Respinta dal tribunale la richiesta di annullare il matrimonio
Scopre dopo 18 anni di matrimonio che sua moglie prima era un uomo e chiede l'annullamento del contratto nuziale al Tribunale di Livorno che però glielo nega. La singolare vicenda, riferisce il "Corriere Fiorentino", è arrivata sul tavolo dei giudici livornesi alcuni mesi fa e nei giorni scorsi è stata pubblicata la sentenza che ha negato l’annullamento del matrimonio, richiesto dal marito, che ora potrà solo divorziare come chiunque altro. L’iter, in tal senso, è già stato avviato.
La sentenza, a firma dei giudici Gianmarco Marinai, Azzurra Fodra e Nicoletta Marino Giudice, del Tribunale di Livorno, fa anche parte dell’archivio web dell’Osservatorio nazionale sul diritto di famiglia. Per il Tribunale la mancata conoscenza dell’originario sesso del coniuge "non corrisponde ad errore sull’identità o sulle qualità della persona". L’uomo, tramite il suo legale, infatti, aveva impugnato il matrimonio in Tribunale, basandosi sull’articolo 122 del codice civile che riguarda proprio i casi in cui un giudice può sciogliere il vincolo matrimoniale per "violenza o errore". Il loro matrimonio, celebrato in Comune, era durato circa 18 anni, dal 2003 al 2021 quando poi avevano deciso di separarsi. Ad un certo punto della loro relazione avevano anche deciso di avviare le pratiche per l’adozione di un bambino (poi non formalizzata) perché la donna non poteva avere figli.
La donna, secondo la versione fornita ai giudici dall’uomo, gli aveva raccontato di una malattia a seguito della quale le avevano dovuto asportare l’utero, celando dunque il cambio di sesso. Lei invece racconta ai giudici un’altra storia. Il marito sarebbe stato perfettamente informato, ben prima di contrarre matrimonio e fin dall’inizio della loro relazione sentimentale, del procedimento di rettificazione del sesso che l’aveva riguardata anni prima. Due versioni contrastanti, dunque, come riporta sempre il "Corriere Fiorentino". Stando al resoconto processuale, l’omissione da parte della donna sarebbe in effetti avvenuta, ma il marito, sempre secondo i giudici, pur potendo approfondire aveva preferito non conoscere il motivo "completo" per cui la moglie non potesse avere figli, anche se a un certo punto la donna gli aveva detto di essere disposta a raccontargli tutto.
Lei prima di sposarsi, infatti, aveva cambiato genere, passando da uomo a donna, nel 1992. I due poi, come emerso nel procedimento giudiziario, non avevano mai parlato in modo approfondito di certe questioni, molto delicate e complesse, e lui quando poi lo aveva scoperto, nel 2022 durante una ispezione ipotecaria e catastale all’interno della causa di separazione, si era rivolto ad un legale per chiedere al Tribunale l’annullamento del matrimonio, al posto del divorzio.
A suo dire, sarebbe stato indotto in errore proprio dall’omissione della moglie sul cambio di sesso, affermando che se lo avesse saputo prima non avrebbe prestato il suo consenso al matrimonio. Ma i giudici sono di diverso avviso. "In ogni caso, anche ove si volesse qualificare tale mancata conoscenza in termini di errore, la domanda deve essere comunque respinta". Tale omissione per il Tribunale di Livorno, "non risulta qualificabile né come errore sulla identità della persona né come errore essenziale sulle qualità personali dell’altro coniuge", quindi niente annullamento.
Spettacolo
Claudia Pandolfi è la mamma di Andrea Spezzacatena al...
Il giovane si tolse la vita dopo aver subito atti di bullismo: il film 'Il ragazzo dai pantaloni rosa' presentato alla Festa del cinema di Roma racconta la sua storia
"Come dice Teresa Manes, è stato il silenzio ad uccidere Andrea. Serve educazione alla fragilità". Così all’Adnkronos Claudia Pandolfi che torna al cinema nei panni di Teresa, la mamma di Andrea Spezzacatena, che nel 2012 si è tolto la vita dopo aver subito atti di bullismo e cyberbullismo. La sua storia prende vita sul grande schermo ne ‘Il ragazzo dai pantaloni rosa’ - come il nome della pagina Facebook attraverso cui i bulli scrivevano insulti omofobi e minacce contro Andrea - presentato oggi ad Alice nella Città (sezione autonoma e parallela alla Festa del Cinema) e dal 7 novembre nelle sale con Eagle Pictures.
"Da donna, da mamma e da essere umano mettermi nei panni di Teresa Manes è stato impossibile dal punto di vista emotivo", racconta Pandolfi, che quando ha "incontrato Teresa pensavo di trovarmi davanti una donna in crisi. E invece no. È diventata una specie di monolite con un'elaborazione profondissima del suo dolore e dei suoi sensi di colpa. Si è chiesta mille volte 'cosa non ho colto?'. Ma io - prosegue - la capisco perché aveva deciso di rispettare la privacy di un adolescente che torna in casa e non ha voglia di raccontarti la giornata. Ci sta". Andrea, dal canto suo, "ha pensato di poter gestire quel suo disagio". La vita dei ragazzi di oggi, secondo l'attrice, "è performante. Sui social vieni costantemente giudicato da una massa difficile da contenere".
In passato, lontano dai social media, "ci voleva coraggio ad andare a picchiare qualcuno. Oggi non ci vuole coraggio a insultare qualcuno dietro una tastiera. Ma quel commento fa più male di un cazzotto in faccia perché aderiscono molte persone". Serve "educazione digitale ma anche emotiva. La situazione - dice Pandolfi - è sfuggita di mano" e "gli adulti sono distratti da loro stessi. Con i social hanno dato alla vanità una priorità importante nella vita". Da mamma "ho una certa attenzione nei confronti dei miei figli, cerco di non farli aderire al male", conclude. (di Lucrezia Leombruni)
Spettacolo
L’uomo dietro il campione. Sinner si racconta in...
Un bilancio sulla stagione in chiusura, per mettere a fuoco gli obiettivi futuri tra racconti di sport e di vita, alla scoperta dell’uomo oltre che del tennista, anche da un’inconsueta prospettiva vista da uno Jannik fuori dal campo. Arriva il 25 ottobre il nuovo episodio della serie di interviste al numero uno del ranking mondiale Atp, Jannik Sinner, realizzate da Sky Sport. Sinner si racconta a 360°: i suoi sogni, i traguardi da raggiungere e le difficoltà che ha dovuto affrontare in questa stagione, a partire dal caso Clostebol.
“Jannik – Oltre il tennis” si pone l’obiettivo di raccontare un ragazzo attraverso un tempo che nelle interviste classiche non c’è. “È lenta, riflessiva e si apprezza Jannik perché ha tanto da dire” dice all’Adnkronos Federico Ferri, direttore di Sky Sport. Spesso si è raccontato Sinner come un campione di poche parole o che parla male, mentre “parla il giusto e parla benissimo” e, soprattutto, “sa leggersi dentro”. Un tratto che accomuna i grandi campioni di questa generazione che secondo Ferri “hanno una grande capacità di analizzarsi e parlare di sé in terza persona quasi come se riuscissero a vedersi dentro e trovassero un senso di responsabilità nei confronti degli altri nel condividere”.
Il campione muta negli anni, da essere 11° nel ranking Atp a diventare il numero uno assoluto a soli 23 anni, ma dal punto di vista umano è sempre lo stesso, “non ha cambiato il suo atteggiamento nei confronti del tennis”. Dove è cambiato, secondo Ferri, “è nella crescita continua che dimostra”, a maggior ragione in una stagione dove ha dovuto affrontare grandi difficoltà, come l’accusa di doping da Clostebol per la quale è stato poi scagionato da un'indagine indipendente dell'Itia - l'International Tennis Integrity Agency – che parlava di “assunzione inconsapevole”. Secondo il direttore di Sky Sport “è come se lo Jannik Sinner di quest’anno fosse più consapevole. Un tratto ricorrente è ‘quest’anno ho imparato che’, ‘quest’anno ho capito tante cose’. Lo dice spesso e in questa intervista ha condiviso tanto”.
Per Sinner questo “è un modo per restituire” aggiunge Ferri. Restituire a tutti i fan e tifosi qualcosa, un’emozione, un piccolo stralcio sulla sua quotidianità, mostrare che non è solo un campione, ma anche un essere umano. Un atteggiamento rispettoso del proprio sport, della persona e di chi ti segue.
Spettacolo
Il ragazzo dai pantaloni rosa, la mamma contro il bullismo:...
Il figlio di Teresa Manes, Andrea Spezzacatena, si è tolto la vita nel 2012: ora la sua storia è un film presentato alla Festa del cinema di Roma per sensibilizzare i giovani
"Mi fa inca**are quando mi dicono ‘poverina’. Ed è qui che c’è il fallimento del ruolo educativo. Io dico che il dolore può educare, mi accorgo che la mia resilienza è di ispirazione per i ragazzi delle scuole che incontro, pensano ‘se ce l’ha fatta lei a superare un momento difficile, posso farcela anche io'". A dirlo all’Adnkronos è Teresa Manes, la mamma di Andrea Spezzacatena, che nel 2012 si è tolto la vita dopo aver subito atti di bullismo e cyberbullismo. La sua storia prende vita sul grande schermo ne ‘Il ragazzo dai pantaloni rosa’ - come il nome della pagina Facebook attraverso cui i bulli scrivevano insulti omofobi e minacce contro Andrea - presentato oggi ad Alice nella Città (sezione autonoma e parallela alla Festa del Cinema) e dal 7 novembre nelle sale con Eagle Pictures.
"Sono contenta di questo film, spero che possa arrivare a più persone possibili, le scuole stanno manifestando il loro interesse. Mi auguro che la visione non sia fine a se stessa e che si prosegua con un lavoro fatto sui ragazzi con l’educazione alle emozioni", sottolinea la Manes, che nel film è interpretata da Claudia Pandolfi. "Ho capito subito che fosse l'attrice giusta per interpretarmi", dice la mamma. A interpretare il figlio, invece, è Samuele Carrini: "Mi ha ricordato Andrea nei gesti, nell’affettività che dimostra e nella sensibilità". Ma anche il silenzio. "Per me è stato uno schiaffo, uno di quelli che ti fa fare 3 o 4 giri su te stessa perché c’è stato il grido inascoltato di mio figlio. Ma anche da parte degli amici e dei compagni di scuola che non si rendevano conto". Così il silenzio "si trasforma in indifferenza".
A dodici anni dalla morte di Andrea "resta questa battaglia di civiltà, non ho rabbia. Forse l’ho avuta all’inizio. Ora la mia battaglia - dice mamma Teresa - è abbattere il muro del silenzio e dell’indifferenza, ma soprattutto tirare la giacca all’adulto e chiamarlo alle sue responsabilità perché in molte famiglie i figli vengono lasciati soli”. Anni fa “non c’era la consapevolezza che c’è oggi, quando Andrea si è suicidato non si parlava di bullismo", fa notare Teresa, che con il figlio ha avuto un rapporto di complicità. "Era sempre sorridente, - ricorda - voleva andare a scuola e stare con gli altri. Ho confuso dei segnali, come il mangiarsi le unghie o l’alopecia, pensando a un rifiuto di una ragazzina". Andrea "si è trasformato in vittima senza neanche accorgersene. Per questo è importante rompere il silenzio perché da soli è difficile uscire da simili situazioni".
Rosa era il colore dei suoi jeans, risultato di un lavaggio sbagliato, che Andrea aveva indossato per andare scuola. "Non so che fine abbiano fatto. Ho avuto bisogno di difendermi dal dolore", ammette Teresa. "A casa ci sono dei sacchi e un armadio pieno di cose di Andrea che non apro mai. Lui era uno che conservava tutto, dal biglietto dell’autobus al fiore secco fino alle pietre perché per lui erano ricordi. Ogni tanto quando mi capita tra le mani un sasso penso ‘chissà cosa stava pensando quel giorno in cui l’ha trovato’". Manes, nel corso degli anni, ha fatto una scelta: "Essere parte sociale attiva. Ho deciso di trasformare il mio dolore, l’ho progettualizzato, in qualcosa che potesse essere utile a tanti altri ragazzi perché il dolore può educare". Ai ragazzi "dico di non minimizzare questi episodi di violenza e di non riderci su. Abbiate coraggio di denunciare". (di Lucrezia Leombruni)