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Natalità e infertilità, nel mondo della PMA con il professor Antonio Pellicer

Parlare con cognizione di causa di natalità e denatalità, un trend che incide sul nostro saldo demografico in maniera sempre più evidente, vuol dire affrontare il tema della fertilità e dell’infertilità con un approccio che consenta di mettere insieme la prevenzione, la sensibilizzazione e la ricerca di soluzioni mirate per ogni esigenza, con il rigore scientifico. Demografica, il progetto dell’Adnkronos che da più di un anno si occupa di questi temi, lo farà nei prossimi mesi con il contributo di un interlocutore autorevole, il professor Antonio Pellicer.

Ricerca e racconto

L’obiettivo è mettere a disposizione dei nostri lettori la lunga esperienza del fondatore dell’Istituto Valenciano di Infertilità (IVI), che ha contribuito in modo significativo alla ricerca e allo sviluppo della medicina riproduttiva mondiale, per comprendere quali sono le opportunità di un comportamento consapevole e quali sono i rischi, al contrario, di sottovalutare la necessità di conoscere un contesto in costante trasformazione. Protagonista è la ricerca. Secondo due direttici che indica lo stesso professor Pellicer: svilupparla in maniera strutturata per produrre avanguardia nella medicina riproduttiva e offrire i migliori risultati clinici ai pazienti.

I temi principali

La denatalità e le sue conseguenze per le prospettive demografiche sono il macro-tema che farà da sfondo agli approfondimenti e alle analisi del professor Pellicer. Partendo dalle tecniche, lo sviluppo e i prossimi traguardi della procreazione medicalmente assistita. Passando dalle interazioni e le distanze fra il contesto internazionale e la realtà italiana. E arrivando agli aspetti, culturali e scientifici, legati alla prevenzione e alle implicazioni, presenti e future, dell’ovodonazione. Un appuntamento mensile, per un viaggio che si avvale di una guida in grado di stimolare un’informazione rigorosa e puntuale, ma anche accessibile e capace di raggiungere un pubblico largo.

Chi è Antonio Pellicer

Il Prof. Pellicer ha fondato l’Istituto Valenciano di Infertilità (IVI) nel 1990, prima istituzione medica in Spagna interamente specializzata nella riproduzione umana, e il suo lavoro nel campo della riproduzione ha condotto alla creazione delle cliniche IVI sia in Spagna che in altri paesi, Italia inclusa. Dal 2020 al 2023 ha rivestito il ruolo di CEO di IVIRMA Global e dal 2023 svolge la funzione di

Executive Chair IVIRMA Global. A partire dal 1999 è stato titolare della cattedra di Ostetricia e Ginecologia all’Università di Valencia e, tra il 2006 e il 2012, è stato Decano della Facoltà di Medicina di Valencia, Spagna. Ha rivestito, inoltre, il ruolo di Primario del reparto di Ostetricia e Ginecologia dell’Ospedale Universitario La Fe, dal 2009 fino al 2016.

È membro della ESHRE (European Society of Human Reproduction and Embryology) oltre che della International Federation of Fertility Societies. È stato presidente della Società Spagnola di Fertilità negli anni 1994-1996 e, dal 2014, è consigliere della Commissione Nazionale per la Procreazione umana medicalmente assistita. È autore di più di 300 capitoli di libri e più di 900 articoli pubblicati su riviste nazionali e internazionali; ha presentato circa 600 conferenze e più di 1400 relazioni in tutto il mondo e ha organizzato più di 100 congressi.

Dal 2011 al 2021 è stato co-editor e responsabile della rivista ‘Fertility & Sterility’ ed è membro dei consigli editoriali di varie società scientifiche. Tra il 2019 e il 2020 ha vinto il premio per il miglior articolo nella “Rivista internazionale di Andrologia” dal titolo “Current state regarding fertility cryopreservation in pre-pubertal boys”. Nel 2022 gli è stato riconosciuto il Dottorato onorario all’Università Europea di Valencia.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Settimana dell’Allattamento: l’importanza di un sano inizio...

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Dall’1 al 7 ottobre si celebra la Settimana mondiale per l’Allattamento, un’occasione per sensibilizzare sull’importanza di questa pratica naturale e fondamentale per la salute dei neonati. Promossa da diverse organizzazioni internazionali, tra cui l’Unicef, l’Oms e il Movimento Allattamento Materno Italiano (Mami), la settimana si propone di diffondere una cultura che supporti l’allattamento come prima scelta per l’alimentazione neonatale.

L’allattamento al seno non solo fornisce tutti i nutrienti necessari al neonato, ma rappresenta anche un fattore determinante per il suo sviluppo fisico e psicologico. Infatti, migliorare i tassi di allattamento esclusivo potrebbe salvare più di 820.000 vite all’anno a livello globale.

La campagna di quest’anno, intitolata “Stop alle disuguaglianze: sostegno a 360 gradi“, richiama l’attenzione sulla necessità di offrire supporto universale alle famiglie, indipendentemente dal tipo di alimentazione scelto.

I benefici dell’allattamento

Negli ultimi 12 anni, il numero di bambini allattati esclusivamente al seno nei primi sei mesi di vita è aumentato del 10% a livello mondiale, con il 48% dei neonati che beneficia di questo sano inizio. In Italia, solo nel 2023, circa 54.000 neonati sono nati in territori dove ospedali e comunità sono stati riconosciuti dall’Unicef come “Amici delle Bambine e dei Bambini”, dimostrando l’efficacia di politiche di sostegno dedicate.

L’allattamento al seno fornisce protezione contro numerose malattie, come infezioni gastrointestinali, malattie respiratorie e obesità. Inoltre, secondo vari studi, aiuta a creare un forte legame tra madre e bambino, grazie anche all’azione dell’ossitocina, l’ormone che favorisce la lattazione e il contatto pelle a pelle.

Le raccomandazioni per un allattamento efficace

Per garantire un allattamento al seno corretto e senza complicazioni, la Società Italiana per la Care in Perinatologia (Aicip) ha stilato dieci raccomandazioni fondamentali:
1. Contatto pelle a pelle: Fondamentale sin dai primi istanti dopo il parto, questo stimola il riflesso di suzione del neonato e la produzione di ossitocina nella madre, facilitando l’inizio dell’allattamento.
2. Attacco corretto: Un neonato che si attacca correttamente al seno facilita un allattamento efficace e senza dolore.
3. Allattare a richiesta: Si consiglia di seguire i segnali di fame del neonato, allattandolo tra le 8 e le 12 volte al giorno nelle prime settimane.
4. Rooming-in: Tenere il neonato vicino alla madre 24 ore su 24, anche in ospedale, facilita il riconoscimento dei segnali di fame.
5. Offrire entrambi i seni: Favorisce una produzione di latte bilanciata.
6. Evita succhiotti e biberon nei primi giorni: Potrebbero confondere il neonato nella suzione.
7. Supporto adeguato dopo un cesareo: Le madri che hanno subito un cesareo potrebbero avere più difficoltà nella produzione di latte, per cui necessitano di maggior supporto.
8. Posizioni adeguate: Varie posizioni di allattamento possono migliorare il comfort e prevenire problemi come ragadi al seno.
9. Fiducia nei propri mezzi: L’allattamento può essere un percorso difficile, ma con il giusto supporto la maggior parte delle madri può riuscire.
10. Supporto post-dimissione: Un monitoraggio continuo da parte di personale specializzato può prevenire problemi e assicurare il successo dell’allattamento.

Le iniziative dell’Unicef

Nel contesto della Settimana per l’Allattamento, l’Unicef Italia ha lanciato due nuove pubblicazioni per sostenere famiglie e operatori sanitari: “Cosa devo sapere sul Codice – Una guida all’implementazione e rispetto del Codice e all’identificazione delle violazioni” e “Commercializzazione dei sostituti del latte materno. Rapporto 2024”. Questi testi offrono informazioni chiare sulle pratiche corrette di alimentazione e promuovono il rispetto del Codice Internazionale sulla Commercializzazione dei Sostituti del Latte Materno, un insieme di regole volto a proteggere le famiglie dalle pressioni commerciali delle aziende produttrici di latte artificiale.

Le iniziative Unicef si inseriscono nel più ampio programma “Insieme per l’Allattamento”, che coinvolge 35 ospedali, 10 comunità e oltre 1.000 Baby Pit Stop, spazi pubblici dove i genitori possono fermarsi per allattare o cambiare il pannolino ai loro bambini. Queste strutture promuovono pratiche sicure per l’allattamento e offrono supporto anche a quelle madri che scelgono di non allattare, garantendo cure appropriate per tutti i neonati.

Una responsabilità condivisa

Secondo l’Unicef, l’allattamento è una responsabilità collettiva che coinvolge famiglie, operatori sanitari, politici e la società intera. Quando le donne ricevono il giusto sostegno, hanno il doppio delle probabilità di allattare con successo. È essenziale creare un ambiente di supporto che tuteli l’allattamento e offra cure adeguate, riconoscendo che ogni famiglia ha le proprie esigenze e deve poter fare scelte consapevoli.

In conclusione, la Settimana per l’Allattamento rappresenta un’importante occasione per riflettere sull’importanza dell’allattamento al seno e sul ruolo che ogni membro della società può svolgere nel supportare le famiglie in questo percorso cruciale per la salute e il benessere dei più piccoli.

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L’aspettativa di vita (in salute) nell’Ue: la sfida della...

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Quanto a lungo e in salute vivono i cittadini dell’Unione europea? Secondo gli ultimi dati Eurostat, nel 2022, i cittadini dell’Ue hanno vissuto una media di circa 62,6 anni in buona salute. Tuttavia, dai dati emerge una domanda: gli anni aggiuntivi che guadagniamo col tempo grazie alla maggiore longevità, a sistemi medici sempre più avanzati e ad un miglioramento delle condizioni generali di vita sono vissuti in salute o con limitazioni? Scopriamolo insieme.

Aspettativa di vita e anni di buona salute

In media, dal report Eurostat emerge che le donne nell’Ue godono di un’aspettativa di vita di 83,3 anni, mentre per gli uomini si ferma a 77,9 anni: un divario di 5,4 anni. Tuttavia, la differenza si riduce drasticamente quando si considerano gli anni vissuti in buona salute: le donne trascorrono circa 62,8 anni senza disabilità o limitazioni al regolare svolgimento delle attività quotidiane, rispetto ai 62,4 anni degli uomini, con un divario di appena 0,4 anni.

“Questo significa che gli uomini tendono a trascorrere una percentuale maggiore della loro vita totale (80,1%) in buona salute rispetto alle donne (75,4%), che spesso vivono più a lungo ma con un maggior numero di anni caratterizzati da limitazioni fisiche o mentali”, si legge nel report.

Differenze tra i paesi dell’Ue

Ma dove si vive di più e meglio? Esistono notevoli variazioni nella qualità della vita in salute tra i diversi Stati membri. Nel 2022, Malta ha registrato il maggior numero di anni di vita in buona salute alla nascita sia per le donne (70,3 anni) sia per gli uomini (70,1 anni), seguita da Svezia e Italia per gli uomini e da Bulgaria e Slovenia per le donne.

All’estremo opposto, Danimarca e Lettonia hanno registrato i numeri più bassi, rispettivamente 54,6 anni e 55,4 anni per le donne, e 53,0 anni e 56,6 anni per gli uomini.

Le differenze sono evidenti anche nella proporzione di vita vissuta senza limitazioni: in Bulgaria, una donna può aspettarsi di trascorrere l’88,5% della sua vita in buona salute, contro il 65,7% di una donna in Danimarca. Per gli uomini, la differenza è altrettanto marcata: in Bulgaria un uomo può aspettarsi di vivere il 91,4% della sua vita senza limitazioni, contro il 71,8% in Danimarca.

In Italia, nel 2022, le donne, invece, possono aspettarsi di vivere 66,8 anni in buona salute, mentre gli uomini 63,4 anni. Questi dati posizionano l’Italia tra i Paesi con risultati sanitari favorevoli nell’Ue, nonostante un divario di genere di 3,4 anni a favore delle donne. Questo riflette l’efficacia delle politiche sanitarie italiane e contribuisce al benessere generale della popolazione, evidenziando un contesto di vita relativamente lungo e sano. Il dato, però, va contestualizzato in un sistema sanitario che, con l’aumento della denatalità, l’aumento della richiesta di supporto alla longevità, un numero sempre più inferiore di dipendenti col passare degli anni e con una carenza di fondi sostanziosi e dedicati, rischia il collasso.

Anni di vita sana a 65 anni

Guardando agli anni di vita sana a partire dai 65 anni, la tendenza si conferma. Le donne superano gli uomini in 19 Paesi dell’Unione, ma in alcune nazioni sono gli uomini a godere di più anni di vita in buona salute. Ad esempio, in Portogallo, gli uomini di 65 anni possono aspettarsi di vivere 1,3 anni in più senza disabilità rispetto alle donne, mentre in paesi come Bulgaria, Slovenia e Francia, le donne godono di 1,5-1,7 anni in più rispetto agli uomini.

Salute e longevità: la sfida demografica

Sebbene l’aspettativa di vita sia aumentata significativamente grazie ai miglioramenti nella sanità, nello stile di vita e nell’istruzione, il vero interrogativo oggi riguarda la qualità della vita nelle fasi avanzate.

L’aspettativa di vita non riflette infatti appieno le condizioni di salute. Gli indicatori di anni di vita in buona salute aiutano a comprendere meglio quanto tempo le persone vivono libere da limitazioni di malattie croniche o disabilità, che tendono a colpire soprattutto in età avanzata.

Per questi motivi, il miglioramento della qualità della vita in età avanzata è una priorità per l’Ue, che ha adottato diverse iniziative per promuovere l’invecchiamento attivo e sano. Tra queste, il programma Active and Assisted Living (Aal) e la strategia per i diritti delle persone con disabilità 2021-2030, che mira a garantire la piena inclusione sociale e economica.

A livello politico, aumentare gli anni di vita in buona salute non significa solo migliorare la vita degli individui, ma anche ridurre la spesa sanitaria e incentivare la partecipazione alla forza lavoro. Se gli anni di vita in buona salute crescono più velocemente dell’aspettativa di vita, i benefici sono doppi: non solo viviamo più a lungo, ma viviamo anche meglio.

I dati sull’aspettativa di vita e sugli anni di vita in buona salute mostrano che, sebbene l’Europa stia vivendo un’epoca di longevità senza precedenti, esistono ancora grandi disparità tra i Paesi e tra i sessi nella qualità della vita in età avanzata. Gli sforzi dell’Ue sono mirati a colmare queste lacune.

Proprio negli scorsi giorni, il think tank Bruegel ha presentato in Commissione Ue un report per analizzare le conseguenze: l’Europa affronta una grave sfida demografica, con una prevista riduzione della popolazione da 451 milioni nel 2022 a 406 milioni entro il 2050, e un calo significativo della forza lavoro. L’Italia è tra i Paesi più colpiti, con una proiezione di diminuzione della popolazione tra il 15% e il 18%.

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Il Papa e i medici ‘sicari’ che fanno aborti, quanti sono...

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Nel corso di un volo di ritorno da Bruxelles a Roma, Papa Francesco ha definito “sicari” i medici che praticano l’interruzione di gravidanza. Parlando con i giornalisti presenti sull’aereo, (ormai un must dei viaggi internazionali di Bergoglio) il Pontefice ha ribadito la sua posizione, già nota, contro l’aborto.

Questa volta, però, le parole scelte da Papa Francesco sono state particolarmente forti nei confronti dei medici che praticano l’aborto.

Poche ore prima, in Belgio, Bergoglio aveva visitato la tomba del Re Baldovino, sovrano cattolico che nel 1992 abdicò per 36 ore per non firmare la legge sulla legalizzazione dell’aborto.
Il Pontefice ha chiesto di guardare al suo esempio in un momento in cui si fanno strada “leggi criminali”. Parole che ricordano quelle pronunciate a inizio mese in Indonesia, dove aveva definito “una legge di morte”, quella volta a limitare la nascita di nuove persone.

Se in queste ore l’elogio è stato rivolto al Re Baldovino per la sua posizione anti aborto, in quella occasione Bergoglio ha elogiato l’Indonesia perché fa famiglie di tre, quattro, cinque figli a differenza di Paesi come l’Italia dove “le famiglie preferiscono avere cagnolini e gattini al posto dei figli”

Parlando del sovrano belga, Papa Francesco ha elogiato il coraggio di Baldovino, definendolo un “politico con i pantaloni”. Nonostante il Re non sia ancora ufficialmente santo, il processo di beatificazione è in corso, e Bergoglio si auspica che proceda velocemente. Per lui, la figura di Baldovino è diventata l’esempio di come un leader politico possa opporsi a leggi che considerano l’aborto come un diritto, considerandolo invece come un omicidio.

Papa Francesco contro i medici che praticano l’aborto: cosa ha detto

Alla domanda su come conciliare il diritto alla vita con quello della donna a non soffrire, il Papa ha ribadito una posizione netta: “Un aborto è un omicidio”. Ha inoltre citato la scienza, affermando che già “al mese del concepimento tutti gli organi sono completi”. Partendo da queste riflessioni, Papa Francesco ha definito “sicari” i medici che praticano l’interruzione volontaria di gravidanza. Parole forti che hanno provocato la reazione di alcune organizzazioni per i diritti delle donne e delle associazioni pro-choice.

Papa Francesco ha poi precisato che le sue dichiarazioni non si riferivano alla contraccezione, che ha definito “un’altra cosa”, ma si è limitato a parlare dell’aborto, ribadendo che “su questo non si può discutere”.

Quanti ginecologi obiettori in Italia ci sono in Italia?

Le parole del Papa e le critiche nei suoi confronti sono l’emblema delle posizioni polarizzate nel dibattito sull’aborto, molto accesso in Italia. Nel nostro Paese, la questione non è solo di natura etica, ma anche pratica.

Una delle principali difficoltà che le donne incontrano nell’accedere all’interruzione di gravidanza è il numero elevato di medici che si avvalgono dell’obiezione di coscienza. A marzo il dibattito si era acceso sia nella società civile che nella politica soprattutto dopo le parole della ministra Roccella secondo cui in Italia sarebbe “molto più difficile trovare un ospedale dove partorire piuttosto che un ospedale dove abortire”. Parole a cui la deputata Cinque stelle Gilda Sportiello aveva risposto dagli scranni del Parlamento ricordano che “la maternità non deve essere l’unica scelta per le donne”.

Sugli obiettori di coscienza, la ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari Opportunità, aveva aggiunto che: “Il carico di lavoro per i non obiettori, cioè per chi materialmente esegue l’interruzione volontaria di gravidanza, è di meno di un aborto a settimana, lo 0,9%. Quindi non c’è questo carico di lavoro che evidentemente crea un problema sull’obiezione di coscienza”.

In completo disaccordo l’onorevole Sportiello. “Lei lo sa quanti sono i medici obiettori di coscienza? A me risulta che se una donna va in Veneto per partorire trova che il 71% degli operatori sanitari è obiettore di coscienza, se va in Abruzzo e in altre regioni trova più dell’80% di medici obiettori che, magari, le negano di abortire”.

In base alla Relazione annuale del Ministero della Salute del 2022, nel 2020, il 64,6% dei ginecologi italiani si dichiara obiettore, cioè rifiuta di eseguire aborti per motivi di coscienza. Questo dato si alza drammaticamente in alcune regioni, come il Molise, dove oltre l’80% dei ginecologi sono obiettori, rendendo quasi impossibile ottenere un aborto in strutture pubbliche.

La percentuale più alta si trova nella provincia autonoma di Bolzano, dove, nel 2020, era obiettore l’84,5% dei ginecologi, un numero che rende praticamente impossibile l’applicazione della legge sull’aborto all’interno del servizio sanitario locale. Anche nella regione Lazio, che include Roma, circa il 78% dei ginecologi sono obiettori, secondo i dati del Ministero della Salute.

Nelle regioni del Sud Italia, come la Campania e la Basilicata, la percentuale di medici obiettori supera il 70%, creando disuguaglianze territoriali enormi nell’accesso a un servizio garantito dalla legge 194 del 1978. Questa legge assicura il diritto all’aborto nelle prime dodici settimane di gestazione, ma, nella pratica, l’elevato numero di obiettori di coscienza rende difficile l’applicazione della norma. Secondo l’Istat, circa 67.000 interruzioni volontarie di gravidanza sono state effettuate in Italia nel 2021, ma le difficoltà logistiche create dall’obiezione di coscienza sono un problema sempre più grave.

Alcuni ospedali italiani, specialmente in piccole città, non hanno ginecologi disponibili a eseguire aborti, costringendo le donne a spostarsi in altre regioni o a cercare alternative private, che spesso comportano costi elevati.

Le conseguenze dell’obiezione di coscienza: un sistema sotto pressione

Le implicazioni dell’obiezione di coscienza sono molteplici e complesse. Da un lato, la legge italiana tutela il diritto dei medici di non praticare aborti se questo va contro le loro convinzioni etiche o religiose. Dall’altro, però, la legge prevede anche che gli ospedali pubblici debbano garantire il servizio, un compito che diventa sempre più arduo da rispettare, specialmente in quelle regioni dove la maggioranza del personale medico è obiettore.

Secondo un’indagine condotta dall’Associazione Luca Coscioni, in alcune regioni d’Italia, la carenza di medici non obiettori costringe le donne a tempi di attesa più lunghi, che possono spingerle oltre il limite legale di dodici settimane per l’interruzione volontaria di gravidanza. Questo crea una situazione di “aborto clandestino”, in cui le donne cercano soluzioni non sicure o si recano all’estero per ottenere il servizio.

Non mancano i tentativi di risolvere la questione. Alcuni attivisti e parlamentari hanno proposto di garantire un numero minimo di medici non obiettori in ogni ospedale, ma tali misure sono state oggetto di forte opposizione, sia politica che religiosa. Le discussioni continuano, ma al momento non sembra esserci una soluzione concreta all’orizzonte.

Le dichiarazioni di Papa Francesco hanno innescato un acceso dibattito, che riflette l’attuale polarizzazione delle opinioni sull’aborto in Italia e nel mondo. Le associazioni cattoliche hanno espresso sostegno al Pontefice, lodandolo per aver difeso il diritto alla vita “senza compromessi”. Le organizzazioni pro-choice e molte associazioni per i diritti delle donne hanno invece criticato il linguaggio usato dal Papa, eccessivamente offensivo e aggressivo.

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