Economica, sociale ed educativa: quanto ‘costa’ la povertà ai più giovani
Ben 1,3 milioni di bambini e ragazzi vivono in condizioni di povertà assoluta, pari al 13,8% della popolazione sotto i 18 anni. Si tratta del valore più alto registrato dal 2014, evidenziando come la crisi economica stia colpendo in modo sempre più feroce le fasce più giovani della società. Allo stesso tempo, anche la situazione per i giovani adulti, tra i 18 e i 34 anni, non appare più rosea, con 1 milione e 145 mila di loro che vivono in povertà assoluta. È quanto emerge dall’ultimo report Istat sulla povertà in Italia del 2023 che presenta un quadro allarmante, soprattutto per quanto riguarda i giovani e i giovanissimi.
Ma cosa significa realmente vivere in povertà assoluta per un giovane? Quali sono le implicazioni per il futuro di una generazione che già oggi fatica ad affacciarsi al mondo del lavoro e a costruirsi un’indipendenza economica? E, soprattutto, come si è arrivati a questa situazione?
Una trappola generazionale
Il report dell’ISTAT non si limita a fornire numeri, ma dipinge uno scenario preoccupante. Dietro a quei 1,3 milioni di minori e giovani c’è una realtà fatta di famiglie che non riescono a coprire le spese minime necessarie per una vita dignitosa: affitto, spese mediche, istruzione, beni di prima necessità. Non si tratta più di singoli episodi o di famiglie in difficoltà temporanea, ma di un problema strutturale che rischia di creare una trappola generazionale.
La povertà, infatti, tende a perpetuarsi da una generazione all’altra. I giovani che crescono in famiglie povere hanno meno opportunità di accesso a un’istruzione di qualità, sono più esposti all’abbandono scolastico e faticano a trovare un lavoro stabile. Il mercato del lavoro italiano, pur mostrando segni di ripresa, resta uno dei meno dinamici d’Europa, con alti tassi di disoccupazione giovanile e una forte precarizzazione. Questo significa che molti giovani, anche una volta entrati nel mondo del lavoro, non riescono a sfuggire alla condizione di povertà.
Uno dei fattori che ha contribuito all’aumento della povertà giovanile è l’inflazione. Nel 2023, nonostante una ripresa del mercato del lavoro, l’aumento dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie, rendendo ancora più difficile per molti far fronte alle spese quotidiane. Se per una famiglia media italiana la crescita dei costi dell’energia e dei beni di prima necessità ha comportato un sacrificio, per le famiglie già in difficoltà economiche questo ha significato precipitare nella povertà assoluta.
Il peso della crisi è stato avvertito maggiormente al Sud, dove il 15,5% dei minori vive in povertà assoluta, rispetto al 12,9% del Nord. Tuttavia, la crisi non risparmia nessuna area geografica: anche nelle regioni più ricche, come Lombardia e Veneto, la povertà giovanile è in crescita, testimoniando una diseguaglianza sempre più marcata tra chi riesce a mantenere uno stile di vita adeguato e chi è costretto a rinunce quotidiane.
Le famiglie più colpite: numerose e straniere
Non tutte le famiglie sono colpite allo stesso modo dalla povertà. Quelle più vulnerabili sono le famiglie numerose, soprattutto quelle con tre o più figli. Per queste famiglie, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge il 18,8%, e sale al 25,6% per quelle dove convivono più nuclei familiari. Anche le famiglie monogenitoriali, spesso costituite da madri sole, sono particolarmente esposte, con un’incidenza della povertà del 14,8%.
Ma è tra le famiglie di origine straniera che la povertà assume proporzioni drammatiche: il 41,4% dei nuclei familiari composti esclusivamente da stranieri vive in povertà assoluta. Questo dato è particolarmente preoccupante perché evidenzia come l’integrazione economica degli immigrati, e dei loro figli, sia ancora lontana dall’essere una realtà in Italia. La povertà per queste famiglie non è solo una questione economica, ma si interseca con problematiche di inclusione sociale, accesso ai servizi e discriminazioni strutturali.
Giovani adulti senza prospettive e con poche opportunità
Se la situazione dei minori è grave, quella dei giovani adulti non è da meno. I giovani tra i 18 e i 34 anni rappresentano un’altra fascia della popolazione particolarmente colpita dalla povertà. Con oltre un milione di persone in povertà assoluta, questa generazione vive un paradosso: è la più istruita di sempre, ma anche quella con meno opportunità di impiego stabile e ben retribuito.
Il precariato è ormai la norma per molti giovani, costretti a lavori temporanei, part-time o mal retribuiti che non permettono loro di costruire una sicurezza economica. Questo si traduce in una difficoltà ad accedere al mercato immobiliare, a formare una famiglia e, in generale, a progettare il proprio futuro. La povertà, in questo contesto, non è solo una questione di reddito, ma di mancanza di prospettive e opportunità.
Il rischio di una “povertà educativa”
Accanto alla povertà economica, esiste un’altra forma di povertà che rischia di avere conseguenze ancora più profonde: la povertà educativa. I bambini e i ragazzi che crescono in famiglie povere hanno meno accesso a risorse educative, meno opportunità di partecipare ad attività extrascolastiche e meno sostegno per proseguire gli studi. Questo crea un divario che non si limita all’età scolare, ma che si ripercuote sull’intera vita lavorativa e sociale del giovane.
Secondo vari studi, i ragazzi che crescono in contesti di povertà hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, di ottenere qualifiche scolastiche inferiori e, quindi, di accedere a lavori meno remunerativi. In questo modo, la povertà educativa diventa un circolo vizioso, che si perpetua di generazione in generazione.
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Giornata contro la violenza sulle donne, un omicidio ogni...
La violenza contro le donne non conosce tregua. Ogni anno, statistiche e rapporti offrono uno specchio impietoso della realtà, ma nonostante le denunce e l’impegno crescente delle istituzioni, i numeri sembrano crescere. Oggi 25 novembre, in occasione della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, si torna a parlare di un problema che sembra ancora lontano da una soluzione. I numeri raccontano una realtà inquietante: un crescendo di violenze, stalking, maltrattamenti, fino ai tragici casi di femminicidio, che troppo spesso avvengono tra le mura di casa. Ma cosa ci dicono esattamente i dati e come possiamo interpretarli per comprendere meglio le dinamiche di questa emergenza?
L’aumento degli abusi
Nei primi sei mesi del 2024, le denunce per violenza sessuale sono aumentate dell’8%, un dato che non lascia spazio a interpretazioni: le vittime, nel 91% dei casi, sono donne, e ben il 28% di queste sono minorenni. Quasi una su tre. Ancora più inquietante è la distribuzione degli autori: nel 44% dei casi si tratta di stranieri, una cifra che spesso alimenta discorsi divisivi, ma che va letta alla luce della loro rappresentanza nella popolazione italiana, pari al 9%. Questi dati mostrano che il fenomeno della violenza non conosce confini di nazionalità, ma si nutre di dinamiche culturali e sociali che colpiscono trasversalmente.
Anche gli atti persecutori, o stalking, hanno registrato un incremento del 6%, colpendo le donne nel 74% dei casi. È un dato che conferma come il controllo e la pressione psicologica siano strumenti di dominio spesso usati in relazioni tossiche o situazioni di rifiuto. I maltrattamenti contro familiari e conviventi, che coinvolgono le donne nell’81% dei casi, mostrano un aumento ancora più marcato, pari al 15%. Questi crimini, spesso perpetrati tra le mura domestiche, sono indicativi di un ambiente che dovrebbe proteggere ma che, al contrario, diventa una gabbia.
A livello globale, nel 2023 sono stati registrati 85.000 omicidi intenzionali di donne e ragazze, come emerge dal rapporto “Femicides nel 2023: Global Estimate of Intimate Partner/Family Member” Femicides di UN Women e UNODC. Di questi omicidi, il 60% (circa 51.100 vittime) è stato perpetrato da un partner intimo o da un membro della famiglia. I dati rivelano che ogni giorno 140 donne e ragazze perdono la vita a causa della violenza domestica, con una vittima ogni 10 minuti.
Femminicidi
I dati sui femminicidi, purtroppo, non sono migliori. Nel 2023, 117 donne sono state uccise, e nel primo semestre del 2024 la situazione non sembra migliorare: il 56% delle donne vittime di omicidio è stata uccisa dal partner o dall’ex partner. Questo dato rappresenta un lieve miglioramento rispetto al 62% registrato nello stesso periodo del 2023, ma non basta a stemperare la gravità del fenomeno. Il contesto italiano presenta alcune peculiarità rispetto al resto d’Europa. Sebbene il nostro Paese abbia il tasso di omicidi più basso a livello continentale nel 2022, il fenomeno della violenza di genere rimane una piaga endemica. Secondo l’Istat, i femminicidi rappresentano l’82% degli omicidi di donne, con una maggiore incidenza tra le italiane rispetto alle straniere (51,5% contro 68,7%).
È interessante notare come, alla diminuzione degli omicidi commessi da partner o ex partner, corrisponda un aumento di quelli perpetrati da genitori o figli, che hanno rappresentato il 33% dei casi nel 2024 rispetto al 25% dell’anno precedente. Anche le modalità con cui vengono commessi gli omicidi raccontano una storia inquietante: l’uso di armi improprie e bianche prevale (19 casi nel 2024), seguito da asfissia, strangolamento e percosse.
Cosa spinge un uomo a uccidere la donna con cui ha condiviso parte della sua vita? La risposta è complessa, ma si lega indissolubilmente alla questione del controllo, del possesso, della gelosia morbosa che sfocia nella tragedia. La possessività, la paura di perdere il proprio “bene”, diventa un motore di azioni estreme. Le armi utilizzate, spesso improprie come coltelli o strumenti da casa, sono il segno di una violenza che vuole lasciare segni indelebili, non solo fisici, ma anche psicologici.
La geografia della violenza
I numeri non sono uniformi su tutto il territorio nazionale. Alcune province mostrano tassi preoccupanti di violenza contro le donne. Secondo un report dell’Istat sulle vittime di omicidio nel 2023, Enna è la provincia più a rischio per le donne. In generale, le zone dove la concentrazione è più alta sono l’Abruzzo, il Trentino-Alto Adige con le Province Autonome di Trento e Bolzano/Bozen e l’Umbria. Ma i dati più recenti ci mostrano anche una notevole diminuzione in alcune aree, come la Pianura Padana, dove i fenomeni di violenza sembrano rallentare. Tuttavia, queste isole di speranza non devono distogliere l’attenzione da quelle aree dove la violenza non si arresta e dove le donne sono ancora prigioniere del silenzio.
La geografia della violenza ha un volto diverso a seconda della classe sociale, dell’età e della condizione economica delle vittime. Le donne più anziane, ad esempio, sono più vulnerabili agli omicidi da parte di partner o familiari. Il movente, nella maggior parte dei casi, è legato a squilibri psicologici o alla volontà di “porre fine alla sofferenza” della donna. Le vittime più giovani, invece, sono maggiormente esposte a motivi passionali o, più frequentemente, a liti per futili motivi, che scatenano la violenza senza alcuna giustificazione apparente.
I delitti introdotti dal Codice Rosso
Il Codice Rosso, introdotto per rafforzare la tutela delle donne vittime di violenza, ha mostrato luci e ombre. Nei primi sei mesi del 2024 si è registrato un incremento del 67% dei casi di costrizione o induzione al matrimonio, un dato che evidenzia una violenza culturale ancora radicata. Cresce anche del 22% il revenge porn, ovvero la diffusione illecita di immagini o video sessualmente espliciti, una forma di violenza psicologica che sfrutta le tecnologie per distruggere la dignità delle vittime. Al contrario, i casi di deformazione dell’aspetto della persona tramite lesioni permanenti al viso hanno subito una lieve diminuzione del 2%.
Questi dati dimostrano che, sebbene siano stati fatti passi avanti sul fronte normativo, il problema rimane difficile da arginare. La legislazione, pur essendo fondamentale, non può da sola risolvere una questione che affonda le sue radici in diseguaglianze di genere e modelli culturali sbagliati.
Mattarella: “Nessuna scusa”
“La violenza contro le donne presenta numeri allarmanti. È un comportamento che non trova giustificazioni, radicato in disuguaglianze, stereotipi di genere e culture che tollerano o minimizzano gli abusi, che si verificano spesso anche in ambito familiare”. Così il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha sottolineato durante la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. La sua affermazione mette in evidenza un fenomeno che, purtroppo, non sembra arrestarsi nonostante l’impegno delle istituzioni e della società civile. La violenza, infatti, è un comportamento che si radica profondamente in visioni errate della donna come oggetto da possedere e controllare, un retaggio che persiste anche nei contesti familiari, dove dovrebbe prevalere il rispetto reciproco.
“Quanto fatto finora non è, tuttavia, sufficiente a salvaguardare le donne”, ha aggiunto il Capo dello Stato, evidenziando che, nonostante i progressi, la strada è ancora lunga. La Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, meglio conosciuta come Convenzione di Istanbul, ha rappresentato un punto di svolta. “È il primo strumento giuridicamente vincolante a riconoscere la violenza di genere come una violazione dei diritti umani”, ha ricordato Mattarella. L’Italia ha ratificato la Convenzione nel 2013, dotandosi di strumenti giuridici e normativi per garantire una protezione più solida alle vittime. Tuttavia, la continua presenza di violenza e abusi mostra che, nonostante le leggi, le politiche e le campagne di sensibilizzazione, la realtà quotidiana delle donne rimane pervasa da un costante senso di insicurezza e vulnerabilità. La violenza colpisce donne di tutte le età, ma in particolare le giovani, che spesso subiscono le violenze in silenzio, senza il coraggio di denunciare.
Il presidente Mattarella ha ricordato come l’emergenza della violenza contro le donne non sia solo un problema giuridico, ma una questione che riguarda la dignità e la libertà delle donne: “Si tratta di madri, sorelle, figlie, persone con sogni e progetti che vedono violato il diritto di poter vivere una vita libera e dignitosa”. La lotta contro la violenza è una battaglia che riguarda ogni membro della società, un impegno che deve andare oltre la semplice condanna dei singoli atti violenti, ma che deve interrogarsi su come cambiare il sistema culturale che li alimenta.
Il tema proposto dalle Nazioni Unite per celebrare questa giornata, “Nessuna scusa”, è la sintesi perfetta di ciò che deve essere il cuore di ogni azione: nessuna giustificazione, nessuna tolleranza per chi abusa, per chi perpetra la violenza, per chi la minimizza. “Occorrono azioni concrete”, ha ribadito Mattarella, indicando la necessità di un impegno costante per eradicare i pregiudizi e gli atteggiamenti discriminatori che, ancora oggi, pongono le donne in una posizione di debolezza in ambito familiare, sociale e lavorativo. È un impegno che deve coinvolgere ogni settore della società, comprese le istituzioni, le forze dell’ordine e la società civile, affinché tutte le donne possano trovare il coraggio di denunciare e ricevere adeguato supporto.
“Le istituzioni, le forze della società civile devono sostenere le donne nella denuncia di qualsiasi forma di sopruso”, ha concluso Mattarella, invitando a garantire la piena protezione delle vittime e a promuovere una cultura che metta al centro la dignità e i diritti umani delle donne. Questo è un valore che deve essere condiviso dall’intera società, perché solo in un ambiente che rispetta i diritti delle donne si può parlare di una vera comunità giusta e equa.
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Gravidanza e bellezza: i rischi nascosti di smalti e trucco
Attenzione all’uso di smalti per le unghie, trucco, se siete in gravidanza. Potreste aumentare l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, con tutte le conseguenze per la salute vostra e del vostro bambino. Una ricerca della Brown University School of Public Health, la scuola di salute pubblica della Brown University, un’università di ricerca privata nel Rhode Island (USA), ha infatti trovato una correlazione tra l’uso di prodotti per la cura della persona (PCP) e le concentrazioni di PFAS nelle donne in gravidanza o in allattamento.
In sostanza, più prodotti per l’igiene personale si usano, più si rischia di accumulare alti livelli di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, PFAS appunto, nel plasma sanguigno e nel latte materno.
Cosa sono i PFAS, onnipresenti e dannosi per la salute
I PFAS sono sostanze chimiche sintetiche utilizzate fin dagli anni ’50 nei prodotti di consumo e in contesti industriali, grazie alla loro capacità di resistere a olio, acqua e calore. Il lato negativo è che sono stati associati a una tutta una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui malattie epatiche, problemi cardiometabolici e cardiovascolari e vari tipi di cancro. Inoltre, possono contribuire a esiti avversi alla nascita, come il calo del peso alla nascita, il parto pretermine, alcuni disturbi dello sviluppo neurologico e una ridotta risposta ai vaccini nei bambini. Effetti in parte dovuti al trasferimento dei PFAS attraverso la placenta e il latte materno, che facilita l’esposizione durante la gestazione e l’infanzia.
I PFAS sono persistenti nell’ambiente, onnipresenti e, sottolinea lo studio, rilevabili in quasi il 100% dei canadesi – la ricerca ha riguardato il Paese nordamericano, ma certamente il problema ci riguarda tutti. Ognuno di noi entra in contatto con i PFAS ingerendo cibo contaminato, bevendo anche semplice acqua, o attraverso gli imballaggi alimentari, le pentole, i mobili e PCP come trucco, prodotti per capelli e smalto per unghie.
Occorre sottolineare che i PFAS continuano a essere prodotti a livelli elevati a livello globale, con volumi annuali superiori a 230mila tonnellate di fluoropolimeri e 46mila tonnellate di acidi perfluoroalchilici. “Sebbene i PFAS siano onnipresenti nell’ambiente, il nostro studio indica che i prodotti per la cura della persona sono una fonte modificabile di PFAS“, ha affermato l’autrice dello studio Amber Hall, ricercatrice associata post-dottorato in epidemiologia presso la Brown University School of Public Health. Per modificabile si intende che si può ridurre l’esposizione limitando l’uso dei prodotti a rischio.
L’uso di trucco, smalti e tinture aumenta i livelli di PFAS nel corpo
L’analisi della Brown University School of Public Health, recentemente pubblicata su Environment International, ha utilizzato i dati del Maternal-Infant Research on Environmental Chemicals Study, che ha esaminato solo quattro tipi di PFAS tra i migliaia utilizzati nell’industria e nel commercio, e che dunque probabilmente sottostima l’entità del problema. La ricerca ha coinvolto 2001 donne incinte in 10 città del Canada tra il 2008 e il 2011.
L’effetto dei prodotti per la cura delle persone sui livelli di PFAS è stato analizzato nel plasma prenatale (da sei a 13 settimane di gestazione) e nel latte materno (da due a 10 settimane dopo il parto). Le partecipanti dovevano riferire la frequenza di utilizzo di otto categorie di prodotti in tre momenti: durante il primo e il terzo trimestre di gravidanza, da uno a due giorni dopo il parto e da due a dieci settimane dopo il parto.
I risultati dimostrano che nelle donne incinte al primo trimestre, un uso maggiore di prodotti per la cura delle unghie, profumi, trucco, tinture per capelli e lacche o gel per capelli era associato a concentrazioni plasmatiche di PFAS, PFOA, PFOS e PFHxS più elevate. Risultati simili sono stati osservati per l’uso di prodotti per la cura personale nel terzo trimestre e per le concentrazioni di PFAS nel latte materno da due a 10 settimane dopo il parto.
Ancora, le partecipanti che si truccavano ogni giorno nel primo e nel terzo trimestre avevano concentrazioni di PFAS nel plasma e nel latte materno rispettivamente del 14% e del 17% più elevate rispetto alle persone che non lo facevano ogni giorno.
Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che chi usava tinture colorate permanenti uno o due giorni dopo il parto aveva livelli di PFAS più elevati (16%-18%) rispetto a chi non le utilizzava mai nelle concentrazioni del latte materno. In generale, un maggiore utilizzo di PCP è stato associato a livelli più elevati di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nel post-partum.
Risultati allarmanti, che possono servire, si augurano i ricercatori, per stabilire una regolamentazione dei PFAS e, più nel piccolo, a guidare le scelte individuali in modo da ridurre l’esposizione a queste sostanze tossiche laddove possibile.
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Eduscopio 2024, quali sono le migliori scuole in Italia?...
È stata pubblicata la nuova edizione di Eduscopio 2024, il rapporto della Fondazione Agnelli che fornisce una guida completa per orientare studenti e famiglie nella scelta delle scuole superiori. Questo strumento di analisi si basa su un database che raccoglie i dati di oltre 1,3 milioni di diplomati provenienti da più di 7.000 scuole in tutta Italia, offrendo una panoramica dettagliata delle istituzioni scolastiche che preparano meglio gli studenti per l’università e il mondo del lavoro.
Le migliori scuole città per città: la classifica
Milano
- Miglior Liceo Classico: Sacro Cuore
- Miglior Liceo Scientifico: Alessandro Volta
- Miglior Liceo Linguistico: Civico Manzoni
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Gino Zappa
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Galvani
Roma
- Miglior Liceo Classico: Ennio Quirino Visconti
- Miglior Liceo Scientifico: Augusto Righi
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Antonio Labriola
- Miglior Liceo Linguistico: Edoardo Amaldi
- Miglior Liceo Scienze Umane: Margherita di Savoia
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Cristoforo Colombo
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Boaga
Torino
- Miglior Liceo Classico: Vincenzo Gioberti
- Miglior Liceo Scientifico: Altiero Spinelli
- Miglior Liceo Linguistico: Altiero Spinelli
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Bosso – Monti
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Santorre di Santarosa
Bologna
- Miglior Liceo Classico: Luigi Galvani
- Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Copernico
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Enrico Fermi
- Miglior Liceo Linguistico: Niccolò Copernico
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Crescenzi-Pacinotti-Sirani
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Arrigo Serpieri
Napoli
- Miglior Liceo Classico: Convitto Vittorio Emanuele II
- Miglior Liceo Scientifico: Convitto Vittorio Emanuele II
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Eleonora Pimentel Fonseca
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Francesco Saverio Nitti
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Della Porta-Porzio
Firenze
- Miglior Liceo Classico: Galileo Galilei
- Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Machiavelli
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Russell – Newton
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Morante-Ginori Conti
Palermo
- Miglior Liceo Classico: Umberto I
- Miglior Liceo Scientifico: Galileo Galilei
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Giovanni Falcone
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Giovanni Verga
Catania
- Miglior Liceo Classico: Marco Polo
- Miglior Liceo Scientifico: Galilei
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Ferraris
Bari
- Miglior Liceo Classico: Aristotele
- Miglior Liceo Scientifico: Fermi
- Miglior Istituto Tecnico Economico: De Viti De Marco
Novità dell’edizione 2024
Quest’anno, per la prima volta, Eduscopio ha analizzato separatamente le prestazioni dei diplomati degli indirizzi scientifici sportivi. Questa scelta risponde all’aumento di popolarità di questi percorsi, che combinano l’approfondimento delle discipline scientifiche con la preparazione fisico-sportiva.
Dopo la scuola, tra università e lavoro
L’edizione 2024 riflette ancora le conseguenze della pandemia per i diplomati del 2020-2021. Secondo il rapporto, molti studenti hanno incontrato difficoltà nell’adattarsi alla didattica universitaria, con una lieve riduzione del numero di esami sostenuti e della media dei voti.
La buona notizia arriva dagli istituti tecnici e professionali: il tasso di occupazione per i diplomati di questi percorsi sta tornando ai livelli pre-pandemia. Questo dato conferma la crescente domanda di profili tecnici nel mercato del lavoro, soprattutto nei settori tecnologici e manifatturieri.
Come viene stilata la classifica Eduscopio
L’analisi di Eduscopio si basa su criteri rigorosi e oggettivi che tengono conto di due macro-aree:
- Prestazioni accademiche degli studenti universitari, valutate sulla base del numero di esami sostenuti e della media dei voti;
- Occupabilità dei diplomati negli istituti tecnici e professionali, calcolata in termini di percentuale di studenti occupati a due anni dal diploma.
Questo approccio permette di identificare le scuole non solo in base alla preparazione accademica ma anche in relazione alla capacità di inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro.
Cosa significa Eduscopio per studenti e famiglie
Con l’avvicinarsi del periodo delle iscrizioni scolastiche, Eduscopio rappresenta una risorsa fondamentale per orientarsi tra le molteplici opzioni disponibili. Scegliere la scuola giusta non significa solo optare per il percorso formativo più adatto alle inclinazioni dello studente, ma anche garantire una preparazione che risponda alle esigenze future del mercato del lavoro.
L’analisi evidenzia forti disparità regionali. Le scuole delle città settentrionali, in particolare quelle di Milano e Bologna, continuano a distinguersi per eccellenza accademica e occupazionale, mentre nel Sud Italia permangono difficoltà strutturali legate alla carenza di risorse e infrastrutture scolastiche. Tuttavia, alcune città meridionali, come Napoli e Bari, stanno emergendo con scuole in grado di competere con quelle del Centro-Nord, dimostrando come l’impegno di studenti e docenti possa fare la differenza. Il Politecnico del capoluogo pugliese, inoltre, è il primo in Italia per assunzioni entro un anno dalla laurea.
Consigli per sfruttare al meglio Eduscopio
Per le famiglie che devono scegliere la scuola superiore, è importante:
- Considerare i propri obiettivi: se l’intenzione è proseguire con l’università, privilegiare scuole con buoni risultati accademici. Per chi vuole entrare nel mondo del lavoro subito dopo il diploma, preferire istituti tecnici e professionali con alti tassi di occupazione;
- Confrontare le opzioni locali: Eduscopio consente di filtrare i risultati per area geografica, permettendo di scegliere scuole vicine e accessibili;
- Valutare i trend futuri: il mercato del lavoro evolve rapidamente, ed è utile considerare percorsi che offrono competenze richieste in settori emergenti, come la tecnologia e la sostenibilità.