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Sanità: infermiera attacca sui social mamma che lascia figlia in ospedale, aperta indagine

A Bari una madre ha lasciato in ospedale sua figlia appena nata. Pur non conoscendone la situazione economica e personale, un’infermiera della struttura ha criticato aspramente la donna definendola “senza cuore” in un post sui social. Il post, ora rimosso, conteneva anche una foto della neonata oltre ai giudizi personali sulla madre. La donna, però, ha visto quel post così come l’Ordine delle Professioni Infermieristiche di Bari, che ha avviato un procedimento disciplinare per accertare eventuali violazioni del codice deontologico. La vicenda si inserisce in un contesto storico-culturale già molto accesso su temi come la maternità, l’aborto e la gestazione per altri, recentemente diventata reato a giurisdizione universale secondo la legge italiana.

Nel post, l’infermiera ha descritto la scelta della madre di abbandonare la bambina come una decisione di “freddezza inaudita”. Oltre a criticare la donna, l’infermiera ha lanciato un appello per raccogliere beni di prima necessità per la neonata, forse con l’intento di aiutare, ma la pubblicazione ha avuto conseguenze inaspettate. Il presidente dell’Ordine di Bari, Saverio Andreula, ha confermato che saranno condotti tutti gli accertamenti necessari per determinare se sono state violate le norme professionali.

L’episodio solleva domande importanti sulle regole di condotta a cui devono attenersi gli operatori sanitari, in particolare in relazione alla riservatezza dei pazienti. Secondo il Codice Deontologico delle Professioni Infermieristiche del 2019, approvato dal Consiglio Nazionale, la tutela della privacy e della dignità della persona assistita è fondamentale.

In particolare, scorrendo il Codice: Articolo 3 – Rispetto e non discriminazione: “L’infermiere cura e si prende cura della persona assistita, nel rispetto della dignità, della libertà, dell’eguaglianza, delle sue scelte di vita e concezione di salute e benessere, senza alcuna distinzione sociale, di genere, di orientamento della sessualità, etnica, religiosa e culturale”. La disposizione vieta agli operatori di formulare giudizi di valore sulle scelte dei pazienti, come invece è avvenuto nel caso di Bari; Articolo 19 – Confidenzialità e riservatezza: “L’infermiere garantisce e tutela la confidenzialità della relazione con la persona assistita e la riservatezza dei dati a essa relativi durante l’intero percorso di cura”​. La pubblicazione della foto della neonata e i commenti sulla decisione della madre violano chiaramente questa norma, che impone un rigoroso rispetto della privacy; Articolo 28 – Comportamento nella comunicazione: “L’infermiere nella comunicazione, anche attraverso mezzi informatici e social media, si comporta con decoro, correttezza, rispetto, trasparenza e veridicità; tutela la riservatezza delle persone e degli assistitiponendo particolare attenzione nel pubblicare dati e immagini che possano ledere i singoli, le istituzioni, il decoro e l’immagine della professione”​. Questo articolo è particolarmente rilevante per il caso in oggetto, poiché disciplina l’uso dei social media e la necessità di rispettare la dignità delle persone assistite anche nel contesto digitale.

Proprio in questi giorni, inoltre, il presidente di Fnomceo, la Federazione nazionale degli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri, ha sottolineato la centralità del rapporto di fiducia tra paziente e medico rispondendo alla ministra per la Famiglia Eugenia Roccella che ha chiesto di segnalare i casi di sospetta gestazione per altri.

L’infermiera coinvolta nel caso ha presentato una memoria difensiva, sostenendo che l’intenzione del suo post era quella di sensibilizzare la comunità locale e raccogliere aiuti per la bambina. Dal canto suo, il presidente Saverio Andreula ha dichiarato: “Eseguiremo tutti gli accertamenti che il caso impone e adotteremo l’opportuno provvedimento di competenza, nel determinare eventuali sanzioni a carico dell’iscritta”.

Questo caso ha acceso un dibattito su come gli operatori sanitari debbano gestire la comunicazione sui social media. Se da un lato la tecnologia offre strumenti preziosi per sensibilizzare e raccogliere supporto, dall’altro presenta rischi significativi per la privacy e la riservatezza dei pazienti.

Il rispetto delle norme deontologiche non è solo una questione di buone maniere, ma rappresenta un obbligo professionale fondamentale per preservare la fiducia che i pazienti ripongono nel sistema sanitario. La diffusione non autorizzata di informazioni, soprattutto in contesti delicati come quello di una neonata abbandonata, rischia di compromettere la relazione tra pazienti e professionisti della salute, mettendo a repentaglio l’integrità del rapporto di cura.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Cronaca

Napoli, De Giovanni: “Per ragazzi a rischio camorra...

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Lo afferma lo scrittore intervistato da 'La Ragione'

Napoli, De Giovanni:

Insegnanti, assistenti sociali, psicologi ben pagati e con poteri diretti per provare ad arginare alla base il fenomeno della criminalità minorile. Maurizio De Giovanni, una delle penne più famose e apprezzate d’Italia, fa parte del Comitato anticamorra per la legalità di Napoli (tra i componenti ci sono tra gli altri, Paolo Siani, Sandro Ruotolo). E' ancora attonito per le circostanze che hanno portato all’omicidio del 15enne Emanuele Tufano - incensurato da famiglia di incensurati – che si è verificato un paio di giorni fa nel cuore del centro storico di Napoli, durante una rissa a colpi di pistola tra bande di adolescenti. Duecento metri di proiettili che alle 3 di notte hanno colpito auto, negozi. Se necessario, afferma lo scrittore intervistato da 'La Ragione', si potrebbe puntare sulla "revoca della patria potestà. Servono poteri diretti e nessuno sconto".

"Poteva esserci chiunque per strada, uno come me che tornava dalla presentazione serale di un libro, oppure chi non riusciva a prender sonno ed era in giro per fare due passi. Siamo di fronte a una situazione da cui non vi è riparo, che riguarda tutti: istituzioni, scuola, genitori, ordine pubblico. E sarebbe un approccio errato localizzare il problema, che non è solo di Napoli o del Mezzogiorno", spiega lo scrittore a La Ragione, aggiungendo che "si tratta di bambini, ragazzi di cui si serve la criminalità organizzata perché poi non sono perseguibili, ragazzi che inoltre davanti agli occhi hanno continui riferimenti alla violenza. Sento in queste ore giustamente di potenziamento della videosorveglianza e della presenza delle forze dell’ordine, condivido in pieno, ma è la cura del sintomo, non del problema alla radice”.

Secondo De Giovanni, il primo argine deve essere collocato altrove. “Si deve puntare su assistenti sociali, psicologi, maestri, maestri di strada. Devono essere ben pagati e dotati di un potere diretto. Faccio un esempio: l’assistente contatta la mamma di un ragazzo che ha abbandonato la scuola e si sente dire che lei non può nulla? Poi lo stesso assistente si fa carico della segnalazione ad una struttura della Repubblica che procede alla revoca della patria potestà. Servono poteri diretti e nessuno sconto”.

Lo scrittore napoletano inoltre invita anche alla revisione dei criteri sulla dispersione scolastica, che nel territorio napoletano è segnalata in lieve calo nell’ultimo anno. “Se un ragazzo non va a scuola per 15 giorni e poi si ripresenta, per poi assentarsi di nuovo a lungo, non risulta tra i 'dispersi' ma certo non frequenta la scuola. Quindi, vorrei sapere della continuità scolastica dei ragazzi, è un fattore dirimente, vorrei ci fosse maggiore attenzione e trasparenza sulla rilevazione dei dati”. Dalla morte del 15enne napoletano e dagli ultimi episodi di cronaca nera riguardante i minori emerge l’accesso sempre più ricorrente alle armi: “E’ diventata una consuetudine per i ragazzi, non solo quelli da aree problematiche, portare in giro il coltello. Sul facile ricorso alle pistole, non saprei neppure da dove cominciare, neppure in Rete, per procurarmi un’arma, ma c’è in giro una quantità di armi che fa riflettere. E’ una questione molto grave”.

ATTENZIONE - Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Cronaca

Neonati salvati da culla per la vita: storia di Mario,...

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Il sistema, attivo in più strutture, è una delle opzioni sicure per le donne che decidono di non tenere un bimbo

Culla per la vita (Fotogramma)

C'è un cono d'ombra, al riparo dall'occhio indiscreto delle telecamere, superato un ingresso più appartato per raggiungere l'ospedale Mangiagalli-Policlinico di Milano. E' qui, in un angolo buio dove la luce illumina solo una piccola saracinesca, che si trova la 'culla per la vita' in funzione dal 2007 nella clinica della maternità più frequentata della metropoli. Questa culla ha accolto 3 bimbi in 17 anni. Di strutture simili ce ne sono diverse, sparse in Lombardia. Strutture che i media spesso descrivono come una versione moderna delle 'ruote degli esposti', ma i sanitari tengono a precisare: sono "molto di più", un sistema hi-tech che mette il bebè abbandonato subito al sicuro. E' una delle strade che una donna può seguire se decide di non tenere con sé il bambino che ha portato in grembo. Un'alternativa al parto in anonimato in ospedale, caso come quello della neo-mamma che in provincia di Bari è stata oggetto di critiche da parte di un'infermiera ora sottoposta a procedimento disciplinare da parte del suo Ordine.

Da anni gli esperti del settore, come anche diverse associazioni, sono impegnati nella missione di informare le madri su queste due opzioni sicure per poter operare le proprie scelte. "Il luogo più idoneo", per affidare questi bambini, "è l'ospedale", è il messaggio che viene ribadito, insieme all'importanza di proteggere le donne, e rispettarne le decisioni. Sono opzioni che aiutano a prevenire storie di abbandoni più tragici - al freddo, nei cassonetti o in altri contesti non sicuri - che espongono a rischio di morte i neonati. 'Sliding doors' che fanno la differenza nel destino dei piccoli. Come funziona la culla per la vita? E' un ambiente protetto e riscaldato, strutturato in modo da avvisare immediatamente il personale sanitario: una volta che il bimbo viene accolto al suo interno, passati circa 40 secondi che danno al genitore il tempo di allontanarsi, un allarme discreto avvisa gli operatori, che possono prendersi cura di lui entro pochissimi minuti.

La seconda opportunità

La seconda vita di Mario, Giovanni, Azzurra, Enea, Noemi è cominciata da qui. Alla Mangiagalli di Milano il primo è stato Mario. La mamma che sceglie di lasciare un bimbo nella culla per la vita deve solo schiacciare un pulsante. La privacy è totale. La saracinesca si alza e c'è un'incubatrice dove riporre il neonato, al caldo. La temperatura è di 37 gradi. In quel giorno di inizio luglio 2012, il piccolo adagiato nell'incubatrice era leggerissimo. Nato prematuro (i medici stimavano alla 35esima settimana), pesava appena 1,7 chili e aveva un'età apparente di 6-7 giorni. Vicino al bebè era stato lasciato un biberon con del latte materno e un paio di tutine. Piccoli segni di attenzione, presenti in molte di queste storie. L'allarme per Mario è scattato alle 18.26. Lo sentono in portineria, nella neonatologia e nella direzione sanitaria. All'interno del sistema c'è anche una telecamera a circuito chiuso, fissa sul bambino, che permette di monitorare l''ospite' fino all'arrivo di un medico e un infermiere.

Il personale sposta il bebè in un'altra incubatrice (trasportabile e anche questa di ultima generazione) che si trova immediatamente accanto. In uno zainetto c'è tutto quello che serve per il primo soccorso del neonato. Prestate le cure del caso, il piccolo è pronto per il trasporto in reparto. Il nome per Mario lo hanno scelto gli specialisti che si sono presi cura di lui. I medici hanno pensato fosse nato in casa, perché non sembrava avere segni di punture nel piedino (la modalità con cui si fanno i controlli di routine ai neonati appena venuti al mondo in ospedale). "Mario perché - aveva annunciato il primario di allora - oggi (era il 6 luglio, ndr.) si festeggia Santa Maria Goretti e si chiamerebbe anche come due protagonisti di questi giorni, il calciatore Balotelli e Monti", a quei tempi premier.

Giovanni aveva invece già 2 mesi quando è stato lasciato nella culla per la vita del Policlinico l'1 febbraio 2016. La sua data di nascita, un giorno di novembre, era nota perché insieme al bambino c'era un cartellino che riportava questa informazione e dati sui vaccini a cui era stato sottoposto. Il piccolo era ben accudito, hanno raccontato i medici: pulito e ben vestito, pesava 5,8 kg. Capelli scuri, pelle olivastra, non sembrava di origini italiane. E' stato ribattezzato Giovanni dai medici, "un nome speciale per un bimbo che merita tante attenzioni". Quello stesso anno, a distanza di pochi mesi, succederà di nuovo, ma ad Abbiategrasso. Una neonata viene lasciata nella tarda serata del 13 aprile, prima della mezzanotte, nella culla per la vita del Cav (Centro di aiuto alla vita) Abbiategrasso/Magenta. La piccola, di un paio di giorni, viene trasferita all'ospedale Giuseppe Fornaroli di Magenta. Nome scelto dai medici: Azzurra, perché i primi ad accorrere e a occuparsi di lei - carnagione chiara, 2,1 kg di peso - sono stati i volontari della Croce Azzurra, con cui è collegata la culla per la vita inaugurata nel 2009. Era la prima volta che sentivano suonare quell'allarme nel centro alle porte di Milano.

Anche nel 2023 di allarmi ne suoneranno diversi: uno proprio nel giorno di Pasqua (era il 9 aprile) quando, di nuovo nella culla per la vita della Mangiagalli, viene riposto Enea. Sono le 11.40 circa, la saracinesca si alza per accogliere questo bimbo di pochi giorni, di circa 2,6 kg, in buona salute. Capelli scuri, ben curato, avvolto in una copertina, e accompagnato da una lettera della mamma. Non passa neanche un mese e a Bergamo, il 3 maggio, il protocollo scatta per una bambina. Lo scampanellio lo sentono nella sede locale della Croce Rossa a cui è collegata la culla per la vita. La telecamera riprende una neonata. Gli operatori si attivano, poi l'allarme suona ancora. Nella culla viene lasciata questa volta una lettera della mamma. La piccola pesa 2,9 chili, sta bene, l'operatrice che per prima se n'è presa cura la chiamerà Noemi (che significa gioia in ebraico). Appena 5 giorni prima, a una cinquantina di chilometri di distanza, per un'altra neonata il destino era stato ben diverso. Era il 28 aprile e a Milano un uomo lanciava l'allarme: in un cassonetto per la raccolta di indumenti usati in zona Città Studi il corpo senza vita di una piccola, nata probabilmente solo da poche ore.

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Roma, tenta di rubare monete dalla fontana del Tirreno:...

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Le accuse sono di furto, resistenza, lesioni e oltraggio a Pubblico Ufficiale, oltreché di vilipendio al sacrario militare dell’Altare della Patria

Monete - Agenzia Fotogramma

Un uomo è stato arrestato per aver prelevato le monete lanciate dai turisti nella Fontana del Tirreno, in piazza Venezia a Roma.

Si tratta di un romeno di 46 anni, fermato da una pattuglia della Polizia Locale nella tarda mattina di oggi, dopo essere stato avvistato all'interno della vasca mentre cercava e portava via le monete. Quando la pattuglia si è avvicinata per farlo uscire e identificare, il 46enne ha tentato di divincolarsi colpendo uno degli agenti per darsi alla fuga, ma è stato subito bloccato e arrestato per furto, resistenza, lesioni e oltraggio a Pubblico Ufficiale, oltreché per vilipendio al sacrario militare dell’Altare della Patria.

L'uomo si trova al momento negli uffici di via della Greca, in attesa del processo per direttissima che si terrà domani mattina.

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