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“Anticoncezionali gratis”, la proposta di Joe Biden negli Stati Uniti spacca l’America

“Riteniamo che le donne in ogni Stato debbano avere la libertà di prendere decisioni profondamente personali in materia di assistenza sanitaria, incluso il diritto di decidere se e quando formare o far crescere la propria famiglia”. A sostenerlo è il presidente degli Stati Uniti Joe Biden che, insieme alla vicepresidente e candidata alle prossime elezioni Kamala Harris, propongono che i farmaci anticoncezionali da banco diventino gratuiti.

Il tema del controllo delle nascite, con anticoncezionali e aborto inclusi, è uno dei più divisivi negli Usa. Al banco di prova delle prossime elezioni, che si terranno la prima settimana di novembre, Biden rilancia l’offerta e propone un passo significativo nell’ambito dell’Affordable Care Act (Aca).

Anticoncezionali gratis

L’Aca è la legge sulla sanità a prezzi accessibili, una riforma sanitaria promulgata a marzo 2010. Questa richiede che la maggior parte dei piani sanitari privati copra la contraccezione senza “condivisione dei costi” o co-pagamenti da parte del paziente. La disposizione, però, si applica solo alle pillole anticoncezionali da prescrizione; le pillole anticoncezionali da banco non erano disponibili quando il presidente Barack Obama ha firmato la misura trasformandola in legge nel 2010.

L’anno scorso la Food and Drug Administration ha approvato per la prima volta una pillola anticoncezionale da banco, chiamata Opill, in risposta alla sentenza sull’aborto che ha sconvolto l’America. La proposta di legge di Biden di ampliare l’accesso alla contraccezione e ridurre i costi a carico del paziente, prosegue sulla linea d’urto di quella stessa sentenza e potrebbe essere uno dei punti a favore per la Harris verso la presidenza.

Cosa prevede la riforma di legge?

Le norme, spiega il New York Times, “includerebbero la contraccezione di emergenza, una pillola anticoncezionale senza ricetta di recente approvazione, spermicidi e preservativi e riguarderebbero 52 milioni di donne americane in età riproduttiva che si affidano all’assicurazione sanitaria privata”.

La proposta sarà soggetta a dibattito pubblico alla Casa Bianca per 60 giorni e, se otterrà il lasciapassare, rappresenterebbe “l’espansione più significativa dei benefici della contraccezione” in più di un decennio, ha affermato Jennifer Klein, direttrice del White House Gender Policy Council.

La proposta arriva appena due settimane prima delle elezioni, mentre i democratici, tra cui la vicepresidente stessa, sostengono che la minaccia ai diritti riproduttivi – oltre la sentenza della Corte Suprema del 2022 nel caso Dobbs contro Jackson Women’s Health Organization, che ha eliminato il diritto nazionale all’aborto – si estenda in caso di sconfitta.

“In un momento in cui l’accesso alla contraccezione è sotto attacco, la vicepresidente Harris e io siamo risoluti nel nostro impegno ad ampliare l’accesso a una contraccezione di qualità e conveniente”, ha affermato il presidente in una dichiarazione. Biden ha perciò emesso un ordine esecutivo che ordina alle agenzie federali, tra cui il Department of Health and Human Services, di valutare come ampliare l’accesso ai contraccettivi da banco.

I welcomed Freeda, a 20-foot inflatable IUD, to support access to contraception. Trump’s #Project2025 would end free emergency contraception for 1.66M women in GA. We must protect #ReproductiveFreedom! pic.twitter.com/Tt0xAERbID

— Congresswoman Nikema Williams (@RepNikema) October 18, 2024

La reazione politica (e sociale) degli Stati Uniti

La notizia non vede tutti d’accordo. Il Missouri, ad esempio, ha cercato di limitare l’accesso alla contraccezione vietando i finanziamenti pubblici. Nello specifico, il limite era imposto a dispositivi intrauterini e contraccezione “di emergenza”, quale la pillola del giorno dopo, “perché corrisponde all’aborto”. Fatto smentito dalla stessa Fda.

I democratici, in controrisposta alle barriere repubblicane, hanno fatto sfilare un gigantesco dispositivo intrauterino gonfiabile in giro per le strade di Washington in primavera: al Senato avevano votato contro il Right to Contraception Act. Tutti i repubblicani, eccetto le senatrici Susan Collins del Maine e Lisa Murkowski dell’Alaska, votarono per la non approvazione del disegno di legge.

E mentre la politica si scontra a colpi di approvazioni o dinieghi, un piccolo ma significativo aumento della mortalità infantile nei mesi successivi alla sentenza sull’aborto fa preoccupare la sanità pubblica americana. La sentenza Dobbs, emessa nel luglio 2022, ha portato al divieto assoluto dell’aborto in 14 Stati e a restrizioni più severe in altri otto.

Secondo i ricercatori dell’Ohio State University, costringere le donne a portare a termine una gravidanza con “feti fragili” (ad esempio feti con anomalie congenite note) potrebbe portare a un aumento dei decessi infantili. Esaminando i dati dei Centri statunitensi per il controllo e la prevenzione delle malattie sui decessi infantili negli anni dal 2018 al 2023, i ricercatori hanno osservato un aumento del 7% dei decessi infantili, pari a 247 decessi in più di neonati, nei mesi successivi alla caduta della sentenza Roe contro Wade e un aumento ancora più elevato del 10% nei decessi di neonati causati da anomalie congenite.

Lo studio, pubblicato il 21 ottobre sulla rivista Jama Pediatrics, è stato redatto congiuntamente da Maria Gallo e Parvati Singh, rispettivamente professoressa e professore associato di epidemiologia dell’Ohio State University. I nuovi dati confermerebbero anche un altro studio dal quale è emerso che a seguito di tale legge, il tasso di mortalità infantile in Texas è aumentato di quasi il 13%.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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27 persone in una casa, inaugurato a Milano il primo...

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A Milano è stato inaugurato il primo appartamento di “Cohabs”, una società specializzata in co-living che offre case arredate con camere private e spazi comuni pensate per condividere gli spazi e approcciare diversamente la condivisione degli spazi e del tempo. Situato in un palazzo Liberty ristrutturato, in via Caltanissetta 5, il nuovo spazio di Cohabs rappresenta un esempio di innovazione abitativa in una città dove la domanda di alloggi accessibili continua a superare di gran lunga l’offerta e si arriva a spendere anche 1.000 euro di affitto per un monolocale di 30 metri quadri, bollette escluse.

Cohabs: 27 camere da letto e 700 metri quadri

La struttura di via Caltanissetta si estende su 700 metri quadrati e può ospitare fino a 27 persone, con un maestoso glicine a incorniciare la facciata. Le 27 camere da letto, tutte in stile moderno e dotate di aria condizionata, sono state progettate per offrire privacy e comfort, ma il cuore della casa sono gli spazi comuni: un ampio giardino con amache, un’area salotto, un barbecue e un forno a legna per la pizza. Gli inquilini hanno anche accesso a una palestra, una sala cinema, una lavanderia e un soggiorno che offre sia spazi privati che comuni per pranzare, lavorare e condividere esperienze.

Le camere sono suddivise in diverse categorie, con prezzi che variano tra i 1.196 e i 1.580 euro al mese, come spiegato da Milano Today. Il costo dell’affitto include servizi come la connessione Wi-Fi ad alta velocità, pulizie settimanali, piattaforme di streaming TV, bollette e tasse comunali, garantendo un’esperienza abitativa senza preoccupazioni aggiuntive.

Un appello alla community

Cohabs ha spiegato che l’arrivo a Milano è stato dettato dalla reputazione della città come centro della moda, del design e degli affari, ma anche dalla carenza di alloggi accessibili per giovani professionisti e studenti. La filosofia alla base del co-living è creare una community, dove gli inquilini non condividono solo uno spazio, ma costruiscono relazioni, ricordi e un senso di appartenenza. L’obiettivo è differenziarsi dagli ostelli o dagli appartamenti condivisi tradizionali, puntando su legami autentici e un supporto reciproco tra gli abitanti della casa.

Housing sociale a Milano: la situazione attuale

Il progetto Cohabs arriva in un momento in cui Milano sta faticando a risolvere la sfida abitativa. La domanda di alloggi a prezzi accessibili è in aumento, come evidenziato da numerose ricerche condotte da istituzioni accademiche e organizzazioni del settore, tra cui Cresme, Politecnico di Milano, Nomisma e Bocconi. Questi studi sono stati recentemente presentati a inizio mese da Fondazione Housing Sociale in occasione del suo ventesimo anniversario, mettendo in luce le lacune dell’offerta abitativa nella città.

Secondo i dati del Politecnico di Milano, attualmente a Milano ci sono 16.681 alloggi in affitto a canone calmierato, in gran parte costruiti da fondi e cooperative edilizie. Negli ultimi dieci anni sono stati realizzati 4.000 appartamenti in vendita convenzionata e 3.551 in affitto, di cui il 10% destinato a canone sociale per famiglie fragili. Tuttavia, come rilevato da una ricerca di Nomisma, le famiglie con entrate mensili tra 1.600 e 2.700 euro rappresentano circa il 25% del totale, evidenziando come l’offerta non riesca ancora a soddisfare adeguatamente il fabbisogno.

L’indagine della Fondazione Housing Sociale, con il supporto del Dipartimento di Architettura e Studi Urbani del Politecnico di Milano, ha mappato l’offerta abitativa della città, con rappresentazioni cartografiche che mostrano collocazione, accessibilità economica e tipologia di promozione degli interventi. Questa analisi ha permesso di evidenziare come, nonostante gli sforzi delle istituzioni e delle cooperative edilizie, l’housing sociale a Milano sia ancora insufficiente per coprire la domanda crescente.

L’aumento dei prezzi degli affitti e la scarsa disponibilità di case a prezzi accessibili hanno spinto molti giovani e professionisti a cercare soluzioni alternative, come il co-living, che offre un equilibrio tra comfort, condivisione e sostenibilità economica.

Cohabs e il co-living: una soluzione alternativa per Milano?

L’arrivo di Cohabs a Milano rappresenta un tentativo di rispondere a questa crescente necessità di alloggi flessibili e accessibili per una nuova generazione di residenti urbani. Pur non trattandosi di co-housing sociale in senso stretto, il modello di Cohabs si posiziona a metà strada tra la locazione tradizionale e le soluzioni di residenzialità temporanea, offrendo spazi di qualità superiore a prezzi che, sebbene elevati, comprendono numerosi servizi inclusi.

Mentre il mercato immobiliare milanese è in continua evoluzione, il co-living potrebbe rappresentare una valida alternativa per coloro che cercano un ambiente flessibile e socialmente stimolante. Tuttavia, resta da vedere se questo modello sarà in grado di diventare una parte integrante e sostenibile dell’offerta abitativa della città, o se resterà confinato a un segmento di mercato di nicchia.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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“Bambolotto, me lo fai un sorriso?” Chi è Maura Ronza, la...

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Fischiare per strada a una donna è una molestia? Negli ultimi anni questa domanda ha fatto molto discutere e si è tornato a parlare con maggiore sensibilità di un fenomeno denominato “catcalling”. Una donna passeggia da sola e quasi sempre c’è qualcuno, più spesso un uomo, pronto a commentare il suo vestiario, l’acconciatura, il rossetto o il tacco che indossa. Il solito “Sei bellissima”, insomma, che detto da uno sconosciuto in strada può dare davvero molto fastidio.

Si stima che l’81% delle donne abbia provato almeno una volta un qualche tipo di molestia. E secondo l’Istat, le “molestie da strada” riguardano almeno il 31,5% delle donne, tra i 16 e i 70 anni.

A sensibilizzare sul tema è Maura Ronza: creator, comica, doppiatrice pubblicitaria che sui social vanta oltre 40mila follower e che inverte i ruoli di genere promuovendo una parità, con ironia e intelligenza, anche su questo tema.

Maura, con i tuoi video sui social proponi un mondo al contrario: ma se le donne iniziassero a molestare in strada gli uomini per davvero?!

“Sarebbe un autogol, perché appropriarsi di un comportamento che troviamo tedioso e inopportuno? Sarei d’accordo nel farlo solo a “titolo dimostrativo”, per far comprendere ad alcuni uomini quanto sia inappropriato il loro comportamento. E comunque, anche in quel caso, non sono sicura capirebbero, la maggior parte degli uomini non vive come una minaccia alla propria incolumità fisica, la presenza di una donna per strada. Anche se una molestia non è propriamente un’aggressione fisica, ad una donna sola per strada si attiverà inconsciamente quella paura. Dietro i “semplici complimenti”, come li chiamano i bambolotti, oltre le parole si nascondono forti emozioni di disagio che un uomo fatica a comprendere”.

“Bambolotto” è diventato un tormentone, una “molestia” che hai coniato e diffuso facendo sorridere e riflettere i tuoi follower. Come nasce l’idea e come noti viene recepita dagli utenti?

“Io adoro creare universi paralleli nella mia testa, prima di “bambolotto” usavo la parola “signorino”, diciamo che il sessismo della lingua italiana ha giocato un ruolo importante nella scelta dei nomignoli da dare agli “uomini da molestare”: bambolo, signorino, bomboniero, principesso. Scegliere questo approccio ironico ha permesso al messaggio che volevo inviare di essere veicolato con estrema fluidità, anche tra i più duri. Molti uomini attraverso i miei video si sono resi conto per la prima volta della dinamica del catcalling, assistere alla loro presa di coscienza è stata molto interessante. Le donne invece, ho come l’impressione che si siano sentite capite ma soprattutto liberate, può sembrare una banalità ma il fatto di giocare a fare catcalling agli uomini, di esprimersi anche un po’ in maniera volgare, è liberatorio, soprattutto per un genere a cui è sempre stato chiesto di comportarsi bene, in maniera educata, gentile, da vere e proprie “signorine”, mentre la trivialità, la trivialità era appannaggio (o quantomeno giustificata) del genere maschile”.

Catcalling in ufficio, al parco, al mare, a Roma… titoli così i tuoi video. Tu hai mai subito una molestia in strada? Se sì, come hai reagito?

“Non basterebbero 70 dita delle mani per contarle. Purtroppo, sin da adolescente ho sempre subito catcalling solo che per me era normalità. Quando ho iniziato a capire che quelle parole erano fuori luogo e che mi mettevano a disagio, ho iniziato a reagire, come? Beh, facendo catcalling a mia volta, in dialetto stretto. È una cosa che destabilizza tantissimo”.

Spesso condividi contenuti anche con tuo padre, sempre disponibile e con le idee ben chiare: parlate di parità di genere, salute mentale e rapporto genitore-figlia. Quanto è stato importante il dialogo con lui e come mai deciso di coinvolgerlo nei tuoi video?

“Io e mio padre per arrivare ad avere il rapporto che abbiamo oggi abbiamo dovuto lavorare tanto, non per prendermi i meriti, ma il grosso l’ho fatto io, ovviamente perché mi sono data il permesso di occuparmi del mio benessere psicologico, mentre invece, purtroppo, per la generazione Boomer la salute mentale è argomento ancora troppo tabù (non si rendono conto di quanto curare le proprie ferite aiuterebbe i loro figli a stare meglio). Credo che il fatto di coinvolgerlo nei video sia stato anche un modo per comunicargli alcuni messaggi che non avrei avuto il coraggio di dire altrimenti. La maggior parte dei genitori è adulta solo anagraficamente, emotivamente è tutto un altro discorso, un genitore dovrebbe avere il dovere di prendersi cura della propria emotività per poter ascoltare i bisogni dei propri figli altrimenti si rischia di invertire i ruoli”.

È un modello di rapporto, il vostro, che troppo spesso manca: cosa consiglieresti a chi vorrebbe avere il tuo stesso “coraggio” di portare la fattura dello psicologo per i danni arrecati?!

“Consiglio a chi freme dalla voglia di avere un confronto “tra adulti” con i propri genitori, di usare l’ironia. È l’unico modo per non far reagire le loro parti ferite facendoli chiudere al dialogo. Ma per fare questo, lavorate prima sulle vostre ferite”.

Con la giusta dose di intelligenza e ironia si può parlare – e scherzare – di tutto. Come rispondi agli hater che ti insultano con commenti sessisti? A chi sostiene che il rischio dei tuoi contenuti è quello di banalizzare e minimizzare un problema serio?

“Devo dire che ad oggi ancora nessuno mi ha detto di banalizzare il problema, anzi. Agli hater che mi insultano invece vorrei dire solo una cosa, ma sarebbe inutile perché un hater non ha la capacità di dialogare in maniera costruttiva, però sicuramente gli direi: allena il tuo pensiero critico, amico, siamo tutt* dalla stessa parte”.

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Maternità surrogata, Roccella chiede ai medici di...

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La ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, ha chiesto ai medici di segnalare i sospetti casi di gestazione per altri, diventato reato a giurisdizione universale dopo il voto di Palazzo Madama. Secca la replica degli operatori che ricordano di essere tenuti al segreto professionale.

Cosa ha detto Roccella

Ospite di Tagadà su La7, la ministra Roccella ha chiarito cosa dovrebbe fare il medico se si presentano due padri per registrare un atto di nascita all’estero: “Un pubblico ufficiale, e anche il medico, è tenuto a segnalare i casi di sospetta violazione della legge sulla maternità surrogata alla procura. E poi si vedrà”. Chiaramente, la legge sulla Gestazione per altri non ha effetto retroattivo, ma Roccella si auspica che “abbia un effetto fortemente dissuasivo” aggiungendo che in Italia “c’è una procedura che protegge i minori e assicura la possibilità al compagno del genitore biologico di essere riconosciuto come genitore”.

La gestazione per altri, o maternità surrogata, è una tecnica di procreazione assistita in cui una donna porta avanti una gravidanza per conto di altre persone o coppie, chiamate genitori intenzionali. In pratica, una singola persona o una coppia che vuole avere un figlio ma che non può averlo si rivolge a un’altra persona che porti avanti la gravidanza a patto di adottare la bambina o il bambino dopo la nascita.

Oggi la Gpa è utilizzata principalmente da coppie eterosessuali con problemi di fertilità, anche dovuti a malattie grave come tumori e conseguente rimozione dell’utero, o da coppie di uomini, più raramente da coppie di donne. Proprio su questi ultimi, per ovvi motivi più facilmente rintracciabili, Roccella chiede ai medici di segnalare i casi sospetti.

La risposta dei medici

La richiesta non è piaciuta ai medici, la cui risposta è stata affidata a Filippo Anelli, presidente Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri: “Il medico ha il dovere di curare: dovere che gli deriva dalla Legge – in primis, la Costituzione – e dal Codice deontologico, è confermato dalla giurisprudenza e prevale su ogni altro obbligo, facoltà o diritto”.

Anelli richiama l’obbligo di segreto professionale a cui sono tenuti i medici: “Che il medico sia esonerato dall’obbligo di denuncia nei confronti del proprio paziente lo si desume anche dal capoverso dell’articolo 365 del Codice penale che esime il medico da tale obbligo quando il referto esporrebbe la persona assistita a procedimento penale. Quindi il medico non deve, è vero, ostacolare la giustizia ma non deve, soprattutto, porre in essere atti che mettano a rischio la relazione di cura, limitando la tutela della salute dei cittadini”.

La controreplica di Roccella

Insomma, tra la giustizia e la cura, prevale la cura, ma Roccella respinge questa contrapposizione: “Mi pare che il presidente Anelli, nel commentare le mie considerazioni sul necessario rispetto della legge, confonda i piani. È evidente che la cura ha sempre la priorità e che non è in discussione il rapporto fiduciario tra medico e paziente. Ma in questo caso chi ha commissionato, violando la legge, la maternità surrogata, non ha un problema di salute, visto che chi ha partorito e ha bisogno di cura è casomai la madre surrogata”, ha controreplicato la ministra.

Toni particolarmente accesi quando la ministra Roccella ricorda altri aspetti dell’articolo 12 della legge 40/2004: “Ricordo anche al presidente Anelli che una legge in vigore da vent’anni punisce penalmente in Italia non solo chi pratica l’utero in affitto, ma anche chi lo ‘organizza e pubblicizza’. Si tratta – continua la ministra – di organizzazioni commerciali complesse che chiamano in causa diverse professionalità, incluse quelle mediche. Ma anche in altri casi, nei quali l’esigenza di assistenza sanitaria è effettiva, il tema della denuncia, per esempio di fronte all’evidenza di vittime di violenza, come nel caso di violenza sessuale o di traffico degli organi, non può essere banalizzato e va trattato con il giusto senso di responsabilità”, ha concluso Eugenia Roccella.

La questione arriva nei tribunali?

Intanto, le opposizioni hanno denunciato che la nuova normativa va contro il principio di uguaglianza sancito Costituzione, perché crea “bambini di serie A e di serie B”. Sulla stessa linea le Famiglie Arcobaleno e le associazioni Lgbt, mentre l’Associazione Luca Coscioni ha promesso battaglia nei tribunali: sono già 30 le coppie che si apprestano a presentare ricorso.

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