Perché i Brics non riusciranno a creare l’anti-dollaro. L’analisi di Salcioli (Assiom Forex)
Lo strategist si dice ‘scettico’ rispetto al piano dei Paesi Brics di creare una valuta e un sistema bancario paralleli a quelli occidentali. Dubbi anche sul nervosismo per il risultato delle presidenziali Usa: ecco cosa aspettarsi dai due candidati
Riusciranno i Paesi Brics a creare una valuta e un sistema di pagamenti alternativi al dollaro e a Swift? No. È questa la “educated guess” di Gian Marco Salcioli, Strategist di Assiom Forex, rilasciata ad AdnKronos a margine della conferenza “Macro Trends in Financial Markets: Fall Conference 2024” tenuta a Milano.
L’obiettivo della proposta rilanciata dai Brics al forum di Kazan è evidente: sottrarsi alla “grandi armi” geopolitiche che sono il dollaro e il sistema di comunicazione bancario, dato che dopotutto sono “capace di bloccare intere economie”. Salcioli però si dice scettico sulle possibilità di creare un’alternativa basata su oro e insieme di valute dei Paesi Brics.
Anzitutto, spiega Salcioli ad AdnKronos, ci vogliono anni di tempo per costruire una valuta di riserva. Dopodiché “si parla da trent’anni di debacle del dollaro come ruolo di riserva internazionale, come motore degli scambi”; ma al momento le quote del dollaro sono “identiche rispetto a 30 anni fa: molto alte”.
Del resto, conclude l’esperto, i sistemi di pagamento vigenti hanno 70-80 anni alle spalle e sono completamente istituzionalizzati nel mondo. “Crearne uno parallelo, nuovo, significa creare una barriera, un fossato, tra i Brics e le economie occidentali che in questo momento probabilmente non conviene a nessuno. Neanche a loro”.
La prospettiva su Trump…
Nonostante gli “eccessi” dell’informazione, non è detto che una vittoria di Donald Trump alle presidenziali statunitensi produca discontinuità rispetto ai trend economici attuali. È il pensiero e in senso dell’intervento di Salcioli alla conferenza, condivisi con AdnKronos prima di salire sul palco.
Spaventa la promessa elettorale del candidato repubblicano di applicare tariffe tout-court del 20%. Ma, riflette l’esperto, sia lui che il suo entourage tecnico “sanno bene che questi dazi hanno un effetto potenzialmente distruttivo sulle catene di produzione” delle aziende americane.
Il problema è l’inflazione, spiega Salcioli: non solo perché gli statunitensi importerebbero beni a prezzo più alto, ma perché ristrutturare le catene di fornitura per ridurre il rischio geopolitico (il cosiddetto re-shoring) significa “utilizzare fonti di produzione a costi molto più alti”, cosa che impatta ancora di più l’effetto inflattivo.
È uno scenario che temono tutti quelli che hanno a cuore la stabilità del sistema finanziario globale, aggiunge l’esperto. Ma non è detto che avvenga. Anche perché il mercato non sembra preoccupato. “Nell'ultimo anno i mercati e la propensione a rischio hanno resistito a grandissime tensioni geopolitiche” e hanno tenuto le quotazioni azionare che sembrano molto sopravalutate. Con l’eccezione delle ultime due settimane, conclude Salcioli, “tutto ha proceduto quasi senza intoppi: le borse sono ai massimi, i rendimenti ai minimi.”
… e la globalizzazione in chiave Harris
C’è una vena protezionista, “America First”, anche nelle promesse di Kamala Harris. La candidata democratica, del resto, era al fianco di Joe Biden in qualità di vicepresidente nei mesi in cui il presidente uscente ha implementato l’Inflation Reduction Act, un maxi-pacchetto di investimenti in chiave green che ha impattato pesantemente le industrie cleantech europee.
La sensazione dell’esperto di Assiom Forex è che le tentazioni protezioniste di Harris sono anche un modo per catturare una parte dell'elettorato centrista, “senza tuttavia essere estremista” dal punto di vista dei dazi. La sua agenda è meno isolazionista e “molto più orientata al commercio internazionale” anche in vista del ruolo strategico degli Stati Uniti all’interno della Nato e nella sfera della sicurezza globale.
C’è un però: “questa fase storica abbraccia la deglobalizzazione, il re-shoring, dunque un maggiore isolazionismo anche dal punto di vista strategico”, ricorda Salcioli. E l’eccezionalismo statunitense nelle tecnologie è nel dna americano. Dunque, mentre prima i mercati “tendevano a essere molto più coordinati”, adesso Washington mira a proteggere il suo modello economico “speciale”, cosa che esprimono entrambi i candidati – che infatti guardano con favore al settore delle tecnologie dell’informazione.
La percezione dell’elettore
L’errore che si fa da questa parte dell’Atlantico è analizzare gli Stati Uniti con le nostre lenti, spiega Salcioli, evidenziando il rischio per chi opera nei mercati, chi deve gestire il rischio e chi ha a che fare con posizioni speculative. Mettendosi nei panni dell’elettore americano, invece, si può riscontrare che “qualcosa arde sotto la brace”: nonostante l’economia ruggisca c’è un senso diffuso di malcontento.
È vero che il pil sta salendo, rimarca l’esperto. È altrettanto vero che sale anche la disoccupazione, anche se il fenomeno si spiega in parte con l’ingresso dei migranti che aumenta il bacino della forza lavoro. “E il numero di fallimenti tende ad aumentare, i posti di lavoro non necessariamente sono a tempo indeterminato: dinamiche che effettivamente devono essere strettamente monitorate, perché nessun trend è infinito”, conclude l’esperto.
Finanza
“Quando guardo a Unicredit penso alla seconda banca...
"Il top management delle due banche (Unicredit e Bpm) è interamente a matrice Italiana, e quindi calato nel territorio, pur rispondendo al consiglio di amministrazione e agli azionisti"
"Quando guardo a Unicredit, penso alla seconda banca Italiana, non a una entità estera". Così all'Adnkronos Giorgio Vintani, analista e consulente finanziario indipendente, rispondendo alle recenti dichiarazioni del vicepremier Matteo Salvini, che aveva definito Unicredit una banca straniera.
La struttura dell’azionariato di Unicredit, spiega Vintani, è principalmente a matrice estera, "ma questo dipende dal fatto che gli investitori istituzionali rappresentano il 75% degli azionisti". In Italia, continua Vintani, non si è mai sviluppata una vera cultura del risparmio gestito, e i fondi italiani sono di dimensioni molto ridotte rispetto alla concorrenza del resto del mondo; questo dato non dovrebbe sorprendere più di tanto. "Oltre al 42% detenuto da investitori d'oltreoceano, il 25% è detenuto dagli inglesi, e questo rappresenta la quasi totalità degli investitori istituzionali", dice l'analista. Ma il top management delle due banche, Unicredit e Bpm, chiosa, è interamente a matrice Italiana, e quindi calato nel territorio, pur rispondendo al consiglio di amministrazione e agli azionisti. Ma qual è la composizione dell'azionariato delle due banche della cui eventuale fusione si inizia a discutere che hanno determinato oscillazioni delle quotazioni dei due titoli in Borsa?
Gli azionisti di Banco Bpm...
Se andiamo a vedere la struttura di Banco Bpm, sulla cui totalità di azioni Unicredit guidata da Andrea Orcel ha lanciato un Ops, prosegue Vintani, troviamo che i primi due azionisti sono Crédit Agricole, con il 9,18% e Blackrock con il 5,24%, anche se questi sono controbilanciati da altri investitori italiani, in misura maggiore rispetto a Unicredit.
E la distinzione tra Goldman Sachs e Blackrock..
"Farei una distinzione tra Goldman Sachs e Blackrock", prosegue ancora Vintani: mentre la prima è una banca di investimento, e quindi ha come obiettivo primario la massimizzazione del profitto, Blackrock è il più grande gestore di fondi internazionale, con prodotti che sono più fondi passivi, e quindi un obiettivo finale diverso; anche se, naturalmente, anche loro votano in consiglio di amministrazione.
Rischio sul credito alle Pmi in caso di espansione di Unicredit.. nessuno
Per quanto riguarda il credito alle Pmi, afferma Vintani, se Unicredit dovesse dirottare risorse verso altri business più profittevoli, si aprirebbe uno spazio per altre banche per aumentare la propria presenza in quel mercato. "Personalmente - afferma l'analista - ritengo inevitabile che ci sia un ulteriore processo di aggregazione tra le banche, in modo da avere campioni Italiani in grado di resistere all’agguerrita concorrenza delle banche europee e mondiali, spesso più grandi e meglio strutturate". Nel frattempo nella sede di Banco Bpm l'amministratore delegato Giuseppe Castagna dopo che il cda ha definito l'ops di Unicredit ''non commisurata al nostro valore'' ha messo in guardia sul rischio che le sinergie tra le due banche possano comportare esuberi di oltre 6 mila persone. (di Andrea Persili)
Finanza
Unicredit-Banco Bpm, Tosi (Fi) promuove Ops: “Ottima...
L'ex sindaco di Verona, 'la banca di piazza Gae Aulenti conserva un forte legame con la mia città'
L'offerta pubblica di scambio lanciata da Unicredit su Banco Bpm è una "buona", anzi "ottima", operazione, "Italia su Italia", decisamente "meglio" che essere "comprati" da un soggetto estero. Anche se nel governo c'è chi la pensa diversamente, un eventuale uso del Golden power per fermare l'offerta si farebbe "fatica anche a motivarlo", dato che l'offerente è una banca italiana e non straniera. Lo dice all'Adnkronos Flavio Tosi, eurodeputato di Forza Italia, già sindaco di Verona, dal 2007 al 2017, con la Lega.
"Intanto - osserva Tosi - è un'operazione Italia su Italia, quindi va bene: piuttosto che essere comprati da fuori, meglio fare operazioni all'interno. C'è un unico aspetto critico, a mio avviso. Parlo da veronese e da veneto, perché a Verona in particolare, e in Veneto, a livello di sportelli i due istituti si sovrappongono molto. E quindi vorrà dire che o si trova una modalità di mediazione con il personale, di cessione di sportelli a qualcun altro", oppure l'aggregazione "diventa molto critica dal punto di vista del personale".
Ma in sé, prosegue, "l'operazione secondo me è buona, perché ci sono le banche di credito cooperativo, le banche territoriali che fanno le operazioni di dimensione territoriale", e poi, "a livello nazionale e globale", servono banche "sempre più forti, sempre più strutturate e in grado di affrontare le crisi". Quindi, "se si va verso due grandi blocchi, Intesa e Unicredit per capirci, non mi dispiace. Mi pare una cosa sensata nel momento attuale, perché il Banco, che una volta era una banca veronese, oggi è poco veronese".
Unicredit, prosegue Tosi, "mantiene ancora un forte legame con la città. Fondazione Cariverona è il primo azionista italiano di Unicredit. Direi che è una buona operazione. So che nel governo ci sono sentiment diversi, però credo anche che, nel mondo libero", la parola vada lasciata al mercato. "Se fosse uno straniero che compra in Italia, allora sarebbe giusto difenderci, ma è un'operazione tutta italiana".
Non è che il Ceo Andrea Orcel, molto a suo agio nella City, finisce per muoversi con poca cautela nei confronti della politica, visto che quello italiano è il secondo governo, dopo quello tedesco, che reagisce con sorpresa ad una sua mossa? "Orcel - risponde Tosi - è un grandissimo uomo di banca. Unicredit era arrivata, se non erro, a 8-9 euro e adesso è a 36, in tempi rapidissimi. Credo che chi è socio, ma anche chi da imprenditore lavora con quella banca, sia soddisfattissimo del lavoro di Orcel".
Nel governo non tutti sembrano vedere con favore l'eventuale aggregazione tra i due gruppi: "Essendo un'operazione di aggregazione italiana - risponde Tosi - non vedo perché ostacolarla. Può darsi che qualcuno abbia in mente altre aggregazioni (tra Banco Bpm e Mps, ndr): questa è un'altra questione, però non c'è un motivo strategico per impedire una ottima aggregazione italiana". Quindi, se si usasse il Golden Power, come è stato ventilato, Forza Italia sarebbe contraria? "Devo parlarne ovviamente col mio segretario Antonio Tajani", replica, ma "questo è un tema che conosco bene, perché è il mio territorio". Usare "il Golden Power su un'operazione tutta italiana si fa fatica anche a motivarlo", conclude.
Finanza
Banco Bpm, Cda su ops Unicredit: “Operazione non è...
Il consiglio dell'istituto di piazza Meda blocca lo scambio azionario: "Ops assoggetta banca a passivity rule e condizionerà flessibilità strategica". Un consigliere: "Offerta ostile"
Il cda di Banco Bpm, riunito oggi per valutare una prima informativa sull'ops lanciata da Unicredit nei confronti dell'istituto meneghino, ha sentenziato che lo scambio azionario proposto "non riflette in alcun modo la redditività e l'ulteriore potenziale di creazione di valore per gli azionisti di Banco Bpm".
Ribadendo che "l'offerta non è stata in alcun modo preventivamente concordata”, l'istituto ricorda che il potenziale di Banco Bpm “è ulteriormente rafforzato dalle operazioni straordinarie recentemente annunciate, che si aggiungono alle azioni già contenute nel piano industriale 2023-26 e che si tradurranno in un aggiornamento degli obiettivi del piano medesimo, già in parte anticipati al mercato”.
Nella nota il Consiglio di amministrazione dell’istituto di via Meda fa sapere che “fermo restando che Banco Bpm si esprimerà sull’offerta pubblica di scambio volontaria” lanciata ieri da Unicredit “con le tempistiche, gli strumenti e secondo le modalità previste dalla legge”, analizzando l’informativa “in via preliminare e nel migliore interesse degli azionisti, rileva all’unanimità che l'offerta indica un corrispettivo unitario, interamente in azioni, che riflette un premio dello 0,5% rispetto al prezzo ufficiale di Banco Bpm del 22 novembre e uno sconto implicito del 7,6% rispetto al prezzo ufficiale di ieri”. In sostanza “le condizioni risultano del tutto inusuali per operazioni di questa tipologia”. L'operazione lanciata da Unicredit è ostile secondo il consigliere di amministrazione di Bpm Mauro Paoloni.
Ops assoggetta banca a passivity rule
“La promozione dell'offerta” pubblica di scambio lanciata ieri da Unicredit, “pur in presenza delle inusuali condizioni di prezzo, comporta l’effetto di assoggettare Banco Bpm alla cosiddetta passivity rule", sostiene ancor ala nota. Tutto ciò, spiega l’istituto di via Meda, “condizionerà la flessibilità strategica del gruppo, in particolare con riferimento alle condizioni dell'offerta pubblica di acquisto promossa lo scorso 6 novembre da Banco Bpm Vita, società interamente partecipata dalla banca, sulla totalità delle azioni Anima Holding e al recente investimento da parte della banca nel capitale sociale di Banca Monte dei Paschi di Siena, determinandosi così un quadro di elevata incertezza”.
In tal modo, “viene quindi limitato lo spazio di manovra su base autonoma del management, che in questi anni ha dato prova di un forte track-record in termini di crescita organica e di iniziative straordinarie realizzando con successo, e senza richiedere capitale al mercato, operazioni quali l’integrazione tra Bpm e Banco Popolare, il de-risking del portafoglio creditizio, la riorganizzazione del bancassurance, la partnership nella monetica e, in ultimo, le operazioni su Anima e Banca Monte dei Paschi di Siena”.
Cosa sta succedendo
UniCredit ha presentato un’offerta di scambio volontaria per Banco Bpm per un corrispettivo totale di circa 10,1 miliardi di euro, interamente in azioni. La comunicazione ieri con una nota. L’offerta mira a rafforzare la posizione competitiva di UniCredit in Italia, uno dei mercati principali del Gruppo, creando una seconda banca ancora più forte in un mercato attraente, in grado di generare un significativo valore di lungo termine per tutti gli stakeholder e per l’Italia. La natura complementare delle attività sia in termini di aree geografiche che di segmenti di clientela, unita alla dimostrata capacità di esecuzione di UniCredit, fanno sì che il Consiglio di Amministrazione ritenga che l’operazione rappresenti un rischio di esecuzione gestibile spiega Unicredit.
S&P: "Con successo operazione UniCredit istituto migliorerebbe rating"
"Se l'offerta" di acquisizione da parte di UniCredit "avesse successo, Banco Bpm diventerebbe probabilmente parte integrante del gruppo allargato UniCredit e i nostri rating su Bpm beneficerebbero probabilmente del supporto del gruppo da parte della capogruppo". E' quanto scrive S&P Global Ratings in un'analisi. "Tutti i rating di Bpm - si legge - sarebbero probabilmente allineati a quelli di UniCredit, il che in termini pratici significa un rialzo per i rating dei suoi strumenti ibridi, che attualmente si collocano al di sotto".
"Strategicamente, l’operazione ha senso per UniCredit in quanto rafforzerebbe la sua posizione di mercato in Italia, e in particolare nella parte più ricca del Nord Italia, dove la banca è sotto rappresentata", si legge ancora.
"Il gruppo combinato - indica il report - deterrebbe una quota di mercato del 15% dei prestiti e del 14% dei depositi in Italia, riducendo il divario con il leader di mercato Intesa Sanpaolo, e servirebbe 11 milioni di clienti. Inoltre, Bpm offre complementarità e, ovviamente, sinergie di costo, dato che si tratta di un’operazione sul mercato, che supporta la logica economica dell’operazione".
"Dato che il tasso di cambio proposto" da UniCredit per l'acquisto di Banco Bpm "implica un prezzo delle azioni solo marginalmente superiore al prezzo di chiusura della fine della scorsa settimana, non possiamo escludere una modifica dei termini dell'operazione per renderla più attraente o che altri soggetti mostrino interesse per Bpm", scrive ancora S&P Global Ratings nell'analisi, nella quale si legge che l'agenzia "monitorerà quindi gli sviluppi" dell'operazione.
Al momento, ricorda il report, "nessuna dichiarazione pubblica è stata rilasciata da Bpm o dai suoi azionisti, tra cui l'istituto francese Credit Agricole, che detiene una quota del 9,18% e ha partnership strategiche in materia assicurativa e di gestione patrimoniale".