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Rapporto BenVivere 2024, il Nord vince ancora. Ecco perché il Sud arranca

Pordenone prima, Crotone ultima. Basta guarda la prima e l’ultima provincia nella classifica del benessere contenuta nel Rapporto sul BenVivere e la Generatività delle province italiane 2024 per capire subito che in Italia è cambiato poco quanto a qualità della vita: al Nord si vive bene, al Sud no, o molto meno.

Sono i dati a dirlo, in questo caso quelli della sesta edizione della ricerca su benessere e generatività, coordinata da NeXt Economia con il supporto del Festival Nazionale dell’Economia Civile, di Federcasse BCC-CR e di Avvenire e il finanziamento di Fondo Sviluppo e presentata lo scorso fine settimana al Festival Nazionale dell’Economia Civile a Firenze.

Partiamo dai presupposti: la ricerca indaga sia il BenVivere, inteso come benessere complessivo delle comunità, sia la generatività, ovvero la capacità di produrre valore economico e sociale, in particolare attraverso l’impegno civico e la sostenibilità, e quindi di ridurre le disuguaglianze territoriali.

La classifica del BenVivere 2024: Sud escluso

Per quanto riguarda il BenVivere, le prime 10 province in classifica sono (tra parentesi la variazione della posizione):

• Pordenone (+1)
• Siena (+4)
• Milano (+1)
• Trieste (+19)
• Firenze (0)
• Trento (+1)
• Rimini (+23)
• Udine (+11)
• Parma (+2)
• Bolzano (-9)

Balzano agli occhi Rimini, che in un anno ha messo a segno un exploit di 23 posizioni, e Bolzano, che ne ha perse 9 e tracolla in decima posizione dopo aver tenuto saldamente la vetta per sei anni consecutivi. Una discesa questa legata soprattutto al peggioramento degli indicatori relativi a legalità e sicurezza, demografia e famiglia, ambiente e turismo.

All’altro lato della classifica troviamo le flop 10:

• Napoli (+3)
• Catania (-3)
• Foggia (+3)
• Trapani (-9)
• Siracusa (-8)
• Caltanissetta (+1)
• Taranto (-2)
• Reggio di Calabria (0)
• Crotone (0)

Come si vede, nelle prime dieci posizioni ci sono tutte province del Nord, con la sola eccezione di Firenze in rappresentanza del Centro, mentre nelle ultime dieci troviamo solo province del Sud.

Tra chi ha perso molto terreno spiccano poi Prato (-8 posizioni), Imperia (-23), Asti (-20), Reggio nell’Emilia (-17), Savona (-15) e Cremona (-19).

Al contrario hanno scalato la classifica Isernia (+37 posizioni), Novara (+28), Venezia (+26), Benevento (+24), Ferrara (+24), oltre a Rimini che è riuscita anche ad entrare in top ten.

Nel complesso c’è un maggiore ‘ben-vivere’

Un dato importante che emerge dal Rapporto è che in generale, dopo una flessione registrata nel 2023, c’è una situazione complessiva di maggiore ben-vivere; infatti, la seconda metà della classifica è più vicina alla prima, segnalando un processo di convergenza e un trend di crescita generale nei livelli di qualità della vita.

E sono soprattutto le province del Sud a mostrare un miglioramento complessivo rispetto agli anni precedenti, anche se come visto continuano a essere distanti rispetto al Nord e al Centro.

Sempre a livello generale, gli ambiti che risultano maggiormente migliorati riguardano l’Accoglienza, il Lavoro (questo soprattutto nel Mezzogiorno), l’Impegno Civile, la Salute e i Servizi per le Persone.

Mentre le dimensioni del BenVivere che fra il 2023 e il 2024 hanno subito una contrazione più ampia sono Demografia e Famiglia, Legalità e Sicurezza ed Economia e Inclusione, insieme a Capitale Umano e Ambiente Cultura e Turismo.

Transizione ecologica e sociale, Sud e aree interne arrancano

Il Rapporto ha valutato tutti questi aspetti – e altri – anche secondo ‘indicatori ibridi’ che misurano la transizione economica, sociale, ambientale e innovativa delle province italiane: otto di welfare sociale, tre di welfare ambientale, tre di circolarità economica e tre di innovazione.

In base all’indicatore ibrido di circolarità economica, calcolato su base regionale, la tendenza in tutte le Regioni e Province autonome è positivo, anche se con differenze tra i vari territori. Come per l’anno scorso, le uniche regioni che continuano ad avere un trend negativo sono la Basilicata e il Molise.

In generale, gli indicatori ibridi nei quali si evidenzia un più diffuso miglioramento appartengono al welfare sociale (biblioteche, trasporto pubblico, fruizione dei servizi per l’infanzia, posti di accoglienza). A seguire, gli indicatori ibridi ambientali, siano essi di welfare o di circolarità, con l’unica eccezione dei posti letto negli ospedali. Infine, si trovano gli ibridi di innovazione e di welfare sociale legati alle dinamiche del sistema sanitario (speranza di vita, assistenza degli anziani), con l’unica eccezione data dai centri per l’impiego, che occupa l’ultima posizione e per il quale in nessuna provincia si registra un miglioramento.

Nel complesso, gli indicatori ibridi mostrano una realtà a macchia di leopardo, con forti diseguaglianze territoriali soprattutto nelle regioni meridionali e nelle aree interne, che faticano ad avanzare nella transizione ecologica e sociale.

I problemi del Sud

Ma quali sono i problemi per cui il Sud occupa stabilmente le ultime posizioni del ben-vivere? Si tratta di una combinazione di fattori strutturali e sociali che impattano soprattutto su sicurezza, inclusione economica e condizioni di vita generale. Nel dettaglio:

legalità e sicurezza: le province del Sud soffrono livelli di criminalità più elevati rispetto a quelle del Nord e del Centro, e questo incide negativamente sia sulla percezione della sicurezza sia sulla qualità della vita in generale.
economia e inclusione: le aree meridionali continuano a mostrare forti difficoltà nel garantire l’inclusione economica, con alti livelli di disoccupazione e basso accesso alle opportunità economiche.
capitale umano: anche in termini di istruzione e formazione, il Sud è indietro, con una carenza di opportunità educative che si traduce in minori competenze.
demografia e famiglia: la bassa natalità e il fenomeno dell’invecchiamento della popolazione sono particolarmente accentuati nel Mezzogiorno, il che si traduce in comunità anziane, poco dinamiche e poco aperte all’innovazione.
servizi per la persona: i servizi sociali, come l’assistenza sanitaria e il supporto alle famiglie, sono meno sviluppati nel Sud, causando una qualità della vita inferiore.
impegno civile: il livello di partecipazione civica e di coinvolgimento nelle istituzioni è più basso nelle province meridionali, cosa che contribuisce a una minore capacità di risposta ai bisogni della comunità e alla gestione delle risorse locali.
ambiente, cultura e turismo: molte province del Sud non riescono a sfruttare al meglio le proprie risorse ‘immateriali’, anche a causa della mancanza di infrastrutture adeguate e di politiche di gestione sostenibile.

Se dunque il rapporto evidenzia che il Sud Italia sta recuperando terreno rispetto al Nord in alcune dimensioni del BenVivere, rimangono comunque ancora divari importanti in termini di fiducia istituzionale, accesso all’istruzione e soddisfazione di vita.

Ed è proprio a questo proposito che può intervenire la generatività, che, come fattore che migliora il capitale sociale e istituzionale delle comunità, può aiutare a ridurre le disuguaglianze.

Nel complesso la generatività peggiora

Il Rapporto ha investigato infatti anche questo aspetto, stilando una seconda classifica ad hoc attraverso 13 indicatori che riflettono aspetti multidimensionali come la natalità, il numero di start-up innovative, la raccolta differenziata, l’età media della madre al parto, il ‘voto col portafoglio (generare impatti positivi nella società e sull’ambiente con le proprie scelte di consumo e di investimento)’, la riduzione dei NEET (giovani che non studiano né lavorano), la crescita delle imprese straniere e molti altri aspetti che descrivono la capacità di un territorio di generare benessere sociale ed economico sostenibile.

Ecco le prime 10 province per generatività nel 2024:

• Bolzano (0)
• Milano (+1)
• Trento (-1)
• Gorizia (+33)
• Pordenone (0) -1
• Treviso (+2)
• Verona (+8)
• Mantova (+6)
• Rimini – (+17)
• Cuneo (-3).

Mentre le ultime 10 province sono:

• Siracusa (-54)
• Taranto (+5)
• Potenza (+7)
• Rovigo (+2)
• Sud Sardegna (-33)
• Foggia (+10)
• Livorno (-3)
• Campobasso (-14)
• Nuoro (-1)
• Oristano (-1)

Anche in questo caso le province del Nord continuano a guidare la classifica (ma le prime tre hanno perso qualcosa), mentre quelle del Sud e delle Isole registrano le peggiori performance.
Complessivamente però la generatività è peggiorata, sia in termini di livello che di aumento delle diseguaglianze, con un livellamento verso il basso della generatività delle province.

Tuttavia, ci sono segnali positivi in alcune province del Sud, come Catanzaro, che è salita di 65 posizioni, grazie a miglioramenti significativi in vari indicatori, tra cui la riduzione del tasso di NEET e un aumento della natalità e del tasso di nuzialità.

Tra le province che ‘fanno male’, invece, Siracusa e Viterbo hanno visto un netto peggioramento dovuto a cali significativi nel numero di start-up, nella natalità, e nella demografia imprenditoriale, segnando così una riduzione della vitalità sociale ed economica.

Sul Rapporto, tra gli altri, è intervenuto al Festival dell’Economia Civile Salvatore Capasso, direttore del Dipartimento CNR di Scienze Umane e Sociali, Patrimonio Culturale, che ha spiegato: “Con la complessità e la crescita economica, l’economia diventa sempre più ‘specializzata’. Indicatori di sintesi specifici sono fondamentali, perché catturano dati che quelli di sintesi generali – come il PIL – non riescono a percepire. Qualità del lavoro, impatto ambientale e salute sono solo alcuni di questi elementi”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Siamo davvero destinati a vivere 100 anni? Secondo...

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Vivere fino a 100 anni forse non è così scontato. Che la longevità abbia un limite ben preciso è un dato emerso da una recente ricerca. Lo studio è stato condotto da S. Jay Olshansky, un esperto in aspettativa di vita, docente della School of Public Health dell’Università dell’Illinois a Chicago.

Olshansky ha guidato lo studio, pubblicato il 7 ottobre sulla rivista Nature Aging, in cui si analizzano i dati sulla possibile longevità in diverse popolazioni, evidenziando un cambiamento rispetto al passato: se nei secoli XIX e XX l’aspettativa di vita ha quasi raddoppiato, oggi assistiamo a un rallentamento dei guadagni di anni. Cosa significa tutto questo per il futuro della nostra salute e della nostra vita?

L’aspettativa di vita

Nelle popolazioni con maggiore longevità, l’aspettativa di vita alla nascita è aumentata in media di soli 6,5 anni dal 1990, dopo essere quasi raddoppiata durante il XX secolo grazie ai progressi nella prevenzione delle malattie.

Secondo gli esperti, gli esseri umani sembrano, adesso, aver raggiunto un limite biologico alla vita. “La maggior parte delle persone vive oggi grazie a un tempo ‘creato’ dalla medicina – ha spiegato S. Jay Olshansky, l’autore principale dello studio -. Tuttavia, questi ‘cerotti’ medici producono meno anni di vita, il che implica che il periodo di rapidi aumenti dell’aspettativa di vita è finito”.

Un bambino nato oggi negli Stati Uniti può aspettarsi di vivere fino a 77,5 anni. Nello specifico, le bambine hanno una vita media di 80,2 anni, mentre i bambini di 74,8 anni, secondo i dati del National Center for Health Statistics. In Italia, la situazione è ancora più positiva: l’aspettativa di vita alla nascita è di circa 83 anni, con le donne che vivono mediamente fino a 85,3 anni e gli uomini fino a 80,5 anni, rendendo l’Italia uno dei Paesi con la maggiore longevità al mondo.

La ricerca e i suoi risultati

Olshansky, che studia l’aspettativa di vita da decenni, aveva già previsto in un articolo pubblicato nel 1990 sulla rivista Science che le persone stavano avvicinandosi a un tetto per l’aspettativa di vita intorno agli 85 anni. Molti esperti avevano invece previsto che i progressi nell’assistenza sanitaria avrebbero portato a ulteriori guadagni in termini di tempo. Lo studio prevede, invece, che i miglioramenti nell’aspettativa di vita continueranno a rallentare man mano che sempre più persone sperimentano gli effetti inesorabili dell’invecchiamento.

I ricercatori hanno esaminato i cambiamenti osservati nei tassi di mortalità e nelle aspettative di vita dal 1990 al 2019 negli otto Paesi più longevi al mondo. Parliamo di Giappone, Corea del Sud, Australia, Francia, Italia, Svizzera, Svezia e Spagna, oltre agli Stati Uniti. Hanno scoperto che il miglioramento dell’aspettativa di vita ha rallentato in quasi tutti questi luoghi.

“Il nostro risultato ribalta la convisione secondo cui l’aumento naturale di longevità per la nostra specie è proficuo e riguarda il futuro – ha dichiarato Olshansky -. In realtà, si trova dietro di noi, in un intervallo tra i 30 e i 60 anni. Abbiamo ora dimostrato che la medicina moderna sta producendo miglioramenti incrementali sempre più ridotti nella longevità, anche se i progressi medici avvengono a un ritmo vertiginoso”.

Fino a 100 anni si può?

Sebbene sia probabile che sempre più persone raggiungano i 100 anni, secondo il dottore, queste saranno un’eccezione, contrariamente a quanto si pensa in molti ambiti, come le assicurazioni e la gestione patrimoniale, dove si calcola che la maggior parte delle persone vivrà quasi un secolo: “Questo ragionamento è semplicemente sbagliato”, ha aggiunto Olshansky.

Lo studio sottolinea che, sebbene la scienza e la medicina possano produrre ulteriori benefici, potrebbe avere più senso investire nel miglioramento della qualità della vita piuttosto che nell’estensione della vita stessa.

I ricercatori hanno chiamato a un investimento nella geroscienza, la biologia dell’invecchiamento, sostenendo che potrebbe essere la chiave per la prossima ondata di salute e longevità: “Questa è una sorta di soffitto di vetro, non un muro di mattoni,” ha notato Olshansky. Ridurre i fattori di rischio, lavorare per eliminare le disuguaglianze e incoraggiare stili di vita più sani può consentire alle persone di vivere più a lungo e in salute.

“Possiamo superare questo soffitto di salute e longevità con la geroscienza e sforzi per rallentare gli effetti dell’invecchiamento, ma quello non lo possiamo più rallentare”, ha concluso.

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Jeff Bezos e il puttering prima di iniziare a lavorare: di...

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C’è qualcosa che riguarda il lavoro, viene fatta da Jeff Bezos e puoi fare anche tu: rilassarti per bene prima di iniziare a produrre. Questo, in estrema sintesi, è il puttering, routine che il fondatore di Amazon, nonché uno degli uomini più ricchi del mondo con un patrimonio stimato di 204 miliardi di dollari, segue pedissequamente ogni mattina.

Puttering, cosa è?

Invece di cominciare la giornata con riunioni affollate o telefonate, Bezos dedica un’ora del mattino al “puttering”, termine che lui stesso descrive come una serie di attività rilassanti e non strutturate. Durante un discorso al Economic Club di Washington, Bezos ha sottolineato quanto sia importante per lui questo tempo libero, che gli permette di ricaricare le energie prima di affrontare gli impegni della giornata.

“Puttering” per Bezos significa muoversi lentamente in casa, senza fretta, magari dedicandosi a una passeggiata o facendo piccole faccende. Non è un momento per prendere decisioni importanti, ma piuttosto per distendersi e prepararsi mentalmente. Questa abitudine, come ha spiegato fondatore di Amazon, gli consente di essere più lucido durante le riunioni più impegnative che, non a caso, pianifica solo a partire dalle 10 del mattino. Molti non se lo possono permettere, ma la sua testimonianza offre spunti interessanti per tutti i lavoratori.

“Preferisco fare le riunioni che richiedono maggiore concentrazione prima di pranzo, quando la mia energia è al massimo. Dopo le 5 di sera, non riesco più a pensare in modo chiaro”, ha detto Bezos spiegando che grand parte del suo successo deriva al riposo e al tempo dedicato a sé stesso. Ha spiegato che si assicura di dormire almeno otto ore ogni notte, perché questo migliora il suo umore, la sua capacità decisionale e la sua energia.

Nel suo libro Invent & Wander, ha scritto: “Dormire a sufficienza mi fa pensare meglio, avere più energia e migliorare il mio stato d’animo”. Questo approccio bilanciato tra lavoro e riposo gli ha permesso di mantenere livelli elevati di produttività nel lungo periodo.

I benefici del “puttering”

Il “puttering”, al di là della routine di Jeff Bezos, ha benefici riconosciuti per la salute mentale e fisica. Secondo Maris Loeffler, terapista specializzata in ansia e stress presso lo Stanford Lifestyle Medicine Program, dedicarsi ad attività rilassanti all’inizio della giornata può ridurre i livelli di ansia e migliorare la concentrazione. Loeffler avverte che trascorrere troppo tempo su dispositivi elettronici appena svegli può avere l’effetto opposto, danneggiando la memoria e la capacità di apprendimento a lungo termine.

Molti studi, come quelli citati dalla Loeffler, collegano un uso eccessivo dei dispositivi a una riduzione del volume della materia grigia nel cervello, associata a un declino delle funzioni cognitive. Una situazione sempre più urgente, ma anche avvertita come dimostra la petizione firmata da esperti e vip per vietare l’uso dello smartphone agli under 14 e dei social agli under 16.

Il “puttering”, quindi, rappresenta un antidoto al sovraccarico mentale causato dalla tecnologia. Lontano dai dispositivi, Bezos riesce a iniziare la giornata in modo più sereno e con un approccio più calmo, concentrato su attività manuali o rilassanti. Questo tipo di routine consente di ridurre lo stress e di prevenire problemi di salute legati a ritmi troppo frenetici, come dimostrano anche altre ricerche sull’importanza di prendersi momenti di pausa e relax nel corso della giornata.

Un esempio di vita equilibrata

Nonostante la sua vita frenetica e le responsabilità legate alla gestione di un colosso come Amazon, Bezos ha scelto di mantenere una routine che gli consente di bilanciare lavoro e riposo. Il suo “puttering” mattutino è un esempio di come anche i leader più impegnati possono trarre beneficio da momenti di pausa e riflessione.

Insomma, non sono solo le lunghe ore di lavoro a determinare il successo, ma anche la capacità di prendersi cura di sé, mantenendo un equilibrio mentale e fisico che lo aiuta a rimanere performante nel lungo periodo.

La sua filosofia si riflette anche nella struttura delle sue giornate lavorative: Bezos preferisce gestire gli impegni più complessi nelle ore del mattino, quando si sente più fresco e pronto ad affrontare gli impegni di lavoro.

Ora non ci resta che testare.

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Denatalità, Rago (Pertini): “Scelte personali devono tener...

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La denatalità in Italia è un problema gravissimo. Lo ha ribadito con decisione Rocco Rago, direttore dell’unità operativa di fisiopatologia della riproduzione dell’ospedale Sandro Pertini di Roma e direttore del dipartimento materno-infantile della Asl Roma 2.

In occasione della XVIII edizione delle giornate di andrologia e medicina della riproduzione, il più grande congresso di medicina della riproduzione che si tiene ogni anno a Sabaudia, Rago ha chiarito: “La situazione non è grave. È gravissima. Serve una cultura fisiologica della riproduzione”.

La denatalità in Italia

Negli ultimi anni, l’Italia ha registrato un costante calo della natalità. L’attuale media è di soli 1,2 figli per donna nel 2023, in diminuzione rispetto all’1,24 del 2022. Secondo l’Istat, nel 2023 sono stati circa 379mila nati, con un tasso di natalità sceso a 6,4 per mille, rispetto al 6,7 dell’anno precedente.

Questo declino è iniziato nel 2008 e ha portato a una perdita complessiva di 197mila nascite (-34,2%). Le coppie senza figli e i genitori single sono in aumento, mentre la maternità viene posticipata, con l’età media delle donne che ricorrono alla procreazione assistita che ha raggiunto quasi 37 anni. Le cause includono fattori economici, stili di vita e un cambiamento culturale che privilegia la carriera.

Si stima che nel 2024 il numero di nati potrebbe scendere ulteriormente, evidenziando una crisi demografica che richiede urgentemente interventi e una nuova cultura della fertilità.

“La situazione non è grave. È gravissima – ha spiegato Rago -. Innanzitutto, c’è da dire che l’età media delle donne che vanno alla ricerca di una tecnica di procreazione assistita è arrivata a quasi 37 anni e a oltre 42 se effettua un’eterologa. Il numero medio di figli per donna è oggi a 1.2 e rappresenta il dato più basso dal dopoguerra. Anche se è ancora una stima, quella del 2024 ci porta tra i 350 e i 360 mila nati, quindi verso un dato già fortemente negativo rispetto al 2021 che era di 399 mila nuovi nati. Teniamo presente che nel 1964 in Italia nascevano un milione e 350 mila nati. Nel 2024 quel milione ce lo siamo persi”.

Posticipare la maternità: quali rischi?

“L’età anagrafica in cui si ricerca una gravidanza si è spostata in avanti di dieci anni – ha continuato l’esperto – e a questa si aggiungono le patologie oncologiche, gli stili di vita e anche le abitudini culturali che sono cambiate nel desiderio di una gravidanza”. Tutti questi fattori, in sintesi, incidono sul concepimento e sull’infertilità di coppia rendendoli sempre più al centro dell’attuale dibattito.

Posticipare la maternità riduce l’arco temporale disponibile per le potenziali madri. Per cercare quindi di invertire questo trend negativo ha spiegato lo specialista “dobbiamo iniziare col diffondere una cultura della fisiologia della riproduzione, spiegando alle giovani generazioni che la donna ha un orologio biologico che ha una sua scadenza. Non tutti infatti sanno che sopra i 35 anni inizia un calo della fertilità e che, se si desidera avere un figlio, bisogna cominciare a pensarci prima di quell’età. Non sarà una cosa che faremo in un anno, ma nei decenni successivi, iniziando piano piano a modificare già da ragazzi quella che può essere la cultura della fertilità”.

Per il dottor Rago, la sfida è sensibilizzare l’opinione pubblica contro stereotipi e idee sbagliate: “Bisogna essere consapevoli che nella vita si fanno delle scelte: se si decide di avere una vita incentrata sul singolo va benissimo, ma se poi questa non combacia col desiderio di una gravidanza, allora è una cosa di cui si deve essere informati – e chiarisce -. Anche la stessa concezione della scienza come soluzione sempre e comunque efficace può portare a sottostimare elementi come il calo di fertilità legato all’avanzare dell’età”.

“Un’altra attività su cui sarebbe necessario investire – ha poi concluso – sono le infrastrutture che dovrebbero essere messe a supporto della donna che vuole lavorare anche avendo uno o più figli. Oggi non abbiamo più quella famiglia allargata che avevamo una volta e che consentiva alle donne di tornare a lavoro lasciando i propri figli accuditi da nonni e parenti. Oggi c’è necessità di avere dei servizi accessibili, sia da un punto di vista economico, sia da un punto di vista della presenza di questi servizi”.

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