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Stop test Medicina, Giannì (Statale Milano): “Senza investimenti successo della riforma a rischio”

Il presidente del comitato di direzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia: "Bene eliminare i quiz, ma per salvaguardare la qualità dell'insegnamento nel primo semestre servono spazi, strumenti e docenti in linea col numero aumentato di iscritti"

 - FOTOGRAMMA

La riforma dell'accesso a Medicina che prevede l'addio al test d'ingresso e l'iscrizione libera a un semestre 'filtro'? "Una proposta di questo tipo, perché abbia efficacia dal punto di vista della qualità dell'insegnamento dei primi 6 mesi, deve essere supportata da adeguati finanziamenti tesi a supportare, dal punto di vista logistico - spazi, attrezzature - e dal punto di vista del reclutamento del personale docente, un numero comunque aumentato di studenti che frequenteranno il primo semestre. Perché in assenza di un adeguato sostegno economico e organizzativo, è a rischio la qualità dell'insegnamento per questi primi mesi". A evidenziarlo all'Adnkronos Salute è Aldo Bruno Giannì, presidente del comitato di direzione della Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'università degli Studi di Milano. Una posizione, la sua, "condivisa anche con la nostra rettrice", Marina Brambilla.

In altre parole, continua Giannì commentando il via libera della VII Commissione del Senato al Ddl delega che punta a rivoluzionare l'ingresso ai corsi di laurea in Medicina e chirurgia, Odontoiatria e protesi dentaria e Medicina veterinaria, "questa riforma, se passerà, sicuramente avrà il merito di fare in modo che la selezione dei futuri medici non avvenga su dei test che in 2 ore ti devono dire chi è più bravo o chi è meno bravo, ma sulla valutazione sul campo dei primi 6 mesi. E quindi questa è sicuramente una buona cosa. Se però questa buona cosa non viene adeguatamente sopportata, rischiamo di avere un peggioramento, almeno nei primi mesi, della qualità della formazione", avverte.

Gli atenei sono pronti per accogliere un numero così aumentato di studenti rispetto a quello su cui sono attualmente 'tarati'? "Ritengo di no, al momento", risponde Giannì. "Io ovviamente posso parlare per l'università Statale di Milano, che per quanto riguarda Medicina penso sia seconda in termini numerici solo alla Sapienza di Roma: non è pronta, ovviamente. Ma penso che lo sappiano anche a livello politico, sia locale che regionale - puntualizza - E quindi sono certo che, al di là di cambiare le norme attuali, ci saranno poi dei decreti attuativi in grado di supportare a 360 gradi questo progetto, che altrimenti perderebbe di significato proprio nel punto più importante, cioè di ottimizzare la selezione dei futuri medici, ma senza perdere nella qualità della formazione".

Che ne sarà degli studenti che dopo il semestre filtro non entreranno in Medicina è un altro tema su cui si dibatte. L'idea alla base del nuovo sistema è che possano far valere in altri indirizzi i crediti formativi accumulati in questi 6 mesi. Saranno adeguatamente preservati? "Sarebbe molto difficile rispondere oggi a una domanda su questo, perché non sappiamo ancora di quali Cfu (crediti formativi universitari, ndr) stiamo parlando, al di là di nominarli come scienze di base. E non sappiamo neanche quali saranno con esattezza i corsi di laurea che chi non accederà a Medicina potrà frequentare", ragiona Giannì.

"Se devo dirla tutta - prosegue - è chiaro che dal punto di vista dello studente lui ha comunque acquisito 6 mesi che non sono stati 'buttati via' perché comunque, anche se non ha passato i Cfu, oppure non è entrato nella graduatoria finale, ha acquisito un bagaglio teorico che potrà spendere in discipline scientifiche che hanno comunque dei punti in comune, almeno nella preparazione di base, con Medicina. Quello potrebbe essere positivo. Ma, ripeto - conclude - il mio giudizio globale è positivo solo se ci sarà poi un adeguato investimento, perché altrimenti purtroppo devo dire che non otterremo nessuna efficacia reale".

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Salute e Benessere

Cancro seno, la prevenzione passa anche dall’ambiente

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Progetto 'One Health for Breast Cancer' di Europa Donna Italia presentato oggi alla Camera

Cancro seno, la prevenzione passa anche dall'ambiente

Sarà presentato nel pomeriggio di oggi alla Camera dei deputati 'One Health for Breast Cancer', il progetto di Europa Donna Italia che riprende i principi sugli stili di vita sostenibili di One Health, approccio alla salute globale promosso dall'Organizzazione mondiale della sanità, e li declina in modo specifico e divulgativo per la prevenzione del tumore al seno. L'incontro, che si svolge per iniziativa del deputato Luciano Ciocchetti, vicepresidente della Commissione Affari sociali della Camera e co-presidente dell'Intergruppo parlamentare One Health, prevede una presenza traversale delle istituzioni con esponenti di Camera, Senato, Istituto superiore di sanità e ministero della Salute.

"Oggi una persona giovane ha più probabilità di ammalarsi di tumore rispetto ai propri genitori - dichiara Rosanna D'Antona, presidente di Europa Donna Italia - Come associazione che fa della prevenzione senologica un pilastro della propria missione, questo fenomeno desta tutta la nostra attenzione e richiama tutto il nostro impegno. Sappiamo che tra i principali indiziati c'è quello che mangiamo, fumiamo, beviamo e respiriamo, siamo però anche convinti che non si può pensare a una vita sana in un pianeta malato. Per questo, in risonanza con One Heath, abbiamo dato vita al progetto 'One Health for Breast Cancer' e chiamato all'appello un advisory board di specialisti di eccellenza nelle discipline sanitarie e ambientali, che ci aiutasse a rivedere le regole della prevenzione per il tumore del seno, allargandone il perimetro dalla persona all'ambiente".

"La salute umana, animale e ambientale rappresentano tre elementi strettamente interconnessi all'interno del concetto di One Health. E' giunto il momento - afferma Ciocchetti - di congiungere le forze e sviluppare una strategia integrata a livello nazionale, considerando i sempre più evidenti sconvolgimenti causati dal cambiamento climatico. L'Italia ha dimostrato grande lungimiranza in questo campo. A tal fine, negli ultimi mesi, il Parlamento ha agito tempestivamente attraverso la costituzione di un Intergruppo parlamentare, promosso da me e dalla deputata Ylenja Lucaselli, composto da oltre 25 senatori e deputati di tutte le forze politiche. Questo dimostra che la salute è un obiettivo comune e condiviso che trascende le divisioni politiche".

Inoltre, aggiunge Ciocchetti, il "ministero della Salute ha riconosciuto l'importanza di questo tema e ha istituito il Dipartimento One Health nell'ambito della sua recente riorganizzazione. Il dipartimento svolge un ruolo cruciale, poiché è ora fondamentale comprendere che la salute non può più essere considerata in maniera isolata. Un ulteriore segnale dell'attenzione del nostro Paese su questo tema è stato l'inserimento dell'approccio One Health - con particolare attenzione alla resistenza antimicrobica - tra i nuclei tematici del G7 Salute che si è tenuto recentemente ad Ancona. Ritengo, inoltre, che sia importante che tutti gli attori del sistema salute, comprese le associazioni dei pazienti, contribuiscano a diffondere l'importanza di affrontare adeguatamente questi temi che incidono sulla prevenzione. In tale ottica, desidero elogiare l'iniziativa di Europa Donna Italia, che contribuirà a dare la giusta rilevanza alla prevenzione primaria del tumore al seno nelle politiche One Health".

Le regole d'oro per una prevenzione del tumore al seno messe a punto dall'advisory board di 'One Health for Breast Cancer' - riporta una nota - sono in tutto 23 e offrono indicazioni pratiche di comportamenti e stili di vita che tengono in considerazione non solo della salute della persona, ma anche degli animali e del pianeta. Europa Donna Italia si impegna a diffonderle alla popolazione italiana, a partire dalle imprese che oggi si mostrano sempre più attente alla sostenibilità e al benessere dei propri dipendenti. Il 40% dei tumori è infatti evitabile con un corretto stile di vita. "I dati indicano tuttavia che solo il 40% degli italiani è sensibile al tema della prevenzione - sottolinea Alessandra Ghisleri, partner di Euromedia Research e membro dell'advisory board di 'One Health for Breast Cancer' - Nonostante dopo il Covid gli italiani tendano ad essere più attenti, 2 su 10 continuano a mangiare tutto ciò che capita e solo 1 su 4 dichiara di stare attento all'alimentazione. Inoltre 9 su 10, durante la spesa, dicono di guardare le calorie dei prodotti che acquistano perché attenti a non ingrassare e mantenere un bel fisico. Manca purtroppo una cultura della prevenzione a tutto tondo, ma sono portata a pensare che, se correttamente informati e sensibilizzati, molti connazionali siano disposti a cambiare i propri comportamenti, nella consapevolezza di agire per la propria salute e quella dell'ambiente. Per questo è preziosa l'attività informativa ed educativa di 'One Health for Breast Cancer'".

Oltre a Rosanna D'Antona e Alessandra Ghisleri, gli altri membri dell'advisory board di 'One Health for Breast Cancer' sono: Umberto Agrimi, direttore Dipartimento sicurezza alimentare, nutrizione e sanità pubblica veterinaria dell'Istituto superiore di sanità; Filippo De Braud, professore ordinario di Oncologia medica dell'Università degli Studi di Milano e direttore Dipartimento e Divisione di Oncologia medica dell'Istituto nazionale dei tumori di Milano; Daniela Lucini, professore ordinario di Scienze dell'esercizio fisico e dello sport presso l'Università degli Studi di Milano; Prisco Piscitelli, epidemiologo e vicepresidente Sima, Società italiana di medicina ambientale.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Salute e Benessere

Salire scale meglio a tappe che d’un fiato, si...

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Muoversi per poco aumenta il dispendio di energie, anche una breve passeggiata fa bene alla salute

Salire le scale di corsa

D'un fiato o a tappe? Anche il modo di salire le scale o fare una passeggiata può avere effetti diversi. Un gruppo di ricercatori dell'università Statale di Milano ha scoperto che fare pause mentre si cammina può aumentare notevolmente il dispendio energetico rispetto a farlo in modo continuo. L'esperimento, pubblicato sulla rivista 'Proceedings of the Royal Society', ha dimostrato che camminare o salire le scale in brevi sessioni di 10-30 secondi fa consumare energia dal 20 al 60% in più che percorrere la stessa distanza senza pause. Questo significa anche che alzarsi dalla sedia per fare qualche passo ogni tanto o scegliere di prendere le scale può innalzare notevolmente il nostro consumo energetico giornaliero.

Cosa succede quando si fanno le scale

Insomma: quando le persone camminano per 10 o 30 secondi, hanno bisogno di molta più energia chimica per percorrere ciascun metro rispetto a quanta ne serva se si cammina per durate maggiori. La scoperta è frutto di due esperimenti effettuati dal gruppo di ricercatori dall'ateneo milanese, di cui si dà conto nello studio appena pubblicato, il cui primo firmatario è Francesco Luciano, ricercatore presso il Dipartimento di Fisiopatologia medico-chirurgica e dei trapianti che ha lavorato insieme a Luca Ruggiero, Alberto E. Minetti e Gaspare Pavei.

Nel primo esperimento, è stato chiesto a 10 persone di sedersi per 3 minuti e poi, al momento indicato dai ricercatori, iniziare a camminare su un tapis roulant progettato per simulare la salita delle scale. La durata del cammino poteva variare tra 10 secondi, 30 secondi, 60 secondi, 90 secondi o 4 minuti. Ciascun partecipante ha camminato in tutte e 5 le condizioni, in ordine casuale. Al termine di ciascun episodio, al partecipante veniva chiesto di rimanere seduto per 7 minuti. Nel secondo esperimento, 10 persone hanno ripetuto le sessioni di camminata, ma su un tapis roulant normale.

Il test

Durante gli esperimenti è stato utilizzato uno strumento chiamato metabolimetro, che consente di misurare il consumo di ossigeno e la produzione di anidride carbonica sia durante il riposo che durante il cammino. Si è così analizzato il volume totale di ossigeno consumato per ogni camminata.

"Quando si inizia a camminare dopo essere stati seduti, il consumo di ossigeno aumenta nel tempo, fino a raggiungere un valore stabile dopo alcuni minuti. Utilizzando il metabolimetro, abbiamo anche studiato quanto velocemente il consumo di ossigeno aumentava nei partecipanti, misurazione che ci ha permesso di calcolare quanta energia chimica è stata utilizzata da ognuno per ciascun metro percorso (analogamente a come, per le automobili, si calcola quanti litri di carburante vengono consumati per chilometro)", spiega Luciano. E' stato inoltre riscontrato che, durante questi brevi episodi di cammino, l'energia chimica è convertita in lavoro meccanico muscolare in modo meno efficiente. Questo vuol dire che, per generare lo stesso movimento, i muscoli richiedono più energia chimica.

"I risultati di questo studio hanno implicazioni anche nel campo della biologia animale, poiché aiutano a quantificare il consumo energetico di molte specie che si muovono in modo intermittente. In ogni caso, muoversi per poco può significare spendere molto", conclude Luciano.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Salute e Benessere

Farmaci, Egualia: “Equivalenti essenziali per...

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Osservatorio Nomisma, 'ruolo cruciale nel mitigare carenze garantendo disponibilità di alternative per 80% medicinali a rischio'

Farmaci, Egualia:

In tema di acceso alle cure, i farmaci equivalenti non solo hanno abbassato i costi, ma hanno anche aumentato la produzione di terapie per malattie croniche e gravi. Gli equivalenti sono sempre più essenziali per la cura delle patologie croniche complesse: nel 2023 il 70% dei volumi dei farmaci oncologici e antidiabetici commercializzati in Europa sono medicinali equivalenti. E' quanto emerge dal report di Osservatorio Nomisma per Egualia 'Il sistema dei farmaci equivalenti in Italia 2024', presentato oggi a Roma.

Relativamente alle carenze, negli ultimi 5 anni la mancanza di farmaci è diventata un problema crescente, con l'Italia particolarmente colpita. Quasi il 10% dei farmaci mancanti - evidenzia il report - non ha alternative terapeutiche disponibili, evidenziando la necessità di soluzioni strutturali. I farmaci equivalenti giocano un ruolo cruciale nel mitigare tale criticità, garantendo la disponibilità di alternative per l'80% dei farmaci a rischio.

Le 45 imprese produttrici di farmaci equivalenti in Italia godono di buona salute: i loro ricavi medi sono saliti da 49 milioni di euro nel 2018 a 63 milioni di euro nel 2022, segnando una crescita del 29%. Parallelamente, l'occupazione media è aumentata, passando da 92 a 104 dipendenti. D'altro canto, le aziende produttrici di farmaci non equivalenti, pur vantando ricavi medi significativamente superiori rispetto alle prime, hanno sperimentato una crescita meno accentuata negli ultimi 5 anni. I loro ricavi medi, circa il doppio rispetto a quelli delle imprese di farmaci equivalenti, hanno registrato un incremento del 18%, inferiore di oltre 10 punti percentuali rispetto al tasso di crescita delle imprese produttrici di farmaci equivalenti. E' quanto emerge dal report di Osservatorio Nomisma per Egualia 'Il sistema dei farmaci equivalenti in Italia 2024', presentato oggi a Roma.

L'analisi dell'andamento del numero medio di dipendenti nelle aziende farmaceutiche che non producono farmaci equivalenti - si legge - non evidenzia alcun segnale di crescita. Al contrario, si osserva una lieve contrazione negli ultimi 2 anni: il numero medio di dipendenti per azienda è infatti diminuito, passando da 161 nel 2020 a 158 sia nel 2021 che nel 2022, segnando una tendenza lievemente negativa nel periodo considerato.

Dal 2009 al 2023, le vendite di farmaci equivalenti hanno registrato un aumento del 130% in termini di volumi e del 182% in termini di valore. Parallelamente, i farmaci ancora sotto brevetto hanno subito un drastico calo, con una riduzione delle vendite del 70% in termini di confezioni e del 69% a valore, determinando una perdita complessiva pari a 6,2 miliardi di euro.Queste dinamiche - si legge - hanno determinato una significativa ridefinizione delle quote di mercato: i farmaci coperti da brevetto, che nel 2009 rappresentavano il 49% delle confezioni vendute e il 70% delle vendite a valore, nel 2023 incidono solo per il 15% sui volumi complessivi e per il 28% sul valore totale delle vendite. Di conseguenza, i farmaci 'branded off patent' e gli equivalenti hanno visto un significativo aumento delle loro quote di mercato: i primi sono passati dal 38% al 53% in termini di volumi e dal 23% al 48% in valore; i secondi hanno incrementato il proprio peso dal 14% al 32% in volumi e dal 7% al 24% in valore.

Non è tutto: in relazione al solo segmento dei farmaci off patent - evidenzia il documento - si è osservata una progressiva erosione delle quote di mercato detenute dai farmaci di marca a favore dei farmaci equivalenti. Rispetto al 2009, la presenza degli equivalenti è cresciuta di 11 punti percentuali nei consumi a volumi e di 12 punti percentuali in valore. Tale fenomeno deriva, da una parte, dalle progressive scadenze brevettuali nel tempo e, dall'altra, dal fatto che i cittadini stiano mano mano riconoscendo i farmaci equivalenti come valida alternativa ai farmaci di marca non più coperti da brevetto.

Nonostante la diffusione dei farmaci equivalenti in Europa, in Italia il mercato degli equivalenti stenta ancora a ritagliarsi una significativa quota. La penetrazione degli equivalenti è spesso limitata sia da regolamentazioni meno favorevoli che da fattori culturali, come la percezione di qualità da parte dei pazienti e la preferenza per i farmaci di marca. Paradossalmente - si legge - il ricorso alle cure equivalenti risulta meno diffuso nelle aree con un reddito pro-capite mediamente più basso, continuando ad essere privilegiato al Nord (39,8%), rispetto al Centro (29%) e al Sud (23,7%). Per acquistare farmaci 'brand off patent' - più costosi - invece che equivalenti, nel 2023 i cittadini italiani hanno versato di tasca propria oltre 1 miliardo di euro di differenziale di prezzo.E se i farmaci equivalenti scomparissero del tutto? Relativamente ai soli farmaci di classe A, ipotizzando che tutte le confezioni di farmaci equivalenti vendute nel 2023 lo fossero state ai prezzi dei brand off patent la spesa farmaceutica sarebbe aumentata di 460 milioni di euro. Dal 2012 ad oggi la cifra avrebbe raggiunto quota 6,250 miliardi di euro.

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