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Femminicidio Caserta, comandante carabinieri Maddaloni: “Mai segnalazioni prima del delitto”

Il capitano Federico Arrigo all'Adnkronos: "Durante l'interrogatorio il 30enne ha ammesso l'omicidio della moglie ma non ha dato spiegazioni"

Auto dei carabinieri  - Fotogramma

"Mai nessuna denuncia, pregresse richieste di intervento in casa dei due o segnalazioni dal vicinato. Le persone sentite a sommarie informazioni non hanno riferito alcun segnale che lasciasse presagire la tragedia". A parlare all'Adnkronos è il capitano Federico Arrigo, comandante della Compagnia carabinieri di Maddaloni titolare delle indagini sul femminicidio di questa mattina a San Felice Cancello, nel casertano. A chiamare i militari nell'abitazione dove la vittima appena 24enne si era trasferita da pochi mesi insieme ai figli dall'Albania per ricongiungersi col marito, bracciante agricolo nella provincia di Caserta, sono stati il fratello del 30enne ora fermato per l'omicidio e la moglie dell'uomo, la stessa alla quale i nipotini di 5 e 3 anni hanno mostrato in videochiamata il cadavere della mamma.

"Allo stato nessuna delle persone ascoltate a sommarie informazioni ha parlato di una conflittualità tra i coniugi, dell'intenzione di uno dei due di separarsi o di una tragedia annunciata - sottolinea il comandante Arrigo - ma si tratta di un accertamento parziale. Le indagini sono in corso e non scartano nulla. L'uomo, che dalle prime battute, già quando si è presentato in casa del fratello all'alba facendo capire che era successo qualcosa, ha ammesso di aver ucciso la moglie anche davanti al pubblico ministero nel corso dell'interrogatorio, senza essere però in grado di spiegare le motivazioni. Tranquillo, calmo, ma evidentemente scosso, ha detto solo di averla uccisa. Relativamente ai bimbi, l'autorità preposta sta decidendo in queste ore come muoversi". (di Silvia Mancinelli)

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Parlamento Ue contro Orban, insulti al leader ungherese e...

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Dall'attacco di von der Leyen allo scontro con Ilaria Salis: il dibattito sugli obiettivi della presidenza ungherese del Consiglio Ue si trasforma in un 'processo' al numero uno di Fidesz

Viktor Orban - Afp

Viktor Orban a Strasburgo è finito sotto un fuoco di fila di critiche, a volte ai limiti dell’insulto, per una mattinata intera. Il dibattito di ieri sugli obiettivi della presidenza ungherese del Consiglio Ue - rimandato da settembre alla prima plenaria di ottobre a causa delle inondazioni che hanno colpito l’Ungheria e l’Europa Centrale - si è trasformato, inevitabilmente visti i pessimi rapporti tra l’Aula e il governo ungherese, in una sorta di processo al leader di Fidesz, vera ‘bestia nera’ di quelle che lui chiama le “élite” della “bolla” bruxellese. Quelle che lo hanno reso "famoso" suo malgrado, come ama dire. Alla fine del suo intervento, mentre dalla destra dell'emiciclo si alzava una standing ovation, alcuni eurodeputati hanno intonato "Bella Ciao", venendo ripresi dalla presidente Roberta Metsola, che gli ha ricordato: "Non siamo all'Euurovision né alla Casa di carta".

Orban, il capo di Stato e di governo più anziano del Consiglio Europeo, se lo aspettava, tanto che martedì è andato a Strasburgo in anticipo per tenere una conferenza-stampa fiume, perché sapeva che i titoli sarebbero stati ‘occupati’ dai suoi critici. Tra gli attacchi più taglienti che il premier magiaro ha dovuto incassare si contano quello della presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen e quello sferrato subito dopo dal capogruppo e presidente del Ppe Manfred Weber. Entrambi sono della Cdu/Csu, primo partito secondo i sondaggi in Germania, anche se oggi è all'opposizione, e militano nel Ppe, partito del quale Orban faceva parte, in un tempo nemmeno troppo lontano.

L'attacco di von der Leyen. Verdi: "Servo di Putin"

Curiosamente, mentre martedì il premier magiaro aveva parlato a più riprese del conflitto in Ucraina, che l’Ungheria vive da vicino (i due Paesi confinano e la Transcarpazia ucraina ospita una nutrita minoranza magiara, fonte di tensione con Kiev), ieri nel suo discorso introduttivo ha accennato alla guerra che brucia ai confini del suo Paese quasi di passaggio. Ma von der Leyen, tra le più decise sostenitrici di Kiev a Bruxelles con la maltese Roberta Metsola, lo ha affrontato ugualmente, senza infingimenti dettati dal galateo tra le diverse istituzioni dell'Ue. Orban presiede fino a fine anno il Consiglio, che rappresenta gli Stati membri a livello di ministri.

In “nessuna lingua europea”, ha detto la presidente, “pace” è sinonimo di “resa”. Per la guerra in Ucraina, ha aggiunto, "c'è ancora qualcuno che dà la colpa non all'invasore, ma all'invaso. Vorrei chiedergli: ha mai dato la colpa agli ungheresi per l'invasione sovietica del 1956?”. La presidente ha poi sostanzialmente accusato l’Ungheria di doppiezza perché, mentre predica la tolleranza zero per le migrazioni illegali, avrebbe liberato “trafficanti” condannati prima del tempo, scaricando così il problema “nel giardino del vicino”. E ha fatto notare che lasciar operare la Polizia cinese in Ungheria significa concedere a Pechino una “backdoor per le interferenze straniere”. Non solo: per von der Leyen, le facilitazioni concesse dall’Ungheria all’ingresso di cittadini russi mettono a rischio la sicurezza dell’intera area Schengen.

Più esplicita, da sinistra, la copresidente dei Verdi Terry Reintke, anche lei tedesca, che ha definito Orban, senza mezzi termini, un “servo di Vladimir Putin”, dicendogli chiaramente che al Parlamento Europeo “non è il benvenuto”. Von der Leyen ha lasciato l’Aula poco dopo il suo intervento, lasciando le repliche al vicepresidente Maros Sefcovic, cosa che le ha attirato non poche critiche dagli eurodeputati della destra. Non è la prima volta che la presidente parla in Aula e se ne va: è un’abitudine che in passato ha irritato deputati di diverse collocazioni politiche.

Orban nel mirino del Ppe

Mentre gli attacchi da sinistra erano prevedibili, le stoccate più dure sono arrivate dal Ppe. Weber, che ai tempi aveva a lungo resistito alle richieste di cacciare Fidesz provenienti dal suo partito, non è stato affatto tenero con l’ex Popolare diventato Patriota. Ha notato che è “molto nervoso” per l’ascesa nei sondaggi del partito di centrodestra Tysza, membro del Ppe. Ha predetto a Orban che farà la fine del Pis di Jaroslaw Kaczinsky, scalzato dal governo a Varsavia da una coalizione guidata dalla Piattaforma Civica di Donald Tusk. Orban “rappresenta il passato”, mentre Peter Magyar, presidente di Tysza ed eurodeputato del Ppe, “è il futuro” e “batterà” Fidesz alle prossime elezioni, ha previsto.

Lo stesso Magyar, primo eurodeputato ‘semplice’ ad intervenire in Aula dopo i capigruppo, ha detto che l’Ungheria per colpa di Orban è diventato “il Paese più corrotto e povero dell’Ue”. Weber ha ricordato al premier che, in un decennio, “400mila ungheresi” sono emigrati, stufi della “corruzione” imperante nel Paese. Gli ha rinfacciato la visita al presidente Vladimir Putin di inizio luglio, poche ore dopo la quale i russi hanno “bombardato un ospedale per bambini”. E ha ironizzato sui Patrioti, il gruppo creato con il Rassemblement National francese, la Lega e altri, rammentandogli che il leader del Pvv olandese, Geert Wilders, è diventato “famoso” a sud delle Alpi per aver dichiarato pubblicamente che “neanche un centesimo dell’Ue deve andare a sostegno dell’Italia”. Chissà, ha aggiunto, “se Matteo Salvini ne ha discusso con lui”.

La capogruppo dei Liberali di Renew Europe, la francese Valérie Hayer, ha detto che “è ora di sospendere il diritto di voto dell’Ungheria nel Consiglio Ue”, mentre la socialista Iratxe Garcia Perez ha chiesto al politico magiaro se sia consapevole dei “danni” che provoca nelle società “seminando l’odio verso chi è o si sente diverso”. Anche il copresidente dell’Ecr Nicola Procaccini di Fratelli d’Italia, dopo aver sottolineato le consonanze con i Patrioti in materia di migrazioni e Green Deal, ha fatto notare a Orban, sia pure “da amico”, che sembra ignorare “il quartetto del caos”, formato da Russia, Cina, Iran e Corea del Nord, un “nemico esterno” dell’Europa, contro il quale i Conservatori sono determinati a lottare, per difendere gli stessi “valori” per cui morirono i “ragazzi di Buda” nel 1956. A riprova, se ce ne fosse bisogno, che la faglia prodotta nelle destre europee dalla guerra in Ucraina non si è affatto chiusa.

La reazione di Orban: "Intifada della politica"

Per Orban, quella scatenata dai capigruppo è solo una “Intifada politica”, che non fa altro che “ripetere le menzogne della sinistra”. Il premier si è detto anche “sorpreso” per l’intervento della presidente della Commissione, assai critico nei confronti dell'Ungheria. “Volevo parlare del programma della presidenza, ma vedo che non vi interessa”, ha constatato. Per Orban von der Leyen, attaccando uno Stato membro che ha la presidenza in un’occasione simile, trasforma la Commissione da “guardiano dei trattati” a “strumento politico”.

Secondo il premier, il 1956 ungherese “non c’entra nulla” con la guerra in corso in Ucraina. Il fatto è, aggiunge, che l’Ue si ritroverà “dalla parte dei perdenti”, a causa della “strategia perdente” della Commissione. “Se continuiamo così - ha avvertito - perderemo. In tutte le guerre occorre la diplomazia: se la trascuriamo, moriranno ancora più persone”, ha detto, ribadendo che “non esiste soluzione sul campo di battaglia”. Orban ha poi ascoltato gli interventi degli eurodeputati.

Da "utile idiota di Putin" a "dittatore" e "corrotto": gli insulti a Orban

Tra i numerosi accenni critici, la Germania, Paese che ha stretti legami economici con l'Ungheria, si è distinta per vigore. Il liberale tedesco dell’Fdp Moritz Heimo Koerner ha definito Orban “l’utile idiota di Putin” e lo ha accusato di aver trasformato l’Ungheria in una “Repubblica delle banane”.

Il verde Daniel Freund, anch'egli tedesco, lo ha chiamato “dittatore” (lo stesso appellativo con cui, scherzosamente, lo salutava Jean-Claude Juncker) e lo ha accusato di essere il politico “più corrotto” d’Europa. Orban gli ha risposto dicendo che è più “corrotto” lui, perché percepirebbe “soldi” da George Soros, il finanziere nato a Budapest e naturalizzato statunitense, di origini ebraiche, diventato il bersaglio preferito dell’estrema destra.

Lo scontro con Salis

Tra i tanti interventi, l’eurodeputata di Avs Ilaria Salis (gruppo The Left), che in Ungheria è stata detenuta “per 15 mesi” in condizioni “durissime”, ha ribadito in Aula che il Paese danubiano è diventato uno Stato “etnico” e “autoritario” e che consentire a Budapest di detenere la presidenza Ue a rotazione è “altamente inappropriato”. Salis ha anche accusato Orban, tra le altre cose, di prendere di mira lo “Stato di diritto”.

Il leader di Fidesz, politico navigato a differenza della deputata monzese che viene dalla militanza nell'estrema sinistra ed è alla prima legislatura, non si è lasciato sfuggire l’appiglio: "Trovo assurdo - ha detto - che qui al Parlamento Europeo, alla plenaria, dobbiamo ascoltare tutti insieme un intervento sullo Stato di diritto dell'onorevole Ilaria Salis, che aveva picchiato con sbarre di ferro persone pacifiche”, due militanti di estrema destra, “per le strade di Budapest. E qui parla di Stato di diritto?”.

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Governo, no rimpasto in vista: mossa Santanché allunga i...

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La ministra chiede di spostare il suo processo a Roma

Palazzo Chigi

Tutto resta com'è, ogni tassello al suo posto. Si allontanano le ombre di un possibile rimpasto o di cambi in arrivo nella squadra di governo guidata dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Raffaele Fitto, se tutto filerà liscio, a fine novembre dovrebbe fare definitivamente le valigie per Bruxelles, poi ci sono gli interrogativi che aleggiano sulla responsabile del turismo Daniela Santanché e Matteo Salvini, alle prese con i loro guai giudiziari.

A tremare non è tanto la posizione del vicepremier leghista, "semmai arrivasse una condanna per il processo Open Arms, per il governo sarebbe una medaglia...", si dicono convinti nelle file dell'esecutivo, quanto quella dell'imprenditrice e ministra in quota Fdi, indagata per truffa ai danni dell'Inps. Ma la 'mossa' giocata dalla difesa di Santanché, ammesso vada a dama, potrebbe allungare, e di tanto, la permanenza della responsabile del Turismo nella squadra di governo, allontanando ogni ombra legata al caso Visibilia.

Al gup di Milano è stato infatti chiesto il trasferimento del procedimento a Roma, e se dovesse arrivare il disco verde alla richiesta -la deadline è fissata al 23 ottobre- i tempi si allungherebbero e di parecchio, "di certo Daniela vedrà la fine della legislatura...", l'ottimismo che si respira in queste ore. Ottimismo, spiegano fonti qualificate all'Adnkronos, che non è tanto legato allo 'scudo' a cui si è appellato nei giorni scorsi il Guardasigilli Carlo Nordio -ovvero l'articolo 27 della Costituzione sulla presunzione di innocenza- quanto ai tempi potenzialmente 'diluiti' del processo.

L'ipotesi di un rimpasto di governo resterebbe dunque da 'escludere a priori', almeno al momento. Con l'idea della premier di non assegnare l'unica casella a breve vacante - il superdicastero di Fitto - ad altri, bensì 'ripartire' il pacchetto di deleghe che fino ad ora il ministro salentino ha gestito in solitaria. Innanzitutto puntando su Palazzo Chigi, dove Meloni può contare su due sottosegretari come Alfredo Mantovano e Giovanbattista Fazzolari, con il primo in funzione di 'regista'. E giocando più avanti la carta di un sottosegretario ad hoc - due i posti venuti meno nel sottogoverno, con le dimissioni di Vittorio Sgarbi e Augusta Montaruli - creandone uno agli Affari europei. Ammesso che da Milano non arrivi una doccia fredda sul caso Santanché. "Qui ogni giorno parte un treno, speriamo che nessuno esca fuori dai binari e deragli...", scherza un fedelissimo della presidente del Consiglio facendo i dovuti scongiuri.

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Israele: “Attacco letale a Iran”. Biden a...

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Telefonata tra il premier israeliano e il presidente americano. Israele prepara l'azione: "Teheran non capirà niente"

Benjamin Netanyahu

Benjamin Netanyahu parla con il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, intanto Israele continua a preparare l'attacco all'Iran che sarà "letale, preciso e soprattutto sorprendente". Il colloquio tra il premier israeliano e la Casa Bianca era considerato un passaggio obbligato prima della risposta, data per certa, all'attacco con quasi 200 missili che l'Iran ha sferrato la scorsa settimana.

La reazione di Israele ci sarà, conferma il ministro della Difesa Yoav Gallant, in visita all'unità d'intelligence delle forze armate (Idf) che si occupa di reperire informazioni nei teatri di guerra. "L'Iran non sarà in grado di comprendere cos'è successo e com'è avvenuto", la promessa del ministro, che definisce il recente attacco iraniano "aggressivo, ma fallimentare poiché impreciso".

Gallant ricorda che l'Aeronautica non ha subito danni nell'attacco e che tutte le piste rimangono in funzione, nessun aereo è stato danneggiato, né sono stati coinvolti soldati o civili. Il ministro ribadisce che l'intero sistema di sicurezza israeliano è d'accordo sull'attacco all'Iran: "L'intera catena di comando è in linea e concentrata su questo tema", le sue parole.

La telefonata Netanyahu-Biden

La compattezza probabilmente sarà stata ribadita anche da Netanyahu nel colloquio telefonico di 30 minuti con Biden. La conversazione si sarebbe svolta "in un'atmosfera positiva", secondo la tv Channel 12, che cita una fonte israeliana. Il presidente americano nei giorni scorsi ha espresso la propria contrarietà ad eventuali azioni contro impianti nucleari iraniani.

"Si è trattato di una telefonata classificata, e non ho annunci da fare su ciò che è accaduto durante quella telefonata, e non posso parlare di chiamate diplomatiche private su questo canale, ma è stata una telefonata importante", glissa alla Cnn la vice presidente Kamala Harris.

La Casa Bianca, in serata, a esprimersi chiaramente. Nel corso della telefonata, il numero 1 della Casa Bianca sottolinea "la necessità di un accordo diplomatico per riportare in sicurezza i civili libanesi e israeliani nelle loro case su entrambi i lati della Linea Blu". Il presidente ribadisce "l'impegno ferreo per la sicurezza in Israele" e "la condanna inequivocabile" dell'attacco iraniano del primo ottobre. Biden e Netanyahu "hanno concordato di rimanere in stretto contatto nei prossimi giorni sia direttamente che attraverso i rispettivi team di sicurezza nazionali''.

Il presidente americano evidenzia "il diritto di Israele di proteggere i propri cittadini da Hezbollah, che solo nell'ultimo anno ha lanciato migliaia di missili e razzi verso Israele, sottolineando al contempo la necessità di ridurre al minimo i danni ai civili, in particolare nelle aree densamente popolate di Beirut".

Con Netanyahu è stata discussa anche "l'urgente necessità" di rilanciare gli sforzi diplomatici per liberare gli ostaggi detenuti da Hamas. Biden "ha inoltre discusso della situazione umanitaria a Gaza e dell'imperativo di ripristinare l'accesso al nord, anche attraverso il ripristino immediato del corridoio dalla Giordania".

L'operazione in Libano

Israele intanto continua a colpire il sud del Libano e continua l'esodo di civili dal paese. In questo quadro, gli Stati Uniti avvertono Netanyahu: l'operazione in Libano, avviata nove giorni fa, non sia come quella a Gaza, dove in un anno sono state uccise oltre 42mila persone. "Dico molto chiaramente che non ci dovrebbe essere alcuna azione militare in Libano che assomigli a quella a Gaza e che abbia un esito che assomigli a Gaza", dice il portavoce del dipartimento di Stato americano Matthew Miller in un briefing con i giornalisti.

D'altra parte, ammette, gli Stati Uniti "sono consapevoli della lunga storia di Israele che inizia con operazioni di terra limitate che si trasformano in operazioni su larga scala" e poi in "occupazione. È qualcosa a cui ci opponiamo in modo molto chiaro. Siamo contrari".

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