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Scuola, chat mamme troppo stressanti, l’esperto: “Chiudete i gruppi whatsapp”

Psicoterapeuta Lancini: "La nostra vita ormai si vive online" - Costarelli (Presidi): "'Su chat mamme servono buon senso ed equilibrio"

Scuola, chat mamme troppo stressanti, l'esperto:

Più che Desperate Housewives, è forse più appropriato dire Desperate Mothers: madri stressate dal lavoro, dalla quotidianità e dalle chat scolastiche. Ci sono madri che scelgono di abbandonare le chat di classe per le troppe parole al vento: i gruppi web sono strumenti che possono essere utili se si danno annunci o informazioni, meno quando a prevalere nelle conversazioni sono commenti di ogni genere e del tutto gratuiti. Che fine hanno fatto i buoni vecchi incontri di persona? Secondo il professor Matteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, e presidente della Fondazione Minotauro, tutto dipende da come si è sviluppata la società nell'era del web. "Oggi noi isoliamo il nostro comportamento attraverso internet, nelle su varie forme -pc, smartphone, ipad- come se riguardasse solo quell'ambito lì. Internet, le chat, sono la vita che abbiamo costruito in questa società. E poi ci mettiamo a fare petizioni per vietare il cellulare ai ragazzi".

"Io penso, e l'ho dichiarato molte volte, anche in audizioni parlamentari, che i gruppi whatsapp andrebbero chiusi, in particolare quelli scolastici - continua Lancini - le chat sono comode ma hanno allontanato la tradizionale relazione tra scuola, personale scolastico e famiglia: tutto è in rete e quindi si rimane connessi, la nostra vita ormai si vive online. E le chat sono la conseguenza della società che abbiamo deciso di costruire. Una dimensione, quella di internet, che ha cambiato il mondo, come lo avevano fatto tv e fotografia. Oggi però c'è una fragilità adulta senza precedenti e un individualismo altissimo: i genitori nelle chat prima si aiutano, si scambiano informazioni, si organizzano, poi però spesso litigano e si insultano senza pensare ai figli. Questi ultimi non sono più al centro della vita scolastica né di quella familiare perché al centro c'è fragilità dei genitori. Queste chat ne sono lo specchio, il tema principale sono le beghe tra i genitori, le risse, le esigenze degli adulti e non certo dei figli".

Chat di classe che possono sfuggire di mano e diventare teatro di scontri tra genitori: un appello al buon senso e all'equilibrio nell'uso delle chat dei genitori viene da Cristina Costarelli, presidente dell'Associazione nazionale presidi del Lazio. "Queste chat nascono con una funzione che può essere positiva se è meramente informativa, di scambio di comunicazioni di servizio, - evidenzia Costarelli all'Adnkronos - purtroppo molto spesso il problema sono le persone e questi gruppi diventano altro rispetto alle finalità originali".

"Chat che diventano luogo di offese, creazione di problemi che non ci sono, luoghi virtuali di narrazione di racconti sulla realtà della scuola - spiega Costarelli - mi riferisco per esempio ad accadimenti tra alunni di una classe, interventi di docenti nella loro normale attività di insegnamento che poi vengono raccontati, riferiti, riportati, ingigantiti e quindi diventano uno strumento, anziché di aiuto, di complicazione. A me in oltre 10 anni di lavoro da dirigente scolastico è capitato tante volte di dover gestire problemi creati quasi unicamente dalla comunicazione in chat poco chiara, di problemi di facile risoluzione o addirittura inesistenti che vengono ingigantiti, amplificati tanto da allontanare il fatto originario. Per concludere, il problema non è lo strumento ma l'uso che se ne fa: la tecnologia deve essere di aiuto e non complicare la vita, servono buon senso ed equilibrio".

Le chat di classe sono "tristi ed educativamente sbagliate'. Così le definisce all'Adnkronos Suor Anna Monia Alfieri, Cavaliere al Merito della Repubblica ed esperta in politiche scolastiche: "Nel mondo della scuola il fenomeno delle chat dei genitori è uno fra i più tristi. Spesso, infatti, le chat divengono il luogo dell'insulto gratuito ai docenti o di insulto reciproco tra i genitori, - spiega Suor Anna Monia Alfieri - in virtù degli schieramenti che si creano, di volta in volta, a seconda della questione da trattare. Il fenomeno delle chat, pertanto, rivela in modo evidente l'incapacità educativa dei genitori della nostra epoca, non di tutti, ovviamente! Qualche mosca bianca, per fortuna c'è e il suo destino è quello di essere emarginato dal resto del gruppo".

"Tralasciando il tempo che viene perso per seguire i diversi commenti, ritengo che sia errato il concetto stesso di chat di classe, in quanto le comunicazioni passano sempre attraverso i canali ufficiali della scuola, primi fra tutti il registro online e il sito della singola istituzione scolastica. Chiaramente i genitori sono liberi di scegliere se organizzare o meno la chat di classe, tuttavia la motivazione spesso addotta, ossia che la chat è un canale per diffondere notizie e avvisi relativi al mondo della scuola, non ha alcun fondamento. Trovo, inoltre, che sia educativamente non solo sbagliato - continua Suor Anna Monia Alfieri - ma pure enormemente pericoloso mostrare ai figli i contenuti delle chat, soprattutto quando esse contengono insulti o critiche alla volta dei docenti".

"Il messaggio della collaborazione tra scuola e famiglia -osserva- naufraga miseramente e il ragazzo registra dentro di sé come cosa da adulti il comportamento adolescenziale dei genitori. Occorre che gli adulti facciano gli adulti, che lo siano veramente e sappiano, pertanto, gestire in modo maturo la necessità imprescindibile del dialogo tra la scuola e la famiglia, unico antidoto ai molteplici mali che caratterizzano la nostra società e che ogni giorno andiamo denunciando". (di Giselda Curzi)

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Cronaca

Giulia Tramontano, processo Impagnatiello: oggi sentenza...

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Per l'imputato, accusato di aver ucciso la compagna incinta di 7 mesi, la procura di Milano ha chiesto l'ergastolo e l'isolamento diurno per 18 mesi

Maglietta in ricordo di Giulia Tramontano e di Thiago, il bimbo che portava in grembo - Fotogramma

Ergastolo. E' questa la parola che aleggia nell'aula della corte d'Assise di Milano dove oggi, lunedì 25 novembre, nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, Alessandro Impagnatiello conoscerà il suo destino per aver ucciso a coltellate la compagna Giulia Tramontano, incinta (al settimo mese) di Thiago. Il carcere a vita e l'isolamento diurno per 18 mesi è la richiesta avanzata dalla procura per chi deve rispondere di un omicidio aggravato dalla premeditazione, dal legame affettivo, dai futili motivi e dalla crudeltà per aver affondato il coltello per 37 volte contro la vittima, per aver tentato di bruciarla due volte e averla abbandonata in strada, avvolta da sacchi della spazzatura.

La morte di Giulia "un viaggio nell'orrore"

Un "viaggio nell'orrore", a usare le parole della pm Alessia Menegazzo, pianificato dal trentunenne "narcisista, psicopatico, manipolatore" che ammazza i due "ostacoli per la sua realizzazione". Smascherato, l'ex barman dalla doppia vita, uccide in modo "brutale": nessun raptus, va solo in scena "la banalità del male". Giulia, secondo l'accusa, firma "la propria condanna a morte" quando svela di aspettare un bambino. L'ondivago Impagnatiello, talvolta compagno premuroso e più spesso amante bugiardo, inizia a somministrare a Giulia Tramontano veleno per topi per procurarle un aborto, poi come un "giocatore di scacchi fa l'ultima mossa" e dopo l'incontro tra la compagna e l'altra donna, cambia strategia: l'idea è celare l'omicidio simulando una scomparsa. Ma l'imputato - ritenuto capace di intendere e volere dai periti nominati dalla corte - non fa i conti con chi non si rassegna alla sparizione di Giulia, alla paura che non ferma l'altra donna a dire la verità, al sangue trovato nel bagagliaio della propria auto. Dopo quattro giorni, accerchiato da carabinieri e procura, confessa e fa ritrovare il corpo.

Il "castello di bugie" crolla, ma tiene ancora la maschera e nell'interrogatorio in aula alterna verità a 'non ricordo', si confonde, non sa fornire un movente, s'impegna più a giustificare se stesso che a chiedere scusa alla famiglia Tramontano, papà Franco, mamma Loredana Femiano, i fratelli Chiara e Mario che saranno come sempre in aula. Oggi la procura non replica, e se l'imputato tace (potrebbe rendere brevi dichiarazioni spontanee), la prima corte d'Assise, composta da giurati popolari e presieduta dalla giudice Antonella Bertoja si ritirerà subito in camera di consiglio. Le telecamere, ammesse solo la scorsa udienza, potranno riprendere il momento della sentenza, ma non inquadrare il narcisista che, ancora una volta, ha deciso di salvaguardare se stesso.

Il dolore del papà di Giulia: "Ergastolo non è vendetta, ma rispetto"

Giustizia, rispetto e il massimo della pena. Sono passati 18 mesi dal femminicidio di Giulia, ma per i genitori il dolore resta identico, se possibile peggiora nella consapevolezza di non poter più abbracciare la loro primogenita. Ma oggi anche loro, come sempre, saranno in aula. "Chiediamo con forza - scrive il papà - che venga applicata la pena massima prevista dalla legge: l'ergastolo. Non solo per rendere giustizia a lei, alla famiglia e al bambino che portava in grembo, ma anche per lanciare un messaggio chiaro e inequivocabile. Questa richiesta non è mossa da vendetta, ma da un profondo senso di giustizia". Parole lasciate su Instagram, nelle ore di attesa e speranza.

La violenza di genere "è una piaga che devasta la nostra comunità" e "confidiamo che le istituzioni sappiano agire con fermezza, dimostrando che la legge è dalla parte delle vittime. Chiediamo che il rispetto per Giulia, per la sua vita spezzata e per il dolore che ha lasciato, non sia calpestato da parole che tentano di piegare la verità: la dignità di una vittima - scrive Franco Tramontano - non può mai essere sacrificata per costruire una difesa".

Non c'è giorno intanto che mamma Loredana non ricordi con una canzone, un messaggio, una foto di sua figlia insignita, lo scorso anno, dell'Ambrogino d’'oro da una città che l'ha 'adottata' e che come Senago non dimentica la ventinovenne di Sant'Antimo (Napoli). "Cara Giulia ho bisogno di te, ti cerco ovunque, sei tu la mia ancora di salvezza in questo mare di dolore, sei tu il mio arcobaleno in questa tempesta di dolore, sei tu la spalla su cui vorrei piangere". E ancora "questa 'permanenza' è troppo dolorosa, la tua assenza mi devasta".

Un anno dopo il fratello Mario è diventato papà di una bimba che porta il nome di sua sorella Giulia, mentre la combattiva Chiara, la sorella che le somiglia come una goccia d'acqua, fatica ancora a trovare "le parole giuste: è difficile misurare la rabbia, l'indignazione, la sofferenza. Come donna, combatto due battaglie. La prima è alimentata dalla paura di essere la prossima donna a essere ricordata per una morte brutale, la seconda è una lotta affinché nessuna famiglia debba mai affrontare la possibilità che un omicidio così efferato rimanga impunito o che il colpevole non sconti una pena adeguata". Oggi "grideremo giustizia per Giulia e Thiago, ma lo faremo per tutte le donne che non hanno più voce. Giulia sarà con noi in quell'aula, insieme a voi, a tutte le anime gentili strappate a questo mondo. Saremo lì, e spero che ci saranno tutte le donne che ancora sognano un futuro senza paura".

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Cronaca

Omicidio di Giulia Tramontano, da scomparsa a sentenza...

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Oggi il verdetto per l'ex barman nella Giornata contro la violenza sulle donne

Ris dei Carabinieri in casa di Giulia Tramontano e Alessandro Impagnatiello, a Senago, dopo il ritrovamento del corpo della giovane incinta di 7 mesi - Fotogramma

Nella giornata contro la violenza sulle donne arriva oggi il verdetto nel processo a Alessandro Impagnatiello, l'ex barman che ha ucciso la compagna Giulia Tramontano con 37 coltellate. Giulia, 29 anni, era incinta al settimo mese. Ecco tutte le tappe dell'assassinio avvenuto a Senago.

La scomparsa

"E' sicuramente in difficoltà in quanto al settimo mese di gravidanza". E' il testo che segnala la scomparsa e dà il via alle ricerche di Giulia Tramontano, la ventinovenne incinta di Thiago, sparita la sera di sabato 27 maggio 2023 dall’appartamento di Senago, alle porte di Milano, in cui vive con il compagno Alessandro Impagnatiello. Nulla fa pensare a un allontanamento volontario.

Le indagini

Le ricerche si concentrano sul fidanzato. E' lui, il pomeriggio di domenica, a denunciare la scomparsa ai carabinieri. Racconta di una lite la sera prima, di aver lasciato Giulia mentre dormiva e di essere andato a lavoro. La versione non convince e le testimonianze di chi lavora con lui svelano la doppia vita del barman. Le tracce di sangue trovate nell’auto danno un’accelerata alle indagini: viene indagato dalla procura di Milano per omicidio volontario aggravato.

La confessione

"L'ho uccisa io". E' il primo giugno del 2023 quando Impagnatiello, 30 anni, confessa il delitto e indica il posto - in via Monte Rosa, in un anfratto accanto ad alcuni box - in cui l'ha nascosta. Il corpo è avvolto in sacchetti di plastica. Ammazzata a coltellate - l'autopsia restituisce la crudeltà dei 37 colpi - ha provato a darle fuoco due volte (nella vasca e nel box), ne ha inscenato la scomparsa (nascondendola in cantina, nel garage nel bagagliaio, prima di disfarsene a meno di 700 metri da casa) e ha provato a depistare le indagini.

Il 3 novembre 2023, la procuratrice aggiunta Letizia Manella e la pm Alessia Menegazzo chiedono il giudizio immediato per omicidio volontario aggravato, interruzione non consensuale di gravidanza e occultamento di cadavere. Il delitto è premeditato come dimostrerebbe il tappetto della sala spostato per non macchiarlo e il veleno per topi somministrate più volte alla compagna e trovato anche nel feto: è la prima arma usata (fin dal dicembre 2022) per uccidere. L'omicidio è aggravato dalla crudeltà, dai futili motivi e dal legame che univa Giulia e Alessandro.

Inizia il processo

Il 18 gennaio davanti alla prima corte d'Assise di Milano, presieduta dalla giudice Antonella Bertoja, è presente la famiglia Tramontano - papà Franco, mamma Loredana Femiano, i fratelli Chiara e Mario -. In gabbia Impagnatiello tiene lo sguardo basso. Lontano dalle telecamere, vietate in aula, fa brevi dichiarazioni spontanee. "Ci sono tante persone a cui devo delle scuse, ma vorrei rivolgermi a Giulia e alla famiglia. Non ci sono parole corrette da dire, affronto una cosa che rimarrà per sempre inspiegabile per la disumanità. Quel giorno ho distrutto la vita di Giulia e di nostro figlio, quel giorno anch'io me ne sono andato perché non vivo più". Le scuse non vengono accettate.

L'interrogatorio in aula

Il processo che vede sfilare investigatori e familiari trova un punto centrale nell’interrogatorio dell’imputato. "L'ho colpita all'altezza del collo, solo in cella con un servizio in tv ho saputo di averle sferrato 37 colpi. Giulia non si è difesa" è il racconto di Impagnatiello. In aula aggiunge qualche dettaglio crudele - "Andrai a pranzo da mia madre e in auto c'era il cadavere" - e ammette il suo "castello di bugie" (per tenere in piedi due relazioni parallele), un mare "in cui sono annegato". Sostiene di aver avvelenato Giulia "solo due volte, nella prima parte di maggio, non per farle del male, ma per provocarle un aborto". Parla per ore, ma non sa fornire un movente: "E' una domanda che mi sono fatto miliardi di volte e che non avrà mai risposta".

La perizia

A sorpresa, il 10 giugno scorso, i giudici chiedono la perizia psichiatrica. Tre mesi dopo arriva il responso: per gli psichiatri Gabriele Rocca e Pietro Ciliberti l'imputato era capace di intendere e di volere. Alessandro Impagnatiello "non poteva accettare lo 'smascheramento' con le conseguenze umilianti”. L'incontro, poche ore prima del delitto, tra Giulia Tramontano e l'altra donna, fa esplodere in lui - manipolatore con tratti narcisistici - una dimensione "rabbiosa" che sfocia nel femminicidio. Pur di non vedere il suo mondo crollare in pezzi si trasforma in assassino.

La richiesta di ergastolo

In aula va in scena un "viaggio nell'orrore" il cui protagonista è l'imputato "narcisista, psicopatico, manipolatore" che ammazza Giulia e Thiago "ostacoli per la sua realizzazione". Smascherato, uccide in modo "brutale": nessun raptus, ma un progetto "premeditato" attuato da un uomo normale che rappresenta "la banalità del male". Giulia ha firmato la sua condanna a morte quando gli ha detto che aspettava un bambino, e Impagnatiello "come un giocatore di scacchi" dopo l'incontro tra le due donne "fa l'ultima mossa" e uccide. La richiesta dell'accusa è di ergastolo e isolamento diurno per 18 mesi. La difesa, rappresentata dalle avvocatesse Giulia Gerardini e Samanta Barbaglia, chiede invece la "pena minima".

Oggi la sentenza

Dopo 14 udienze, proprio nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne, oggi è atteso il verdetto dei giudici della prima sezione della corte d’Assise per uno degli omicidi più efferati degli ultimi anni. Spetterà ai giudici decidere se sussistono tutte le aggravanti - la premeditazione sembra essere l'unica questione più spinosa -, ma la sentenza di ergastolo (viste le accuse) per Alessandro Impagnatiello sembra già scritta.

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Cronaca

Turetta, oggi parla il pm: chiederà ergastolo per omicidio...

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Accusato di omicidio volontario aggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere

Filippo Turetta

Filippo Turetta ha pianificato l'omicidio Giulia Cecchettin: si è appuntato su un foglio gli oggetti da comprare per immobilizzare l'ex fidanzata, ha studiato le mappe per potersi disfare del corpo e ha organizzato la sua fuga da Vigonovo (Padova). Non ha mai considerato l'idea di poter lasciare in vita chi aveva deciso di lasciarlo, tanto meno ha pensato di fare del male a se stesso. Ne è convinto il pm Andrea Petroni che lo ha incalzato durante l'interrogatorio e che oggi, davanti alla corte d'Assise di Venezia, è pronto a chiedere l'ergastolo per il ventiduenne, imputato per omicidio volontario pluriaggravato, sequestro di persona e occultamento di cadavere.

In aula, il pubblico ministero - nella Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne - ricostruirà la relazione altalenate di circa un anno e mezzo fra i due studenti di Ingegneria biomedica, la crescente ossessione dell'imputato, la scelta della vittima di allontanarsi e l'insistenza di Turetta che si trasforma in persecuzione soffocante - fino a spiarla con un'app sul cellulare - che gli costa l'aggravante dello stalking. Impossibile, per l'accusa, non sostenere la crudeltà: sono 75 le coltellate inflitte contro la vittima che lo rifiutava.

Cosa ha detto Turetta

"Ho ucciso Giulia perché non voleva tornare con me, soffrivo di questa cosa. Volevo tornare insieme e lei non voleva…mi faceva rabbia che non volesse" le parole di Turetta. E' nel patriarcato che il femminicidio di Giulia Cecchettin affonda le sue radici.

Dopo una serata insieme e l'ultimo 'no', Turetta realizza il suo piano appuntato nella lista, un elenco di oggetti da comprare e idee, che è la prima parziale confessione. "Ho ipotizzato di rapirla in macchina, di allontanarci insieme verso una località isolata per stare più tempo insieme…poi aggredirla, togliere la vita a lei e poi a me" dice interrogato. Bugie, il piano è sempre stato uno.

La ricostruzione

L'11 novembre 2023 nel parcheggio di Vigonovo, a pochi passi da casa Cecchettin, Turetta sa cosa vuole. Quando uno dei coltelli si rompe lui non si ferma: costringe l'ex a salire in macchina, la blocca con dello scotch e quando prova a scappare la finisce con un'altra lama, nella zona industriale di Fossò. Dopo cento chilometri abbandona il corpo, avvolto in sacchi neri, vicino al lago di Barcis e prosegue la fuga in solitaria tra stradine studiate in anticipo, usando solo contanti e spegnendo il telefono per non farsi trovare. Fino alla resa in Germania, una settimana dopo l'omicidio di Giulia Cecchettin.

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