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Bambini con balbuzie discriminati, 7 su 10 vittime di ‘voice shaming’

Il report dell'associazione Vivavoce: "Spesso chi fatica a comunicare incontra barriere invisibili"

Un bambino (Foto )

Allarme 'voice shaming' verso giovanissimi balbuzienti, soprattutto a scuola, nei parchi o nei luoghi dello sport. "Sette bambini su 10 tra coloro che soffrono di balbuzie o di una qualche forma di disturbo del linguaggio sono vittime di comportamenti di discriminazione e derisione a causa del loro modo di parlare". E' quanto emerge dal secondo annual report dell'Osservatorio Voice Shaming che l'associazione Vivavoce ha presentato a Milano, nel contesto della Giornata internazionale della consapevolezza sulla balbuzie. Lo studio ha preso in esame un campione di 110 bambini e ragazzi balbuzienti e 114 genitori con l'obiettivo principale di esaminare la frequenza di tali episodi discriminatori, i contesti in cui si verificano e le conseguenze emotive e comportamentali che hanno sui più giovani. Un ulteriore aspetto di rilievo ha riguardato l'analisi della prospettiva dei genitori: il loro punto di vista sul voice shaming e gli effetti osservati sui figli.

"La voce è un tratto che ci identifica e chi viene deriso proprio su questo aspetto primario della comunicazione viene colpito nel profondo - spiega Giovanni Muscarà, presidente di Vivavoce - Oltre il 70% dei bambini e ragazzi che hanno subito atti di voice shaming hanno confessato che avrebbero voluto ricevere aiuto, ma spesso non sapevano a chi rivolgersi. Spesso chi fatica a comunicare incontra barriere invisibili, l'aspettativa che esista un solo modo giusto di parlare. Questo non solo limita la libertà espressiva, ma può anche soffocare il desiderio stesso di comunicare".

L'entità del fenomeno

La ricerca ha permesso di definire l'entità del fenomeno, le sue caratteristiche e conseguenze, e il tipo di supporto richiesto da ragazzi e famiglie, consentendo la definizione di interventi specifici per la prevenzione e il contrasto a diversi livelli sociali ed istituzionali. L'indagine ha messo in luce che il voice shaming nei confronti dei balbuzienti è una realtà molto diffusa, in particolare tra i più giovani: ben il 71% di bambini e ragazzi con disturbi del linguaggio ha riferito di aver subito comportamenti di derisione, discriminazione e isolamento sociale. Il 61% di questi fenomeni avviene a scuola e nel 34% dei casi in contesti di svago come parchi e centri sportivi. Gli ambienti familiari e le interazioni online risultano meno frequentemente associati a queste esperienze negative.

Le modalità con cui si manifesta il voice shaming

Le modalità con cui si manifesta il voice shaming sono spesso riconducibili a imitazioni della voce (39%), atti di derisione ed esclusione (22%) o commenti negativi e/o denigratori (17%), illustra Vivavoce. L'associazione ha realizzato il video 'Ogni voce ha la sua storia', che sarà oggetto nelle prossime settimane di una campagna di sensibilizzazione sui social, per sensibilizzare adulti e ragazzi aiutandoli a maturare una capacità di sguardo e di ascolto priva di stereotipi e pregiudizi rispetto al tema della balbuzie.

"Considerando i dati epidemiologici e le stime a disposizione, in Italia a soffrire di una qualche forma di disturbo del linguaggio sono ben 3 milioni di persone - osserva Antonio Schindler, direttore scientifico Osservatorio Voice Shaming - Soggetti che spesso finiscono per essere oggetto di esclusione in termini di relazioni interpersonali, sociali e lavorative. Accade, infatti, che molti di essi, vittime di isolamento sociale, cadano in depressione e, in alcuni casi, finiscono per peggiorare drammaticamente il proprio stato di salute".

Le conseguenze

Le conseguenze del voice shaming si riflettono infatti in profondi disagi emotivi, conferma l'indagine. Molti bambini, a seguito di circostanze discriminatorie, hanno espresso sentimenti di tristezza (31%), vergogna (26%) e rabbia (25%). Il disagio psicologico influisce anche sulla vita sociale, portando alcuni a evitare situazioni in cui temono di essere giudicati a causa del loro modo di parlare, con ricadute sul benessere generale e sulla capacità di fare amicizia.

Dal punto di vista dei genitori, il 76% ha confermato di essere a conoscenza delle esperienze di voice shaming vissute dai figli. Spesso i bambini stessi sono stati i primi a riferire queste esperienze ai genitori (55%). La consapevolezza del fenomeno è spesso accompagnata dall'osservazione di cambiamenti nel comportamento e nell'umore dei figli: il 68% dei genitori ha notato un maggiore isolamento e difficoltà a socializzare, mentre il 71% ha rilevato un aumento di emozioni negative come tristezza e ansia. Infine, i genitori esprimono forti preoccupazioni per il futuro: il 95% teme che il voice shaming possa avere effetti duraturi sul benessere psicologico dei propri figli, incidendo sull'autostima e sulla capacità di affrontare le sfide sociali.

"Questi risultati sottolineano l'importanza di interventi educativi mirati e di un sostegno attivo per prevenire il fenomeno e alleviarne gli effetti. In particolare, l'urgenza di creare un ambiente scolastico più accogliente e consapevole, dove gli insegnanti siano in grado di individuare i segnali di disagio e di agire con strategie efficaci. Un intervento coordinato tra famiglie, scuole e specialisti è essenziale per garantire ai bambini la serenità di esprimersi liberamente, senza paura di essere giudicati o derisi per la propria voce e il proprio modo di parlare", conclude l'associazione.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Salute e Benessere

Dall’ora legale all’ora solare, anche la luce...

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Ecco i colori amici del riposo secondo Luigi Ferini Strambi, professore ordinario di neurologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano e direttore del Centro di medicina del sonno dell'ospedale

Sonno - 123RF

Dall'ora legale all'ora solare, previsto nella notte tra sabato 26 e domenica 27 ottobre, anche la luce giusta può aiutare ad attenuare gli effetti del cambio orario. Parola di Luigi Ferini Strambi, professore ordinario di neurologia all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano e direttore del Centro di medicina del sonno dell'ospedale San Raffaele. E "in camera da letto nulla peggio della luce blu", il monito dell'esperto.

Mentre c'è chi - super mattiniero - corre ai ripari per proteggere il suo ritmo sonno-veglia dall'effetto 'mini jet-lag' che potrebbe avere il ritorno all'ora solare, c'è chi invece, da gufo, pregusta l'ora in più di riposo regalata dallo 'switch' autunnale, i consigli sul tenere lontano dal talamo questa 'nuance' di luce valgono 365 giorni all'anno.

Una fonte particolarmente prolifica sono i dispositivi digitali come tablet e smartphone, ma anche l'illuminazione a led ha contribuito ad aumentare l'esposizione del nostro organismo alla luce blu. E non è certo questa, conferma l'esperto all'Adnkronos Salute, la tonalità luminosa ideale per le lampade da avere sul comodino. Quella giusta? "Arancione o gialla", suggerisce il medico del sonno. Avere in camera la luce blu fa male perché "è quella che crea più problemi per quanto riguarda l'inibizione della melatonina, è la più in grado di evitarne il rilascio", argomenta Ferini Strambi.

Del resto diversi studi, e da diversi anni, hanno puntato il dito contro di lei. Uno studio del Brigham and Women's Hospital di Boston (pubblicato su 'Pnas') aveva per esempio messo in evidenza che leggere da un tablet o usare lo smartphone sotto le lenzuola prima di prendere sonno può far male al riposo, compromette il ciclo sonno-veglia, abbattendo i livelli di melatonina, che è appunto l''ormone del sonno'. La luce blu, caratterizzata da una breve lunghezza d'onda, "interrompe il ritmo circadiano", avevano evidenziato i ricercatori. E il risultato è che ci si mette più tempo ad addormentarsi. Permetterle di irradiare in camera da letto non è dunque una buona idea, non è pro-relax. E gli altri colori?

E non è un caso, come è stato evidenziato dagli scienziati, che negli ultimi 50 anni ci sia stata una diminuzione della durata media del sonno e della sua qualità. Uno dei fattori che ha contribuito è anche l'avanzata delle luci blu. Nell''arcobaleno' dello spettro luminoso c'è di meglio per accompagnare il riposo, assicura Ferini Strambi. "Le luci arancioni, gialle" vengono promosse dall'esperto: "Sono quelle che creano in assoluto meno problemi". E le ricerche confermano che il migliore è il range che va dal rosso, che per gli esperti non inficia il ritmo circadiano, fino appunto all'arancione e giallo, che hanno un impatto minimo e vanno dunque bene di notte.

Sulla luce rossa addirittura un vecchio studio dell'Istituto cinese di scienza dello sport aveva rilevato che l'irradiazione di tutto il corpo per 14 giorni con questo tipo di luce ha migliorato sonno, livello di melatonina nel siero e prestazioni di resistenza delle giocatrici di basket d'élite su cui il trattamento era stato testato. Lo stesso è stato dimostrato da altri lavori per altre tonalità, testando lenti gialle, ambra, arancio per contrastare la luce blu. La luce verde si colloca invece all'estremo opposto: gli esseri umani sono particolarmente sensibili alla luce verde e la produzione di melatonina è più facilmente soppressa da questa tonalità, facevano notare gli autori di un lavoro che l'ha valutata in soggetti con privazione del sonno (nei quali attenua la produzione di melatonina e la sonnolenza).

Del resto, come segnala uno studio sull'inquinamento luminoso notturno, il ciclo giornaliero della tonalità della luce ambientale naturale, che passa da una relativamente blu-bianca a mezzogiorno a una relativamente giallo-rossa al tramonto, è importante per il funzionamento umano. L'importante è usare la 'nuance' giusta all'orario giusto.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Salute e Benessere

Sanità: liste attesa, Ordini infermieri: “Bene Ddl...

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Mangiacavalli (Fnopi) in audizione in Commissione al Senato

Sanità: liste attesa, Ordini infermieri:

"Apprezziamo nel complesso il disegno di legge del Governo sulle prestazioni sanitarie. Un provvedimento che rappresenta un'occasione importante per adeguare l'ottimizzazione dei percorsi di presa in carico dei pazienti con la valorizzazione delle professioni". Lo ha detto Barbara Mangiacavalli, presidente della Fnopi, Federazione nazionale Ordini professioni infermieristiche, nel corso dell'audizione in Commissione Affari sociali del Senato, nell'ambito dell'esame del Ddl prestazioni sanitarie.

"Il recente tassello sull'attivazione delle lauree magistrali ad indirizzo clinico abilitanti rappresenta un elemento strategico che va in questa direzione - ha sottolineato Mangiacavalli - Inoltre, la figura dell'infermiere di famiglia e comunità è fondamentale per contrastare il dilagante fenomeno delle liste d'attesa, poiché le competenze e le capacità di intercettare i bisogni di assistenza inespressi consentono di intervenire precocemente e prima del manifestarsi del problema attraverso tutti i servizi della rete sanitaria e sociosanitaria territoriale. Anche la previsione di utilizzo di strumenti di sanità digitale quali il telemonitoraggio e la teleassistenza, oltre al teleconsulto e alla televisita, possono contribuire a migliorare l'appropriatezza e la gestione delle liste di attesa".

Nell'auspicare "la previsione di misure che incentivino, anche dal punto di vista fiscale, le prestazioni sanitarie - ha concluso Mangiacavalli - crediamo che il disegno di legge rappresenti l'inizio di un percorso coraggioso che conduca tutti, istituzioni in primis, ad acquisire consapevolezze e a prendere decisioni drastiche sulle tematiche che coinvolgono e riguardano il futuro delle professioni sanitari e quindi il benessere dei cittadini".

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Salute e Benessere

Epatite C, Sos esperti: “Screening solo per 11%...

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"Necessario prorogarli al 2025 ed estenderli a fasce di età più a rischio" - Società scientifiche, associazioni pazienti e istituzioni firmano 'Patto per l'eliminazione dell'epatite C'

Epatite C, Sos esperti:

Prorogare l'attuale programma di screening gratuito per l'epatite C a tutto il 2025, promuovendolo con maggior efficacia, ed estenderlo anche ai nati tra il 1948 ed il 1968 (oltre all'attuale coorte di nascita 1969-1989, oggi considerata). Secondo gli esperti riuniti questo pomeriggio a Roma per l'incontro 'Epatite C: Obiettivo eliminazione, il momento è adesso. Strategie e modelli organizzativi per riscrivere la storia delle epatiti virali', si tratta di due azioni indispensabili e prioritarie per raggiungere l'obiettivo dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) di eliminare questa infezione entro il 2030. E per metterle in pratica - sulla base dei dati presentati nel corso dell'incontro - non sono necessari fondi aggiuntivi rispetto ai 71,5 milioni di euro già stanziati attraverso il Decreto Milleproroghe, per la maggior parte ancora non utilizzati, anche a causa della bassa adesione. Emerge, infatti, come la copertura dello screening abbia raggiunto solo l'11% della popolazione generale tra i 35 e i 55 anni.

Il dibattito, promosso da Gilead Sciences, ha visto coinvolti decisori pubblici nazionali, regionali e territoriali, rappresentanti delle istituzioni, delle società scientifiche e dei pazienti, esperti e professionisti sanitari e sociosanitari, che si sono confrontati sui risultati ottenuti finora dal programma di screening e sulle possibili soluzioni per contrastare nel modo più efficace l'epatite C in Italia. Il confronto si è concluso con la presentazione e la firma del 'Patto per l'eliminazione dell'epatite C', un impegno concreto tra tutti gli attori del sistema salute affinché vengano realizzate le azioni individuate come necessarie.

"L'epatite C è una malattia infiammatoria del fegato causata dal virus Hcv - spiega Vincenza Calvaruso, presidente Aisf (Associazione italiana studio del fegato) - Nella maggior parte dei casi l'infezione evolve in epatite cronica, fibrosi, cirrosi e carcinoma epatico. Questo processo dura molti anni, durante i quali l'infezione resta silente. E' quindi molto difficile stimare il cosiddetto sommerso e pertanto, per raggiungere l'obiettivo dell'eradicazione dell'epatite C, è essenziale in primo luogo non fermare il programma di screening, ma continuare ad assicurarlo e implementarlo ovunque non sia ancora partito per tutte le popolazioni target".

Il programma di screening per l'epatite C - è emerso dal'incontro - è stato lanciato nel nostro Paese nel 2020, con l'intento di individuare le infezioni sommerse e trattarle precocemente, per ridurre la trasmissione del virus e l'incidenza delle gravi complicanze correlate. Il programma è destinato a tre popolazioni target: i nati tra il 1969 e il 1989, le persone seguite dai Servizi per le dipendenze (Ser.D.) e le persone detenute. Grazie allo stanziamento di 71,5 milioni di euro, dal 2020 al 2024 l'Italia ha continuato a implementare e rafforzare lo screening per l'Hcv con aggiornamenti legislativi e iniziative sanitarie.

"Lo screening ha permesso di identificare ad oggi oltre 10.000 persone che non sapevano di avere l'infezione da Hcv e che in molti casi abbiamo potuto avviare al trattamento. Questi risultati sono stati ottenuti nonostante il programma abbia subito ritardi e in molte Regioni non sia stato completamente implementato. Risultati che danno un importante segnale sulle potenzialità dello screening - sottolinea Massimo Andreoni, direttore scientifico Simit (Società italiana di malattie infettive e tropicali) - E' fondamentale che venga prorogato, ampliato a fasce di popolazione più ampie, attivato in tutte le Regioni e anche promosso con campagne di sensibilizzazione e comunicazione efficaci. Stiamo finalmente assistendo a una riduzione delle complicanze da epatite C, ma se lo screening dovesse venire interrotto, queste torneranno certamente ad aumentare, con un impatto inevitabile sul sistema sanitario nazionale".

Secondo i dati del report 'Eliminazione dell'epatite C in Italia - Stato dell'arte e possibili nuove strategie regionali', realizzato da Isheo per Gilead Sciences, al 31 dicembre 2023 erano state testate oltre 1 milione di persone ed erano stati identificati oltre 10.000 casi di infezione da Hcv attiva. Un risultato senza dubbio importante, ma di certo non sufficiente, anche considerando che il termine del programma di screening è previsto per la fine di quest’anno. Il documento contiene un'analisi dell'implementazione del programma di screening a livello nazionale e regionale, le stime del budget utilizzato e di quello rimanente, della numerosità della coorte 1948-1968, dei costi dell'eventuale ampliamento dello screening a questa popolazione, e dei risparmi per il sistema sanitario.

E ancora: soltanto l'11% della popolazione generale della coorte 1969-89 è stata sottoposta a screening e la stima del budget rimanente rispetto al fondo stanziato è stata calcolata pari a 61.644.920 euro; il numero di pazienti eleggibili allo screening con l'estensione alla popolazione 1948-68 è risultato pari a 31.539.490, e la copertura economica necessaria è stata stimata in 58.380.040 euro: una spesa quindi sostenibile, perché inferiore alla rimanenza dei fondi già stanziati.

"Per quanto riguarda lo screening nazionale finalizzato al raggiungimento degli obiettivi Oms, è necessario fornire alle Regioni una certezza di stabilità sul lungo periodo, almeno fino al 2030, rendendo lo screening strutturale e non sperimentale come è attualmente, apportando tutte le modifiche normative del caso, concertate con Regioni, società scientifiche e associazioni pazienti - commenta Ivan Gardini, presidente EpaC Ets - E' assolutamente auspicabile una strategia sanitaria globale sulla prevenzione delle infezioni trasmissibili, ma che possa trovare concrete possibilità di attuazione attraverso una solida base normativa ed economica, almeno per l'epatite C".

"Da oltre 20 anni Gilead Sciences è in prima linea nella lotta alle epatiti virali - conclude Frederico da Silva, VP e General Manager di Gilead Sciences Italia - con lo sviluppo di soluzioni che hanno migliorato radicalmente la vita dei pazienti e rivoluzionato la storia delle epatiti, in particolare dell'epatite C. Abbiamo dato un contributo significativo e vogliamo continuare a farlo, al fianco delle istituzioni nazionali, locali e di tutti i partner del sistema salute, andando oltre le terapie. Riteniamo fondamentale promuovere lo screening per far emergere le infezioni sommerse, affinché a tutti i pazienti siano garantite le stesse possibilità di cura e possa essere raggiunto l'obiettivo Oms di eliminazione dell'epatite C entro il 2030".

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