L’aneddoto di Eufemi: “La Dc fu ‘Cristiana’ per un incidente, ecco perché”
Il racconto del curioso aneddoto all'Adnkronos
Lo sapete che la Dc si chiamò "cristiana" per un incidente? A raccontare il curioso aneddoto all'Adnkronos - nell'anno in cui si intrecciano le celebrazioni per l'ottantesimo anniversario della nascita della Dc e del settantesimo della scomparsa di Alcide De Gasperi - è Maurizio Eufemi, già senatore e dal 1979 al 1983 assistente del presidente del gruppo parlamentare Democrazia Cristiana alla Camera dei deputati.
"Siamo nel periodo della clandestinità - dice - Fanfani, insieme a Lazzati, a La Pira e Dossetti, quelli della comunità del Porcellino, si riuniscono sul nome della Dc. Non vogliono l'aggettivo 'cristiana' e incaricano Dossetti di rappresentarlo a De Gasperi". Cosa accade? "Dossetti prende la strada per Roma, ma ha un incidente a Civitella Marittima verso Grosseto, su una strada bianca e dissestata". Risultato? "Non può rappresentare il verdetto. Fanfani - racconta ancora Eufemi - dirà ai suoi amici dopo un comizio in Maremma: 'Attraverso le vostre strade così dissestate siete stati determinanti nella storia della Dc. Avete segnato un indirizzo che ha segnato nel profondo la nostra storia'. Come è finita la storia, anzi la strada? "Arrivarono i finanziamenti per migliorarla, ma per i camionisti passare da lì rimase una maledizione".
La storia della Maremma e della Dc, racconta Eufemi, si intrecceranno ancora: questa volta all'incrocio della riforma agraria. "Fanfani - dice Eufemi - racconta di quando il padre notaio gli ha ordinato di copiare un rogito lunghissimo di Capalbio previsto per il giorno seguente: erano venti pagine di latifondisti. Fanfani varerà la riforma agraria di 742 mila ettari di superfici coltivabili di cui 178 mila in Maremma". La Dc, continua, fu un partito dove la dialettica interna era dura, a volte aspra, "ma sempre sorretta dall'esigenza di trovare sempre un punto di mediazione e della condivisione delle scelte anche nei momenti più delicati". Racconta Eufemi: al consiglio nazionale di Grottaferrata del luglio del 1951 De Gasperi dirà: "Caro Dossetti se non saremo uniti saremo travolti tutti dalla stessa valanga!".
Sul patto atlantico - racconta Eufemi - vi fu un duro scontro interno con Dossetti. Al Gruppo Dc si vota nominalmente un odg con 292 votanti, 283 sì, 3 contro e 6 astenuti. Dopo il congresso di Venezia e il tentativo di pacificazione tra De Gasperi e Dossetti con Fanfani chiamato al ministero del Lavoro con la Pira sottosegretario e Dossetti nominato vicesegretario, Cronache sociali (foglio dossettiano) titola "soluzioni di fondo che non si lasciano catturare", irritando non poco De Gasperi.
Tra i due personaggi, prosegue Eufemi, c'erano visioni contrastanti sul ruolo del Partito nel Parlamento, sulla politica estera, sui rapporti verso il Pci sulla politica economica di Corbino e Pella. La sinistra Dc - dice - "era succube del PCI per paura della guerra civile. De Gasperi doveva fronteggiare la incalzante opposizione interna della sinistra dossettiana, mentre negli anni a venire i due cavalli di razza Fanfani e Moro dovettero fronteggiare il moderatismo dei dorotei. L'umiltà di De Gasperi? "La troviamo - spiega Eufemi - in una lettera a Sergio Paronetto, uno dei protagonisti nella elaborazione del Codice di Camaldoli, che costituì la piattaforma programmatica delle Idee Ricostruttive degasperiane, quando scrive: 'continua a consigliarmi con la tua coscienza illuminata sulla realtà oltre che con la tua bontà' (di Andrea Persili)
Politica
Caso Sangiuliano, Boccia a Piazzapulita: “Gogna...
Torna a parlare la donna al centro dello scandalo che ha investito il Mic: "La ferita di Sangiuliano? Bisognerebbe anche datare il giorno in cui ha messo i punti". Lite in studio con Bocchino
"Ho accettato di tornare in studio perché la gogna mediatica aumenta e si trova qualsiasi elemento per continuare a buttarmi del fango ingiustamente addosso". Maria Rosaria Boccia torna a Piazzapulita e, ospite di Corrado Formigli, parla ancora del caso Sangiuliano. "Da un punto di vista giudiziario - spiega - la fase è di indagini. Non sono ancora stata ascoltata e le indagini non sono ancora chiuse", ma "non smetto di occuparmi di questa vicenda perché continuo ad ascoltare cose sulla mia persona che non sono vere".
"Mi sembra che io più che essere giudicata nell’indagine, sono giudicata quotidianamente dai giornalisti che sono tutti giudici di Cassazione. Mi pesano tanto le notizie false", continua Boccia, che spiega di non andare "in giro, vivo segregata in casa", dice la donna al centro dello scandalo che ha investito il Mic portando Sangiuliano alle dimissioni.
Formigli le chiede poi della 'chiave d'oro di Pompei' scomparsa finita al centro della vicenda: "La chiave di Pompei da 12mila euro chi ce l'ha? In una intervista a La Stampa l'ex ministro dice che la chiave è protocollata ed è al ministero. Poi invia una lettera dove dice che non è al ministero e potrebbe essere a casa mia... Io non ce l'ho", rimarca. E sull'immagine della ferita alla testa di Sangiuliano con evidenti punti di sutura mostrata da Report, Boccia sottolinea: "Bisognerebbe anche datare il giorno in cui ha messo i punti... non posso dire di più però adesso. Anche se sono molto tentata".
Lite in studio con Bocchino
In studio, poi, arriva la lite in diretta con Italo Bocchino. "Io sono qui perché non mi è stato dato un incarico", dice l'imprenditrice. "Il contratto non esiste, come lo racconta lei nella storia. E' al ministero, nessuno l'ha strappato, non è stato controfirmato. C'è un iter che non si è completato. E perché non si è completato? Lo vuole sapere? Ho qui la sua mail a Sangiuliano dove lei annuncia falsamente di essere incinta. Sangiuliano, che è una persona onesta, non poteva controfirmare il contratto di una donna che scrive mentre lui era a Rimini in una mail 'domani mattina io e il bambino andiamo a fare le analisi...'". "Lei l'ha visto il contratto? Non mi risponde... Questo c'è scritto nella mail? Si prende lei la responsabilità di quello che dice". "Gliela leggo...", replica Bocchino, prima di essere fermato dal conduttore.
Politica
Centrosinistra, lo schiaffo ligure spinge per coalizione...
Bonaccini: "Siamo a uno snodo, serve un centrosinistra nuovo, senza veti né personalismi". E i dem si chiedono se M5S terrà su alleanza
Elly Schlein è già pronta a rimettersi in campagna elettorale: domenica sarà in Umbria con Stefano Bonaccini per spingere la candidata Stefania Proietti nella sfida, che si profila all'ultimo voto, per strappare la regione al centrodestra. La segretaria tornerà a battere sui temi che caratterizzano l'opposizione dem. A partire dalla difesa della sanità pubblica dai tagli del governo Meloni. Tagli, sostiene il Pd, che costringono chi ha i soldi per farlo, verso il privato. E la notizia oggi sul sottosegretario alla Salute, Marcello Gemmato, offre a Schlein su un piatto d'argento la controprova: "Lo abbiamo sempre detto. La destra non sta smantellando la sanità pubblica per sciatteria, ma per un preciso disegno". Nel mirino lo spot di una clinica privata, di cui Gemmato è socio, come soluzione alle liste d'attesa del pubblico. Un "palese conflitto d'interessi" per Schlein che chiede le dimissioni Gemmato e chiarimenti a Meloni sulla sua nomina.
Se la campagna per le regionali di novembre è in primo piano, lo schiaffo ligure però brucia ancora e la 'lezione' su quanto accaduto porta ad accelerare riflessioni, e non solo, sulla necessità di una coalizione più solida e stabile. Non sono passate inosservate le ultime dal Movimento 5 Stelle con l'appello di Marco Travaglio a Giuseppe Conte perché molli ogni alleanza organica con il Pd. Un campanello d'allarme che non viene ignorato e ragione in più che spinge i dem a riflettere sull'alternativa, da costruire, alla destra.
Il richiamo di Bonaccini
Stefano Bonaccini lo dice così: "In Emilia-Romagna e Umbria tutte le forze di opposizione alla destra si presentano unite a sostegno di Michele de Pascale e Stefania Proietti. Ma non c’è dubbio che siamo a uno snodo: se vogliamo costruire un’alternativa credibile e competitiva alla destra sul piano nazionale, a partire dalle 6 Regioni che andranno al voto l’anno prossimo, bisogna costruire un centrosinistra nuovo, che vada oltre gli accordi occasionali e sappia parlare alla maggioranza degli elettori".
Bonaccini disegna così il 'nuovo centrosinistra' di cui parla: "Io credo che il Pd debba fare fino in fondo il Pd, cioè la forza centrale di una alleanza larga e competitiva di centrosinistra. Così come è indispensabile e preziosa un'alleanza con le forze che stanno alla nostra sinistra, è altrettanto indispensabile avere un'alleanza con forze moderate e liberali, laiche o cattoliche che siano". La gamba 'centrista' che anche ieri animava i capanelli in Transatlantico. In modo trasversale. Non solo tra i riformisti dem, ma anche nella sinistra Pd. Goffredo Bettini, per dire, ne parla da tempo.
Sala l'aggregatore
Chi potrebbe essere l'aggregatore di un nuovo soggetto del genere? Tutti gli indizi portano a Beppe Sala, sebbene ieri alla Camera non ne fossero tutti convinti. Chi allora? Magari Paolo Gentiloni? Chi ci parla, lo esclude. Intanto, il sindaco di Milano si muove. Ha fatto sapere di aver parlato con Schlein e di aver posto alcune condizioni per un suo eventuale impegno a "costruire il centro", a partire dalla constatazione dell'impossibilità di tenere insieme Renzi e Calenda.
Oggi Gianni Cuperlo in un pezzo sull'ultimo film su Enrico Berlinguer ha richiamato alcune riflessioni del segretario Pci sull'esigenza di evitare il saldarsi del centro con la destra: "Anche oggi, come mezzo secolo fa, l’alternativa a questa destra passa dall’urgenza di evitare il saldarsi di un blocco moderato, liberale e di centro con l’anima più trumpiana che alberga tra gli eredi del fascismo e gli epigoni leghisti di legge, ordine e galera per chi protesta". Aggiunge Cuperlo: "Quel mondo moderato, laico e cattolico, se davvero esiste trovi forme, modi, linguaggio e profili per aggregarsi attorno a un progetto alternativo alle pulsioni autoritarie in capo al pessimo governo che c’è. Il tempo" per farlo "non è infinito, ma c’è. Sciuparlo in rimbrotti e recriminazioni sarebbe un peccato quasi imperdonabile".
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Politica
M5S in rotta con il Pd? Per Conte alleanza ‘passa da...
La linea: no ad un'alleanza organica, valutazioni a ogni tornata elettorale
'Che ne sarà del campo progressista e cosa intende fare il Movimento 5 stelle?', oggi, nella giornata di Halloween, sembra essere una domanda più gettonata di 'dolcetto o scherzetto?'. Ad alimentare i dubbi che Giuseppe Conte possa sottrarsi alla 'lotta' alla maggioranza con il Pd ci pensa infatti Marco Travaglio. Nel suo editoriale sul Fatto, il giornalista dà dei consigli all'ex presidente del Consiglio per evitare nuove 'scoppole' come quella rimediata in Liguria, suggerendo di non unirsi in matrimonio con il Pd in maniera strutturale. Musica (forse) per le orecchie del leader pentastellato che in realtà su questo è chiaro da tempo, con i giornalisti e con chi di dovere.
"Non c'è un'alleanza organica, ma i conti si fanno a ogni tornata elettorale sulla base di un programma condiviso", il senso del ragionamento di Campo Marzio che però non dimentica Italia viva. La non chiusura nei confronti di Matteo Renzi da parte dei dem - che invece sia dai Cinquestelle, sia da Avs è arrivata forte e chiara - potrebbe diventare un altro elemento divisivo. E quindi, ancora: prima ci sediamo davanti a un tavolo, poi capiamo se possiamo andare avanti insieme. D'altronde, si ragiona sempre nel quartiere generale del movimento, uno dei diktat è quello di non tradire se stessi, le proprie battaglie, quindi la propria autonomia, e i propri elettori, sia in vista dell'assemblea costituente - vista come la cura a (quasi) tutti i mali -, sia considerando che, proprio in Liguria, il sacrificio è costato caro a Conte. Il passo indietro fatto dal senatore Luca Pirondini per sposare il progetto di Andrea Orlando ha portato solo molti affezionati pentastellati a disertare le urne, e le percentuali si sono viste, appunto. Le sorti dell'ex campo largo, però, non sono il problema principale del Movimento 5 Stelle, e di Conte.
Al netto di uno scontro con Beppe Grillo che potrebbe non essere ancora finito, la priorità dell'avvocato pugliese è quella di proteggere i suoi "campioni dell'Antimafia", Roberto Scarpinato e Federico Cafiero de Raho, finiti nel mirino del centrodestra e della presidente Chiara Colosimo nella commissione Antimafia. Una proposta di legge presentata proprio dalla deputata di Fratelli d'Italia mira ad allontanare i due ex magistrati da palazzo San Macuto per conflitto d'interessi. Accuse che Conte rispedisce al mittente, tirando in ballo anche il sottosegretario alla Salute, sempre meloniano, Marcello Gemmato.
"Oggi siamo al bullismo istituzionale nei confronti dei campioni dell'antimafia, siamo al bavaglio per Scarpinato, De Raho e anche Antioci", dice l'ex premier in una conferenza stampa, 'Quale antimafia?', convocata proprio per l'occasione. Poi attacca: "Il conflitto d'interessi non riguarda innanzitutto la presidente Colosimo? Abbiamo visto la foto che mostra un rapporto molto amicale tra lei e Ciavardini, che è stato condannato con sentenze per aver ucciso il sostituto procuratore Mario Amato, per l'omicidio dell'appuntato Francesco Evangelista, per l'esecuzione della strage di Bologna". Un primo piatto, servito davanti a Walter Verini, del Pd, Antonio D'Alessio, di Azione, e di Elisabetta Piccolotti, di Avs, che non è riuscita a esserci, però, prima della stoccata anche al sottosegretario. Mancava solo lui, dopo tutto, all'appello.
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