Volkswagen punta a chiudere 3 stabilimenti in Germania. Berlino: “Salvare i posti di lavoro”
Secondo il consiglio di fabbrica l'azienda vorrebbe ridimensionare anche tutti gli altri stabilimenti: previsti tagli per decine di migliaia di lavoratori. L'azienda: "Non possiamo continuare come prima"
La Volkswagen intende chiudere almeno tre stabilimenti in Germania e tagliare decine di migliaia di posti di lavoro. Lo ha annunciato la leader del consiglio di fabbrica dell'azienda Daniela Cavallo ai dipendenti. Il piano della dirigenza prevede il ridimensionamento di tutti i restanti stabilimenti Volkswagen in Germania, ha aggiunto Cavallo.
Secondo il consiglio di fabbrica, lo stabilimento di Osnabruck, che ha recentemente perso una commessa sperata da Porsche, è particolarmente a rischio di chiusura. I dirigenti Volkswagen stanno anche pianificando licenziamenti di massa, ha detto Cavallo, con interi reparti a rischio di chiusura o trasferimento all'estero. "Tutti gli stabilimenti tedeschi della Volkswagen sono interessati da questi piani. Nessuno di essi è al sicuro”, ha dichiarato Cavallo, senza fornire ulteriori dettagli.
Volkswagen impiega circa 120.000 persone in Germania, di cui circa la metà lavora presso la sede centrale e lo stabilimento principale del marchio nella città di Wolfsburg, nel nord della Germania. Il marchio Volkswagen gestisce un totale di 10 stabilimenti in Germania, sei dei quali si trovano in Bassa Sassonia, tre nello Stato orientale della Sassonia e uno nello Stato occidentale dell'Assia. A settembre, Volkswagen ha posto fine a un accordo di sicurezza del lavoro di lunga data con i sindacati, in vigore da oltre 30 anni. I licenziamenti sono ora possibili a partire dalla metà del 2025.
Berlino: "Deve salvare i posti di lavoro"
Il governo tedesco ha invitato il gruppo Volkswagen a salvare i posti di lavoro. La posizione del Cancelliere Olaf Scholz è chiara: “Le eventuali decisioni sbagliate prese in passato dal management non devono essere prese a spese dei dipendenti”. L'obiettivo, ha aggiunto, è quello di preservare e garantire i posti di lavoro.
Resta da vedere cosa dirà la stessa Volkswagen a questo proposito, ha aggiunto il portavoce a Berlino, riferendosi alle informazioni del consiglio di fabbrica. Il gruppo ha già informato i dipendenti di questi piani, secondo la Cavallo, che ha anche annunciato la sua resistenza alla volontà della casa automobilistica.
Dirigenti Volkswagen: "Costi troppo elevati"
I dirigenti della casa automobilistica tedesca Volkswagen hanno difeso gli importanti piani di riduzione dei costi, ma non hanno commentato direttamente le notizie secondo cui l'azienda avrebbe tagliato decine di migliaia di posti di lavoro. Il massimo dirigente del marchio automobilistico Volkswagen, Thomas Schafer, ha dichiarato che i costi negli stabilimenti in Germania sono diventati particolarmente elevati. “Non possiamo continuare come prima -ha sottolineato Schafer-. Non siamo abbastanza produttivi nei nostri siti tedeschi e i nostri costi di fabbrica sono attualmente dal 25% al 50% più alti di quanto avevamo previsto. Ciò significa che i singoli stabilimenti tedeschi sono due volte più costosi della concorrenza”.
“Senza misure globali per recuperare competitività, non potremo permetterci investimenti significativi in futuro”, ha dichiarato il responsabile delle risorse umane di Volkswagen, Gunnar Kilian. Kilian non ha affrontato direttamente queste affermazioni e non ha fornito alcun dettaglio sulle misure specifiche di riduzione dei costi che la casa automobilistica sta prendendo in considerazione. Il fatto è che la situazione è grave e la responsabilità dei partner negoziali è enorme”.
Kilian non ha affrontato direttamente queste affermazioni e non ha fornito alcun dettaglio sulle misure specifiche di riduzione dei costi che la casa automobilistica sta prendendo in considerazione. “Il fatto è che la situazione è grave e la responsabilità dei partner negoziali è enorme”, ha dichiarato Kilian. “Ci atteniamo al principio concordato con la co-determinazione secondo cui la discussione sul futuro di Volkswagen AG deve essere condotta prima internamente con i nostri partner negoziali”, ha aggiunto. Volkswagen ha annunciato “proposte concrete per ridurre i costi del lavoro” prima dei colloqui di contrattazione collettiva previsti per mercoledì con i leader sindacali. Schafer ha dichiarato che l'obiettivo di Volkswagen rimane quello di aumentare il rendimento delle vendite al 6,5% entro il 2026, che secondo lui è l'unico modo per finanziare i necessari investimenti futuri.
Sdegno del sindacato: "Pugnalata al cuore dei lavoratori"
La notizia dei piani della casa automobilistica Volkswagen di chiudere almeno tre stabilimenti in Germania è stata accolta con sdegno dal sindacato Ig Metall, che rappresenta gran parte della forza lavoro dell'azienda. “Questa è una profonda pugnalata al cuore dei lavoratori Volkswagen”, ha dichiarato Thorsten Groger, responsabile distrettuale dell'Ig Metall. “Ci aspettiamo che Volkswagen e il suo consiglio di amministrazione delineino concetti validi per il futuro al tavolo delle trattative, invece di fantasie di tagli, dove la parte datoriale ha finora presentato poco più che frasi vuote”, aggiunge.
Il sindacato è attualmente impegnato in difficili trattative con la Vw per un nuovo accordo collettivo per i lavoratori dell'iconico marchio automobilistico tedesco. Vw ha respinto le richieste sindacali di aumenti salariali e, secondo quanto riferito, starebbe cercando di ottenere tagli lineari alle retribuzioni. A settembre, la Vw ha posto fine a un accordo di lunga data con i lavoratori, che per più di tre decenni aveva escluso i licenziamenti. “Questi piani rabbiosi del consiglio di amministrazione non sono in alcun modo accettabili e rappresentano una rottura con tutto ciò che abbiamo sperimentato in azienda negli ultimi decenni”, ha concluso Groger.
Economia
Ambiente, Balzan (Arb Sb): “Il 64% delle persone...
"Vale 2,61 mld di euro nel 2024 e ne varrà 8,73 nel 2031"
“Il 64% delle persone sta cercando esperienze di turismo sostenibile, è disposto anche a pagare cifre superiori proprio per contribuire al mantenimento di questi luoghi - continua Balzan - proprio una ricerca recente parla del 234% di crescita del turismo sostenibile entro il 2031, un 18% di crescita annua. Stiamo parlando di 2,61 miliardi di dollari come valore nel 2024 e, nel 2031, di 8,73 miliardi di dollari. Il trend della sostenibilità nel mondo del turismo che prevede una pianificazione attenta e accurata porta anche a dei valori economici dove penso che l'Italia possa dire la sua”. Lo ha detto Ada Rosa Balzan, Founder e presidente di Arb Sb, in occasione dell'evento Adnkronos Q&A ‘Trasformazione green, investimenti e strategie’, questa mattina al Palazzo dell’Informazione di Roma. “Il turismo sostenibile - spiega Balzan - è quello che presidia il capitale principale quindi il territorio, l'unicità di quel territorio, andando a calcolare i flussi, andando la pressione che non è il numero di presenze: non è un concetto di quantità ma di qualità. Si tratta di un turista rispettoso, un turista che si integra, vuole vivere un'esperienza quasi come cittadino di quel luogo e quindi non è un visitatore mordi e fuggi, ha una sensibilità differente”.
Nel contesto della sostenibilità “il primo step è capire, dare il giusto contesto, che non è solo ambientale - precisa l’esperta - La percezione spesso, soprattutto italiana, è che l'80% abbia un peso ambientale. Sasb, che è il riferimento mondiale dell'analisi dei rischi finanziari, su 26 tematiche, solo 6 sono ambientali e 20 sono sociali e 10 di governance. Quindi il primo step è capire, dare il giusto contesto alla sostenibilità per poi costruire un percorso concreto e una comunicazione adeguata”.
Sul green washing “abbiamo visto dei casi abbastanza importanti anche sulla parte sociale. Quando, nel 2021 la Commissione europea ha chiesto di fare una valutazione sulla comunicazione delle principali aziende sui siti internet - spiega Balzan - emergeva che il 59% dei messaggi sulla sostenibilità erano molto vaghi, molto generici, addirittura il 42% ingannevoli. Vediamo una grande produzione normativa sui green claims. È un obbligo, ma anche un’opportunità di mercato perché comunque tante realtà dentro la catena di fornitura vengono sollecitate, per rimanere nella catena di fornitura, di allinearsi a questi principi”. Questo vale anche in prospettiva. “I giovani non sono solo nativi digitali ma sono anche nativi sostenibili, sono molto attenti a queste tematiche. La generazione Z, che ha il 40% del potere d'acquisto mondiale, verifica quando gli viene fatta una promessa, soprattutto su tutto quello che è una catena di presidio delle persone e - conclude - del valore sociale”.
Economia
Audi, chiude la fabbrica del Suv elettrico a Bruxelles
L'impianto impiega 3mila persone. La casa automobilistica: "Non sono previsti licenziamenti fino a fine anno"
Lo stabilimento Audi di Bruxelles verrà chiuso alla fine di febbraio. Lo ha comunicato oggi la casa automobilistica tedesca ai sindacati, aggiungendo che i licenziamenti non sono previsti fino alla fine dell'anno. L'impianto impiega circa 3.000 persone e produce un solo modello Audi, il Suv elettrico Q8 e-tron. Audi sta valutando da tempo la chiusura dello stabilimento di Bruxelles e da mesi si consulta con i comitati aziendali e i sindacati, come previsto dalla legge in Belgio. La direzione aziendale prevede di completare questo processo di informazione e consultazione nelle prossime due settimane.
Le vendite del Suv e-tron Q8 sono in calo e i dirigenti Audi hanno affermato che la fabbrica ha costi logistici molto elevati perché nelle vicinanze si trovano pochi fornitori. Secondo Audi, la posizione della fabbrica tra una zona residenziale, la ferrovia e l'autostrada ne rende difficile l'espansione. La società madre di Audi, il gruppo Volkswagen, sta affrontando una profonda crisi del marchio di punta Volkswagen e ha rifiutato la possibilità di avviare la produzione di un nuovo modello di veicolo a Bruxelles.
Secondo Audi sono ancora in corso trattative con un potenziale investitore. L'azienda aveva già parlato con più di 20 potenziali investitori dell'industria automobilistica, senza alcuna prospettiva di un progetto fattibile per il sito e per i dipendenti che vi lavorano.
Economia
Itinerari Previdenziali, in 2023 +6,3% Irpef ma 45%...
Salgono sia i contribuenti con redditi compresi tra i 20 e i 29mila euro sia quelli con redditi medio-alti dai 29mila euro in su, diminuiscono i dichiaranti fino a 20mila euro
Il totale dei redditi prodotti nel 2022 e dichiarati nel 2023 ai fini Irpef è ammontato a 970 miliardi, per un gettito Irpef generato - al netto di Tir (Trattamento integrativo sui redditi da lavoro dipendente e assimilati) e detrazioni - di 189,31 miliardi (di cui 169,59 miliardi, l’89,59%, di Irpef ordinaria): valore in aumento del 6,3% rispetto allo scorso anno ma inferiore alla crescita del Pil nominale (+7,7%). Crescono sia i dichiaranti (42.026.960, numero addirittura superiore a quello record del 2008) sia i contribuenti/versanti, vale a dire coloro che versano almeno 1 euro di Irpef, che toccano quota 32.373.363. Mentre salgono sia i contribuenti con redditi compresi tra i 20 e i 29mila euro (9,5 milioni) sia quelli con redditi medio-alti dai 29mila euro in su, diminuiscono i dichiaranti per tutte le fasce di reddito fino a 20mila euro, che calano da 23,133 a 22,356 milioni.
E' quanto emerge dal XI Osservatorio sulle entrate fiscali e sul finanziamento del welfare a cura del centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali, presentato oggi alla Camera dei Deputati in occasione del convegno 'Le dichiarazioni dei redditi 2022: l’analisi Irpef e delle altre imposte dirette e indirette per importi, tipologia dei contribuenti e territori negli ultimi 15 anni Il difficile finanziamento del welfare italiano', e promosso da Cida in collaborazione con il centro studi e ricerche Itinerari Previdenziali.
Sicuramente condizionato dalla ripresa Covid-19, quello che evidenzia l’ultimo Osservatorio di Itinerari Previdenziali, sembrerebbe un quadro in apparenza positivo se non fosse che, dati alla mano, resta sostanzialmente invariata la quota di contribuenti che effettivamente sostiene il Paese con tasse e contributi, e di contro troppo alta quella di cittadini totalmente o parzialmente a carico della collettività: malgrado il miglioramento PIL e occupazione, il 45,16% degli italiani non ha redditi e di conseguenza vive a carico di qualcuno.
Su 42 milioni di dichiaranti, poi, il 75,57% dell’intera Irpef è pagato da circa 10 milioni di milioni di contribuenti, mentre i restanti 32 ne pagano solo il 24,43%. Come garantire innanzitutto la sostenibilità innanzitutto del nostro sistema di protezione sociale ma, più in generale, produttività e sviluppo del Paese se il grosso del carico fiscale grava su una ristretta minoranza? Questa la domanda che ha animato questo pomeriggio presso la nuova Aula dei Gruppo Parlamentari il convegno “Il difficile finanziamento del welfare italiano”, nel corso del quale sono stati presentati a politica e media i risultati dell’indagine annuale realizzata dal Centro Studi e Ricerche presieduto dal Prof. Brambilla.
Realizzato in collaborazione con Cida, anche quest’anno tra i sostenitori della ricerca, l’osservatorio realizza un'analisi delle dichiarazioni individuali dei redditi Irpef e delle altre principali imposte dirette e indirette (tra cui Irap, Ires, Isost e gettito Iva), con l’obiettivo di ottenere indicatori utili a comprendere l’effettiva situazione socio-economica del Paese e a verificare la tenuta del suo sistema di protezione sociale.