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Duello a distanza Harris-Trump in Pennsylvania, ecco perché è cruciale

Lo stato si conferma il vero 'battleground', il campo di battaglia che deciderà il vincitore o la vincitrice del duello per la Casa Bianca

Kamala Harris e Donald Trump - Afp

A 21 giorni dall'election day, la Pennsylvania si conferma il vero 'battleground', il campo di battaglia che deciderà il vincitore, o la vincitrice, del duello per la Casa Bianca. Donald Trump e Kamala Harris ieri hanno duellato a distanza nel Keystone State, con la vice presidente che, nella sua settima tappa elettorale nello stato, ha fatto un comizio a Erie, cittadina che potrebbe rivelarsi cruciale perché a maggioranza democratica in una contea invece repubblicana.

Anche Trump la notte scorsa era in Pennsylvania, ad Oaks nella contea di Montgomery, una delle contee intorno a Philadelphia dove invece l'ex presidente tenta di raccogliere sostegni tra le comunità dei 'blue collar', tradizionalmente dem, come fece nel 2016 vincendo nello stato. Ed a Philadelphia oggi è atteso Joe Biden, lo stato dove è nato nel 1942 prima di trasferirsi con la sua famiglia in Delaware nel 1953, e che nel 2020 è riuscito a riconquistare ai democratici, dopo la sconfitta di Hillary Clinton nel 2016.

Perché è uno Stato cruciale

Nello Stato oggi è atteso anche il candidato dem alla vice presidenza, Tim Walz, per una serie di appuntamenti elettorali, e le tappe di candidati ed alleati - la scorsa settimane in Pennsylvania è arrivato Barack Obama che ha rivolto un duro monito agli elettori maschi, in particolare afroamericani, che resistono all'idea di una presidente donna - non faranno altro che intensificarsi in vista dell'election day.

Questo perché, numeri in mano, sondaggisti e analisti politici non hanno dubbi: secondo una recente analisi di The Hill, chi il prossimo 5 novembre si aggiudicherà la il Keyston State avrà l'85% di possibilità di diventare presidente. E Nate Silver, il guru dei sondaggisti americani, addirittura parla del 90% delle possibilità.

La Pennsylvania infatti appare cruciale nel 'cammino' sia si Harris che di Trump verso la vittoria nel collegio elettorale. In ogni duello per la Casa Bianca, un candidato si costruisce un 'cammino' verso la Casa Bianca, e un bottino di voti elettorali, attraverso le vittorie in stati in cui il suo partito ha un tradizionale vantaggio e puntando ad un numero di vittorie negli stati contesi sufficiente ad arrivare a 270 voti elettorali.

Sia Harris che Trump potrebbero in effetti avere cammini alternativi in caso di sconfitta in Pennsylvania, ma questi imporrebbero loro di vincere in stati in cui non sono tradizionalmente favoriti. "Non prevediamo che nessuno dei due candidati possa raggiungere i 270 voti elettorali senza vincere la Pennsylvania, dove al momento sono alla pari", recita l'analisi realizzata dal Decision Desk HQ di The Hill il cui direttore, Scott Tranter, dà comunque ad Harris una percentuale leggermente più alta, il 52%, di vittoria.

Il fattore Pennsylvania

Sono diversi i fattori che rendono la Pennsylvania così decisiva, a cominciare dal fatto che dal punto di vista demografico, economico e politico appare come un microcosmo degli interi Stati Uniti. Con un passato di forte industria manufatturiera, ora lo stato ha nuovi tipi di industrie, ma anche un ampio settore energetico, con grandi depositi di shale oil. La popolazione è in maggioranza bianca, ma con comunità di minoranze in crescita, con città industriali come Allentown che sono ora a maggioranza ispanica. La percentuale degli afroamericani è del 12%, vicina al 13% nazionale.

Infine, secondo un modello ormai classico non solo negli Usa, ci sono grandi aeree urbane, come Philadelphia e Pittsburg, che votano democratico, con le vaste aree rurali invece conservatrici. In mezzo i sobborghi del ceto medio, un tempo repubblicani ed ora che guardano a sinistra. Insomma uno stato che appare spaccato tra repubblicani e democratici, come dimostra il fatto che nel 2016 Trump ha sconfitto Hillary Clinton per 44mila e quattro anni dopo è stato sconfitto da Joe Biden per 82mila.

Inoltre la Pennsylvania, quinto stato più popoloso d'America, è fra i sette stati chiave quello con il bottino di voti elettorali, 19, più ricco. Senza dimenticare che dal 1972, il Keystone State ha votato sempre per il vincitore delle presidenziali, tranne in due casi: nel 2000 quando fu Al Gore a vincere in Pennsylvania e nel 2004 quando fu vinta da John Kerry, mentre entrambe le elezioni furono vinte da George Bush.

Vittoria o sconfitta, gli scenari

Secondo degli esempi di cammino verso la Casa Bianca della Bbc, se Harris vince Pennsylvania, Wisconsin e Michigan - negli ultimi 50 anni i tre stati della Rust Belt hanno sempre votato nello stesso modo, tranne che in due elezioni - e il distretto congressuale del Nebraska, unico stato insieme al Maine che assegna grandi elettori anche con il proporzionale, la democratica sarà la prossima presidente. Se invece sarà Trump a vincere in Pennsylvania, anche senza Michigan e Wisconsin ma con North Carolina e Georgia, allora sarà lui a tornare alla Casa Bianca.

Se non vincesse in Pennsylvania, Trump non avrebbe alcuna possibilità di vittoria senza conquistare almeno tre stati conquistati da Biden nel 2020. Mentre per Harris una sconfitta in Pennsylvania, significherebbe dover vincere per forza o in North Carolina, che ha 16 voti elettorali ed è andata a Trump sia nel 2016 che nel 2020, o in Georgia, che ha sempre 16 voti elettorali ed è stata persa da Trump quattro anni fa per appena 11mila voti.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Esteri

Papa e parole sui diritti delle donne in Belgio, oltre 500...

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In una lettera aperta i firmatari dicono di aver rinunciato al sacramento, contestando le parole pronunciate da Francesco

Papa Francesco - Afp

Più di 500 belgi hanno chiesto di essere sbattezzati dopo la visita di Papa Francesco per protestare contro le affermazioni del pontefice sui diritti delle donne e sul loro ruolo nella società. Lo fa sapere l'agenzia di stampa Belga, che cita una lettera aperta nella quale 524 firmatari dicono di aver rinunciato al sacramento, contestando le parole pronunciate da Francesco, che aveva descritto la legislazione sull'aborto nel Paese come una “legge assassina” e definito i medici che eseguono l'interruzione di gravidanza “assassini a pagamento”.

Durante la visita all'Università Cattolica di Louvain-La-Neuve a fine settembre, il Papa aveva anche detto che il ruolo della donna è una “dedizione feconda, accogliente, nutriente e vivificante”. In un comunicato stampa diffuso dall'università dopo la conversazione si leggeva di “incomprensione e disapprovazione per la posizione espressa da Papa Francesco riguardo al ruolo della donna”.

I 524 firmatari hanno inviato una lettera aperta alle autorità ecclesiastiche criticando la loro mancanza di risposte alle accuse di abusi commessi e “l'assenza di misure concrete” per sostenere e risarcire le vittime. Anche la decisione del Papa di avviare il processo di beatificazione di Re Baldovino, annunciata durante la sua visita nel Paese, ha suscitato notevoli polemiche. Nel 1990, il Belgio ha legalizzato l'aborto dopo che il devoto cattolico re Baldovino aveva abdicato per un giorno per consentire l'approvazione della legge senza doverla firmare.

"Le parole del Papa sono inaccettabili, non abbiamo nessuna lezione da ricevere", commentava così il premier belga Alexander De Croo le frasi del Papa durante la sua visita in Belgio, dove aveva definito l'aborto un "omicidio" e i medici che si prestano alla pratica dei "sicari". De Croo aveva anche annunciato la convocazione del nunzio apostolico per "discutere" la questione, definendo "inaccettabile" quanto successo.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Esteri

Nato, oggi il vertice dei ministri della Difesa: focus su...

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Summit di due giorni a Bruxelles, il segretario generale dell'Alleanza: "Puntiamo a implementare alcune decisioni chiave: rafforzare la nostra deterrenza e difesa, supportare Kiev". Presente anche Zelensky, vedrà Rutte

Bandiera Nato - Fotogramma /Ipa

A Bruxelles, da oggi e per i prossimi due giorni, il vertice dei ministri della Difesa Nato. Sul tavolo, tra i punti chiave, la produzione di armi per l'Alleanza e il focus sull'Ucraina.

"Nei prossimi due giorni, i ministri della Difesa Nato s'incontreranno per la prima volta dal summit di Washington dello scorso luglio e puntiamo a implementare alcune decisioni chiave prese allora: rafforzare la nostra deterrenza e difesa, supportare l'Ucraina approfondendo la nostra partnership", ha dichiarato ieri il segretario generale della Nato, Mark Rutte, nella conferenza stampa d'apertura del vertice. Rutte, che si è insediato il primo ottobre, ha esortato gli Stati membri "a produrre più armi e munizioni, a costi più bassi e rapidamente", affermando che l'Alleanza è sulla buona strada per raggiungere l'obiettivo di spesa di 40 miliardi di euro per l'Ucraina quest'anno.

La due giorni di Bruxelles: chi c'è, i temi chiave

Per i prossimi due giorni la capitale belga ospiterà i ministri della Difesa dei paesi membri dell'organizzazione, oltre ai Paesi partner dell'Indo-Pacifico - Australia, Giappone, Corea del Sud e Nuova Zelanda - che per la prima volta prenderanno parte al vertice ministeriale. Presenti anche l'Unione Europea ("testimonianza della nostra partnership unica") e il ministro della Difesa ucraino Rustem Umerov.

Il sostegno a Kiev sarà il tema centrale, con Volodymyr Zelensky, che ieri ha presentato in Parlamento a Kiev i cinque punti del suo piano per la vittoria, che nutre ancora grandi aspettative dopo essere rimasto 'deluso' dal rinvio del summit di Ramstein di sabato scorso, saltato perché Joe Biden era rimasto negli Stati Uniti per l'uragano Milton. Il presidente ucraino, a Bruxelles per partecipare al vertice Ue, sarà anche al quartier generale della Nato per un incontro con il segretario generale Rutte. Alle 18.20, secondo quanto si legge nel comunicato con il programma aggiornato dell'incontro, è prevista una conferenza stampa congiunta di Rutte e Zelensky.

Intanto Rutte si è detto ottimista circa l'ingresso dell'Ucraina nella Nato, un percorso "irreversibile" che avverrà "al momento giusto".

Il numero uno dell'Alleanza ha annunciato che i ministri della Difesa "rivedranno lo status delle operazioni in corso nei Balcani", uno scenario che rimane "preoccupante" soprattutto a causa delle crescenti "minacce secessioniste" in Bosnia Erzogovina e la "fragile situazione di sicurezza" del Kosovo. Preso atto dei "pochi progressi ottenuti dai negoziati Belgrado-Pristina voluti dall'Ue", bisogna anche fare attenzione alla "minaccia alla democrazia rappresentata dalla Russia" attraverso "cyber-attacchi e disinformazione". C'è inoltre il timore, ha ammesso Rutte, che "la Corea del Nord stia sostenendo gli sforzi bellici di Russia e Iran, anche se le notizie non sono confermate". "La Corea del Sud sostiene gli alleati della Nato, la partnership tra Nato e Seul si approfondirà", la promessa del segretario generale.

Un altro argomento caldo, secondo Politico, potrebbe essere il ripensamento della politica decennale dell'alleanza sulle relazioni con la Russia, essendo Mosca diventata ormai la “minaccia più significativa e diretta alla sicurezza degli alleati”. Nonostante dal 2022 sia mutato il tono verso Mosca, la Nato continua ad attenersi al “Founding Act”, documento firmato nel 1997, sei anni dopo il crollo dell'Unione Sovietica, che stabilisce l'obiettivo comune di “costruire un'Europa stabile, pacifica e indivisa”.

Ma ora l'obiettivo è quello di definire una strategia definitiva pronta per essere approvata al prossimo vertice della Nato, previsto per il giugno 2025 all'Aja. Sebbene vi sia un consenso generale sulla necessità di una nuova strategia, esistono alcune differenze di approccio tra i membri. Ad esempio, Ungheria e Slovacchia continuano a mantenere contatti stretti con il Cremlino, vedendo un valore strategico nell'impegno con la Russia.

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Israele, risposta a attacco Iran: Netanyahu ha approvato...

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Il premier israeliano: "Armi russe nelle basi di Hezbollah". Le Idf: "Caschi blu non sono obiettivo"

Netanyahu tra i soldati

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha approvato una serie di obiettivi da colpire in Iran per rappresaglia all'attacco missilistico del primo ottobre scorso. Lo ha detto una fonte israeliana ad Abc News, senza fornire ulteriori dettagli sugli obiettivi specifici e se si tratti di target militari. Nessuna informazione neanche sui tempi della rappresaglia.

Netanyahu, intanto, ha denunciato che nelle basi di Hezbollah nel sud del Libano, le Forze di difesa israeliane hanno rinvenuto armi russe "all'avanguardia". A sud del fiume Litani, dove secondo la risoluzione 1701 solo all'Esercito libanese sarebbe stato consentito di avere armi, "Hezbollah ha scavato centinaia di tunnel e nascondigli, dove abbiamo appena trovato una quantità di armi russe all'avanguardia".

Dopo il nuovo incidente che ha coinvolto l'Unifil, Israele ribadisce che i caschi blu dell'Onu nel sud del Libano "non sono un obiettivo". Le forze israeliane stanno "conducendo operazioni contro Hezbollah - ha ribadito l'esercito israeliano in una dichiarazione inviata all'Afp - Le infrastrutture e le forze dell'Unifil (Forza interinale delle Nazioni Unite in Libano, ndr) non sono un obiettivo, e ogni incidente che contravviene alle regole sarà esaminato in dettaglio".

La forza dell'Onu nel sud del Libano ha denunciato nella serata del 16 ottobre che un carro armato israeliano ha aperto il fuoco contro una torre di sorveglianza, con "spari diretti ed evidentemente deliberati".

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