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Allarme Virus Marburg, ora è in Europa: caso isolato alla stazione di Amburgo

Sintomi in un 26enne arrivato dal Ruanda. Il pericoloso virus nel Paese africano ha già all'attivo 26 casi confermati e 8 morti

Passeggeri alla stazione di Amburgo - Fotogramma

Una banchina della stazione centrale di Amburgo, in Germania, isolata per diverse ore, squadre di polizia e vigili del fuoco sul campo, binario chiuso fino a fine operazioni. L'intervento è scattato a seguito di un allarme Marburg. Il virus è sotto i riflettori internazionali da un paio di giorni, poiché - come segnalato dall'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) - a fine settembre il Ruanda ha segnalato il suo primo focolaio ed è alle prese con il contenimento della malattia. Ed è proprio per un passeggero proveniente dal Paese africano che ha sviluppato sintomi in viaggio che, secondo le notizie riportate dai media, sono partiti i controlli ad Amburgo.

Il timore era che la persona, un 26enne studente di Medicina, potesse essere portatore del pericoloso virus che in Ruanda ha già all'attivo 26 casi confermati e 8 morti, secondo il bilancio aggiornato a qualche giorno fa. Il 70% dei pazienti intercettati in Ruanda sono operatori sanitari di due strutture sanitarie a Kigali. E, come riportato da un portavoce dei vigili del fuoco alla 'Bild', sembra che il ragazzo che ha sviluppato, insieme alla sua fidanzata, sintomi simili all'influenza su un treno ad alta velocità proveniente da Francoforte avesse assistito in Ruanda un paziente che aveva sviluppato una malattia infettiva. Non ci sono molti dettagli, ma la coppia era arrivata a Francoforte in aereo dal Paese africano. La squadra di polizia e vigili del fuoco intervenuta ha portato i due in una clinica specialistica.

In Ruanda, dopo la scoperta del focolaio, è in corso il tracciamento dei contatti dei casi, circa 300 sono in fase di follow-up. Il timore è che possa esserci un'ulteriore diffusione di un'infezione seria come questa.

Cosa provoca il virus e come difendersi

La malattia da virus di Marburg è altamente virulenta, può causare una febbre emorragica ed è clinicamente simile a patologie come Ebola. Attualmente non è disponibile alcun trattamento o vaccino. "Ecco perché - evidenziava l'Oms nell'alert sui casi in Ruanda - è importante che le persone che mostrano sintomi cerchino cure tempestive per un trattamento di supporto che possa migliorare la loro sopravvivenza". L'Oms al momento valuta il rischio di questa epidemia come "molto alto a livello nazionale, alto a livello regionale e basso a livello globale".

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Esteri

Israele, Libano: “Nasrallah aveva accettato la tregua...

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Lo rivela il ministro degli Esteri: "Avevamo informato americani e francesi". Proseguono oggi i raid su Beirut: 6 morti in un bombardamento su un palazzo del centro. Media: nella notte raid israeliano in Siria

Ritratto di Nasrallah nelle vie di Beirut

Il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah - pochi giorni prima di essere ucciso in un raid israeliano, venerdì scorso, a Beirut - aveva accettato una tregua di 21 giorni con Israele. Lo ha detto alla Cnn il ministro degli Esteri libanese, Abdallah Bou Habib. "Era d'accordo", ha detto il ministro a Christiane Amanpour.

"Il Libano aveva accettato un cessate il fuoco, ma consultandosi con Hezbollah. Il capo del Parlamento, Nabih Berri, si era consultato con Hezbollah e avevamo informato americani e francesi", ha raccontato il ministro.

Domani i funerali di Nasrallah

Sarebbe intanto prevista per domani, 4 ottobre, la cerimonia per l'ultimo saluto a Nasrallah. Lo riferisce l'agenzia ufficiale iraniana Irna, che cita informazioni arrivate dall'Iraq tramite 'Sabereen News'. Nessun dettaglio sul funerale, né sul luogo di sepoltura di Nasrallah.

Sabato scorso fonti della sicurezza libanese hanno confermato che il corpo di Nasrallah è stato recuperato intatto dal luogo del raid nella periferia sud della capitale libanese, storica roccaforte del gruppo sciita. Poi hanno iniziato a rincorrersi voci, mai confermate da Hezbollah, sul funerale di Nasrallah.

La proposta di pace del premier libanese

"Il governo libanese è pronto a schierare il suo esercito a Sud del fiume Litani, dopo il cessate il fuoco, per applicare la risoluzione 1701 dell’Onu. Hezbollah è d’accordo e la comunità internazionale ci aiuta. Dobbiamo scegliere questa strada, invece della guerra, per raggiungere i rispettivi obiettivi senza spargere altro sangue". Lo ha detto il premier libanese Najib Mikati durante una conversazione moderata da Edward Gabriel, presidente dell’American Task Force on Lebanon, pubblicata su La Repubblica. Mikati chiede agli americani di essere "equi" di guardare "chi sta violando le norme internazionali" e di sostenere "il cessate il fuoco immediato".

"Durante l’Assemblea generale dell’Onu abbiamo incontrato a New York i Paesi che sostengono la tregua di 21 giorni proposta dagli Usa - ha detto - Noi l’abbiamo accettata. La risoluzione 1701 è stata violata da Israele ogni giorno, ma se siamo preoccupati per l’esplosione di una guerra regionale applicarla ora è nell’interesse di tutti". "Ho incontrato lo speaker della Camera Nabih Berri, e mi ha detto che la proposta della Casa Bianca è stata accettata da Hezbollah", ha affermato. E ha aggiunto: se l’obiettivo di Israele "è far tornare i cittadini israeliani alle loro case in sicurezza, e possiamo raggiungerlo pacificamente attraverso la diplomazia, perché scegliere invece l’opzione della guerra e del bagno di sangue?".

Mikati ha raccontato di aver chiarito a Berri che "bisogna garantire l’efficienza dello Stato per assistere tutti i cittadini, soprattutto ora che ci sono molti profughi", e che "per applicare la risoluzione 1701 è indispensabile schierare l’esercito al Sud". "Terzo - ha insistito - questo è il momento di eleggere un presidente accettato da tutte le parti". In una recente riunione con i donatori sono stati chiesti 427 milioni di dollari. "Si sono impegnati a fornirne 200, con la massima trasparenza e sotto il controllo dell’Onu - ha affermato il premeir - Ora però dobbiamo reclutare ed equipaggiare le forze armate, per poterle schierare al Sud. Abbiamo mobilitato 1.500 soldati, dobbiamo arrivare almeno a diecimila".

Raid su Beirut: 6 morti e 7 feriti

Intanto stanno continuando i raid israeliani su Beirut. E' di almeno sei morti e sette feriti l'ultimo bilancio del bombardamento aereo che ha colpito alle prime ore di oggi un palazzo nel centro di Beirut. Lo riportano i media libanesi. Israele ha confermato un raid mirato nella capitale libanese. Colpito un edificio nella zona di Bachoura, non lontano dal Parlamento. Il palazzo ospitava una struttura sanitaria affiliata a Hezbollah, riporta la Bbc, precisando che ci sono stati raid aerei nella notte anche contro obiettivi nella zona di Dahiyeh, nella periferia sud di Beirut.

Israele: 2 droni e 25 razzi lanciati dal Libano contro il nord

Un drone lanciato dal Libano è stato intercettato al largo delle coste della città di Nahariya, nel nord di Israele, rendono noto le forze israeliane (Idf). Un altro drone è finito in un'area aperta, senza fare vittime. Le Idf segnalano anche il lancio di circa 25 razzi dal Libano in direzione di Israele, alcuni dei quali sono stati intercettati.

Ucciso a Gaza autore del linciaggio di Ramallah

E la guerra continua anche nella Striscia di Gaza. E' stato ucciso in un raid aereo nel centro della Striscia Aziz Salha, uno degli autori del linciaggio di due riservisti israeliani a Ramallah nel 2000. Lo riferisce il Jerusalem Post che rilancia notizie della radio militare sulla base di informazioni diffuse da media palestinesi.

Salha, la cui immagine con le mani sporche di sangue fece il giro del mondo, era stato scarcerato nel 2011 ed era tornato a Gaza nell'ambito dell'accordo per la liberazione del soldato israeliano Gilad Shalit, ricorda il Times of Israel.

Incursione di Israele in Siria

Le forze israeliane (Idf) avrebbero effettuato nella notte un raid nei pressi della città siriana di Latakia. E' quanto si legge sul Times of Israel che rilancia notizie dei media siriani. Secondo media legati all'opposizione in Siria, l'obiettivo sarebbe stato un deposito di armi. La radio Sham, emittente filogovernativa, ha riferito che è stata attivata la difesa aerea per ingaggiare "obiettivi" sul mare all'altezza della regione di Latakia e poi ha dato notizia di vigili del fuoco al lavoro per domare un incendio nella città di Jable, a sud di Latakia.

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Esteri

L’Iran e l’Asse della Resistenza contro Israele...

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Le diverse forze in campo nel conflitto in Medio Oriente: quello che sappiamo sull'escalation e i suoi protagonisti

A Teheran bruciano la bandiera israeliana (Afp)

Da un lato l'Iran, che come unico Stato alleato ha la Siria di Bashar al-Assad, ma che può contare sul sostegno delle milizie di Hezbollah, in Libano, degli Houthi, in Yemen, e di Hamas e della Jihad islamica palestinese nella Striscia di Gaza. Dall'altra parte Israele, che sempre più sembra poter contare sugli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita e la Giordania che con l'inasprirsi del conflitto si sono detti pronti a creare un cordone difensivo attorno allo Stato ebraico. Schierandosi quindi al fianco di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia nel caso di uno scontro diretto tra Iran e Israele.

In ogni caso, nel corso degli anni, sono numerosi i Paesi della Lega araba che hanno firmato trattati di pace e normalizzazione con Israele, a partire dal trattato di pace Egitto-Israele nel 1979. Del 1983 il trattato di pace israelo-libanese, sostenuto dagli Stati Uniti e nel 1994 il trattato di pace Israele-Giordania. Quattro anni fa, nel 2020, sono stati firmati gli Accordi di Abramo che hanno normalizzato le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, l'accordo di normalizzazione Israele-Sudan e l'accordo di normalizzazione Israele-Marocco.

Gli alleati di Israele

Più di recente, quando l'Iran ha lanciato il suo primo attacco diretto della storia contro Israele lo scorso aprile, i sistemi di difesa aerea di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Giordania si sono mobilitati per proteggere lo Stato ebraico. Dall'inizio del conflitto, inoltre, Amman ha sempre chiesto un cessate il fuoco a Gaza e ha inviato aiuti all'enclave palestinese, ha condannato nei giorni scorsi all'Assemblea generale dell'Onu gli attacchi israeliani contro il Libano, ma ha anche sempre mantenuto relazioni diplomatiche con Tel Aviv. E ad aprile, appunto, la contraerea giordana ha abbattuto sul suo territorio missili lanciati dall'Iran verso Israele.

Da tempo, l'Arabia Saudita e Israele collaborano scambiandosi informazioni di intelligence in particolare sull'Iran. Secondo Il Times Riad avrebbe anche testato la capacità di abbassare le proprie difese aree per permettere a Israele di attaccare l'Iran passando attraverso lo spazio aereo saudita. Tutti negano, ma secondo il Times of Israel nel 2015 Israele avrebbe offerto all'Arabia Saudita la tecnologia Iron Dome per proteggersi dai razzi provenienti dallo Yemen. Davanti agli occhi del mondo, nel 2018 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva difeso il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman dalle accuse sull'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, definendo ''l'Arabia Saudita molto importante per la stabilità della regione''. Israele e Arabia Saudita erano vicini a un accordo storico per normalizzare le loro relazioni diplomatiche prima dell'assalto di Hamas a Israele che ha portato alla sospensione dei negoziati.

Gli Emirati Arabi Uniti, che già da quattro anni hanno normalizzato i rapporti con Israele, hanno più volte condiviso con l'alleato americano informazioni di sicurezza riguardanti presunti piani di guerra dell'Iran. Dopo lo scoppio della guerra a Gaza, la leadership degli Emirati Arabi Uniti non ha pensato di rivedere i rapporti con Israele, ritenendo che i benefici strategici dell'accordo superino i costi in termini di immagine in Medioriente. L'insistenza nel mantenere i rapporti con Israele, al contrario del Bahrein che ha interrotto i rapporti commerciali con lo Stato ebraico dopo il 7 ottobre, e il silenzio su Gaza sta infatti facendo crescere il malcontento interno e sta facendo svanire la percezione del ruolo degli Emirati come stabilizzatore regionale. La domanda che l'International Crisis Group si pone è se questo calcolo reggerà alla guerra che continua e alla pressione che cresce.

L'Iran e l'Asse della resistenza

Dalla parte dell'Iran, invece, c'è il cosiddetto 'Asse della Resistenza' o 'Asse del Male' come lo definisce Israele, una rete di milizie e gruppi politici sostenuti da Teheran in Medio Oriente. Gli Stati Uniti designano la maggior parte di questi gruppi come organizzazioni terroristiche. L'obiettivo dell'Asse della resistenza è quello di unire e coordinare un conflitto contro Israele con l'obiettivo di distruggere lo stato ebraico. Nel corso degli anni, tramite le Forze al-Quds, unità speciale dei Pasdaran, l'Iran ha stanziato fondi per rafforzare le capacità militari di ciascun gruppo e per aumentare la connessione tra loro. C'è quindi Hamas, che il 7 ottobre dalla Striscia di Gaza ha sferrato quello che per gli israeliani è considerato il peggior attacco subito dall'Olocausto. Ma prima e dopo di questo, Hamas conduce con regolarità attacchi con droni contro Israele, droni che vengono forniti dall'Iran. Nella Striscia di Gaza ricevono sostegno dall'Iran anche la Jihad islamica palestinese, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e il Fronte democratico per la liberazione della Palestina (Fdlp).

Grande ruolo nell'Asse è riconosciuto a Hezbollah, emerso in Libano con il sostegno diretto dell'Iran nei primi anni '80 e concentrato nel sud del Paese dei Cedri. Il suo fondatore, Hassan Nasrallah, è stato ucciso lo scorso 27 settembre in un raid aereo condotto da Israele. Che, oltre a lui, nei giorni precedenti ha decapitato la leadership del 'Partito di Dio'.

L'unico Stato che, insieme all'Iran, fa parte dell'Asse è la Siria di Bashar al-Assad. Da tempo, dal punto di vista strategico, l'Iran sostiene l'esercito di Assad e diversi gruppi di milizie filo-governative a sostegno del regime. Tra queste milizie paramilitari ci sono la Brigata Fatemiyoun, la Brigata Baqir, la Brigata Zainebiyoun e Quwat al Ridha.

Poi c'è lo Yemen dove i miliziani sciiti Houthi operano come una "forza per procura" contro il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e per fare pressione sui due principali rivali dell'Iran nella regione, Israele e Arabia Saudita. Secondo l'analista militare britannico Michael Clarke, fondatore del Centre for Defence Studies e dell'International Policy Institute, gli Houthi sono "pronti a fare la guerra praticamente a chiunque" e "agli iraniani conviene mantenere in vita gli Houthi".

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Esteri

Russia, Putin e la guerra in Ucraina: soldi solo per altri...

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Il comparto della Difesa sta operando al massimo delle sue capacità per sostenere le necessità del conflitto ma ha raggiunto il limite

Putin con i militari - Afp

Vladimir Putin avrà risorse sufficienti per continuare la guerra in Ucraina, come l'ha fatta fino a ora, solo per altri 12-18 mesi, mentre il comparto militare in Russia ha avviato una ristrutturazione strategica che durerà 8-10 anni che dovrà essere alimentata in modo significativo, anche se non necessariamente ai livelli del prossimo anno, quando sono previste spese per la difesa per oltre il sei per cento del prodotto interno lordo, con un ulteriore aumento quindi sul record segnato nel 2024, senza che i conti ne risentano.

La bozza di bilancio e i piani di Mosca

Nei giorni scorsi il governo ha presentato alla Duma la bozza del bilancio di previsione per il 2025 e per il 2025-2027. E da questi provvedimenti è possibile anticipare i piani di Mosca e i possibili punti di frattura come hanno fatto gli economisti Aleksandra Prokopenko, ex consigliera della Banca centrale russa e ricercatrice alla Alta scuola di economia di Mosca, e ora fellow di Carnegie Russia Eurasia Center, e Alexander Kolyandr, ex vice presidente di Credit Suisse, e analista al Cepa, in un podcast prodotto da Carnegie Russia Eurasia Center.

La spesa militare è considerata come il principale motore della crescita economica ora, con gli indicatori a confermarlo, ma anche in futuro. E' la tesi di molti, fra cui il ministro della Difesa Belousov. Ma ci sono altre voci, favorevoli a un riequilibrio dell'economia, prive in questo momento della forza politica della lobby industriale, come quella della governatrice della Banca Centrale Elvira Nabiullina, che segnalano la fragilità sul medio e lungo termine di questo modello. Il Cremlino accantona i loro timori, con l'idea di affrontare i problemi mano a mano che si presentano.

Ma la domanda interna per la difesa non è infinita ed è anche possibile calcolare quando si esaurirà. Anche le prospettive per le esportazioni non sono positive, considerate le sanzioni. Quindi fra 5-7 anni il Paese potrebbe dover affrontare un altro shock economico, secondo Prokopenko. Ma una cosa va considerata: la fine della guerra contro l'Ucraina non significa, per la Russia, la fine di una spesa militare sostenuta.

Strada in salita per Putin

Una volta chiusa la finestra della 'normalità di questa guerra', per Putin "sarà sempre più difficile", ed è già visibile da questi bilanci di previsione, continuare a mantenere lo status quo, vale a dire continuare a gestire le tre variabili dell'economia interessate dal conflitto in Ucraina, le spese per il welfare - che già il prossimo anno scenderanno, anche se neanche lontanamente ai livelli della fine degli anni Ottanta e dell'inizio degli anni Novanta - il finanziamento per le imprese delle difesa e la stabilità macroeconomica.

Il bilancio della difesa aumenterà quindi anche nel 2025, sia in termini nominali che come porzione del prodotto interno lordo con i conti in ordine. Perché nei prossimi uno o due anni saranno necessari altri soldati, armi in sostituzione di quelle usate al fronte, sistemi di difesa e elettronici per la difesa delle imprese civili.

Il governo russo è ora in grado di spendere di più nella guerra perché è convinto di poter contare su più entrate il prossimo anno. Il flusso delle entrate non riconducibili alla vendita di gas e petrolio aumenterà del 73 per cento il prossimo anno. Il surplus arriverà dall'aumento delle tasse per le imprese e i redditi varato quest'anno e che entrerà in vigore nel 2025, all'aumento dell'Iva generato dalla crescita economica e dal taglio del resto della spesa pubblica non militari. Il surplus sarà interamente assorbito dall'aumento delle spese per le difesa: le altre voci della spesa pubblica scenderano. Un andamento già visibile in Russia, con lo stop alla costruzione di nuove strade e ponti.

Il comparto della difesa sta operando al massimo delle sue capacità per sostenere le necessità della guerra. Ma già all'inizio di quest'anno, ha raggiunto il limite. Per questo è necessaria la ristrutturazione, per aumentare la capacità di produzione che non può essere finanziata altrimenti che con finanziamenti pubblici.

Per spiegare la crescita economica, va ricordato, come fa Kolyandr, che tradizionalmente i Paesi di grandi dimensioni in guerra vedono le loro economie crescere, perlomeno all'inizio e fino alla fase intermedia del conflitto. Fra i fattori non previsti che hanno reso meno efficaci le sanzioni e contribuito alla crescita economica, c'è anche il blocco in Russia dei capitali che invece, prima del febbraio del 2022, fluivano in abbondanza in Occidente, dove venivano usati per acquistare dollari, azioni, beni di lusso.

Inoltre Putin e i suoi conti sono stati salvati dalla globalizzazione dell'economia, che invece il Presidente russo critica politicamente ma che consentono a Mosca di evadere le sanzioni. La Russia vende petrolio e gas a Paesi non allineati, che non sostengono le restrizioni economiche contro Mosca, come non sarebbe stato possibile negli anni Settanta. Ora la Russia è in grado di vendere il suo petrolio e procurarsi i microchip altrove che in Occidente.

Segnali di crisi

Fra i fattori che invece anticipano una crisi a venire vi è il mercato del lavoro esteso al massimo. Con una disoccupazione del 2,4, forse anche del 2,3 per cento, non è possibile aumentare la capacità di produzione del complesso militar-industriale. Anche per questo, potrebbe essere molto efficace, per potenziare le politiche del fronte di Paesi che sostengono l'Ucraina, promuovere politiche di 'recruitment' di personale russo nei settori dell'It, tecnologia, scienza, indipendentemente dalla loro posizione politica così come anche facilitare il ritorno alla fuga dei capitali dalla Russia.

 

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