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La manovra riparte dalle famiglie, novità in vista per asili nido e congedi parentali

In un contesto caratterizzato da un preoccupante calo demografico e da una popolazione sempre più anziana, il governo italiano ha messo al centro delle proprie politiche il sostegno alle famiglie, con l’obiettivo di invertire la tendenza e promuovere la natalità. Il nuovo Piano Strutturale di Bilancio di Medio Termine 2025-2029 si pone come un tassello fondamentale per affrontare una delle più grandi sfide del Paese. Al centro delle azioni previste c’è un rafforzamento delle misure già esistenti, oltre all’introduzione di nuovi strumenti volti a supportare sia la natalità che il benessere delle famiglie, con un approccio graduale e di lungo respiro, che cerca di bilanciare sostenibilità economica e interventi sociali. Tuttavia, il successo di queste misure dipenderà da una serie di variabili, tra cui l’efficacia delle politiche sul campo e la capacità di superare i divari territoriali e sociali che caratterizzano il Paese.

Quali sono i provvedimenti chiave

L’Assegno Unico e Universale

Tra i provvedimenti chiave, spicca il rafforzamento dell’Assegno Unico e Universale (AUU), una misura già operativa ma che, nel quadro del nuovo Piano, verrà ulteriormente potenziata. Si tratta di un contributo mensile per ogni figlio a carico, variabile in base al reddito familiare e senza limiti di età per i figli con disabilità. Nel 2023, 9,6 milioni di bambini hanno beneficiato di questa misura, con 18,2 miliardi di euro erogati. Con gli aggiornamenti previsti, si punta a migliorare ulteriormente questo strumento, arrivando a coprire una percentuale ancora più alta di famiglie. L’obiettivo è incentivare la natalità attraverso un sostegno concreto e stabile nel tempo.

Più asili nido meno divari territoriali

Il Piano prevede anche un grande investimento nella creazione di nuovi posti negli asili nido, con l’obiettivo di raggiungere una copertura nazionale del 33% per i bambini da 0 a 2 anni entro il 2026. Il PNRR ha già destinato 3,24 miliardi di euro per la creazione di oltre 150mila nuovi posti, ma uno dei principali ostacoli resta il divario territoriale, in particolare tra Nord e Sud. Il Mezzogiorno, infatti, soffre di una forte carenza di servizi per l’infanzia, con una copertura ben al di sotto della media europea. Un investimento così significativo negli asili nido non solo mira a colmare queste lacune, ma si propone anche di favorire la conciliazione tra lavoro e famiglia, in particolare per le donne, ancora penalizzate da un sistema che rende difficile combinare carriera e vita familiare.

Congedi parentali più generosi

Sul fronte dei congedi parentali, il Piano introduce importanti novità, con l’aumento dell’indennità fino all’80% della retribuzione imponibile per i primi due mesi e una serie di agevolazioni per chi sceglie di usufruire del congedo nei primi anni di vita del bambino. Si prevede inoltre un incremento della durata del congedo per i padri, con l’obiettivo di riequilibrare i carichi di cura all’interno della famiglia e favorire la permanenza delle madri nel mondo del lavoro. La misura mira a promuovere una cultura della condivisione delle responsabilità genitoriali, riducendo le disparità tra uomini e donne.

Incentivi fiscali per le donne con figli

Il Piano introduce anche agevolazioni fiscali per le donne lavoratrici con figli. Per le madri con contratti a tempo indeterminato e almeno tre figli, è prevista una riduzione del 100% dei contributi, fino a un massimo di 3.000 euro annui. Questo esonero contributivo sarà esteso in via sperimentale anche alle donne con due figli nel 2024, offrendo un sostegno concreto alle famiglie numerose. L’obiettivo è ridurre le barriere economiche all’occupazione femminile e incentivare la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Più scuola e più tempo per le famiglie

Infine, il Piano non trascura il tema dell’orario scolastico, con l’estensione delle ore di lezione pomeridiane come parte di una strategia volta a migliorare il rendimento scolastico e a contrastare l’abbandono precoce. Anche questa misura rappresenta un supporto importante per le famiglie, che avranno maggiori opportunità di organizzare il proprio tempo, riducendo il peso della gestione dei figli durante l’orario lavorativo. Questa misura è destinata a favorire l’integrazione dei giovani nel tessuto economico-sociale del Paese, contribuendo nel lungo termine a un incremento della natalità.

Un piano di lungo respiro

La scelta del Governo di pianificare il bilancio e le politiche familiari su un orizzonte quinquennale, piuttosto che concentrarsi su misure a breve termine, riflette la necessità di affrontare in modo strutturale i problemi legati alla demografia e al lavoro. L’Italia, come molti altri Paesi europei, deve fare i conti con un progressivo invecchiamento della popolazione e un tasso di fecondità tra i più bassi dell’OCSE. Come affermato dal sottosegretario al Mef, Federico Freni, all’Adnkronos, “il governo è ben consapevole che chiedere all’Europa un aggiustamento di bilancio distribuito su sette anni, invece che su quattro, implica un impegno importante sul fronte delle riforme”. Il sottosegretario ha sottolineato come la strategia del governo si basi su una visione a lungo termine che tiene conto sia della stabilità economica sia della necessità di un piano di riforme strutturali per rilanciare la crescita e l’attrattività del Paese. “È una consapevolezza – spiega Freni – che si nutre di una forte volontà perché non c’è crescita strutturale senza finanze pubbliche in salute, così come è effimera una disciplina di bilancio che non guarda a una programmazione degli investimenti e, appunto, delle riforme. Siamo noi che riteniamo necessario portare a termine questo doppio impegno.”

Il sottosegretario ha inoltre specificato che, con il Piano Strutturale di Bilancio, “non ci limiteremo ad attuare gli impegni presi con il PNRR: il perimetro delle riforme sarà più ampio e decisamente ambizioso”. In particolare, ha indicato che il governo si impegnerà a completare e implementare le riforme già previste dal PNRR, tra cui la giustizia, la pubblica amministrazione, il fisco, la digitalizzazione e la concorrenza. Tuttavia, il Piano andrà oltre queste misure, introducendo iniziative aggiuntive per migliorare la qualità delle istituzioni e dell’ambiente imprenditoriale. Solo con un approccio così ampio e ambizioso, ha spiegato Freni, sarà possibile rendere il Paese più attrattivo per le imprese e gli investitori, gettando le basi per una crescita economica solida e sostenibile nel lungo termine.

L’inclusione di tali riforme nel Piano non solo risponde agli impegni assunti in sede europea, ma rappresenta anche una precisa scelta strategica del governo per rilanciare l’economia nazionale, in linea con una visione che bilancia crescita economica e sostenibilità delle finanze pubbliche.

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Donne con endometriosi, quali rischi per il cuore?

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Le donne che soffrono di endometriosi hanno un rischio di infarto o ictus circa il 20% maggiore rispetto alle donne senza endometriosi. A rilevarlo è uno studio condotto dalla University Hospital di Copenhagen, in Danimarca.

Secondo i ricercatori, questo studio consentirà di approfondire le cure per l’endometriosi e migliorare i problemi e i rischi cardiaci che le donne con questa patologia corrono.

Endometriosi e cuore: quale legame?

Si stima che in tutto il mondo ci siano più di 190 milioni di donne in età riproduttiva che soffrono di endometriosi. L’endometriosi si verifica quando il tessuto uterino cresce all’esterno dell’utero, sulle ovaie, sulle tube di Falloppio e sugli organi circostanti, causando forti dolori e problemi di fertilità.

I ricercatori hanno esaminato i tassi di infarto e ictus in più di 60.000 donne con endometriosi rispetto a quasi un quarto di milione che non soffriva di questo problema. I risultati hanno mostrato che le donne con endometriosi avevano il 35% di probabilità in più di avere un infarto e il 20% in più di probabilità di avere un ictus ischemico.

Inoltre, l’endometriosi sembra aumentare anche il rischio di aritmie cardiache e insufficienza cardiaca.

“Per decenni, la malattia cardiovascolare (Cvd) è stata considerata una malattia maschile e i fattori di rischio sono stati considerati dalla prospettiva maschile, ad esempio, includendo la disfunzione erettile nelle linee guida sulla valutazione del rischio di Cvd. Tuttavia, 1 donna su 3 muore di Cvd e 1 donna su 10 soffre di endometriosi. I nostri risultati suggeriscono che potrebbe essere giunto il momento di considerare di routine il rischio di Cvd nelle donne con endometriosi”, ha affermato l’autrice principale dello studio, la dottoressa Eva Havers-Borgersen del Rigshospitalet Copenhagen University Hospital, Copenhagen, Danimarca.

La dottoressa ha sottolineato l’importanza che, secondo lei, dovrebbe avere sottoporre regolarmente a controlli cardiaci le donne che soffrono di questa particolare patologia: “È giunto il momento di considerare i fattori di rischio specifici delle donne, come l’endometriosi, ma anche il diabete gestazionale e la preeclampsia, nei modelli di previsione del rischio cardiovascolare“.

Lo studio

Lo studio si è avvalso dei registri nazionali danesi per analizzare le donne con diagnosi di endometriosi tra il 1977 e il 2021. Quest’ultime sono state abbinate a donne senza endometriosi in un rapporto 1 a 4 in base all’anno di nascita. L’esito primario era un composito di infarto miocardico acuto e ictus ischemico. Gli esiti secondari comprendevano i rischi per i singoli componenti dell’esito primario, così come aritmie, insufficienza cardiaca e mortalità. Sono state incluse nell’analisi 60.508 donne con endometriosi e 242.032 senza endometriosi. L’età media era di 37,3 anni e sono seguite per una media di 16 anni e per un massimo di 45 anni.

Le donne con endometriosi presentavano un rischio aumentato di circa il 20% del composito di infarto miocardico acuto e ictus ischemico rispetto a quelle senza endometriosi. L’incidenza cumulativa delle possibili patologie a 40 anni prevedeva la possibilità di avere infarto miocardico acuto e ictus ischemico, rispettivamente del 17,5% e del 15,3% nelle donne con e senza endometriosi.

Se prese le singole patologie, le donne con endometriosi avevano circa il 20% in più di rischio di ictus ischemico e circa il 35% in più di rischio di infarto miocardico acuto rispetto a quelle senza endometriosi. Inoltre, le donne con endometriosi avevano anche un rischio aumentato di aritmie e insufficienza cardiaca rispetto a quelle senza endometriosi.

L’importanza della prevenzione

La dottoressa Havers-Borgersen ha aggiunto: “Sebbene le differenze assolute fossero piccole, le differenze relative erano del 20% e, con l’elevata prevalenza dell’endometriosi, questi risultati forniscono ulteriori prove del fatto che i fattori di rischio specifici e le malattie cardiovascolari nelle donne necessitano di maggiore attenzione”.

E ha concluso: “Suggeriamo che le donne con endometriosi si sottopongano a una valutazione del rischio di malattie cardiovascolari ed è giunto il momento di considerare i fattori di rischio specifici delle donne, come l’endometriosi, ma anche il diabete gestazionale e la preeclampsia, nei modelli di previsione del rischio cardiovascolare. Sono necessarie ulteriori ricerche per confermare i nostri risultati e integrare questi fattori in modelli di previsione del rischio efficaci”.

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Thailandia approva matrimoni omosessuali: è il primo Paese...

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Il 25 settembre 2024 è una data storica per la Thailandia, che è diventata il primo Paese del Sud-Est asiatico a riconoscere l’uguaglianza matrimoniale per le coppie omosessuali.
Mercoledì, il Re Maha Vajiralongkorn ha dato il suo assenso alla nuova legge, che era stata approvata dal Parlamento già lo scorso giugno. La norma entrerà ufficialmente in vigore dopo 120 giorni, il che significa che le prime coppie LGBTQ+ potranno registrare il loro matrimonio a gennaio 2025.

Una vittoria per gli attivisti e la comunità LGBTQ+

L’approvazione della legge è stato accolta con entusiasmo dagli attivisti per i diritti LGBTQ+ in Thailandia, che hanno descritto questo traguardo come il coronamento di una lunga battaglia per l’uguaglianza. “Il diritto all’uguaglianza in Thailandia è iniziato,” ha dichiarato Danuphorn Punnakanta, portavoce del partito di maggioranza Pheu Thai e presidente del comitato che ha supervisionato la legge. “È solo l’inizio e seguiranno ulteriori leggi per i diritti e le libertà delle persone,” ha assicurato, ricordando che la strada per l’uguaglianza è ancora lunga, ma questo primo passo è di grande importanza.

Implicazioni della legge

Con l’entrata in vigore della legge, la Thailandia non solo garantisce diritti egualitari alle coppie LGBTQ+, ma rafforza anche la propria posizione come leader nella protezione dei diritti umani nel Sud-Est asiatico. Il cambiamento potrebbe avere ripercussioni significative anche a livello internazionale, ispirando altri Paesi della regione a considerare riforme simili. Ma, soprattutto, l’introduzione di un quadro legale inclusivo migliora la qualità della vita per milioni di persone, offrendo protezione e riconoscimento ufficiale ai loro legami.

Poco tempo fa era impensabile che le coppie LGBTQ+ e quelle eterosessuali godessero degli stessi diritti e delle stesse tutele legali.

Il percorso parlamentare della legge

Il disegno di legge che garantisce pieni diritti legali, finanziari e medici ai coniugi di qualsiasi genere è stato il frutto di un intenso percorso parlamentare. Dopo l’approvazione iniziale alla Camera dei rappresentanti ad aprile 2024, la legge ha superato l’ultimo ostacolo al Senato nel mese di giugno, con un voto schiacciante: 130 favorevoli, 4 contrari e 18 astensioni. Questo voto storico ha aperto la strada alla firma del re, un passaggio atteso e considerato una formalità. Ora, la Thailandia si unisce a Taiwan e Nepal come i soli Paesi asiatici a riconoscere ufficialmente i matrimoni tra persone dello stesso sesso.

Cambiamenti nel Codice civile e commerciale

Una delle modifiche centrali introdotte dalla nuova legge riguarda il linguaggio utilizzato nel Codice civile e commerciale della Thailandia. I termini tradizionali “uomini e donne” e “marito e moglie” sono stati sostituiti con i più inclusivi “individui” e “partner matrimoniali”, un cambiamento che riflette la volontà del Paese di garantire uguaglianza a tutti i cittadini, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

Secondo la nuova legislazione, le coppie dello stesso sesso avranno gli stessi diritti e doveri delle coppie eterosessuali. Tra questi, il diritto all’adozione, i benefici fiscali, l’accesso all’eredità e la possibilità di prendere decisioni mediche per il proprio partner in caso di incapacità. Si tratta di un passo avanti fondamentale per la comunità LGBTQ+ thailandese, che da anni lotta per il riconoscimento dei propri diritti.

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I papà scelgono la famiglia: il 71% usa il congedo...

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Parità di genere, non solo a lavoro, ma anche a casa. Per rendere questo obiettivo realizzato, proprio grazie al raggiungimento di un equilibrio condiviso tra vita privata e lavoro, servono dei sostegni reali alla famiglia.

È uno dei dibattiti più accesi in Italia, complice il calo delle nascite e le conseguenze che questo comporta sul lungo tempo al welfare e alla produttività di un Paese. Ad affrontare il problema è uno
studio del think tank Tortuga, realizzato in collaborazione con 24 aziende, che ha esplorato proprio queste tematiche e ha offerto spunti per comprendere i benefici e le criticità delle politiche di congedo dedicate ai padri.

Congedo di paternità facoltativo

Il report evidenzia che il 71% dei padri idonei nelle aziende partecipanti alla ricerca ha usufruito del congedo di paternità aziendale, una percentuale significativamente superiore rispetto alla media nazionale relativa ai congedi Inps. Le politiche aziendali offrono, in media, tra 1 e 26 settimane aggiuntive di congedo retribuito.

Tra i padri più giovani, quelli tra i 30 e i 39 anni, l’adesione sale al 75%, rispetto al 65% nella fascia d’età 40-49.

Tra i fattori che incentivano l’adesione, sono emerse come motivazioni la presenza desiderata nella vita dei figli (81%) e la volontà di supportare il partner nei primi mesi di vita del bambino (87%). Al contrario, le ragioni per cui alcuni padri non richiedono tutto il congedo disponibile includono paura di ripercussioni sulla carriera (45%) e l’elevato carico di lavoro (45%).

Impatto del congedo aziendale

Uno dei dati più interessanti del report, però, riguarda la redistribuzione del carico domestico: due padri su tre che hanno utilizzato il congedo riportano una suddivisione più equa delle responsabilità familiari.

Inoltre, il 96% dei padri sostiene di avere instaurato un legame più stretto con i propri figli, e il 95% delle partner ha riferito di sentirsi più serena grazie alla presenza del padre.

Un altro aspetto cruciale riguarda l’implicazione lavorativa: contrariamente alle paure iniziali, il 70% dei padri che hanno usufruito del congedo non ha registrato alcun impatto negativo sulla propria carriera.

Estensione del congedo a livello nazionale

Il report, così, quanto sia necessaria una vasta adesione all’idea di estendere il congedo di paternità a livello nazionale. Il 96% dei partecipanti si è dichiarato favorevole, con il 54% che suggerisce di renderlo obbligatorio.

Inoltre, il 95% dei lavoratori ha espresso il desiderio che la durata minima retribuita al 100% debba essere di almeno un mese, mentre più della metà ritiene che dovrebbe essere esteso a tre mesi.

La metodologia del report

Lo studio ha coinvolto 24 aziende, di queste 22 hanno già implementato un congedo di paternità facoltativo più lungo di quello previsto dalla legge italiana (10 giorni). La ricerca è stata condotta in due fasi principali:

Interviste con i responsabili delle risorse umane delle aziende coinvolte per comprendere come le politiche sui congedi di paternità siano state implementate e quale sia stata la risposta da parte dell’azienda.
Questionario distribuito a più di 1.600 dipendenti di 12 aziende, con l’obiettivo di analizzare il profilo dei beneficiari, le loro motivazioni per richiedere o meno il congedo e le opinioni sulle politiche aziendali e la loro estensione a livello nazionale.

Tortuga, alla luce di questi risultati, sostiene che il congedo di paternità obbligatorio deve essere esteso a tre mesi, con retribuzione al 100%. Inoltre, il think tank suggerisce di allargare i benefici anche ai “secondi caregiver”, includendo non solo i padri biologici, ma anche i genitori adottivi e le coppie omosessuali.

La proposta del think tank potrebbe avere un impatto positivo non solo sulle famiglie, ma anche sulla partecipazione femminile al lavoro e sulla natalità, contribuendo a superare l’attuale divario di genere e migliorando la qualità della vita familiare in Italia.

I Paesi crescono quando le donne lavorano – ha spiegato l’onorevole Lia Quartapelle che ha contribuito alla realizzazione del report -. I figli nascono quando le donne guadagnano. In Italia, ci troviamo di fronte a un apparente paradosso: alla bassa natalità corrisponde una scarsa partecipazione femminile al mercato del lavoro. […] Il nostro Paese sembra essere intrappolato in una spirale di bassa natalità e bassa crescita che ha al centro la condizione economica delle donne e delle famiglie”.

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