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Massimo Paolucci: Quasi Spia, una commedia all’italiana con il fascino dell’avventura e temi attuali

Quasi Spia è il nuovo film, attualmente in fase di riprese, del regista Massimo Paolucci, che ha all’attivo produzioni importanti e di successo come Medium. Un nuovo progetto che si unisce a The Contract e Il Passo del Vento, in uscita nei prossimi mesi, che vanta un cast di grandi nomi: da Daniel McVicar all’influencer Zio Command, passando per Eleonora Pieroni, Danilo Brugia, Vincenzo Della Corte, Emilio Franchini, Vanessa Marini e Nadia Rinaldi. La protagonista è invece interpretata dall’attrice Simona Di Sarno, scelta da Paolucci per calarsi nel personaggio di Sara. Tutti aspetti dei quali abbiamo parlato con Massimo Paolucci in questa intervista.

A cura di Roberto Mallò

Massimo, parliamo di Quasi Spia. Partirei, per quello che può accennarmi, dalla trama. Di cosa parla il film?

“Il film tratta di una situazione periferica di una ragazza senza lavoro che intraprende la via del furto e si imbatterà in un’avventura da 007”.

Questa donna di cui parliamo è interpretata da Simona Di Sarno. L’ha scelta lei?

“Sì, l’ho scelta io. In principio, il progetto vedeva come protagonista un uomo. Avevamo pensato ad un ragazzo un po’ scapestrato che per fare soldi era disposto a fare qualsiasi cosa. Abbiamo poi scelto la Di Sarno perché ci ha colpito con la sua fisicità. E’ italo-indiana. Ha un viso spigoloso, un colore della pelle un po’ particolare, una montagna di capelli. Mi ricordava la Julia Roberts dei primi tempi. E incarna bene il personaggio molto singolare che porta in scena in Quasi Spia”.

Il film toccherà anche delle tematiche di attualità e di rilevanza sociale. Si può dunque dire che, pur essendo una commedia all’italiana, spinge alla riflessione.

“Esatto. Questa ragazza, che non riesce mai a trovare un lavoro, si affida sempre a una sua amica, agente immobiliare, che le permette, di tanto in tanto, di usare le case in vendita per dormire. La protagonista è una ragazza un po’ sbandata, non è seguita. Il film è una piccola denuncia perché sappiamo bene che, al di là della commedia e del film, le personalità così diventano vere e proprie ‘maestranze’ per la criminalità in strada”.

Il film è prodotto da Security, società specializzata in sicurezza che ha deciso di intraprendere una nuova attività cinematografica sotto la guida di Eleonora e Giuseppe Sordi, con il supporto e la produzione esecutiva di Omega Productions di Sara Paolucci. Com’è nata la collaborazione con loro?

“La Security si occupa della sicurezza in maniera seria. Siamo andati da loro un giorno, per vedere gli uffici e le location. Abbiamo potuto toccare con mano in che maniera professionale trattavano tutto ciò che aveva a che fare con la sicurezza. Ho chiesto, dunque, di poter usufruire delle loro location. Invece, Eleonora e Giuseppe, che sono i maggiori azionisti di questa società, insieme al loro papà, mi hanno chiesto di avviare insieme un percorso, visto che ci conosciamo e tra di noi c’è massima fiducia. Abbiamo un po’ ragionato sul da farsi e, alla fine, Eleonora mi ha proposto di produrre il film. Ed ho accettato perché si trattava di un’operazione seria con una società seria e stabile, con una struttura e un impianto serio a livello economico”.

Quasi Spia è dunque la prima di altre produzioni che potrebbero arrivare insieme alla Security?

“Sì, è il primo progetto. Ci siamo legati per cinque anni con questa società, in maniera non esclusiva. Diciamo che nei cinque anni ci siamo promessi di fare almeno altri due progetti, medio-bassi. In attesa di un film storico e in costume più importante, che riguarda la nostra cultura italiana, del quale non posso svelare altro, per il momento”.

Torniamo a Quasi Spia. L’agente 007 in pensione, di cui abbiamo parlato, è interpretato invece da Daniel McVicar.

“Sì, lo conosciamo tutti. E’ stato il bello di Beautiful; ha il suo accento americano. La sua voce è garanzia di quello che è un personaggio importante. Con Daniel si lavora davvero bene. Inoltre, per restare sugli interpreti, nel film c’è Danilo Brugia. E’ davvero bravo; purtroppo non viene preso molto in considerazione per l’attore bravo e preparato che è. Il cast è composto poi da Emilio Franchini, con il quale ho fatto dei film molto importanti come Medium. C’è poi la bravissima Nadia Rinaldi, che interpreta un bel ruolo e ci farà emozionare”.

Passando anche per Eleonora Pieroni…

“Sì, ho lavorato con lei precedentemente in The Contract. parla un ottimo inglese, quasi come lingua madre. Ha vissuto tanti anni in America. E’ una figura bellissima, mi piace come si muove. Fa da controparte alla protagonista. Vederle sul set vestite da bond-girl è uno spettacolo per gli occhi.  Ha sposato subito il progetto”.

© Sbircia la Notizia Magazine, è vietata qualsiasi ridistribuzione o riproduzione del contenuto di questa pagina, anche parziale, in qualunque forma.

Giornalista e fondatore dell’agenzia Massmedia Comunicazione, è il motore dietro gran parte delle nostre interviste. Con un occhio per i dettagli e un talento nel porre le domande giuste, contribuisce significativamente al nostro contenuto.

Interviste

Versi di fede: Don Cosimo Schena, il prete Influencer che...

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La figura di Don Cosimo Schena è un delicato mix tra profondità umana e spiritualità. Nato a Brindisi nel 1979, è entrato nell’Ordine dei Preti e a tutt’oggi non solo è un leader stimato della sua diocesi, ma anche un comunicatore innovativo che posiziona messaggi di fede e amore usando i media moderni. Il suo background educativo è vasto: le lauree in Filosofia, Teologia e Psicologia Clinica e Dinamica, nonché il Dottorato in Filosofia lo riflettono chiaramente il suo punto di vista meditativo e intellettuale sulla scrittura e la comunicazione.

L’importanza della poesia come diritto

Fin dal suo arrivo a Dio, Don Cosimo ha sentito l’esigenza di fare un’identificazione maggiore dell’amore di Dio. La poesia gli ha permesso di comunicare anche con il più distante della chiesa poiché il suo linguaggio, che copre i significati futuri, è allo stesso tempo modulo. Nelle sue raccolte di poesie, come L’uomo nel cuore di Dio, L’Arte di amare e Sussurri si concentrano sul tema centrale dell’amore divino, un amore che abbraccia ogni aspetto della vita quotidiana. Ogni poesia, breve ma intensa, nasce dal desiderio di donare speranza e conforto ed invita ad una connessione più profonda con la spiritualità.

La sua presenza sui social

Don Cosimo ha anche saputo fondere poesia, fede e tecnologia, diventando una presenza rilevante sui social media (fino a 20 milioni di streaming). I suoi video, in cui recita con passione le sue poesie accompagnate da musiche e immagini evocative, hanno catturato l’attenzione di un vasto pubblico, in particolare dei giovani. Attraverso questi contenuti, offre una guida spirituale alternativa, vicina e coinvolgente, trattando temi universali come l’amore, la pace e la gioia, sempre radicati nella fede cristiana.

L’umiltà, una delle sue più grandi qualità

Nonostante il successo dei suoi libri e la popolarità online, Don Cosimo è rimasto un sacerdote umile, profondamente legato alla sua missione pastorale. La sua presenza sui social non è altro che un’estensione del suo ministero, attraverso cui continua a cercare nuovi modi per raggiungere le persone e trasmettere messaggi di amore e speranza. Questo suo approccio autentico, unito alla capacità di toccare il cuore di chi lo ascolta, lo ha reso una delle figure spirituali più amate in Italia.

Il suo ultimo capolavoro: guida alla speranza e alla serenità

Oltre ai libri Rivestito di stelle per amare e La mia vita capovolta, nel 2024 esce con Dio è il mio coach, il suo ultimo capolavoro. Tutto ruota attorno all’idea che Dio possa essere scambiato per un allenatore della vita quotidiana – un’idea provocatoria, rassicurante e pratica.

L’autore propone ai lettori di immaginarsi Dio come un allenatore amorevole, pronto a rassicurare e a incoraggiare quando il gioco si fa duro. Con riflessioni semplici e storie personali, don Cosimo diffonde l’ideale che la fede possa essere una fonte concreta di forza e luce quando la vita diventa impossibile. Il coach non è affatto distante e irreale, anzi, è vicinissimo e molto umano: cammina accanto a noi, è orgoglioso di noi e ci spinge a fare meglio ogni giorno.

In sostanza, è un invito a vivere la propria spiritualità in modo pratico, trovando in Dio un amico e un allenatore che ci spinge a dare il meglio di noi stessi.

Il suo amore per gli animali

Don Cosimo è noto anche per la sua profonda compassione verso gli animali. Vede in loro doni di Dio e promuove il rispetto e la cura per tutte le creature. È attivamente coinvolto in iniziative per il benessere animale e sostiene rifugi ed organizza eventi per sensibilizzare la comunità sull’adozione responsabile. La sua dedizione mostra come l’amore per gli animali possa riflettere la nostra spiritualità e portare alla compassione nel mondo.

Noi lo abbiamo incontrato in esclusiva, di seguito l’intervista in italiano – per leggerla anche in altre lingue, visita www.menover50mode.com.

La nostra intervista esclusiva

Buongiorno, Don Cosimo, è un onore per me poterti intervistare.

“Buongiorno, grazie a te, il piacere è mio.

In che modo Don Cosimo riesci a combinare la poesia e la spiritualità per avvicinare persone che si sentono distanti dalla fede.

La poesia è un linguaggio universale che tocca il cuore delle persone. Attraverso i versi, cerco di esprimere la bellezza della fede e la profondità dell’amore di Dio. La poesia permette di avvicinarsi alla spiritualità in modo delicato e personale, creando un ponte tra il sacro e il quotidiano.

Qual è il ruolo dei social media nel ministero di Don Cosimo e come la tua presenza digitale ha influenzato la tradizionale comunicazione cattolica?

“I social media sono uno strumento potente per raggiungere le persone ovunque si trovino. La mia presenza digitale mi permette di condividere messaggi di speranza e amore in tempo reale, rompendo le barriere della distanza fisica. Questo ha trasformato la comunicazione cattolica, rendendola più accessibile e immediata.

In che modo la poesia di Don Cosimo esprime l’idea che l’amore di Dio si manifesta in ogni gesto della vita quotidiana?

Nei miei versi, cerco di mostrare come l’amore di Dio si manifesti in ogni piccolo gesto della nostra vita quotidiana. Che sia un sorriso, un atto di gentilezza o un momento di riflessione, ogni azione può essere un riflesso della presenza divina.

Come hai vissuto tu stesso l’idea di Dio come un coach nella tua vita, e quali esperienze ti hanno portato a condividere questo messaggio con gli altri?

L’idea di Dio come un coach nella mia vita è stata una fonte di guida e ispirazione costante. Ho vissuto questa relazione come un continuo dialogo, dove Dio mi ha aiutato a vedere le sfide come opportunità di crescita e a trovare forza nei momenti di difficoltà. Le esperienze che mi hanno portato a condividere questo messaggio con gli altri sono molteplici: dai momenti di preghiera e riflessione personale, agli incontri con persone che hanno trovato conforto e speranza attraverso la fede. Ogni volta che ho visto il potere trasformativo di questo approccio nella mia vita e in quella degli altri, ho sentito il bisogno di diffondere questo messaggio, affinché più persone possano sperimentare la guida amorevole e il supporto di Dio come un vero coach.

Secondo te, quali sono i principali motivi per cui i giovani si allontanano dalla Chiesa, e come possiamo renderla più rilevante per le nuove generazioni?

Molti giovani si allontanano dalla Chiesa perché la percepiscono come distante dalle loro realtà e preoccupazioni. Per renderla più rilevante, dobbiamo ascoltare le loro voci, comprendere le loro sfide e offrire risposte autentiche e concrete. La Chiesa deve essere un luogo di accoglienza, dialogo e crescita personale.

Abbiamo visto che tu sei un grande amante degli animali, qual è l’insegnamento più importante che hai ricevuto dagli animali nella tua vita e come questa esperienza ha influenzato la tua missione?

L’insegnamento più importante che ho ricevuto dagli animali è la loro capacità di vivere nel presente e di mostrare amore incondizionato. Gli animali non giudicano, non portano rancore e vivono ogni momento con una purezza e una semplicità che spesso noi esseri umani dimentichiamo. Questa esperienza mi ha insegnato l’importanza di essere presenti per gli altri, di offrire amore senza aspettative e di trovare gioia nelle piccole cose della vita. Questi valori sono diventati fondamentali nella mia missione di portare conforto e speranza attraverso la mia poesia e il mio ministero.

Se la Chiesa potesse adottare una nuova ‘app’ per avvicinare più persone alla fede, come pensi dovrebbe essere, più tipo Instagram, TikTok, Facebook o altra?

Se la Chiesa potesse adottare una nuova app, dovrebbe essere una combinazione di Instagram e TikTok, con contenuti visivi e brevi video che catturano l’attenzione. Dovrebbe essere interattiva, permettendo alle persone di condividere le loro esperienze di fede e di connettersi con una comunità globale.

Infine, oltre a scrivere poesie, Don Cosimo trova costantemente nuovi modi di esprimere la propria fede. Attraverso diversi progetti, tra cui libri, presentazioni, eventi culturali e religiosi, l’autore proseguirà il suo messaggio che l’amore divino diventa visibile in ogni espressione e che l’armonia con Dio si raggiunge con ogni respiro e in ogni momento.

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Interviste

Il viaggio di Giorgio Cantarini: dal bambino di “La Vita è...

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Giorgio Cantarini, nato il 12 aprile 1992 a Orvieto, è un attore italiano il cui talento si è rivelato sin dalla tenera età. Il suo percorso artistico è iniziato in modo quasi fiabesco quando, a soli cinque anni, ha avuto l’opportunità di recitare nel celebre film di Roberto Benigni, La vita è bella (1997). In quel film, Giorgio ha interpretato il piccolo Giosuè Orefice, figlio del protagonista Guido, e la sua interpretazione ha immediatamente catturato il cuore del pubblico di tutto il mondo.

La dolcezza e l’innocenza con cui Giorgio ha dato vita a Giosuè hanno reso la sua interpretazione impossibile da dimenticare. Ogni suo sorriso, ogni sguardo ingenuo e fiducioso ha toccato il cuore di chi guardava, facendo scaturire un’emozione così pura e profonda che, ancora oggi, rimane scolpita nei ricordi di chi ha vissuto quella storia attraverso i suoi occhi.

Giosuè ha incarnato la purezza di un bambino che, pur immerso nella brutalità dell’Olocausto, riesce a trovare conforto nella fantasia protettiva del padre. Con naturalezza e sensibilità, ha saputo rappresentare quel delicato equilibrio tra la spensieratezza infantile e la cruda realtà, creando un ritratto di resilienza e speranza che ha toccato corde emotive universali.

La vita è bella ha trionfato agli Oscar, vincendo tre statuette, tra cui quella per il Miglior Film Straniero, e in questo successo, l’interpretazione di Giorgio ha avuto un ruolo fondamentale.

Dopo il clamoroso successo del suo debutto, Giorgio è tornato sul grande schermo nel 2000 con un altro ruolo iconico, interpretando il figlio di Massimo Decimo Meridionel kolossal di Ridley Scott, Il Gladiatore. Sebbene il suo fosse un ruolo breve, la sua presenza in un film di tale portata, accanto a una star del calibro di Russell Crowe, ha confermato ulteriormente il suo talento e il suo potenziale nel mondo del cinema.

La scelta consapevole di Giorgio

Nonostante l’incredibile successo che lo ha travolto fin da bambino, Giorgio ha deciso di non farsi trascinare da quella valanga di notorietà. Ha scelto, con maturità e consapevolezza, di mantenere i piedi per terra e prendere il tempo necessario per ascoltare sé stesso, invece di lasciarsi condizionare dalle aspettative del mondo esterno.

Con saggezza e maturità, ha preferito dedicarsi agli studi, ritagliandosi il tempo necessario per riflettere e fare scelte ponderate riguardo alla sua carriera. Ha continuato a lavorare come attore, ma con una presenza più discreta, partecipando a progetti cinematografici e televisivi, sia in Italia che all’estero, mantenendo sempre il controllo sulla propria evoluzione artistica.

La sfida di Giorgio: dalla recitazione al ballo

Nel 2005, ha accettato una sfida diversa partecipando a Ballando con le Stelle, dove ha messo in mostra non solo il suo talento, ma anche la sua personalità simpatica e affabile.

Negli anni successivi, Giorgio ha intrapreso un percorso di studio approfondito della recitazione, ampliando le sue competenze nel teatro e sperimentando nuove forme espressive. Pur non essendo più sotto i riflettori con la stessa intensità dei suoi esordi, ha mantenuto intatta la sua passione per l’arte, scegliendo progetti che rispecchiassero la sua crescita personale e professionale. Lo abbiamo incontrato in esclusiva, di seguito l’intervista in italiano – per leggerla anche in altre lingue, visita www.menover50mode.com.

La nostra intervista esclusiva

Giorgio, grazie di aver accettato questa intervista!

“Il piacere è mio.

Come hai vissuto il passaggio dall’essere un attore bambino in film così iconici a costruire la tua carriera da adulto?

Crescendo, dopo “La vita è bella” e “Il Gladiatore”, ho continuato a lavorare nel mondo del cinema, partecipando ogni 3-4 anni a qualche progetto, come nuovi film per la TV o piccole collaborazioni. Partecipavo a questi progetti quando erano interessanti, anche se all’epoca non avevo una vera aspirazione a fare l’attore. Non era qualcosa che mi interessava davvero. In pratica, era un’attività in cui ero capitato quasi per caso e che sapevo fare, quindi ogni tanto accettavo delle parti, ma in realtà volevo fare altro. Come molti ragazzi della mia età, sognavo di diventare calciatore, professore, ingegnere… A un certo punto volevo persino fare il Papa! È stato solo verso la fine del liceo che ho cominciato a pensare seriamente alla recitazione. Mi piaceva molto il cinema, i film, le grandi interpretazioni degli attori di Hollywood. Così ho deciso di provare ad entrare al Centro Sperimentale di Cinematografia, dove sono stato ammesso. Ho studiato lì per tre anni, e in quel periodo è nata una vera passione per la recitazione. Mi sentivo appagato, sia a livello personale che sociale. Mi piaceva lavorare con gli altri, far parte di un gruppo, ma anche lavorare su me stesso. Dopo il diploma, ci è voluto un po’ per rientrare nel mondo del lavoro, ma negli ultimi anni le cose sono andate molto bene. Inizialmente non è stato semplice, né trovare continuità nel lavoro né superare il peso del modo in cui avevo iniziato, con il ruolo in “La vita è bella”. Mi sentivo sotto pressione, come se dovessi sempre dare il massimo, superando quel traguardo, quella performance. Ma col tempo ho capito che non era necessario. A cinque anni, nel film, non stavo recitando, stavo solo interpretando me stesso. Non c’era una vera “performance”, ma una spontaneità naturale. Superato questo blocco, ho cominciato a esprimermi con molta più libertà. L’esperienza, lo studio e il tempo mi hanno permesso di crescere come attore, e ora mi sento più libero di esprimermi, molto più di quanto non fosse all’inizio, subito dopo l’accademia.

Guardando indietro ai tuoi ruoli più iconici, c’è stato un momento in cui hai sentito il peso delle aspettative o della notorietà, e come hai gestito quei sentimenti? Quali sono state le sfide più importanti?

In parte, ti ho già risposto nella prima domanda, parlando di come sentivo, tra virgolette, il “peso” della notorietà che avevo acquisito da bambino. Però è stato durante gli anni di studio e soprattutto nei primi anni dopo il diploma in recitazione che ho iniziato a percepire maggiormente questa pressione. Dovevo entrare nel mondo del lavoro vero e proprio, e sentivo di dover dimostrare qualcosa in più rispetto agli altri. Era come se nulla mi fosse dovuto, e dovevo provare di essere all’altezza del passato. Con il tempo, però, ho capito che questa era una stupidaggine. Guardando indietro, uno dei primi lavori che mi ha dato più soddisfazione è stato il cortometraggio “Il dottore dei pesci”, diretto da Susanna Della Sala, una regista e scenografa davvero talentuosa. È stato uno dei miei primi lavori dopo il diploma e ha ottenuto molto successo nei festival di tutto il mondo. Abbiamo vinto premi a Los Angeles, in Canada e in Olanda, e io sono stato nominato come miglior attore in un festival a Los Angeles. Sono anche andato a ritirare il premio, perché il regista non poteva essere presente, e io mi trovavo già negli Stati Uniti. Essendo uno dei miei primi lavori, e avendo lavorato con una regista che aveva studiato nella mia stessa scuola, sentivo una certa pressione. Anche molti altri nei reparti tecnici del corto avevano frequentato la stessa scuola, quindi c’erano aspettative alte, e volevo davvero dare il massimo. Credo di esserci riuscito, visto che la mia interpretazione è piaciuta molto. “Il dottore dei pesci” è una storia semplice e carina, molto fantasiosa, quasi fiabesca. Per quanto riguarda come ho gestito questi sentimenti di pressione, beh, non saprei dirti esattamente. Sono una persona molto positiva, e anche se a volte queste emozioni mi bloccavano un po’ artisticamente, ho sempre cercato di lavorare su me stesso e di dare il meglio. Quando mi sentivo bloccato o non al 100%, cercavo di capire cosa mi stesse trattenendo e, passo dopo passo, sono riuscito a elaborare queste sensazioni. Di questo sono molto orgoglioso.

Dopo aver scelto di mantenere un profilo più discreto nella tua carriera, quali valori o principi ti hanno guidato nelle tue scelte artistiche?

Dopo aver scelto di mantenere un profilo più discreto nella mia carriera, ho sempre seguito dei principi ben definiti nelle mie scelte artistiche. Il mio obiettivo principale è sempre stato quello di partecipare a progetti validi, con un certo livello di qualità. Fin dall’inizio, insieme al mio team, abbiamo cercato di impostare una direzione chiara, scegliendo con attenzione i progetti a cui aderire e decidendo di non propormi per certi tipi di lavori. Questo è stato importante per mantenere un certo livello di integrità artistica. Avendo iniziato in un modo particolare, anche se ero solo un bambino e non ancora un professionista, ho sempre voluto mantenere una certa coerenza nelle scelte. Ovviamente, non è facile replicare successi come quelli de “La vita è bella” o “Il gladiatore”, ma ci siamo concentrati sul non partecipare a prodotti che, diciamo, non riteniamo altrettanto validi dal punto di vista artistico. Per esempio, abbiamo deciso di evitare le fiction o le soap opera di un certo tipo, senza fare nomi, ma parliamo di quella televisione meno ricercata artisticamente. Abbiamo preferito investire maggiormente sul cinema e su progetti televisivi di un certo spessore. È stato possibile farlo soprattutto negli ultimi anni, con l’avvento delle piattaforme streaming, che hanno cambiato il modo di fare serialità, portando più investimenti e nuove storie da raccontare. Devo ammettere, però, che finora non ho ancora avuto la possibilità di lavorare in una serie TV, ma è una cosa che aspetto. In ogni caso, ho sempre cercato di aderire solo a progetti che mi appassionassero e che valorizzassero il mio lavoro. Solo una volta ho fatto un’eccezione, accettando un progetto esclusivamente per motivi economici, e me ne sono pentito. Non ti dirò di quale progetto si tratta, ma dopo quell’esperienza, ho deciso che non avrei mai più fatto qualcosa solo per soldi.

In che modo la recitazione e il teatro sono cambiati per te nel corso degli anni, e cosa cerchi oggi in un progetto che ti stimola a livello personale e professionale?

La mia visione della recitazione e del teatro è cambiata nel tempo, specialmente con la maturazione della mia consapevolezza come attore. Anche il mio approccio è diverso ora. Appena diplomato, mi sentivo un po’ come quando impari a guidare: all’inizio devi concentrarti su ogni piccolo movimento – inserire la prima, la seconda, gestire la frizione, il freno – ma con l’esperienza tutto diventa più fluido e automatico. Negli ultimi anni, ho notato con sorpresa come il mio modo di affrontare una sceneggiatura o un testo sia diventato più naturale, quasi automatico. C’è molto meno “lavoro” consapevole, molte cose arrivano spontaneamente, senza dovermi sforzare per capire il personaggio o il testo. Un’altra cosa che mi ha colpito è la facilità con cui oggi entro in un personaggio, rispetto al passato, e allo stesso tempo, la maggiore difficoltà nel lasciarlo andare. L’ultimo film che ho girato è stato particolarmente stimolante per me. Si tratta di una produzione in due lingue, italiano e inglese, girata tra Italia e Stati Uniti. Interpreto un soldato affetto da sindrome da stress post-traumatico, un personaggio che ha vissuto la guerra e che attraversa gli anni ’60 con una vita molto complessa. Nonostante la complessità del ruolo, sono riuscito a immergermi nel personaggio con facilità, ma ho avuto difficoltà a uscirne. Dopo la prima tranche di riprese, che continueranno tra settembre e ottobre in Friuli, ho impiegato almeno una settimana per liberarmi delle sensazioni intense del personaggio. Questo mi ha davvero sorpreso, anche se in passato avevo già notato qualcosa di simile, anche in ruoli meno intensi. Ho capito che posso entrare nei personaggi in modo molto profondo e naturale, senza troppo sforzo, soprattutto quando sento una certa affinità con loro. Se invece il personaggio è più distante da me, richiede un lavoro più approfondito. Onestamente, non sono ancora arrivato al punto della mia carriera in cui posso scegliere liberamente cosa fare o cosa non fare. Ahimè, non ci sono ancora, ma so che quel momento arriverà. Per ora mi candido a vari progetti, cercando ovviamente quelli che ritengo validi, ma spesso devo anche accettare ciò che arriva, senza poter fare una grande selezione. Naturalmente, devono essere progetti che abbiano un valore artistico e professionale, dove interpreto un personaggio che mi valorizza, e soprattutto che raccontino una storia degna di essere narrata, diretta da persone che sappiano il fatto loro. Purtroppo, mi è capitato di imbattermi in persone che volevano coinvolgermi in progetti che, alla fine, non erano all’altezza, perché fare un film, o anche solo un cortometraggio, non è facile. Serve esperienza, non solo mezzi produttivi, ma anche una visione artistica. Non è detto che tu debba per forza aver studiato nelle migliori scuole, ma devi avere una visione d’insieme e sapere come formare una squadra. Ogni singolo elemento deve avere la giusta esperienza per realizzare qualcosa di buono, perché il rischio di fare qualcosa di terribile è sempre dietro l’angolo. Quello che cerco, quindi, sono persone che sappiano valorizzarmi, che abbiano una storia interessante da raccontare e, se possibile, che portino una visione originale, fuori dagli schemi. Amo molto progetti che escono dal canone tradizionale, come il film di cui ti parlavo, “Il dottore dei pesci”, che ha un’atmosfera fiabesca in cui mi ritrovo particolarmente. Un sogno che ho da tempo è quello di interpretare un cattivo, un ruolo che non mi è mai stato offerto. Probabilmente perché non ho il classico “physique durôle” del cattivo: mi dicono sempre che ho gli occhi troppo buoni! Ma mi piacerebbe davvero, e sono convinto che lo farei bene, magari interpretando un personaggio che sembra buono, ma che poi rivela un lato oscuro e subdolo. In realtà, ho avuto un assaggio di questo tipo di ruolo a teatro, l’anno scorso, nello spettacolo Altrove, scritto e diretto da Agustina Risotto Interlandi. Interpretavo un giovane marito, premuroso all’apparenza, ma che si rivela un manipolatore calcolatore. La storia racconta di una giovane coppia forzata a convivere durante il lockdown, e con il tempo emergono i demoni della loro relazione. Mi piacerebbe molto interpretare di nuovo un personaggio così, qualcosa di completamente diverso rispetto a quello che ho fatto finora. Penso che sarebbe interessante, dato il mio volto “buono”, interpretare qualcuno che all’apparenza sembra innocuo, ma nasconde un lato oscuro. Sarebbe un contrasto davvero intrigante!

Ci potresti raccontare alcuni aneddoti divertenti accaduti con Benigni durante le riprese di “La vita è bella”?

Certo, posso raccontarti qualche aneddoto divertente su Benigni! Ricordo che durante le riprese, considerando che avevo solo cinque anni, non sempre il mio umore era adatto per girare. A volte, come ogni bambino, non ero nel mood giusto, e Roberto cercava sempre di farmi sorridere, di rilassarmi e mettermi a mio agio. C’era una cosa che faceva spesso e che mi faceva ridere un sacco. Mi diceva: “Giorgio, cosa c’è? C’è qualcuno che non ti piace? Lo mandiamo via. Quello là ti piace? Sì? E quello là? No? Allora tu, vai via!” E così scherzava, mandava via le persone per farmi ridere e calmarmi. Un’altra cosa simpatica riguarda il soprannome “Testa Dura”. Nel film, il personaggio di Guido mi chiama così, ma in realtà tutto nasce dalla realtà! Io sono sempre stato un po’ testardo, in senso buono (o cattivo, dipende!), e sia Roberto che sua moglie, Nicoletta Braschi, avevano iniziato a chiamarmi “Testa Dura” sul set, affettuosamente. E io, naturalmente, rispondevo con: “Ah sì? E tu sei Testa Durissima!” Alla fine, questa cosa è stata inserita anche nel film, il che è davvero carino. C’erano anche delle scene dove Roberto diceva: “Sì, fai così!” perché gli piaceva come mi comportavo in modo spontaneo. Alcune delle cose che facevo, senza rendermene conto, sono rimaste nel montaggio finale del film. È stato bello vedere come alcune mie piccole reazioni spontanee siano state mantenute. Purtroppo, non ho tantissimi altri aneddoti, perché ero davvero piccolo. I miei ricordi si mescolano un po’ con i racconti che ho sentito dai miei genitori, con quello che ho raccontato negli anni, e con i miei flashback. D’altronde, sono passati 27 anni, e tutto nella mia mente si confonde un po’ tra immaginazione, ricordi reali e costruiti. Ma quello che ti posso dire con certezza sono queste piccole cose che ricordo ancora con affetto.

Grazie infinite, Giorgio per questa intervista molto esauriente!

Grazie a te per avermi dato questa opportunità.

La storia di Giorgio Cantarini è quella di un artista che ha saputo coltivare la propria carriera con intelligenza e moderazione. Pur rimanendo indimenticabile per le sue prime interpretazioni, ha scelto di vivere la sua vita artistica con integrità, seguendo il proprio ritmo e mantenendo sempre viva la passione per la recitazione.

Il pubblico lo ricorderà per quei due ruoli che hanno segnato una generazione, ma ciò che lo distingue è il suo viaggio personale, un percorso di equilibrio tra il successo e la fedeltà a sé stesso.

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Interviste

Intervista ad Ivan Orrico, l’organizzatore della...

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È tutto pronto per la quinta edizione del Sila Film Festival, in scena dal 21 al 24 agosto 2024 nell’Anfiteatro Via Roma di Camigliatello Silano. Tanti gli ospiti previsti: da Gianmarco Tognazzi a Marco Leonardi, passando per Fabrizio Ferracane, Mirko Frezza, Tullio Sorrentino, Walter Lippa, Susy Del Giudice, insieme a Giovanni Esposito, Luca Calvetta, Heidrum Schleef, Pasquale Greco e Francesco Altomare. Un festival che, da sempre, promuove il territorio calabrese e le sue eccellenze, dando risalto anche ai film prodotti. Ne abbiamo parlato con Ivan Orrico, l’organizzatore dell’evento. Ecco cosa ci ha raccontato.

Ivan, mercoledì 21 agosto 2024 prenderà il via la quinta edizione del Sila Film Festival. Quali novità può raccontarci?

“In questa quinta edizione si sono ampliate le attività, oltre alle masterclass che saranno tenute dall’attore Giovanni Esposito e Walter Lippa ci saranno dei seminari importanti che riguarderanno la ricaduta del cinema sui territori, su come il FILM-INDUCED TOURISM può essere in grado di valorizzarli ed essere quindi una leva di sviluppo territoriale. Offre numerosi vantaggi e potenziali opportunità, in quanto può consentire di elevare non solo il livello culturale dei visitatori, ma anche quello eco- nomico e sociale delle collettività locali e quindi essere un’ottima strategia di marketing. Si riesce  così a valorizzare, accostandole al cinema, le tradizioni, la cultura  del posto. Infatti, noi sin dalla prima edizione, con Esperienze Silane e Le Strade del Cinema, abbiamo  portato avanti questa strategia di marketing territoriale facendo conoscere oltre alle eccellenze enogastronomiche anche quelle paesaggistiche, utilizzate in passato come set di importanti film del panorama nazionale ed internazionale.”.

Certo. Attraverso il cinema si promuove anche il territorio. Ed in fondo è questa la missione con la quale è nato il Sila Film Festival.

“Sì, è nato grazie alla passione per il cinema, per la cultura e per il proprio territorio che, ripeto, può dare tanto e ha dato tanto. Da calabrese, sono attaccato a questa terra e vorrei, appunto, che diventasse veramente, in toto, un set a cielo aperto. Cosa che, in parte, già è”. 

Il Sila Film Festival è arrivato alla quinta edizione. Si aspettava un così grande successo quando è partito? Immagino sperasse nel suo successo. Alla fine, è un evento che cresce di anno in anno.

“Noi iniziammo la prima edizione nel 2020, durante la pandemia. Era un periodo difficile. Nonostante tutto siamo riusciti a partire nonostante la situazione drammatica. Mi ricordo un aneddoto particolare. Il patron del Festival di Prato, Romeo Conte, purtroppo non più fra noi, a cui chiesi il gemellaggio mi disse: ‘Tu sei un pazzo, tu sei un folle. Iniziare in questo periodo, dove è tutto fermo. Proprio per la tua pazzia io ci sono, sono con te, perché il cinema è vivo, e ora più che mai ha bisogno di gente come noi, non bisogna mollare!’. Quella sua risposta mi riempì il cuore di gioia e mi diede ancor più forza! Quella forza e determinazione che oggi mi hanno permesso di essere qui alla quinta edizione. E a tal proposito quest’anno renderemo omaggio a Romeo Conte, un grande uomo, un grande maestro, un appassionato che ha vissuto per il cinema e che ha fatto innamorare di questo meraviglioso mondo chiunque gli si avvicinasse. In effetti il cinema è vita. Il cinema è terapia e può guarire ogni cosa . Può riportare l’equilibrio perduto, può smuovere gli animi e le coscienze di ognuno. Sto notando che col tempo la gente sta iniziando a capire l’importanza di questa ‘Fabbrica del Sogno’. Alla quinta edizione, ancor più strutturata, abbiamo un numero di ospiti sempre più importante. Quest’anno saranno con noi  Gianmarco Tognazzi, Marco Leonardi, Giovanni Esposito, Fabrizio Ferracane . La famiglia del Sila Film Festival si allarga  e sono entusiasta degli attori che ogni anno ne entrano a far parte. Vogliono venire perché, come ben sa, questo ambiente è fatto anche di passaparola. L’orgoglio più grande è sentirsi dire dai nostri ospiti che al Sila Film Festival si sentono a casa e che il loro desiderio è tornare anche nei prossimi anni perché da noi ‘si Respira aria di Cinema’”.

Certamente. Questo è un grande orgoglio perché significa che gli viene riconosciuta qualità e questo è un ulteriore riconoscimento, vero ?

“Assolutamente. Parliamo di un festival che è nato in maniera del tutto indipendente. La passione che ci muove unita alla professionalità è la ricetta che porta questi risultati e fa sì che un format del genere possa avere i riconoscimenti che merita”.

Ho visto che tra i film in proiezione c’è anche Kne – I Kustodi di Napoli Est, che ha diretto. Anche questo film le ha dato e le sta ancora dando molte soddisfazioni.

“Assolutamente sì. Siamo riusciti ad arrivare ottavi in Italia su Prime Video di Amazon. Ci emoziona e inorgoglisce perché non te lo aspetti ma è la prova che, nonostante le innumerevoli  difficoltà, con tanti sacrifici si ottengono i risultati. Nella vita, sa, contano i fatti e questo è la prova  che il tempo e l’impegno danno buoni frutti. Arrivare nella Top10 di Prime Video vicino a colossi, come Sergio Castellitto con il film Enea, è un risultato che mi riempie di gioia .

Tra l’altro Kne è un lavoro indipendente e, rispetto ad Enea,  aveva una distribuzione sicuramente meno ampia.

“Sicuramente i budget utilizzati sia per la realizzazione che per la distribuzione sono stati differenti di gran lunga ma questo non ci ha fatto desistere un minuto, perché sognare e far sognare è proprio una componente fondamentale del cinema. Noi ci abbiamo creduto e ce l’abbiamo fatta! Deve considerare che il pubblico è sovrano e ci ha preferito”.

All’interno del Sila Film Festival ci sono diverse categorie di premiazioni. Quali sono i criteri che seguite per premiare un cortometraggio ?

“Abbiamo  una giuria specifica per ogni categoria di cortometraggi. Per la valutazione di ogni corto si tiene conto di fondamentali elementi partendo dalla qualità del soggetto e della sceneggiatura, della  tematica quindi trattata, della  fotografia, della regia e della recitazione degli attori coinvolti fino alle musiche e al montaggio. Il punteggio più alto si raggiunge ottenendo il massimo ed il corretto equilibrio di queste componenti”.  

L’attenzione alle tematiche sociali è importante quando si parla del Sila Film Festival.

“Proprio così. Noi diamo molto spazio e siamo molto sensibili alle tematiche sociali più importanti. Ogni anno in gara, abbiamo veramente dei bei corti. Mi riempie il cuore di gioia quando mi rapporto con dei giovani talenti che pensano comunque a queste tematiche sociali, che magari vengono ignorate dalla maggior parte della popolazione, presa dai social, dalla mondanità e da questo mondo che comunque guarda tutt’altro. Vedere progetti  che toccano tematiche come quella dell’abbandono degli anziani, della depressione e della disabilità mi fa capire che ancora abbiamo una grande speranza di poter ritornare sulla retta via, perché in questo mondo purtroppo non si capisce più qual è veramente l’equilibrio”.

Viviamo in un modo allo sbando, privo di valori.

“In un mondo dove i valori si stanno perdendo, noi diamo spazio a cortometraggi che sono portatori di messaggi positivi. Oggi è valoroso chi riesce a portare avanti i valori. Se ci pensa, è difficile trovare un ragazzo coraggioso che non si uniforma alla massa. Il  cinema deve servire a questo: a riportare sulla retta via, a riportare l’ordine e l’equilibrio nelle menti. Deve scuotere le coscienze”.

Un’ultima domanda. Ha qualcos’altro da aggiungere rispetto a quello che ci siamo detti finora?

“Vorrei esortare i giovani e le persone in generale a concretizzare i propri sogni. Alla fine, tutto si può realizzare, l’importante è crederci, andare avanti ogni giorno determinati. Tuttavia, non vorrei che determinate attività come quella del cinema – che oggigiorno vedo sempre più essere gettonata – diventassero alla mercè di ognuno. Il cinema deve essere fatto da persone che, oltre alla passione devono avere la giusta competenza perché non ci si può improvvisare.  Vorrei che questo un attimino venga ridimensionato, che si dia il giusto valore alle persone e alle cose. La settima  arte non deve essere bistrattata ed i suoi protagonisti devono amarla e rispettarla“.

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