Claudio Gioè è Mike Bongiorno nella serie tv: “Ero terrorizzato all’idea di interpretarlo”
'Mike' andrà in onda su Rai1 in prima serata il 21 e 22 ottobre ed è stata presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma
Tutti lo conoscono e lo ricordano per il suo mitico: 'Allegria!', passato alla storia della televisione italiana. Pochi però sanno quel che ha vissuto da giovane il re dei quiz, ovvero Mike Bongiorno. A colmare questa lacuna sul celebre presentatore ci ha pensato la miniserie evento Rai, 'Mike', in onda su Rai 1 in prima serata il 21 e 22 ottobre e presentata in anteprima alla Festa del Cinema di Roma.
Diretta da Giuseppe Bonito, sceneggiata da Salvatore De Mola e tratta dall’autobiografia scritta dallo stesso Mike insieme a Nicolò Bongiorno ('La versione di Mike', edita da Mondadori), la serie in due puntate, attraverso una lunga intervista (la conduce Paolo Pierobon) realizzata quando era all’apice della sua carriera con 'Rischiatutto' e una serie di flashback, ci racconta la vita di questo giovane italo-americano nato a New York nel 1924 e diventato poi nel 1954, con l’avvento della televisione, uno dei principali protagonisti del piccolo schermo.
Lo interpretano alternandosi Claudio Gioè (ovvero Mike adulto, "terrorizzato nell’interpretare un personaggio così amato e imitato, abbiamo voluto raccontare la sua anima") e Elia Nuzzolo (Mike giovane, o meglio Mickey, come era chiamato allora, "ho fatto un percorso a ritroso cercando di scoprire come era da ragazzo"). Nel cast anche Valentina Romani, nel ruolo della sua futura moglie ovvero Daniela Zuccoli, che sposerà nel 1972 e che gli starà accanto fino all’ultimo giorno. Ne esce fuori un Mike inedito, un’anima divisa in due, tra due paesi, l'Italia e l'America, due lingue, un padre e una madre (i due si separarono quando lui era molto piccolo). "È un personaggio molto dualistico, a livello geografico è scisso tra un continente e un altro, non a caso anche nel realizzare questa serie abbiamo scelto due Mike. Ho compiuto un viaggio di conoscenza resettando quella che era la mia immagine di Mike. Era un personaggio ricchissimo, ma diviso e lacerato per certi versi", dice il regista.
E Maria Pia Ammirati, direttrice di Rai Fiction, aggiunge: "Sempre difficile fare un biopic, noi abbiamo scelto di raccontare i suoi risvolti sentimentali e privati e la prima parte della sua vita. Apparentemente lo conosciamo tutti, ma non sappiamo tante cose di lui. Anche io sono entrata dentro un personaggio uomo che è una persona come noi, normale e semplice, e che poi è diventata eccezionale".
Tutto il merito della serie sta dunque nel farci scoprire questa parte così poco nota di Mike, entrato nelle case delle famiglie dal 1954. Da staffetta tra Milano e Torino per i partigiani al passaporto americano, non buttato, che gli salvò la vita durante la Seconda Guerra Mondiale, da quando fu arrestato dai nazifascisti al suo rientro nella casa paterna in America, fino al suo difficile rapporto con il padre e al suo primo amore (ovvero la cantante lirica italoamericana Rosalia Maresca) Mike si racconta a cuore aperto, facendoci entrare nella sua parte più intima facendoci scoprire che dietro quel sorriso e quell’allegria c’era anche tanta sofferenza.
"Mike è un personaggio che spesso è stato liquidato con grande superficialità, con uno slogan tipo Allegria. Mi ha colpito la sua pervicacia e il suo stoicismo nell’affrontare la vita, cosa che non è sempre facile. Le cose non ti arrivano da sole. Bisogna combattere e affrontare le difficoltà. E poi lui aveva una passione e una dedizione che oggi non possono che esserci da esempio". Per rimanere in tema di slogan non sarà da gridare: "Un bell’applauso!". Ma comunque questa serie si può vedere. Come dire, una metà applauso.
Spettacolo
Festa del Cinema di Roma, Luca Severi: “Torno al...
Il regista e produttore presenta ‘I racconti del mare’, 'il movimento delle imbarcazioni ci ha aiutato a raccontare la precarietà e la paura dei migranti'
Due mondi, un’amicizia e un mare di possibilità ne ‘I racconti del mare’ diretto e prodotto da Luca Severi. Presentato ad 'Alice nella Città', la sezione autonoma e parallela della Festa del Cinema di Roma, il film racconta la storia di due ragazzi adolescenti, con culture, personalità e storie totalmente differenti che si ritrovano insieme, soli, a condividere una piccola barca da pesca in mezzo al Mar Mediterraneo. “È un film sui migranti, un tema di cui non si parla abbastanza e non è più ignorabile”, dice Severi in un’intervista all’Adnkronos. Girarlo è stata un’avventura. “Le riprese si sono svolte in mezzo al mare e il meteo non è stato sempre clemente con noi. Senza dimenticare l’instabilità delle barche e gli spazi stretti”, ricorda il regista. “Il movimento delle imbarcazioni è stato funzionale a raccontare la dimensione di precarietà che vivono i protagonisti, oltre ad una chiara dimensione di paura perché il mare aperto è spaventoso, soprattutto se ti trovi su una bagnarola che fatica a galleggiare”.
Tonino (Luka Zunic), pugliese, vuole guadagnare il rispetto della sua famiglia, soprattutto di suo padre, mentre Ima (Khadim Faye), africano, cerca di arrivare sano e salvo in Italia. Tra diffidenza, paura, fatica, fame, sogni, calcio, lacrime e allucinazioni presto capiranno che l'unico modo per sopravvivere è mettere da parte le loro differenze e unirsi per quello che sono: due ragazzi che vogliono arrivare a casa. “Racconto il tema dei migranti con un occhio meno inflazionato, quello della commedia all’italiana”, spiega il regista, per raccontare due mondi. “La diversità fa paura da sempre”, dice il regista. “Ed è un problema riconoscerla come un nemico”. Ne ‘I racconti del mare’ “mostriamo questo incontro e scontro tra due culture e caratteri che sopravvivono a questa avventura stando insieme”, dice Luca Severi.
Produttore e regista, dopo numerose esperienze in Italia con Rai, Sky, Mediaset, a soli 22 anni si trasferisce a Los Angeles per andare nel luogo culto del cinema per imparare e acquisire competenze e modelli produttivi di sistema, e scoprendo il mondo del nuovo cinema indie, che in Italia fatica ad emergere. “L’industria cinematografica italiana non è aperta alle nuove voci e alla diversità”, fa notare il regista, che ricorda come sia stato difficile cercare un attore italiano di seconda generazione: “non ho trovato un’agenzia che avesse una corposa selezione”.
Oltre agli incentivi, “mi piacerebbe che l’apertura del settore passasse attraverso voci, facce e storie nuove perché il pubblico non è più uno solo”, dice Severi che con la sua casa di produzione Lspg (Luca Severi Production Group) “cerco di invertire la tendenza evitando le grandi produzioni per proporre un cinema fatto di storie, di attori con delle facce che lasciano il segno e che hanno un impatto positivo in tutto il mondo”. Per Severi “quando il cinema italiano vuole sa essere attuale riuscendo a fare le scarpe alle produzioni americane, per fare un esempio”, conclude.
Spettacolo
Dalla morte del fratello alla dipendenza da sesso, Rocco...
Il racconto del pornodivo nella nuova puntata del podcast 'One More Time'
Dalla morte dello zio a cui deve il nome di battesimo a quella del fratello Claudio fino alla dipendenza dal sesso: Rocco Siffredi si racconta a Luca Casadei nella nuova puntata del podcast 'One More Time' (OnePodcast), disponibile da oggi, venerdì 18 ottobre, su tutte le principali piattaforme di streaming audio. Un'intensa intervista in cui l’attore svela le mille sfaccettature nascoste dietro al personaggio pubblico che tutti conoscono, accompagnando gli ascoltatori in un viaggio all’interno di un percorso professionale e di vita segnato da contraddizioni e dolore, ma vissuto sempre all’insegna dell’amore, che il pornodivo racconterà anche nello spettacolo 'Siffredi racconta Rocco' in scena il 29 ottobre sul palco del TAM Teatro Arcimboldi di Milano e nelle principali città italiane. "A teatro - ha spiegato - vado a raccontare la mia vita in maniera sincera, come ho sempre fatto. Racconterò veramente la mia intimità, fatta anche però di momenti leggeri. Poi c’è una ciliegina sulla torta che è mia moglie che verrà fuori a spiegare chi è Rosa e come è finita nelle mani di Siffredi. Ma soprattutto spiegherà che significa essere la moglie di Siffredi. Quando mi ha conosciuto non sapeva neanche chi fosse Rocco Siffredi. Però la storia d’amore era, ed è, autentica".
Le origini del suo nome
Sulle origini del suo nome e sui bambini che da piccolo lo prendevano in giro: "Questa cosa non la sa nessuno, ma in realtà io mi chiamavo Tano Antonio però lo zio Rocco qualche giorno dopo che ero nato si è suicidato. Mia madre è tornata al Comune e ha fatto cambiare il mio nome: ha fatto mettere Rocco davanti ad Antonio. Da bambino tutti mi chiamavano 'Rocc la marrocc' che vuol dire 'la pannocchia'. Mi arrabbiavo tanto e mia madre una volta mi disse: 'Al prossimo bambino che ti chiama Rocc la Marrocc tu digli: tengo una bella marrocc in miezz alle cosce per te, per tua mamma e per tua sorella'. (…) A sapere che poi invece è diventato molto alla moda. Mi hanno anche detto che qualcuno ha dedicato il nome Rocco al proprio figlio pensando a me".
La morte del fratello Claudio e il rapporto con la madre
Siffredi ha parlato anche della perdita del fratello Claudio. "Mio fratello - ha spiegato a Casadei - è morto da bambino con attacchi epilettici mentre dormiva. Nelle case popolari dei bambini gli hanno dato una botta in testa con una mazza di ferro. Non era curabile per quel periodo. (…) Se mi chiedi quali sono miei ricordi infanzia io dirò: "Il giorno in cui sono tornato a casa dall’asilo e ho visto mia madre che strillava alla finestra del balcone, mio padre che si metteva la mano sugli occhi, mio fratello sdraiato sul letto e tutta la gente che piangeva. C’era un compleanno avvenuto qualche giorno prima, quindi c’erano dei palloncini, io sentivo le grida di mia madre e io, allo stesso tempo, esplodevo per la rabbia i palloncini”. Per me l’infanzia parte da lì".
"A coccole ero messo malissimo - ha raccontato poi della sua infanzia - perché avevo una mamma che stava troppo male dopo la morte mio fratello. Per il primo anno dopo che è morto lei metteva il piatto di pasta sul tavolo per lui dicendo: 'Tra un po’ arriva'. Aveva un atteggiamento di rabbia con la vita, non verso di me ma verso sé stessa quasi a dire 'perché devo soffrire così tanto?'. Quando mi voleva punire mi mordeva, mi rompeva i piatti in testa. Non l’ho mai vista come una persona sbagliata, ma come una persona estremamente sofferente e il mio sogno da bambino è sempre stato quello di cercare di alleviare le sofferenze di mia madre".
Gli inizi della carriera e l'incontro con Tarantino
"Avevo questo pensiero fisso - ha raccontato - di voler diventare una porno star. Dai miei 12 anni, quando la sessualità mi ha completamente preso, con il giornalino 'Supersex', ho sempre voluto farlo. A Parigi chiedevo alle coppie o alle persone che mi sembravano più alla mano: 'Ma dove si fanno i film porno?'. A 20 anni uscivo con una signora di 46 e sono andato con lei in un locale per scambisti. Per me era il paradiso. Dopo sei mesi che frequentavo quel locale, è arrivato il tipo del giornalino, mi ha fatto un test e ho iniziato. Piano piano ho deciso di andare dove nessun europeo era mai andato: negli Stati Uniti".
Nel corso del podcast Siffredi ha ricordato anche un incontro con Quentin Tarantino a Cannes. "Gli Oscar del porno - ha detto - erano in concomitanza con il Festival di Cannes. Mi sono sentito davvero figo quando ho vinto per il primo anno il premio 'miglior attore'. In giro per strada tutta la Francia sapeva chi ero. Tarantino, che era a Cannes per presentare il suo primo film 'Cani da rapina', è venuto sul set dove giravo con mia moglie 'Bodyguard' e mi ha detto: 'You are the italian in Chamelons' e io gli ho risposto: 'vedi pure i film porno?' e lui: 'Ehy.. come on'".
La dipendenza da sesso
"Durante la dipendenza io giocavo con i miei figli nell’età più bella e poi facevo il giro delle sette chiese. Non è che andavo a delle prostituite specifiche ma a quello che beccavo. Poi era complicato tornare a casa, dove c’erano questi angeli con la mamma che dormivano. Mi ricordo solo il dolore dentro. Mi sentivo sporco e disastrato in maniera terrificante".
Sul momento in cui ha deciso di smettere di recitare: "Ho deciso di smettere perché un giorno mio figlio piccolo a sette anni mi ha detto: 'Papà ma tu ora 'sexy' lo fai solo con mamma, vero?' e io: 'Certo'. Dentro di me ho pensato: 'Ma come gli viene in mente di chiedermi sta roba?'. (…) Quindi ho smesso, ma il corpo e la testa mi chiedevano altro".
Poi ha raccontato di una grande delusione data alla moglie: "Mi è partita la telefonata mentre stavo per fare sesso con una tipa. Avevo appena salutato mia moglie: 'Buonanotte amore, da un bacione ai bambini'. Ma è partita inavvertitamente la chiamata e ho sentito la voce di mia moglie che diceva: 'Per fortuna che andavi a dormire'. L'ho delusa: è stata la prima volta in cui Rosa si è trovata davanti a suo marito che le ha mentito. Sono tornato due giorni dopo, convinto di avere bagagli fuori e invece lei era lì, era delusa. Mi dava i bacini a stampo, ma solo se la cercavo io. Le ho detto 'Vuoi divorziare?' e lei 'sì'. In un anno sarò uscito con mille prostitute e in quel momento mia moglie è cascata per terra. Mi ha detto: 'Tu hai bisogno di aiuto'".
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Spettacolo
Gabriele Muccino e le elezioni Usa: “Vince Trump,...
“La mia profezia? Temo che vincerà Trump”. A dirlo è Gabriele Muccino sul red carpet del suo film ‘Fino alla fine’, in anteprima alla Festa del Cinema di Roma. Regista apprezzato non solo in Italia ma anche negli Stati Uniti da cui "sono scappato quando Trump fu eletto”, racconta Muccino, che ha lavorato con grandi attori del calibro di Will Smith e Russell Crowe. (di Lucrezia Leombruni"
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