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Israele pronto a colpire Iran, Usa frenano su siti nucleari. Italia all’Onu: “Fermare escalation”

Il primo ministro israeliano Netanyahu avverte: "L'Asse del male cerca di distruggerci, ma non accadrà''. La replica del presidente iraniano Pezeshkian: ''State trascinando l'intera regione in guerra''

Edificio distrutto da missile iraniano in Israele (Afp)

Israele si prepara a colpire l'Iran come reazione all'attacco missilistico lasciato da Teheran nella serata dell'1 ottobre. ''Siamo nel mezzo di una dura guerra contro l'Asse del male che cerca di distruggerci, ma non accadrà'' ha detto il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, mentre i vertici delle forze di difesa (Idf) annunciano che si "vendicheranno per l'aggressione subita da Teheran con precisione e potenza". "Sappiamo come individuare obiettivi importanti", avverte il generale Herzi Halevi e "siamo in grado di raggiungere qualsiasi punto in Medio Oriente".

"L'Iran ha attaccato aree residenziali e ha messo in pericolo la vita di molti civili", ma per fortuna, aggiunge Halevi, "grazie al comportamento di ognuno e alla difesa di alta qualità, il danno è stato limitato".

I possibili obiettivi

La rappresaglia potrebbe puntare alle raffinerie di Teheran oppure agli impianti del programma nucleare iraniano. Un'ipotesi quest'ultima che non ottiene il semaforo verde del presidente degli Stati Uniti, Joe Biden. A una domanda in merito a un eventuale sostegno americano risponde con un secco "no", aggiungendo che sono in corso i colloqui perché la risposta sia "proporzionata" e che "presto probabilmente vedrà Netanyahu". L'ultimo colloquio tra i due risale al 21 agosto, secondo quanto riferito dalla Casa Bianca. Da allora, la situazione nella regione ha registrato una escalation.

Teheran e il rischio allargamento conflitto

Teheran attende le mosse di Netanyahu e manda continui messaggi: in caso di azione israeliana, l'Iran tornerà a colpire. ''Israele sta trascinando la regione in una guerra, ma l'Iran non vuole intensificare ulteriormente il conflitto'' sostiene il presidente iraniano Masoud Pezeshkian.

"Se Israele risponde, noi faremo lo stesso, ma più duramente" avverte. ''La guerra a Gaza deve finire'', ha aggiunto Pezeshkian, sottolineando la volontà di ''riportare la sicurezza nella regione''. Secondo quanto riporta l'emittente Kann, però, l'iniziativa israeliana non sarà tale da portare a una guerra regionale con l'Iran.

L'Italia all'Onu: "Evitare escalation"

Alla riunione del Consiglio di Sicurezza dell'Onu l'Italia lancia "un appello per un cessate il fuoco immediato in Libano". L'ambasciatore alle Nazioni Unite, Maurizio Massari, ribadisce l'impegno del nostro Paese, anche in qualità di presidente di turno del G7, "per una soluzione diplomatica" della crisi in Medio Oriente evitando "qualsiasi ulteriore spirale di escalation", e per "la stabilizzazione del confine israelo-libanese".

"L'Italia condanna fermamente l'attacco iraniano a Israele. Esprimiamo profonda preoccupazione per gli sviluppi in corso e chiediamo moderazione e responsabilità a tutti gli attori regionali", ha detto Massari.

"Continueremo a lavorare per una soluzione diplomatica - afferma il rappresentante italiano al Palazzo di Vetro - e siamo pronti ad assistere attivamente le Forze armate libanesi nell'assunzione delle proprie responsabilità lungo il confine con Israele. Su questo punto, l'Italia ritiene della massima importanza sostenere e rilanciare pienamente i negoziati Libano-Israele per stabilire pacificamente i propri confini. Continueremo a impegnarci con i nostri partner e alleati e a mantenere aperti canali di dialogo con tutti gli attori della regione".

Intanto il segretario generale dell'Onu Antonio Guterres, dichiarato persona non grata da Israele, condanna "con fermezza" l'attacco iraniano nel suo intervento alla riunione di emergenza. "Come ho fatto in relazione all'attacco iraniano di aprile condanno nuovamente con fermezza il massiccio attacco missilistico dell'Iran contro Israele". Le sue parole, però, non sono sufficienti per allentare la tensione con Tel Aviv.

L'ambasciatore israeliano all'Onu ha affermato che "il tempo dei vuoti appelli alla de-escalation è finito". Danny Danon, durante una riunione di emergenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha detto che "il vero volto dell'Iran è quello del terrore, della morte e del caos". "Non è più una questione di parole", ha detto. "L'Iran è un pericolo molto reale e presente per il mondo, e se non verrà fermato, la prossima ondata di missili non sarà puntata solo contro Israele", afferma.

Nuovo raid a Beirut

La crisi Iran-Israele rischia di far passare in secondo piano il fronte libanese. L'esercito israeliano annuncia di aver effettuato nella serata di mercoledì un attacco aereo su Beirut. L'attacco sulla capitale del Libano è definito ''mirato''. Media sauditi, rilanciati da Haaretz, informano di un bombardamento sul quartiere Dahiyeh di Beirut, roccaforte di Hezbollah.

Giordania: "Non diventeremo campo di battaglia di nessuno"

Tutta la regione è in fibrillazione. "La Giordania non sarà il campo di battaglia di nessuno" e il Paese ''si difenderà da qualsiasi minaccia'', il messaggio che il ministro degli Esteri giordano Ayman Safadi fa arrivare a Iran e Israele dopo che i missili di Teheran violato lo spazio aereo giordano. La Giordania ''si difenderà con tutte le sue capacità contro qualsiasi minaccia alla sua sicurezza, alla sua stabilità e alla sicurezza dei suoi cittadini'', dice Safadi al ministro degli Esteri britannico David Lammy, affermando che ''la Giordania ha chiaramente informato l’Iran e Israele di questa posizione''.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Esteri

L’Iran e l’Asse della Resistenza contro Israele...

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Le diverse forze in campo nel conflitto in Medio Oriente: quello che sappiamo sull'escalation e i suoi protagonisti

A Teheran bruciano la bandiera israeliana (Afp)

Da un lato l'Iran, che come unico Stato alleato ha la Siria di Bashar al-Assad, ma che può contare sul sostegno delle milizie di Hezbollah, in Libano, degli Houthi, in Yemen, e di Hamas e della Jihad islamica palestinese nella Striscia di Gaza. Dall'altra parte Israele, che sempre più sembra poter contare sugli Emirati Arabi Uniti, l'Arabia Saudita e la Giordania che con l'inasprirsi del conflitto si sono detti pronti a creare un cordone difensivo attorno allo Stato ebraico. Schierandosi quindi al fianco di Stati Uniti, Gran Bretagna e Francia nel caso di uno scontro diretto tra Iran e Israele.

In ogni caso, nel corso degli anni, sono numerosi i Paesi della Lega araba che hanno firmato trattati di pace e normalizzazione con Israele, a partire dal trattato di pace Egitto-Israele nel 1979. Del 1983 il trattato di pace israelo-libanese, sostenuto dagli Stati Uniti e nel 1994 il trattato di pace Israele-Giordania. Quattro anni fa, nel 2020, sono stati firmati gli Accordi di Abramo che hanno normalizzato le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti e Bahrein, l'accordo di normalizzazione Israele-Sudan e l'accordo di normalizzazione Israele-Marocco.

Gli alleati di Israele

Più di recente, quando l'Iran ha lanciato il suo primo attacco diretto della storia contro Israele lo scorso aprile, i sistemi di difesa aerea di Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Giordania si sono mobilitati per proteggere lo Stato ebraico. Dall'inizio del conflitto, inoltre, Amman ha sempre chiesto un cessate il fuoco a Gaza e ha inviato aiuti all'enclave palestinese, ha condannato nei giorni scorsi all'Assemblea generale dell'Onu gli attacchi israeliani contro il Libano, ma ha anche sempre mantenuto relazioni diplomatiche con Tel Aviv. E ad aprile, appunto, la contraerea giordana ha abbattuto sul suo territorio missili lanciati dall'Iran verso Israele.

Da tempo, l'Arabia Saudita e Israele collaborano scambiandosi informazioni di intelligence in particolare sull'Iran. Secondo Il Times Riad avrebbe anche testato la capacità di abbassare le proprie difese aree per permettere a Israele di attaccare l'Iran passando attraverso lo spazio aereo saudita. Tutti negano, ma secondo il Times of Israel nel 2015 Israele avrebbe offerto all'Arabia Saudita la tecnologia Iron Dome per proteggersi dai razzi provenienti dallo Yemen. Davanti agli occhi del mondo, nel 2018 il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu aveva difeso il principe ereditario saudita Mohammed Bin Salman dalle accuse sull'omicidio del giornalista Jamal Khashoggi, definendo ''l'Arabia Saudita molto importante per la stabilità della regione''. Israele e Arabia Saudita erano vicini a un accordo storico per normalizzare le loro relazioni diplomatiche prima dell'assalto di Hamas a Israele che ha portato alla sospensione dei negoziati.

Gli Emirati Arabi Uniti, che già da quattro anni hanno normalizzato i rapporti con Israele, hanno più volte condiviso con l'alleato americano informazioni di sicurezza riguardanti presunti piani di guerra dell'Iran. Dopo lo scoppio della guerra a Gaza, la leadership degli Emirati Arabi Uniti non ha pensato di rivedere i rapporti con Israele, ritenendo che i benefici strategici dell'accordo superino i costi in termini di immagine in Medioriente. L'insistenza nel mantenere i rapporti con Israele, al contrario del Bahrein che ha interrotto i rapporti commerciali con lo Stato ebraico dopo il 7 ottobre, e il silenzio su Gaza sta infatti facendo crescere il malcontento interno e sta facendo svanire la percezione del ruolo degli Emirati come stabilizzatore regionale. La domanda che l'International Crisis Group si pone è se questo calcolo reggerà alla guerra che continua e alla pressione che cresce.

L'Iran e l'Asse della resistenza

Dalla parte dell'Iran, invece, c'è il cosiddetto 'Asse della Resistenza' o 'Asse del Male' come lo definisce Israele, una rete di milizie e gruppi politici sostenuti da Teheran in Medio Oriente. Gli Stati Uniti designano la maggior parte di questi gruppi come organizzazioni terroristiche. L'obiettivo dell'Asse della resistenza è quello di unire e coordinare un conflitto contro Israele con l'obiettivo di distruggere lo stato ebraico. Nel corso degli anni, tramite le Forze al-Quds, unità speciale dei Pasdaran, l'Iran ha stanziato fondi per rafforzare le capacità militari di ciascun gruppo e per aumentare la connessione tra loro. C'è quindi Hamas, che il 7 ottobre dalla Striscia di Gaza ha sferrato quello che per gli israeliani è considerato il peggior attacco subito dall'Olocausto. Ma prima e dopo di questo, Hamas conduce con regolarità attacchi con droni contro Israele, droni che vengono forniti dall'Iran. Nella Striscia di Gaza ricevono sostegno dall'Iran anche la Jihad islamica palestinese, il Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp) e il Fronte democratico per la liberazione della Palestina (Fdlp).

Grande ruolo nell'Asse è riconosciuto a Hezbollah, emerso in Libano con il sostegno diretto dell'Iran nei primi anni '80 e concentrato nel sud del Paese dei Cedri. Il suo fondatore, Hassan Nasrallah, è stato ucciso lo scorso 27 settembre in un raid aereo condotto da Israele. Che, oltre a lui, nei giorni precedenti ha decapitato la leadership del 'Partito di Dio'.

L'unico Stato che, insieme all'Iran, fa parte dell'Asse è la Siria di Bashar al-Assad. Da tempo, dal punto di vista strategico, l'Iran sostiene l'esercito di Assad e diversi gruppi di milizie filo-governative a sostegno del regime. Tra queste milizie paramilitari ci sono la Brigata Fatemiyoun, la Brigata Baqir, la Brigata Zainebiyoun e Quwat al Ridha.

Poi c'è lo Yemen dove i miliziani sciiti Houthi operano come una "forza per procura" contro il governo riconosciuto dalla comunità internazionale e per fare pressione sui due principali rivali dell'Iran nella regione, Israele e Arabia Saudita. Secondo l'analista militare britannico Michael Clarke, fondatore del Centre for Defence Studies e dell'International Policy Institute, gli Houthi sono "pronti a fare la guerra praticamente a chiunque" e "agli iraniani conviene mantenere in vita gli Houthi".

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Esteri

Russia, Putin e la guerra in Ucraina: soldi solo per altri...

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Il comparto della Difesa sta operando al massimo delle sue capacità per sostenere le necessità del conflitto ma ha raggiunto il limite

Putin con i militari - Afp

Vladimir Putin avrà risorse sufficienti per continuare la guerra in Ucraina, come l'ha fatta fino a ora, solo per altri 12-18 mesi, mentre il comparto militare in Russia ha avviato una ristrutturazione strategica che durerà 8-10 anni che dovrà essere alimentata in modo significativo, anche se non necessariamente ai livelli del prossimo anno, quando sono previste spese per la difesa per oltre il sei per cento del prodotto interno lordo, con un ulteriore aumento quindi sul record segnato nel 2024, senza che i conti ne risentano.

La bozza di bilancio e i piani di Mosca

Nei giorni scorsi il governo ha presentato alla Duma la bozza del bilancio di previsione per il 2025 e per il 2025-2027. E da questi provvedimenti è possibile anticipare i piani di Mosca e i possibili punti di frattura come hanno fatto gli economisti Aleksandra Prokopenko, ex consigliera della Banca centrale russa e ricercatrice alla Alta scuola di economia di Mosca, e ora fellow di Carnegie Russia Eurasia Center, e Alexander Kolyandr, ex vice presidente di Credit Suisse, e analista al Cepa, in un podcast prodotto da Carnegie Russia Eurasia Center.

La spesa militare è considerata come il principale motore della crescita economica ora, con gli indicatori a confermarlo, ma anche in futuro. E' la tesi di molti, fra cui il ministro della Difesa Belousov. Ma ci sono altre voci, favorevoli a un riequilibrio dell'economia, prive in questo momento della forza politica della lobby industriale, come quella della governatrice della Banca Centrale Elvira Nabiullina, che segnalano la fragilità sul medio e lungo termine di questo modello. Il Cremlino accantona i loro timori, con l'idea di affrontare i problemi mano a mano che si presentano.

Ma la domanda interna per la difesa non è infinita ed è anche possibile calcolare quando si esaurirà. Anche le prospettive per le esportazioni non sono positive, considerate le sanzioni. Quindi fra 5-7 anni il Paese potrebbe dover affrontare un altro shock economico, secondo Prokopenko. Ma una cosa va considerata: la fine della guerra contro l'Ucraina non significa, per la Russia, la fine di una spesa militare sostenuta.

Strada in salita per Putin

Una volta chiusa la finestra della 'normalità di questa guerra', per Putin "sarà sempre più difficile", ed è già visibile da questi bilanci di previsione, continuare a mantenere lo status quo, vale a dire continuare a gestire le tre variabili dell'economia interessate dal conflitto in Ucraina, le spese per il welfare - che già il prossimo anno scenderanno, anche se neanche lontanamente ai livelli della fine degli anni Ottanta e dell'inizio degli anni Novanta - il finanziamento per le imprese delle difesa e la stabilità macroeconomica.

Il bilancio della difesa aumenterà quindi anche nel 2025, sia in termini nominali che come porzione del prodotto interno lordo con i conti in ordine. Perché nei prossimi uno o due anni saranno necessari altri soldati, armi in sostituzione di quelle usate al fronte, sistemi di difesa e elettronici per la difesa delle imprese civili.

Il governo russo è ora in grado di spendere di più nella guerra perché è convinto di poter contare su più entrate il prossimo anno. Il flusso delle entrate non riconducibili alla vendita di gas e petrolio aumenterà del 73 per cento il prossimo anno. Il surplus arriverà dall'aumento delle tasse per le imprese e i redditi varato quest'anno e che entrerà in vigore nel 2025, all'aumento dell'Iva generato dalla crescita economica e dal taglio del resto della spesa pubblica non militari. Il surplus sarà interamente assorbito dall'aumento delle spese per le difesa: le altre voci della spesa pubblica scenderano. Un andamento già visibile in Russia, con lo stop alla costruzione di nuove strade e ponti.

Il comparto della difesa sta operando al massimo delle sue capacità per sostenere le necessità della guerra. Ma già all'inizio di quest'anno, ha raggiunto il limite. Per questo è necessaria la ristrutturazione, per aumentare la capacità di produzione che non può essere finanziata altrimenti che con finanziamenti pubblici.

Per spiegare la crescita economica, va ricordato, come fa Kolyandr, che tradizionalmente i Paesi di grandi dimensioni in guerra vedono le loro economie crescere, perlomeno all'inizio e fino alla fase intermedia del conflitto. Fra i fattori non previsti che hanno reso meno efficaci le sanzioni e contribuito alla crescita economica, c'è anche il blocco in Russia dei capitali che invece, prima del febbraio del 2022, fluivano in abbondanza in Occidente, dove venivano usati per acquistare dollari, azioni, beni di lusso.

Inoltre Putin e i suoi conti sono stati salvati dalla globalizzazione dell'economia, che invece il Presidente russo critica politicamente ma che consentono a Mosca di evadere le sanzioni. La Russia vende petrolio e gas a Paesi non allineati, che non sostengono le restrizioni economiche contro Mosca, come non sarebbe stato possibile negli anni Settanta. Ora la Russia è in grado di vendere il suo petrolio e procurarsi i microchip altrove che in Occidente.

Segnali di crisi

Fra i fattori che invece anticipano una crisi a venire vi è il mercato del lavoro esteso al massimo. Con una disoccupazione del 2,4, forse anche del 2,3 per cento, non è possibile aumentare la capacità di produzione del complesso militar-industriale. Anche per questo, potrebbe essere molto efficace, per potenziare le politiche del fronte di Paesi che sostengono l'Ucraina, promuovere politiche di 'recruitment' di personale russo nei settori dell'It, tecnologia, scienza, indipendentemente dalla loro posizione politica così come anche facilitare il ritorno alla fuga dei capitali dalla Russia.

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Esteri

Ucraina accusa Russia: “Uccisi 16 soldati...

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Un video registrato da un drone documenta il crimine di guerra

Il fronte in Ucraina

L'Ucraina accusa la Russia di crimini di guerra per l'esecuzione di 16 prigionieri. I video registrati da un drone sono stati diffusi da alcuni canali Telegram e hanno portato all'azione dell'ufficio del procuratore generale ucraino. L'esecuzione, l'episodio più grave denunciato dalle autorità di Kiev dall'inizio della guerra, è stato localizzato nel distretto di Pokrovsk, nelle aree dei villaggi di Mykolaivka e Sukhyi Yar.

"Il video pubblicato ha documentato come, sotto il controllo del nemico, i soldati delle forze armate ucraine sono usciti dalla piantagione. Dopo essersi schierati in fila, gli occupanti hanno deliberatamente aperto il fuoco su di loro per ucciderli. I feriti, che mostravano segni di vita, sono stati colpiti a bruciapelo e uccisi", scrive l'ufficio del Procuratore generale. "È stato avviato un procedimento per violazione delle leggi e degli usi di guerra, associata a omicidio volontario".

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