà e la complessità delle esperienze familiari. “In un contesto in cui assistiamo a un crescente numero di famiglie monoparentali e a una maggiore diversificazione dei nuclei familiari, è essenziale che i professionisti del settore siano formati per rispondere a queste nuove esigenze” ha sottolineato Santerini. Il Master, frutto di una sinergia tra l’Università pubblica Roma Tre e un istituto vaticano, che si occupa specificamente delle scienze della famiglia, si propone di formare professionisti in grado di accompagnare le famiglie in tutte le loro complessità. Con un focus sull’educazione interculturale e sulle relazioni familiari, il programma affronta tematiche fondamentali, quali l’isolamento sociale, la conciliazione tra lavoro e vita familiare, e l’educazione dei giovani in un contesto di crescente fragilità. “L’approccio educativo deve essere flessibile e dinamico,” afferma Santerini, “per rispondere adeguatamente alle sfide contemporanee”.

In un’epoca in cui il calo demografico rappresenta una sfida considerevole per il nostro Paese, la professoressa ha messo in luce l’importanza di politiche di accoglienza e sostegno all’adozione e all’affidamento. “Non possiamo trascurare il potenziale che queste pratiche hanno nel contrastare la diminuzione delle nascite,” ha spiegato, “e il nostro Master è un passo verso la creazione di professionisti in grado di promuovere una cultura dell’accoglienza e del supporto reciproco”.

Il dialogo con Santerini ha rivelato la sua visione lungimirante riguardo al futuro delle relazioni familiari in Italia. “Abbiamo bisogno di un approccio che integri il sapere pedagogico con una reale comprensione delle dinamiche sociali,” ha affermato, enfatizzando l’importanza di una formazione pratica che consenta agli studenti di lavorare a stretto contatto con le famiglie e le comunità.

L’accoglienza familiare contro il calo demografico in Italia

Il tema dell’accoglienza, in particolare attraverso l’affidamento e l’adozione, rappresenta un aspetto centrale nel dibattito sulle sfide demografiche che l’Italia si trova ad affrontare. In un paese in cui le nascite sono in costante diminuzione, la professoressa Milena Santerini offre un’analisi approfondita su come il sostegno a queste pratiche possa contribuire a contrastare un trend allarmante.

Inizialmente, la professoressa Santerini riconosce la complessità della situazione attuale. “Negli ultimi tempi,” osserva, “abbiamo assistito a un crescente ricorso alle tecniche di procreazione assistita, che molte famiglie preferiscono”. Tuttavia, per Santerini, esiste un’opzione spesso trascurata ma potenzialmente efficace: “C’è una misura potente che potrebbe rispondere a questa situazione ed è proprio l’accoglienza familiare, sia attraverso l’affidamento che l’adozione. Purtroppo, entrambe le pratiche sono in netto calo.”

Analizzando le ragioni di questa diminuzione, Santerini individua fattori pratici e culturali. “Dal punto di vista pratico” spiega, “l’affidamento richiede un impegno enorme. Stiamo parlando spesso di bambini o adolescenti provenienti da famiglie problematiche, quindi, l’affido coinvolge non solo il minore, ma anche la sua famiglia d’origine”. La professoressa chiarisce che le famiglie accoglienti devono essere preparate ad affrontare una sfida complessa e lunga, il che scoraggia molte coppie.

Anche l’adozione, continua Santerini, presenta difficoltà significative. “Ci sono più coppie che desiderano adottare rispetto ai bambini disponibili, e l’adozione nazionale è spesso un percorso lungo” afferma. “Per quanto riguarda quella internazionale, la situazione è cambiata profondamente negli ultimi anni. I paesi che permettono le adozioni sono diminuiti, e i percorsi sono diventati più complessi”. Questi fattori contribuiscono a creare un panorama in cui l’accoglienza familiare rischia di essere marginalizzata.

Tuttavia, il vero problema, secondo Santerini, è di natura culturale. “Viviamo in una società in cui c’è una crescente paura del rischio. Le famiglie sono sempre più invecchiate e spesso temono le incertezze legate all’accoglienza di un bambino con un passato difficile” afferma. Questo timore spinge molte famiglie a cercare alternative, come le tecniche di procreazione assistita, o addirittura a rinunciare all’idea di avere figli.

In questo contesto, Santerini sottolinea l’importanza di promuovere una maggiore fiducia nelle capacità delle famiglie di accogliere e sostenere i minori. “Uno degli obiettivi del nostro Master,” conclude, “è proprio quello di formare operatori capaci di sostenere le famiglie accoglienti e promuovere una maggiore fiducia in queste pratiche. Crediamo che il rafforzamento dell’accoglienza possa dare un contributo significativo anche nella lotta al calo demografico”.

Integrazione delle famiglie immigrate

La professoressa Santerini, con il suo background di docente e studiosa di processi interculturali, offre anche una visione sulle famiglie immigrate nel contesto italiano. “Nel nostro Master abbiamo due corsi dedicati a questo tema,” spiega, “uno sulle dinamiche storiche e sociali delle famiglie migranti in Italia e l’altro sui modelli interculturali di educazione familiare”.

Per quanto riguarda l’integrazione, Santerini evidenzia il ruolo fondamentale del welfare. “Tutto ciò che il welfare può fare per aiutare le famiglie migranti dovrebbe essere attuato” dichiara con forza. Tuttavia, nota che le misure di sostegno esistenti sono spesso limitate. “Per esempio” prosegue, “abbiamo assistito a restrizioni sul reddito di cittadinanza per i migranti. Ecco, questa è una delle aree dove si può fare di più”.

Analizzando il comportamento delle famiglie migranti, Santerini osserva che nel tempo tendono ad assumere comportamenti simili a quelli delle famiglie italiane, come la riduzione del numero di figli. “Non è una questione culturale” spiega, “ma una questione pratica. Spesso non hanno le risorse sufficienti per mantenere famiglie numerose, né una casa adeguata”.

Il tema della cittadinanza emerge come cruciale per l’integrazione. “È fondamentale” afferma, “concedere la cittadinanza ai figli dei migranti nati o cresciuti qui. Dobbiamo riconoscere come italiani di fatto coloro che vivono nel nostro paese, anche se ancora non lo sono nei documenti”. Secondo Santerini, garantire la cittadinanza stabilizzerebbe la situazione demografica e fornirebbe un senso di sicurezza a queste famiglie, evitando che i giovani immigrati lascino l’Italia.

La relazione tra cambiamenti demografici e fenomeni di intolleranza

Rivolgendo lo sguardo alle attuali tensioni sociali, Santerini osserva con rammarico che esiste una correlazione tra i cambiamenti demografici, come l’immigrazione, e l’aumento di fenomeni legati all’odio e all’intolleranza. “I migranti” spiega “sono diventati il capro espiatorio di un fenomeno che purtroppo ha radici antiche: la tendenza umana a cercarsi un nemico”. La professoressa mette in luce come il digitale giochi un ruolo cruciale in questo contesto. “Il digitale” afferma “è un ambiente che facilita l’odio e la polarizzazione, amplificando estremismi e radicalizzazioni”.

La facilità con cui il nemico viene identificato nello straniero è, secondo Santerini, una dinamica ricorrente, accentuata dall’uso dei social media. “L’immigrazione” prosegue “viene sfruttata anche da alcune forze politiche, che alimentano la polarizzazione per guadagnare consenso”. In questo quadro, la risposta a tali sfide deve essere articolata a più livelli. “Le forze politiche” sottolinea “dovrebbero impegnarsi per unire, non per dividere”. La scuola, quindi, gioca un ruolo cruciale nell’insegnare inclusione e rispetto delle differenze, mentre il mondo digitale richiede un intervento urgente per mitigare l’odio e la divisione sociale.

Il ruolo della scuola e dei servizi socio-sanitari nel sostegno alle famiglie

Santerini affronta anche la questione del calo delle nascite e delle trasformazioni delle strutture familiari, enfatizzando l’importanza di un supporto integrato. “La famiglia va supportata nel suo insieme” afferma con decisione, avvertendo che gli interventi spesso si frammentano e si concentrano solo su minori o adulti. “Dobbiamo invece lavorare per rafforzare il sistema familiare nelle sue relazioni” prosegue, sottolineando l’importanza di sviluppare interventi che considerino la famiglia come un’unità indivisibile.

In questo contesto, Santerini menziona l’educazione all’uso degli smartphone come un esempio concreto: “Non possiamo educare i bambini e gli adolescenti separandoli dal contesto familiare”. La scuola deve lavorare in sinergia con le famiglie, costruendo una comunità educante. “Il tempo da dedicare ai figli, la conciliazione tra lavoro femminile e famiglia” conclude “devono essere affrontate considerando il sistema familiare nel suo insieme”.

Le dinamiche demografiche in Italia e le competenze necessarie per affrontarle

Milena Santerini si sofferma sull’evoluzione delle strutture familiari in Italia, sottolineando la crescente presenza di famiglie monoparentali e la diversificazione dei nuclei familiari. “È fondamentale” afferma, “avere una conoscenza approfondita delle questioni sociali e politiche che influiscono su queste realtà in continua evoluzione”. Secondo la professoressa, la rapidità dei cambiamenti richiede un approccio pedagogico nuovo e flessibile. “Non possiamo fermarci su schemi rigidi che rischiano di diventare obsoleti,” avverte, evidenziando l’importanza di formare operatori capaci di interpretare queste trasformazioni in modo dinamico.

Santerini propone che gli operatori sociali debbano possedere competenze psicopedagogiche e progettuali, in modo da poter supportare le famiglie in maniera concreta. “Le competenze che vogliamo fornire” continua, “sono quelle di tipo formativo, ma anche di tipo politico-sociale”. Questo approccio consente agli operatori di intervenire non solo nel sostegno diretto alle famiglie, ma anche nella progettazione di servizi e politiche a livello locale. In questo contesto, Santerini sottolinea la necessità di portare la prospettiva delle famiglie nei tavoli di decisione. “La voce delle famiglie” conclude, “deve essere ascoltata e rappresentata nei processi di pianificazione delle politiche sociali, per garantire che le loro esigenze siano adeguatamente comprese e soddisfatte”.

L’attenzione verso famiglie con membri disabili o vulnerabili

Infine, la professoressa Santerini esprime preoccupazione riguardo alle famiglie con membri disabili o vulnerabili. “Assolutamente no” afferma riguardo alla consapevolezza politica e demografica sulle sfide specifiche che queste famiglie affrontano. Sottolinea che gli interventi sociali attuali tendono a dividere le famiglie invece di unirle. “Stiamo sostanzialmente lavorando per dividere le famiglie, non per unirle” lamenta, evidenziando la necessità di fornire un supporto adeguato alle famiglie con membri disabili.

Secondo Santerini, la risposta che le famiglie ricevono è spesso insufficiente. “Siamo primi in Europa per numero di badanti che assumiamo nel settore privato” denuncia. “La famiglia è lasciata sola”. Tuttavia, conclude con una nota di speranza: “Il sistema famiglia è il perno su cui si fonda una società in crescita. Se desideriamo davvero sviluppare il nostro Paese, dobbiamo costruire non solo un sistema di famiglie sostenuto dal welfare, ma anche una rete di famiglie che si aiutano reciprocamente”.

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Referendum Cittadinanza, Dalla Zuanna: “Ne abbiamo bisogno,...

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Il Referendum Cittadinanza proposto da +Europa ha superato le 500.000 firme necessarie per far iniziare l’iter. Gli italiani saranno chiamati a votare probabilmente nella primavera 2025, comunque entro tre mesi dalla vidimazione delle firme. La modifica proposta punta a facilitare l’ottenimento della cittadinanza per 2,5 milioni di extracomunitari che dovrebbero risiedere in Italia per cinque anni, invece di dieci, prima di poter richiedere la cittadinanza italiana.

Abbiamo chiesto a Gianpiero Dalla Zuanna, professore di Demografia all’Università di Padova e già senatore, che impatto avrebbe questa revisione sul futuro dell’Italia, minacciato da una profonda crisi demografica.

Dalla Zuanna sul Referendum Cittadinanza

Professore, gli eventuali due milioni e mezzo di nuovi cittadini poi trasferirebbero la loro cittadinanza ai figli in base al principio dello Ius sanguinis, aumentando la portata della modifica. Potrebbe essere questa la strada per fermare l’emorragia di nascite del nostro Paese?

“Potrebbe aiutare nel senso che tutte le azioni che accelerano l’integrazione possono essere utili. Però bisogna stare attenti: non è un riconoscimento formale che risolve il problema. Il vero punto sta nel creare le condizioni socio-economiche per cui gli stranieri possano soddisfare i motivi per cui vengono in Italia, cioè migliorare la propria situazione e avere una mobilità sociale. Se non facciamo questo, rischiamo di pensare che la cittadinanza formale possa sostituire quello che è sostanziale.

Il problema riguarda non solo gli stranieri, ma anche i figli di famiglie italiane di condizione modesta, soprattutto in termini di istruzione”, spiega Dalla Zuanna evidenziando il problema dell’ascensore sociale dell’istruzione, che in Italia è rotto.

Secondo i dati Inapp 2022, un figlio di un padre laureato ha oltre il triplo delle possibilità di laurearsi rispetto al figlio di chi ha conseguito la terza media. Il divario si acuisce tra le famiglie degli extracomunitari, dove i genitori raramente hanno potuto studiare: “C’è una enorme differenza nei risultati scolastici tra stranieri e italiani, e anche tra le classi sociali. La scuola è organizzata in modo che chi proviene da famiglie che non riescono ad aiutare i figli, non ha molte possibilità di farcela. Il modello è ancora pensato per le famiglie che hanno la mamma a casa che deve seguire i figli quando tornano da scuola. Siamo uno dei pochi Paesi occidentali dove i ragazzi tornano a casa ancora all’ora di pranzo e questo implica un grave problema di gestione per le famiglie.

Questo non significa – sottolinea il professore – che il tema della cittadinanza vada sottovalutato. Molti giovani stranieri spesso non capiscono perché non possono diventare italiani, dato che sono qui da piccoli e non si identificano con il loro Paese d’origine. Si trovano in una sorta di apolidia. E siccome la cittadinanza è una cosa seria, non solo dà un senso di appartenenza, ma permette di evitare problemi concreti, come quelli legati ai viaggi all’estero o alla ricerca di opportunità”.

La presidente Meloni ha dichiarato che non vede la necessità di cambiare i termini per l’acquisizione della cittadinanza. Come si concilia questa posizione con gli interventi che l’esecutivo sta portando avanti per contrastare la denatalità?

Dalla Zuanna fa una premessa: “In questi giorni, molti politici stanno affermando che l’Italia è uno dei Paesi che concede più cittadinanze. È vero, ma c’è un problema di metodo: si confronta il numero di cittadinanze ora concesse con quello di diversi anni fa, ma questo non tiene conto del fatto che molti immigrati arrivati dieci, dodici anni fa, stanno ottenendo adesso la cittadinanza. C’è stato un boom migratorio nei primi dieci anni del secolo, e ora queste persone stanno ottenendo la cittadinanza. Questo spiega perché siamo il Paese che dà più cittadinanze rispetto ad altri Paesi europei”. Dalla Zuanna ricorda che: “Il saldo tra le cittadinanze che l’Italia sta concedendo e gli arrivi che ci sono stati in quel periodo è comunque negativo”.

C’è un altro elemento che sta passando in secondo piano nel dibattito pubblico, catturato dal dato numerico: “Anche se venisse modificata, la legge manterrebbe comunque condizioni stringenti: bisogna avere cinque anni di residenza continuativa, non avere avuto problemi legali, dimostrare un reddito sufficiente, e c’è anche una verifica della conoscenza della lingua. Non vedo alcun motivo per opporsi a questa riduzione, che, anzi, mi sembra una proposta molto sensata.

Quindi crede che le dichiarazioni che minimizzano la necessità dell’immigrazione siano di facciata?

Sì, queste dichiarazioni sono più che altro politiche, puntano al consenso. Nella realtà, le industrie e le imprese continuano a chiedere lavoratori e l’esecutivo lo sa. Ad esempio, nel settore agricolo ci sono raccolti che devono essere fatti manualmente, e per fare questo servono persone che lavorano per sei mesi all’anno. La domanda di lavoratori continuerà ad esserci, anche se si cerca di bloccarla”.

In diverse occasioni il vicepremier Matteo Salvini ha dichiarato che gli extracomunitari verrebbero in Italia solo per prendere la pensione. Questa dinamica sarebbe esasperata dalla modifica proposta con il Referendum Cittadinanza.

Sul punto, l’ex senatore Dalla Zuanna ricorda: “Molti immigrati lavorano in Italia per decenni, versano i contributi, ma non raggiungeranno mai i venti anni di contributi necessari per ottenere una pensione, e quindi non riceveranno nulla. Alcuni chiedono la pensione sociale, ma è il minimo se si guarda il contributo che i lavoratori stranieri danno al nostro welfare e alla nostra economia”.

Il ruolo degli immigrati per la demografia italiana

Nel 2023 il saldo migratorio con l’estero complessivo è pari a +274mila unità, un guadagno di popolazione ottenuto come effetto di due dinamiche opposte. Da un lato, l’immigrazione straniera, ampiamente positiva (360mila), controbilanciata da un numero di partenze esiguo (34mila), dall’altro, il flusso con l’estero dei cittadini italiani caratterizzato da un numero di espatri (108mila) che non viene rimpiazzato da altrettanti rimpatri (55mila). Il risultato è un guadagno di popolazione di cittadinanza straniera (+326mila) e una perdita di cittadini italiani (-53mila). Ma la demografia italiana ha bisogno di una spinta molto maggiore.

“Abbiamo un problema demografico molto serio. – continua Dalla Zuanna – Se non ci fossero ingressi migratori, il Veneto, per esempio, perderebbe circa 30-40 mila persone in età lavorativa ogni anno, il che significherebbe una riduzione di 700 mila persone in 20 anni. Le persone che escono dal mercato del lavoro sono operai e persone con bassa istruzione, mentre chi entra è generalmente diplomato. Ma abbiamo comunque bisogno di persone per svolgere lavori a basso contenuto di specializzazione, come pulire corridoi o lavorare in cucina negli ospedali. Se manca questa forza lavoro, si ferma l’intero apparato”. Una situazione nota all’esecutivo, come dimostrano le decisioni prese in materia migratoria: “Il governo stesso ha dovuto aumentare il numero di ingressi tramite il decreto Flussi. Quindi, mentre si fanno certe dichiarazioni, si sa bene che l’immigrazione è necessaria”.

Le misure per incentivare la natalità

Il governo ha introdotto diverse misure per incentivare la natalità. Pensa che siano sufficienti?

“La mossa migliore è stata quella di confermare due strumenti introdotti dai governi precedenti quali l’assegno unico e il bonus asilo nido.
Il primo è molto importante perché dà soldi a tutte le famiglie con figli, indipendentemente dalla loro posizione lavorativa. L’unico requisito considerato è l’Isee. Questo è un grande passo avanti”. Molti ritengono irrisorio l’importo dell’assegno unico, critica non condivisa dal professore: “Per una famiglia che, in due, porta a casa 3.000 euro, 200 euro in più fanno la differenza. È un importo che copre quasi la metà delle spese necessarie per un figlio. È chiaro che per chi guadagna 10.000 euro al mese, l’assegno unico sia una briciola, ma è una condizione che riguarda poche persone.

Sicuramente l’assegno unico aiuta ad affrontare le situazioni di povertà, ma questo non significa necessariamente che abbia decretato un aumento delle nascite”, spiega Dalla Zuanna prima di sottolineare l’importanza del Bonus Nido: “Abbiamo visto misure analoghe in altre Regioni italiane, con un aumento dei secondi e terzi figli tra le persone con redditi modesti e una riduzione degli aborti volontari. In altri Paesi europei, come la Germania, misure simili hanno avuto effetti significativi sull’economia proprio perché viene corrisposto non solo ai poveri ma anche alle famiglie di reddito medio”.

Il vulnus, sostiene Dalla Zuanna, è l’orizzonte temporale con cui vengono pensate le misure pro natalità: “Gli interventi si concentrano sui primi anni di vita del bambino, quando spesso ci sono i nonni a dare una mano. Ma è quando i bambini diventano adolescenti che la situazione si complica. Il nostro sistema di welfare è ancora pensato per un modello di famiglia tradizionale, dove la madre sta a casa e il papà va al lavoro. In realtà, gli studi dimostrano che le coppie in cui entrambi i genitori lavorano hanno più probabilità di avere un secondo o terzo figlio, proprio perché il reddito è più alto”. Una risposta concreta all’eterno dibattito sul perché in Italia si fanno pochi figli, tra chi ritiene che la causa principale sia l’egoismo e chi vede nella matrice economica la causa principale della denatalità.

“Il costo dei figli – conclude Dalla Zuanna – è aumentato e anche il tempo che i genitori vogliono passare con loro è cresciuto. Inoltre, per molte categorie i salari non sono cresciuti al ritmo dell’inflazione, il che rende ancora più complicato per le famiglie gestire le spese legate ai figli”.

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Bonus Natale, retromarcia del governo: le famiglie di fatto...

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Le famiglie di fatto non potranno accedere al Bonus Natale. È questo il chiarimento arrivato nelle ultime ore dal viceministro dell’Economia, Maurizio Leo, dopo che gli scorsi giorni aveva aperto più di qualche spiraglio per questi nuclei. Il governo ha fatto marcia indietro, confermando che il contributo di 100 euro sarà riservato esclusivamente a nuclei coniugati o monogenitoriali in specifiche condizioni, escludendo di fatto le coppie non sposate. Perché?

Bonus Natale, requisiti

Il Bonus Natale è un contributo una tantum che verrà erogato a partire da quest’anno, con un contributo di 100 euro destinato ai lavoratori dipendenti con reddito complessivo non superiore a 28.000 euro. Inizialmente Bonus Befana, il beneficio è stato anticipato e verrà accreditato a dicembre insieme alle tredicesime.

Ieri, giovedì 26 settembre, le commissioni Bilancio e Finanze del Senato hanno approvato l’emendamento del governo al decreto omnibus che istituisce la misura. La votazione finale in commissione è attesa per il fine settimana. Restano confermati tutti i paletti che riducono a 100 milioni di euro il ‘fondo’ disponibile per il Bonus Natale. Questo limite restringe la platea a circa un milione di famiglie.

Per poter beneficiare del Bonus Natale, oltre a rispettare il limite di reddito, è necessario avere almeno un coniuge e un figlio fiscalmente a carico, oppure far parte di un nucleo monogenitoriale con figli a carico. Questo ha sollevato speranze per le famiglie di fatto, ovvero quelle coppie conviventi che non hanno contratto matrimonio, soprattutto dopo le dichiarazioni iniziali del viceministro Leo che avevano fatto intuire un’apertura verso alcune coppie di fatto con figli.

La precisazione sulle coppie di fatto si era resa necessaria a fronte di una potenziale disparità di trattamento per cui il contributo riguarderebbe i single con figli (famiglie monogenitoriali), ma non le coppie di fatto con figli. “Ci sono alcune coppie di fatto che possono usufruire del beneficio laddove c’è la cosiddetta mancanza del coniuge. Comunque ora si farà una circolare dove si chiarirà tutto”, aveva detto il viceministro Leo prima del dietrofront di ieri motivato da ragioni tecniche.

Famiglie di fatto escluse dal Bonus Natale: cosa dice la legge

Lo stesso viceministro ha spiegato che il Bonus Natale non sarà esteso alle famiglie di fatto, facendo riferimento all’articolo 12 del TUIR (Testo Unico delle Imposte sui Redditi), che regola le detrazioni per carichi di famiglia. Questo articolo, risalente agli anni ‘90, prevede una serie di vincoli legati allo stato civile dei genitori, vincoli che di fatto escludono le coppie conviventi non sposate.

Leo ha anche sottolineato che la legislazione italiana in materia di detrazioni e carichi di famiglia non è aggiornata alle trasformazioni sociali e familiari degli ultimi decenni, ma che un eventuale intervento legislativo sarà necessario in futuro per affrontare questa disparità. Per ora, tuttavia, il Bonus Natale rimarrà accessibile solo alle famiglie coniugate o a quelle monogenitoriali in cui uno dei genitori è deceduto, non ha riconosciuto il figlio, oppure non è coniugato o in unione registrata, anche se convivente con un’altra persona.

Le implicazioni fiscali

Oltre alle limitazioni relative allo stato civile, il viceministro ha chiarito che il reddito di riferimento per il calcolo del Bonus Natale è quello complessivo. Questo significa che, oltre al reddito da lavoro dipendente, verranno considerati anche altre fonti di reddito, inclusi quelli esenti, come i redditi dei rimpatriati. Non va però computato il valore del reddito derivante dalla prima casa.

Possibili sviluppi futuri

Nonostante la delusione per le famiglie di fatto, il governo ha lasciato intendere che in futuro potrebbero esserci interventi per aggiornare il TUIR alla realtà odierna. In particolare, Leo ha parlato della necessità di riformare le norme sulle detrazioni per carichi di famiglia, anche se per ora non sono stati annunciati cambiamenti concreti.

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Al via Liceo del Made in Italy: ma come funziona?

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Il liceo del Made in Italy è realtà. Il percorso che ha portato alla sua realizzazione da parte dell’attuale governo non è stato del tutto lineare. Nonostante il via libera definitivo, in precedenza pare che il Consiglio di Stato avesse sospeso il parere sul regolamento, suscitando critiche da parte delle opposizioni che avevano definito la sospensione come “un altro fallimento del governo”.

Poi, nei giorni scorsi, il ministro delle Imprese e del Made in Italy, Adolfo Urso, aveva fornito i numeri relativi all’apertura del nuovo liceo, che ha già preso il via in 30 istituti scolastici in tutta Italia, con poco più di 500 alunni coinvolti.

Vediamo come funziona.

Cos’è il liceo del Made in Italy

Il percorso prevede l’acquisizione di una serie di conoscenze, abilità e competenze approfondite nelle scienze economiche e giuridiche, all’interno di un quadro culturale che presta attenzione a materie quali scienze matematiche, fisiche e naturali.

Il Liceo del Made in Italy mira al raggiungimento degli “strumenti necessari per la ricerca e per l’analisi degli scenari storico-geografici e artistico-culturali nonché della dimensione storica e dello sviluppo industriale ed economico dei settori produttivi del made in Italy; promuove il conseguimento di specifiche competenze, abilità e conoscenze riguardanti princìpi e strumenti per la gestione d’impresa, tecniche e strategie di mercato, strumenti per il supporto e lo sviluppo dei processi produttivi e organizzativi delle imprese del made in Italy, strumenti di sostegno all’internalizzazione delle imprese dei settori del made in Italy e delle relative filiere”, si legge sul sito del ministero dell’Istruzione.

Quanti licei del Made in Italy ci sono?

In Italia, sempre secondo il sito del Miur, sono stati approvati 92 licei a indirizzo Made in Italy. Sparpagliati su tutto il territorio nazionale, ne risultano: 17 saranno attivati in Sicilia, 12 in Lombardia e nel Lazio, 9 in Puglia, 8 nelle Marche e in Calabria, 6 in Abruzzo, 5 in Toscana, 3 in Liguria, Piemonte e Veneto, 2 in Molise e 1 in Basilicata, Emilia-Romagna, Sardegna e Umbria.

L’elenco finale non comprende le 22 scuole per cui la Regione Campania non ha ancora autorizzato l’avvio del liceo del Made in Italy. Nel resto d’Italia, sono sei gli istituti scolastici che, pur avendo presentato domanda, non erano in possesso dei requisiti richiesti.

Lo schema di decreto prevede un quadro orario del percorso liceale di 891 ore (27 ore a settimana) nei primi due anni e 990 ore per i successivi tre (30 ore a settimana).

“Si tratta di un risultato importante, considerati i tempi stretti a disposizione delle scuole per avanzare le loro candidature e completare l’iter di autorizzazione. Il nuovo liceo arricchirà l’offerta della nostra scuola superiore, dando quelle risposte formative che il sistema paese richiede”, aveva commentato il Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara.

Come funziona il Liceo del Made in Italy

Questo percorso di studio è adatto a chi è interessato a conoscere l’origine e le caratteristiche delle eccellenze italiane, la creatività e l’imprenditorialità che caratterizzano la produzione made in Italy. Chiunque avesse voglia di scoprire le caratteristiche di qualità e di eccellenza che rendono celebre in tutto il mondo il brand “Italia” può scegliere questo percorso. Almeno secondo quanto affermato dal ministero.

Sicuramente, maggiore attenzione è data alla conoscenza dei concetti e dei metodi dell’economia e del diritto, scoprendo quali sono le competenze imprenditoriali necessarie per valorizzare la produzione del made in Italy; padroneggiare principi, metodi e strumenti per la gestione di un’impresa e tecniche e strategie di mercato; comunicare in due lingue straniere moderne, per muoversi agevolmente in un mondo globalizzato.

Nel concreto, però, il percorso formativo vede, nel primo biennio, materie quali Lingua e letteratura italiana, Storia e Geografia, Diritto, Economia politica, due Lingua e culture straniere, Matematica e Informatica, Scienze naturali come Biologia, Chimica, Scienze della Terra, Scienze motorie e sportive, Storia dell’arte, Religione cattolica o Attività alternative. Il quadro orario completo degli insegnamenti per il terzo, quarto e quinto anno è in fase di definizione.

Ne avevamo bisogno?

Per quanto il percorso di studi sia stato delineato, almeno solo nel primo biennio, e abbia l’onere di insegnare l’economia e la società del nostro Paese, non sono mancate le perplessità. Tra i primi grandi dubbi sollevati dall’opposizione c’è il tema delle risorse: se mancano quelle per gli attuali licei o istituti tecnici, da dove arriveranno quelle per il Made in Italy?

La seconda polemica, forse più sterile della prima, è se il concetto di “Made in Italy” non metta in discussione l’italianità degli altri istituti e licei. Ma perché negli altri non si insegna altrettanto Letteratura, Lingue straniere, Matematica, Scienze e così via?

Infine, il grande nodo dell’“economia” e del “diritto e società”. Ma nella realtà dei fatti sono già decenni che esiste il Liceo delle scienze umane con opzione economico sociale. Non resta che chiedersi, quindi, se di questo ne avessimo realmente bisogno o meno. Intanto, dopo il percorso tortuoso per la sua approvazione, il percorso di studi è partito con oltre 500 studenti sui quali sono puntati i riflettori.

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