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Gestazione per altri, La Torre: “Ecco perché questa legge non funzionerà”

Dal 16 ottobre, per la legge italiana la gestazione per altri è diventata “reato universale”: sarà punita non solo se praticata in Italia (come già prevedeva l’articolo 12 della legge 40/2004), ma anche se praticata all’estero, inclusi i Paesi dove la Gpa è legale.

In effetti, la dicitura scelta rischia di creare confusione nei cittadini: “La definizione di ‘reato universale’ non esiste. Esiste un concetto di “giurisdizione universale’ per reati di particolare gravità come la pedofilia, lo sterminio di massa e il genocidio che vengono riconosciuti universalmente”, evidenzia a Demografica di Adnkronos l’avvocata e attivista Cathy La Torre. Quindi chiamarlo

Reato universale non si tratta soltanto di una imprecisione formale dal momento che “la Gpa è legale in 65 Paesi del mondo”, quindi non è certo universalmente riconosciuta come reato.

Gestazione per altri, cosa cambia adesso?

Non possiamo dirlo con certezza perché ci sono molti dubbi sulla sua applicazione.

Come è possibile scoprire se qualcuno ha fatto ricorso alla Gpa all’estero?

“Questo è sicuramente uno degli aspetti più controversi: è stato introdotto un nuovo reato di cui non conosciamo l’onere della prova. Immaginiamo che un bambino nasca all’estero da una coppia eterosessuale, in un Paese dove la gestazione per altri è legale. In quell’atto di nascita non sarà scritto se il bambino è nato da una Gpa o da un parto naturale”.

In pratica, spiega l’avvocata La Torre, “nel caso di coppie eterosessuali sarà molto complicato provare che ci sia stata una gestazione per altri. Per esempio, quasi tutte le coppie eterosessuali che fanno una Gpa in America potrebbero semplicemente dire che hanno deciso di partorire all’estero per dare al figlio la doppia cittadinanza, dato che lì vige lo ius soli puro.

Nel caso di una coppia che va all’estero per ricorrere alla maternità surrogata, provare la vera ragione di quella scelta equivale a una probatio diabolica. Una prova, cioè, impossibile o difficilissima da ottenere.

“In questi casi l’ufficiale si potrebbe insospettire perché si sta registrando un figlio con un solo papà e non con una madre. È una situazione poco probabile, ma Per essere riconosciuto come genitore, l’altro padre dovrebbe fare la stepchild adoption, cioè l’adozione di fronte a un giudice. E lì, per forza di cose si autodenuncerebbe”, spiega La Torre.

Anche alla luce di queste considerazioni, come si pone questa norma rispetto al principio di uguaglianza sancito dall’articolo 3 della Costituzione?

“Io sono un’avvocata e spetta alla Corte costituzionale stabilire se una norma è incostituzionale o meno. Però sicuramente – evidenzia La Torre – appaiono esserci dei profili di irragionevolezza e parziale indeterminatezza della norma che sono certa saranno analizzati dalla Corte costituzionale.

In primo luogo, la norma pare irragionevole perché sottopone i destinatari ad un trattamento differenziato in maniera ingiustificata, vale per il cittadino italiano ma non vale per il cittadino straniero che viene in Italia (che accade se tra i due genitori uno è straniero e uno italiano?), inoltre pone la GPA sullo stesso piano di delitti gravissimi mantenendo però una forte sproporzione sul piano sanzionatorio.

Un altro evidente problema riguarda le difficoltà interpretative che la norma inevitabilmente pone: “chiunque realizza (…) la surrogazione di maternità è punito” quando si realizza la surrogazione? Al momento dell’impianto dell’embrione o della nascita del bambino? Se la gestante non porta a termine della gravidanza si parlerà di diritto tentato o consumato?

A ciò si aggiunga che trattandosi di fatti che nello stato in cui vengono compiuti sono leciti nessuna autorità straniera collaborerà con lo Stato italiano per fornirgli prove e sanzionare i genitori. Quindi siamo di fronte ad un reato che potrà provarsi per presunzioni? Senza documentazione medica e senza testimonianze?”.

C’è poi da dire che la nuova fattispecie sembra essere in conflitto anche con la normativa sovranazionale, in particolare l’art. 8 della CEDU secondo cui nessuna pubblica autorità può ingerirsi nella vita privata e familiare.

Non a caso la legge 40 già è stata censurata dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 162 del 2014 che si è espressa sull’irragionevolezza di alcune scelte del legislatore in materia.

Secondo l’avvocata, la norma sarà attenzionata già dai Tribunali di merito a partire dai giudici di primo grado.

La ministra per la Famiglia, Eugenia Roccella, ha invitato i medici a segnalare i casi di sospetta maternità surrogata. Il suo invito ha trovato l’opposizione di Filippo Anelli, presidente della Fnomceo, che ha sottolineato l’importanza della fiducia tra medico e paziente. Anelli ha anche ricordato che i medici sono esonerati dall’obbligo di denuncia. Se lo facessero, violerebbero il segreto professionale?

Anche in questo caso, la risposta si trova nei fatti, prima che nel diritto: “Quale medico denuncerebbe un proprio paziente?” si chiede l’avvocata La Torre ricordando che “. Credo che il loro desiderio, anche morale, sia curare quanti più pazienti possibile, non di denunciarli. Io da un medico che ha violato la privacy di un paziente non ci andrei mai”.

In materia di Gpa, inoltre, la responsabilità ricade sui genitori, fino al compimento della maggiore età: “Sottoporrei un quesito immediatamente all’ordine dei medici, chiedendo se una segnalazione di Gpa violerebbe il segreto professionale”, aggiunge La Torre.

È possibile che, in Italia, qualcuno ricorra alla Gpa solo per guadagnarci?

“Assolutamente no, anche perché sono pochi i casi di gestazione per altri. Non possiamo quantificare con esattezza, alcune fonti parlando di trecento Gpa annuali, altre di cinquecento. Piuttosto è vero il contrario: la gestazione per altri è una pratica molto costosa, quindi accessibile a pochissime persone”.

Il rischio, sostiene La Torre, è che il dibattito sulla Gpa metta in secondo piano un tema molto rilevante, come quella della “infertilità o della sterilità delle coppie che aumenta sempre di più”.

Quali sono i motivi principali per cui si ricorre alla gestazione per altri in Italia?

La maggior parte delle coppie che fanno ricorso alla Gpa sono coppie eterosessuali, per esempio dove la donna ha avuto un tumore e ha congelato gli ovociti. In questa materia ci sono tante sfumature”, ricorda La Torre che poi ci confida una vicenda personale, “io parlo da persona sterile: all’età di 22 anni ho avuto un tumore alla cervice e mi sono dovuta sottoporre a una serie di operazioni che oggi mi impediscono di portare avanti una gravidanza. Ecco, se io decidessi di fare una Gpa mi dovrei vergognare del mio desiderio di genitorialità perché ho avuto un tumore?

Sempre meno spazio per le adozioni

Chi è contrario alla maternità surrogata, spesso propone di soddisfare il desiderio di genitorialità con le adozioni. Ferma restando la differenza tra le due situazioni, anche le adozioni non se la passano bene in Italia. “Oltre al tema dell’infertilità o della sterilità delle coppie che aumenta, deve preoccupare il numero esiguo di adozioni annuali, dovremmo potenziare la legge sull’adozione”, sostiene l’avvocata.

Anche in questo caso, ancor prima che in punta di diritto, la questione si annoda sul piano fattuale: “per essere adottati, i bambini devono essere dichiarati adottabili, ovvero in condizione di adottabilità, ma c’è un problema di cui non parla nessuno: i bambini adottabili sono sempre meno”.
Le adozioni possono essere nazionali o internazionali. Nel primo caso, l’avvocata ricorda che: “In Italia c’è un legittimo indirizzo dei tribunali minori che tendono a dichiarare un bimbo adottabile solo in casi estremi, come, contesti familiari di estrema violenza. Ma spesso – spiega La Torre – la priorità è l’adozione endofamiliare o comunque un affido familiare”.

Nel 22 le adozioni nazionali sono state poco più di 800 a fronte di quasi 8.000 domande in attesa mentre le adozioni internazionali poco più di 500 a fronte di 3.000 domande in attesa. Quindi anche la via per le adozioni internazionali è sempre più stretta perché segue anche le tensioni geopolitiche in corso. “Un esempio è quello della Russia, dove da qualche anno Putin ha dichiarato che non avrebbe più concesso l’adozione di bambini russi alle coppie italiane. Anche le adozioni internazionali dalla Anche l’Ucraina – ricorda La Torre – era uno dei grandi Paesi a cui si faceva ricorso per un’adozione internazionale. Ora, il Paese è in guerra da oltre due anni e tutte le procedure di adottabilità si sono fermate perché l’operatività dei tribunali è praticamente azzerata o destinata ad altre questioni. Situazione analoga per molti Paesi dell’Africa alle prese con sanguinose guerre civili”.

Che effetto ha questa situazione ha sulle coppie italiane che non possono ma vorrebbero avere figli?

“Che le coppie italiane che vorrebbero adottare, spesso non riescono oppure devono attendere una media di 4 anni. “Conosco delle coppie che hanno di fatto ricorso alla Gpa perché dopo cinque, sei anni di attesa hanno desistito dal proseguire con l’iter dell’adozione. Inoltre – ricorda l’avvocata – per la legge italiana solo le coppie eterosessuali sposate da almeno 3 anni possono fare richiesta di adozione. Ne sono esclusi completamente le persone single per esempio.

La crisi demografica italiana non trova risposte

Mentre si accende il dibattito normativo e culturale sulla Gpa, i dati Istat certificano una volta di più la crisi demografica italiana. Nel 2023 sono nati 379.890 bambini, –3,4% rispetto all’anno precedente, e -34,1% rispetto al 2008, quando si registrarono oltre 576mila nascite.

Come si inserisce la questione della maternità surrogata nello scenario demografico italiano?

“Il tema è chiedersi come mai c’è così tanto bisogno di far ricorso a tecniche di procreazione medicalmente assistita”, afferma La Torre che ricorda come i casi e le cause di infertilità siano sempre più diffuse per “fattori ambientali, sociali e relazionali. Anche quando non ci sono problemi di salute, si fanno pochi figli e sempre più tardi. Avere un figlio a venticinque anni non è come averlo a quarant’anni, ma allora perché ritardiamo sempre di più la maternità?”

Le risposte sono molteplici, tutte ampiamente analizzate su queste pagine: “Forse si fanno figli a quarant’anni perché i contratti sono sempre più precari e i salari sempre più bassi rispetto al costo della vita?”, si chiede retoricamente l’avvocata La Torre, che sottolinea quanto vasto sia il problema della denatalità nel nostro Paese.

“Se la coppia lavora, chi accudisce i bambini? Gli asili nido sono troppo pochi, i costi troppo alti. Alla fine, a pagarne le conseguenze sono quasi sempre le donne che devono rinunciare o rallentare la loro carriera. Conosco migliaia di donne uscite dal mercato del lavoro perché con lo stipendio ci pagavano solo la retta del nido e una tata. Tantissime hanno lasciato il lavoro perché, dopo la maternità, non hanno ottenuto il part-time. E sono convinta che ancora meno viene concesso agli uomini che chiedono di stare in casa per accudire i figli”, chiosa La Torre citando un fenomeno in costante aumento. Emblematica la protesta degli attivisti del gruppo Dad Shift che hanno legato dei bambolotti alle statue di Leicester Square, Londra, per focalizzare l’attenzione sull’importanza del legame padre-figlio e chiedere congedi parentali migliori.

In questo contesto, che effetto avrà l’estensione spaziale del reato di gestazione per altri?

“Purtroppo – conclude l’avvocata Cathy La Torre – questa legge renderà impossibile la vita a quelle pochissime coppie che facevano ricorso alla gestazione per altri, ma in alcun modo risolverà i problemi di tutte quelle coppie che vorrebbero diventare genitori e che non possono farlo per mancanza di servizi, scarsa conciliazione vita-lavoro, inadeguatezza del welfare. Tutti problemi seri che mettono davvero a repentaglio il nostro futuro”.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Demografica

Chemsex, perché mescolare sesso e droghe non è una buona...

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Non è il titolo di una nuova hit estiva: “Sesso e droga” è un problema sociale che preoccupa sempre più le nuove generazioni. Si chiama “Chemsex” e ha guadagnato attenzione come un fenomeno emergente, in particolare tra i giovani adulti. Questa pratica, che combina l’uso di sostanze stupefacenti con l’attività sessuale, solleva preoccupazioni significative riguardo alla salute mentale e fisica.

Ma cos’è esattamente il chemsex? Quali sono le sue dimensioni e le sue cause?

Che cos’è il Chemsex?

Il termine “chemsex” si riferisce all’uso di droghe come mefedrone, Ghb e cristallo di metanfetamina, impiegate durante l’attività sessuale. Le sostanze vengono spesso utilizzate per amplificare il piacere e prolungare l’esperienza, portando a una forma di sessualità che può diventare estremamente rischiosa.

“Il termine nasce dalla fusione di chems, termine utilizzato per definire le sostanze stupefacenti di origine chimica e sex, sesso. Quando David Stuart ha coniato questo neologismo, ovvero nel 2012 – ha raccontato Michele Lanza, referente del Progetto Chemsex dell’Asa, l’Associazione Solidarietà Aids – erano essenzialmente tre le sostanze utilizzate per le sessioni di chemsex: metanfetamina, catinoni e Ghb. Più di recente, poi, la gamma di stupefacenti usati si è ampliata, adattandosi via via a ciò che offre il mercato. In Italia, ad esempio, è possibile osservare tendenze diverse anche da una città all’altra. Nella Capitale è molto in voga la cocaina base libera, ovvero la cocaina fumata, ciò che in America è chiamato Crack. A Milano, tra le sostanze psicoattive più in uso c’è il metilenediossipirovalerone (Mdpv)”.

Il fenomeno è diventato significativo in tutto il mondo, colpendo porzioni di popolazione sempre più diversificate. Se fino a poco tempo fa era associato solo a uomini che avevano rapporti con altri uomini o alla comunità Lgbtq+, un sondaggio condotto tra 1.828 individui residenti in Italia dal Dipartimento di Salute Mentale e Dipendenze, Asst Spedali Civili Di Brescia, ha rilevato che il 13,6% degli intervistati pratica chemsex e che di questa percentuale il 35,9% erano donne.

Inoltre, 13 persone (5%) si sono definite dipendenti dal chemsex; 173 persone (69,8%) vorrebbero avere maggiori informazioni sui rischi correlati al chemsex e 79 persone (31,8%) vorrebbero parlarne con un professionista che lavora nel campo delle dipendenze.

“La prevalenza riscontrata nel nostro sondaggio italiano è coerente con i risultati di altri studi – scrivono i ricercatori -. In particolare, il nostro sondaggio rivela la presenza di chemsex tra le donne. I nostri risultati sottolineano la necessità di una comprensione più completa del chemsex, evidenziando l’importanza di coinvolgere servizi specializzati come unità per le dipendenze, ambulatori per le malattie sessualmente trasmissibili e servizi di salute mentale. Queste strutture sanitarie possono condividere efficacemente le informazioni e implementare campagne di prevenzione dei rischi incentrate sul chemsex”.

Cause del fenomeno

Le motivazioni che portano le persone a praticare chemsex sono molteplici. In primis, si parla di “ricerca di evasione”, molti cercano di sfuggire allo stress quotidiano e alle pressioni sociali, trovando nelle sostanze un modo per liberarsi temporaneamente. Le droghe, inoltre, possono amplificare l’esperienza sessuale, portando a una maggiore ricerca di piacere.

Il chemsex è spesso praticato in contesti di festa, creando opportunità negative e tossiche di connessione tra individui con esperienze simili e la crescente accettazione di pratiche sessuali non convenzionali nella cultura contemporanea contribuisce alla normalizzazione del chemsex, pericolo che vede coinvolti soprattutto i giovani avvezzi ad assecondare le challenge online, anche in materia di sesso.

Rischi del Chemsex

L’uso di sostanze durante l’attività sessuale comporta numerosi rischi, tra cui:

Malattie sessualmente trasmissibili (Mst): l’aumento del chemsex è correlato a una maggiore incidenza di infezioni, in particolare Hiv.
Problemi di salute mentale: l’uso eccessivo di droghe può portare a dipendenze, ansia e depressione.
Comportamenti a rischio, come l’alterazione dello stato mentale può portare a decisioni impulsive e a situazioni pericolose.

Educazione e sensibilizzazione ad una sessualità sana

È fondamentale sviluppare programmi educativi che informino i giovani sui rischi legati al chemsex. Le scuole e le organizzazioni giovanili dovrebbero includere questo tema nei loro curricula, promuovendo una discussione aperta e onesta. Inoltre, l’accesso a servizi sanitari e di supporto è cruciale. Offrire screening regolari per Mst e servizi di consulenza può aiutare a identificare e affrontare i problemi prima che diventino gravi.

In sintesi, è necessario creare eventi e spazi di socializzazione che non promuovano l’uso di sostanze come alternative sane e sicure per socializzare. In tal senso, coinvolgere le comunità locali e le associazioni Lgbtq+ nella lotta contro il chemsex può favorire un cambiamento culturale e creare reti di supporto per chi è a rischio.

Il chemsex rappresenta un fenomeno complesso e in crescita, che richiede attenzione e intervento. Comprendere le sue dimensioni, le cause e i rischi associati è essenziale per sviluppare strategie efficaci di prevenzione, specialmente tra i giovani. Solo attraverso l’educazione, la sensibilizzazione e il supporto si può sperare di affrontare questa sfida e garantire un futuro più sano e sicuro per le nuove generazioni.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Demografica

Manovra, mini-rivalutazione delle minime e tutte le altre...

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L’inizio dell’autunno coincide puntualmente con l’alba delle nuove speranze per i pensionati italiani, costretti poi a ricredersi sotto la scure della crisi demografica. Il testo della manovra, approdato a Montecitorio, prevede alcune conferme e alcune novità per le pensioni nel 2025.

Pensioni minime 2025

Ci sarà una mini-rivalutazione per le pensioni minime: nel 2025 l’assegno mensile salirà dagli attuali 614,77 euro a circa 617 euro. Il rallentamento dell’inflazione porta la rivalutazione dal 2,7% di quest’anno al 2,2% nel 2025 e all’1,3% nel 2026.

Rivalutazione delle pensioni

La manovra introduce un cambiamento importante nell’indicizzazione delle pensioni per i residenti all’estero. Per questa categoria di pensionati, dal 2025 sarà applicata una stretta sull’indicizzazione delle pensioni per i trattamenti superiori al minimo Inps. Per i pensionati residenti in Italia, invece, si ritornerà al meccanismo di rivalutazione basato sulla legge n. 388/2000, che prevede tre livelli di indicizzazione:

100% di adeguamento all’inflazione per pensioni fino a quattro volte il minimo Inps;
90% per pensioni tra quattro e cinque volte il minimo;
75% per pensioni superiori a cinque volte il minimo.

Questo cambiamento mira a tutelare maggiormente il potere d’acquisto dei pensionati con assegni di importo medio-basso.

Tfr, sfuma l’ipotesi silenzio-assenso

Nonostante le indiscrezioni delle scorse settimane, sfuma l’ipotesi del “silenzio assenso” per il Trattamento di fine rapporto (Tfr). La ministra del Lavoro, Marina Calderone, aveva proposto di aprire un nuovo periodo di silenzio-assenso per destinare automaticamente il Tfr ai fondi pensione di categoria. Questo meccanismo, già utilizzato in passato, permetterebbe di far confluire il trattamento di fine rapporto nei fondi pensione se il lavoratore non esprime esplicitamente la propria contrarietà entro sei mesi dall’avvio del periodo.

La nuova fase per destinare il Tfr alla previdenza complementare non è stata inclusa nel testo finale della manovra ma non è escluso che possa tornare in auge nel dibattito parlamentare.

Resta comunque confermato il supporto per i lavoratori interamente contributivi, cioè quelli che hanno iniziato a versare contributi dal 1996. Per questi lavoratori sarà possibile utilizzare la rendita di pensione integrativa per raggiungere la soglia dell’assegno sociale, un requisito necessario per ottenere la pensione a 67 anni con almeno 20 anni di contributi.

Pensioni anticipate nel 2025

Sul fronte della flessibilità in uscita viene prorogata per un altro anno Quota 103, che permette di accedere alla pensione anticipata con almeno 62 anni di età e 41 anni di contributi. Giova ricordare che già il nuovo schema, in vigore già da quest’anno, prevede un ricalcolo contributivo della pensione, che è meno conveniente per il pensionato rispetto a una pensione calcolata con il sistema misto. L’obiettivo è disincentivare l’uscita anticipata dal lavoro, proseguendo nel solco già tracciato.

D’altronde, a inizio mese l’Istat ha lanciato l’allarme sulle troppe pensioni anticipate in Italia. Così tante che mediamente si va in pensione a 64,2 anni e non a 67. Un gap che il Paese non può permettersi con questa crisi demografica.

Per questo motivo, vengono confermati i requisiti stringenti fissati dalla Manovra 2024 per l’Ape Sociale, un sussidio economico per categorie di lavoratori in difficoltà, e per Opzione Donna, che consente alle lavoratrici di anticipare il pensionamento accettando un calcolo contributivo meno favorevole.
Già da quest’anno, il requisito anagrafico per l’uscita anticipata con l’Ape Sociale è stato aumentato di cinque mesi passando da 63 anni a 63 anni e 5 mesi.
Per quanto riguarda il pensionamento anticipato delle donne, resta il requisito anagrafico di 61 anni senza figli; 60 anni con un figlio; 59 anni con due o più figli.

Il ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti aveva messo sul tavolo l’ipotesi di prolungare le finestre per l’accesso alla pensione anticipata dagli attuali 3 mesi fino a 6 o 7 mesi per chi intende uscire dal lavoro con 42 anni e 10 mesi di contributi (per le donne 41) e indipendentemente dall’età anagrafica. Pe ora l’ipotesi è stata scartata.

Ampliato il Bonus Maroni

Se le pensioni anticipata sono disincentivate, chi resta al lavoro viene premiato. La manovra 2025, infatti, conferma e amplia il cosiddetto Bonus Maroni, un incentivo per coloro che, pur avendo i requisiti per la pensione anticipata con Quota 103, scelgono di restare al lavoro. Il bonus consiste nell’accredito in busta paga della quota di contributi a carico del lavoratore (9,19%), che va ad aumentare il reddito netto del lavoratore.

Inoltre, viene prevista la possibilità per i dipendenti pubblici di rimanere in servizio oltre i limiti di età per la pensione, previa autorizzazione delle amministrazioni di appartenenza, fino a un massimo di 70 anni. Questo prolungamento mira soprattutto a rallentare gli effetti della crisi demografica sull’offerta di lavoratori, ma anche ad affiancare i neo-assunti, favorendo il trasferimento di competenze ed esperienza. Il provvedimento proposto dal ministro della Pubblica Amministrazione Paolo Zangrillo mira a tamponare la perdita di quasi un milione di dipendenti prevista entro il 2030, a causa di pensionamenti previsti e del blocco del turnover attuato tra il 2010 e il 2020, che ha ridotto l’organico di circa 300.000 unità.

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Demografica

Manovra 2025 in ‘formato famiglia’: dal bonus bebè al...

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Numerose le misure con un impatto significativo sulle famiglie italiane al centro del disegno di legge di Bilancio 2025, autorizzato dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella e depositato alle Camere. Il provvedimento, con i suoi 144 articoli, abbraccia temi cruciali per le famiglie, con un’attenzione particolare a sostegno della natalità e del welfare familiare.

Detrazioni fiscali e quoziente familiare

Uno degli elementi più innovativi del ddl Bilancio riguarda il riordino delle detrazioni fiscali, con l’introduzione del quoziente familiare per le famiglie con redditi superiori ai 75mila euro. Si tratta di una misura che vuole premiare i nuclei con figli, riducendo la pressione fiscale in proporzione al numero di componenti. In pratica, il coefficiente che determina la detrazione varia a seconda della composizione del nucleo familiare: parte da 0,50 per le famiglie senza figli, e arriva a 1 per quelle con più di due figli.

Questo intervento mira a sostenere la classe media, che spesso si trova a fronteggiare un’alta pressione fiscale, senza godere dei benefici di altre fasce di reddito. Se per i contribuenti con redditi superiori a 75mila euro l’importo base per la detrazione è fissato a 14mila euro, la cifra scende a 8mila euro per chi supera i 100mila euro, lasciando comunque uno spazio di agevolazione.

Sostegno alla natalità: bonus bebè e asili nido

Il governo punta fortemente a incentivare la natalità, con una serie di misure mirate. Tra queste, spicca il bonus bebè, un contributo una tantum di 1.000 euro per ogni figlio nato o adottato dal 2025 per le famiglie con Isee inferiore a 40.000 euro. Si tratta di un sostegno economico che intende dare respiro ai nuovi genitori, che spesso si trovano a fronteggiare spese ingenti già nei primi mesi di vita del bambino.

A questa misura si affianca il rafforzamento del bonus asili nido, con un aumento delle risorse disponibili che raggiungeranno i 200 milioni di euro annui a partire dal 2029. L’obiettivo è di rendere più accessibili i servizi per la prima infanzia, facilitando l’inserimento lavorativo delle madri e riducendo l’onere delle rette scolastiche. Particolarmente rilevante è l’estensione del bonus anche alle famiglie con un solo figlio, superando il limite precedente che privilegiava le famiglie numerose.

Congedo parentale e sostegno alle mamme lavoratrici

Un altro pilastro del ddl Bilancio è rappresentato dall’estensione del congedo parentale retribuito all’80% per tre mesi, fino al sesto anno di vita del bambino. Questa misura amplia di un mese il congedo attuale, e rappresenta un passo avanti verso una maggiore parità di genere nel mondo del lavoro, in quanto offre ai genitori la possibilità di conciliare meglio carriera e famiglia senza dover subire forti perdite economiche.

Per le mamme lavoratrici, viene introdotto un parziale esonero contributivo fino ai dieci anni del figlio più piccolo per chi ha due figli, e fino ai 18 anni per chi ha tre figli o più. Questa misura interesserà sia lavoratrici dipendenti che autonome.

Piano casa e politiche abitative

Infine, l’annuncio di un Piano Casa Italia da approvare entro sei mesi è un segnale forte verso una politica abitativa che risponde ai bisogni delle famiglie. Questo piano promette di rilanciare le politiche abitative, un elemento fondamentale per garantire stabilità e sicurezza alle famiglie italiane, permettendo loro di avere accesso a soluzioni abitative dignitose e sostenibili.

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