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Vinicius Tobias si tatua il nome della figlia, poi scopre di non essere lui il padre

Vinicius Tobias, terzino ventenne dello Shakhtar Donetsk, ha vissuto un’esperienza assurda: si è tatuato il nome della figlia, ma poi ha scoperto di non essere lui il padre. La scelta di farsi il tatuaggio è arrivata quando la sua ormai ex compagna Ingrid Lima (famosa influencer in Brasile) era ancora incinta di Maité.

Sui social, Lima ha anticipato il test del Dna che i due avevano deciso di fare: Maité non sarà la primogenita di Vinicius Tobias. Il test ha confermato la rivelazione dell’influencer.

Vinicius Tobias, il racconto dell’ex compagna

Il calciatore, che dopo l’invasione della Russia in Ucraina ha lasciato lo Shakhtar per andare in prestito al Real Madrid prima di tornare nel suo vecchio club, ha scoperto tutto un mese prima della nascita di Maité. Un nome che intanto era impresso sulla sua pelle.

Una batosta per il giocatore brasiliano, che Ingrid Lima prova a tenere lontano dai riflettori: “Come tutti già sanno – racconta la ragazza – Vinicius e io non stiamo insieme da molto tempo. In questo periodo molto particolare, nel quale ci siamo allontanati e poi riavvicinati, ho avuto una relazione con qualcuno. E lo fatto anche lui. Entrambi abbiamo continuato le nostre vite e poi è arrivata Maité. Abbiamo deciso di fare un test del Dna e abbiamo scoperto che non è la figlia di Vinicius”.

Lima conclude con un appello: “Ora lasciate in pace Vinicius Tobias. È stato su mia richiesta che non assistesse al parto e non pubblicasse nulla su Maité fino alla fine dell’esame. Vinicius e io ci siamo già incontrati e abbiamo discusso con molta serenità della situazione. Gli auguro il meglio, sperando che possa continuare la sua vita in pace”.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Traumi infantili, quale impatto in età adulta?

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Se pensate che l’infanzia sia un capitolo chiuso della vostra vita, preparatevi a rimanere sorpresi: ciò che accade da piccoli può lasciare segni indelebili nella terza età. A confermarlo è una nuova ricerca condotta dalla divisione di geriatria dell’Università della California di San Francisco che ha rivelato come i traumi infantili possano influenzare profondamente la salute mentale e il benessere delle persone fino agli ultimi giorni della loro vita.

Lo studio, guidato dal dottor Ashwin Kotwal, ha esaminato i legami tra esperienze traumatiche nella prima infanzia e condizioni di vita come dolore, solitudine e sintomi depressivi in età avanzata.

Lo studio

I dati analizzati provengono dallo studio nel quale i ricercatori hanno seguito circa 6.500 americani sopra i 50 anni, morti tra il 2006 e il 2020, con un’età media al momento del decesso di 78 anni. I partecipanti hanno completato questionari riguardanti 11 tipologie di eventi traumatici e il loro benessere psicosociale, con interviste programmate ogni due anni.

E i risultati sono particolari: due partecipanti su cinque avevano subito traumi durante l’infanzia, incluse esperienze di abuso di sostanze in famiglia o problemi legali. La bocciatura scolastica è emersa come la fonte più comune di trauma infantile, mentre malattie gravi in età adulta o la malattia di un coniuge erano tra le cause di trauma più diffuse.

Infine, oltre l’80% dei partecipanti ha subito almeno un trauma nel corso della vita, con un terzo di loro che ne ha vissuti almeno tre.

Impatti sulla salute mentale

Kate Duchowny, autrice principale dello studio, ha spiegato che “il trauma si insinua sotto la pelle”, influenzando in modo duraturo la salute mentale e fisica di una persona. L’associazione tra trauma e condizioni come depressione e ansia può creare un ambiente pro-infiammatorio, aumentando il rischio di malattie croniche: non solo problemi psicologici, ma anche fisici.

I dati suggeriscono che i partecipanti senza traumi hanno sperimentato una vita più serena verso la fine: solo il 24% ha sofferto di depressione terminale, rispetto al 40% di coloro che hanno vissuto cinque o più eventi traumatici. Anche il senso di solitudine e il dolore fisico erano significativamente inferiori nei soggetti senza traumi.

I risultati, pubblicati sul Journal of the American Geriatrics Society, hanno sottolineato l’importanza di considerare le esperienze traumatiche nei pazienti anziani. Kotwal ha affermato che “le persone possono sperimentare un ‘dolore totale’, che include non solo dolore fisico, ma anche sofferenza spirituale e psicologica”.

Per affrontare questo problema complesso, è fondamentale un approccio multidisciplinare che coinvolga psicologi, cappellani e assistenti sociali.

Chelsea Brown, coautrice dello studio, ha aggiunto che “la perdita di controllo sul proprio corpo può riattivare ricordi dolorosi per chi ha subito traumi, rendendo la situazione ancora più complessa”. In un mondo dove il benessere psicosociale è sempre più riconosciuto come parte integrante della salute generale, questa ricerca mette in luce l’urgenza di una maggiore attenzione alle esperienze passate dei pazienti, specialmente per preservare l’età avanzata.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Tradimenti o problemi sessuali? Una startup cura i cuori...

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Si attesta intorno ai due milioni, il numero di divorziati in Italia nel 2023. L’Istat ha segnalato che dal 2015 al 2023 le separazioni sono aumentate e il 2024 potrebbe confermare questo trend in crescita. Ma come si supera una rottura o un tradimento? Rivolgersi ad un medico specialista, un coach o uno psicologo, può essere una soluzione.

È per questo motivo che nasce Resilia, una coaching community online dedicata alla crescita personale dopo una crisi nella relazione di coppia. Scopriamo insieme come funziona.

Che cos’è Resilia

Resilia è una realtà italiana fondata nel 2024 che opera nel settore del benessere mentale, psicologico e della persona. Con base e uffici a Milano, consiste in una coaching community online dedicata alla crescita personale e relazionale.

La sua mission è quella di aiutare le persone a riconquistare loro stesse guidandole in un percorso di rinascita e supportandole nel riscoprire il potere delle connessioni autentiche. Al centro dell’approccio c’è l’utente, la community e il team di coach e psicologi esperti di relazioni, sempre pronti a offrire una consulenza personalizzata e quotidiana.

La startup si propone di offrire sostegno a tutti coloro che vivono una separazione, una rottura o stanno attraversando un momento di crisi con il proprio partner attraverso un percorso che prevede sessioni individuali e di gruppo e il confronto con una community di persone che stanno vivendo la medesima esperienza.

Gli esperti al suo interno propongono un percorso mirato e strutturato per chi vive un momento complicato nella propria relazione: dai problemi sessuali, ai tradimenti, dalle difficoltà comunicative, fino a chi soffre per la fine di un legame sentimentale e deve riconquistare sé stesso, imparando a riconoscere le varie sfaccettature dell’amore.

A differenza della classica terapia online, Resilia garantisce agli utenti un supporto giornaliero, attraverso una community composta da persone che si trovano a vivere le stesse emozioni e le stesse difficoltà. La condivisione di sensazioni e sentimenti aiuta infatti a metabolizzare meglio le situazioni e coincide con la mission di Resilia: non lasciare solo chi soffre nei momenti più difficili della propria vita di coppia.

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Come funziona Resilia

Il metodo di Resilia ruota attorno al concetto di “resilienza”, termine dal quale i due soci scelgono di trarre ispirazione per dare il nome della startup. “Andare oltre, imparare a mantenere un equilibrio per sé stessi e per i propri cari è ciò che ci ha portato a dar vita a un metodo di crescita relazionale composto da sessioni individuali con professionisti, webinar e video percorsi strutturati tra teorie ed esercizi pratici”, spiegano.

Ma a rendere davvero innovativo il metodo di Resilia sono le sessioni di gruppo, “utili a normalizzare il concetto di sofferenza e a facilitare l’apertura e la condivisione tra i membri della community: elementi fondamentali per alleggerire il peso delle emozioni negative e imparare a riconoscere e sbrogliare i sentimenti più contorti”.

Come nasce la startup

Resilia è nata a Milano dall’incontro tra Valeria Riccio e Michele Papagni. Valeria, nata nel 1991, è un’ingegnera che ha lavorato come product manager in due delle più importanti multinazionali italiane.

Nel 2022, ha deciso di lasciare il suo lavoro stabile per dedicarsi completamente al coaching e fondare Antsy, una startup per il supporto emotivo immediato. Michele, nato nel 1988, è un programmatore e co-fondatore di Boolean, una tech academy online parte del gruppo Dvento, dove ha ricoperto il ruolo di CTO per diversi anni.

I due hanno sperimentato per primi il metodo di Resilia, sedendosi a un tavolo e conversando senza barriere comunicative, timori di giudizio o filtri. Questo viaggio discorsivo nelle loro vite ha rivelato come percorsi di vita differenti possano essere sorprendentemente simili nelle emozioni e percezioni.

“Ci ha fatto incontrare un amico comune, che oggi è parte della nostra sfida imprenditoriale. Ci accomunano le nostre storie, la sofferenza provata e le difficoltà superate nelle nostre relazioni sentimentali. Grazie al lavoro su noi stessi, abbiamo superato i momenti più bui e deciso di unire le nostre esperienze professionali per aiutare altre persone ad affrontare la sofferenza di una rottura o le problematiche comuni nelle relazioni di coppia”, ha raccontato Michele Papagni, co-fondatore di Resilia.

“Ogni persona ha una definizione molto personale di amore. Noi lo vediamo come un work in progress, qualcosa su cui è sempre bene lavorare e che non potrà mai avere una singola dimensione o definizione. L’amore deve essere una competenza da imparare e allenare giorno dopo giorno“, ha concluso Valeria Riccio, co-fondatrice di Resilia.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Economica, sociale ed educativa: quanto ‘costa’ la povertà...

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Ben 1,3 milioni di bambini e ragazzi vivono in condizioni di povertà assoluta, pari al 13,8% della popolazione sotto i 18 anni. Si tratta del valore più alto registrato dal 2014, evidenziando come la crisi economica stia colpendo in modo sempre più feroce le fasce più giovani della società. Allo stesso tempo, anche la situazione per i giovani adulti, tra i 18 e i 34 anni, non appare più rosea, con 1 milione e 145 mila di loro che vivono in povertà assoluta. È quanto emerge dall’ultimo report Istat sulla povertà in Italia del 2023 che presenta un quadro allarmante, soprattutto per quanto riguarda i giovani e i giovanissimi.

Ma cosa significa realmente vivere in povertà assoluta per un giovane? Quali sono le implicazioni per il futuro di una generazione che già oggi fatica ad affacciarsi al mondo del lavoro e a costruirsi un’indipendenza economica? E, soprattutto, come si è arrivati a questa situazione?

Una trappola generazionale

Il report dell’ISTAT non si limita a fornire numeri, ma dipinge uno scenario preoccupante. Dietro a quei 1,3 milioni di minori e giovani c’è una realtà fatta di famiglie che non riescono a coprire le spese minime necessarie per una vita dignitosa: affitto, spese mediche, istruzione, beni di prima necessità. Non si tratta più di singoli episodi o di famiglie in difficoltà temporanea, ma di un problema strutturale che rischia di creare una trappola generazionale.

La povertà, infatti, tende a perpetuarsi da una generazione all’altra. I giovani che crescono in famiglie povere hanno meno opportunità di accesso a un’istruzione di qualità, sono più esposti all’abbandono scolastico e faticano a trovare un lavoro stabile. Il mercato del lavoro italiano, pur mostrando segni di ripresa, resta uno dei meno dinamici d’Europa, con alti tassi di disoccupazione giovanile e una forte precarizzazione. Questo significa che molti giovani, anche una volta entrati nel mondo del lavoro, non riescono a sfuggire alla condizione di povertà.

Uno dei fattori che ha contribuito all’aumento della povertà giovanile è l’inflazione. Nel 2023, nonostante una ripresa del mercato del lavoro, l’aumento dei prezzi ha eroso il potere d’acquisto delle famiglie, rendendo ancora più difficile per molti far fronte alle spese quotidiane. Se per una famiglia media italiana la crescita dei costi dell’energia e dei beni di prima necessità ha comportato un sacrificio, per le famiglie già in difficoltà economiche questo ha significato precipitare nella povertà assoluta.

Il peso della crisi è stato avvertito maggiormente al Sud, dove il 15,5% dei minori vive in povertà assoluta, rispetto al 12,9% del Nord. Tuttavia, la crisi non risparmia nessuna area geografica: anche nelle regioni più ricche, come Lombardia e Veneto, la povertà giovanile è in crescita, testimoniando una diseguaglianza sempre più marcata tra chi riesce a mantenere uno stile di vita adeguato e chi è costretto a rinunce quotidiane.

Le famiglie più colpite: numerose e straniere

Non tutte le famiglie sono colpite allo stesso modo dalla povertà. Quelle più vulnerabili sono le famiglie numerose, soprattutto quelle con tre o più figli. Per queste famiglie, l’incidenza della povertà assoluta raggiunge il 18,8%, e sale al 25,6% per quelle dove convivono più nuclei familiari. Anche le famiglie monogenitoriali, spesso costituite da madri sole, sono particolarmente esposte, con un’incidenza della povertà del 14,8%.

Ma è tra le famiglie di origine straniera che la povertà assume proporzioni drammatiche: il 41,4% dei nuclei familiari composti esclusivamente da stranieri vive in povertà assoluta. Questo dato è particolarmente preoccupante perché evidenzia come l’integrazione economica degli immigrati, e dei loro figli, sia ancora lontana dall’essere una realtà in Italia. La povertà per queste famiglie non è solo una questione economica, ma si interseca con problematiche di inclusione sociale, accesso ai servizi e discriminazioni strutturali.

Giovani adulti senza prospettive e con poche opportunità

Se la situazione dei minori è grave, quella dei giovani adulti non è da meno. I giovani tra i 18 e i 34 anni rappresentano un’altra fascia della popolazione particolarmente colpita dalla povertà. Con oltre un milione di persone in povertà assoluta, questa generazione vive un paradosso: è la più istruita di sempre, ma anche quella con meno opportunità di impiego stabile e ben retribuito.

Il precariato è ormai la norma per molti giovani, costretti a lavori temporanei, part-time o mal retribuiti che non permettono loro di costruire una sicurezza economica. Questo si traduce in una difficoltà ad accedere al mercato immobiliare, a formare una famiglia e, in generale, a progettare il proprio futuro. La povertà, in questo contesto, non è solo una questione di reddito, ma di mancanza di prospettive e opportunità.

Il rischio di una “povertà educativa”

Accanto alla povertà economica, esiste un’altra forma di povertà che rischia di avere conseguenze ancora più profonde: la povertà educativa. I bambini e i ragazzi che crescono in famiglie povere hanno meno accesso a risorse educative, meno opportunità di partecipare ad attività extrascolastiche e meno sostegno per proseguire gli studi. Questo crea un divario che non si limita all’età scolare, ma che si ripercuote sull’intera vita lavorativa e sociale del giovane.

Secondo vari studi, i ragazzi che crescono in contesti di povertà hanno maggiori probabilità di abbandonare la scuola, di ottenere qualifiche scolastiche inferiori e, quindi, di accedere a lavori meno remunerativi. In questo modo, la povertà educativa diventa un circolo vizioso, che si perpetua di generazione in generazione.

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