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Quanto influisce l’istruzione sull’essere genitore single?

mani mamma e figlio

Nel panorama europeo odierno, il fenomeno della genitorialità single non è più una novità. Tuttavia, la composizione socio-educativa delle famiglie single sta cambiando e solleva interrogativi cruciali sul futuro dei bambini e sulle disuguaglianze sociali emergenti. Negli ultimi decenni, infatti, si è osservato un legame sempre più stretto tra il livello di istruzione delle madri single e la probabilità di allevare i figli senza un partner. Questo divario ha portato a domandarsi se essere un genitore single rappresenti, oggi più che mai, un’esperienza prevalentemente riservata alle madri con un basso livello di istruzione.

Uno studio pubblicato su Demographic Research, basato su mezzo secolo di dati raccolti in otto paesi europei, mette in luce un quadro complesso, dove i livelli d’istruzione delle madri non solo influenzano le probabilità di crescere i figli da sole, ma ridefiniscono le condizioni sociali, economiche e psicologiche di queste famiglie. Ed è proprio nelle differenze di istruzione che si nasconde un crescente divario che rischia di ampliare le disuguaglianze sociali già esistenti.

Nel passato, essere una madre single poteva sembrare più una scelta individuale o una conseguenza delle vicende della vita; ora, le ricerche mostrano come questa condizione sia, per molte donne, strettamente legata al grado di istruzione e alle risorse a disposizione. Il fenomeno ha portato alcuni sociologi a parlare di “destini divergenti”: figli di madri con diversi livelli di istruzione sembrano seguire percorsi sempre più distinti, in cui i rischi di povertà e disagio familiare si concentrano nelle famiglie con meno strumenti educativi. Ma quali sono i meccanismi alla base di questa polarizzazione? E come varia in diversi paesi europei?

Il peso dell’istruzione

L’indagine, basata su dati raccolti in otto paesi europei tra il 1970 e il 2015, mostra che le madri meno istruite incontrano difficoltà sempre maggiori nel mantenere un equilibrio economico e familiare stabile, soprattutto se crescono i figli da sole. È in questa fascia che il rischio di povertà e di marginalizzazione aumenta, con effetti che si riverberano sulle generazioni future. Sebbene in paesi come l’Italia e l’Austria la correlazione tra istruzione e genitorialità single resti ancora debole, altrove la situazione è diversa: il Regno Unito e l’Irlanda, per esempio, mostrano una correlazione netta e crescente tra basso livello di istruzione e maggiore diffusione della genitorialità single.

In effetti, negli anni Settanta, il divario educativo tra madri single era inesistente o leggermente positivo in alcuni paesi (come Austria e Polonia). Solo in Norvegia – già allora modello di welfare avanzato – le madri meno istruite mostravano tassi più elevati di genitorialità single. Questo fenomeno non ha tardato a espandersi in altre aree, trasformando il basso livello di istruzione in un indicatore di vulnerabilità economica e sociale per chi sceglie o è costretto a crescere i figli senza un partner.

Un aspetto cruciale emerso dalla ricerca è la specifica vulnerabilità delle madri meno istruite con figli piccoli, tra 0 e 4 anni. Queste donne non solo affrontano le difficoltà della genitorialità single, ma si trovano spesso a corto di risorse economiche, di sostegno familiare e di tempo da dedicare allo sviluppo dei figli. In un’Europa sempre più divisa da disparità educative, il divario è particolarmente evidente in paesi come Irlanda e Regno Unito, dove il sistema di supporto sociale, pur offrendo benefici su base economica, non riesce a colmare le disuguaglianze di accesso al mercato del lavoro e alla cura dei figli. Questo doppio svantaggio – bassa istruzione e figli piccoli – rende spesso difficile rompere il ciclo della povertà, consolidando quella che sembra ormai una condizione sociale ereditaria.

Al contrario, in Italia e Austria, dove il supporto per le madri single è ancora limitato, le differenze nella genitorialità single tra le fasce educative restano modeste. Qui, la scarsità di benefici pubblici sembra scoraggiare la genitorialità single tra le madri meno abbienti, che preferiscono unirsi a reti familiari estese o formare nuove unioni, una strategia che mitiga le difficoltà economiche e psicologiche della genitorialità solitaria.

Destini familiari e prospettive: cosa dicono i dati

I dati ci raccontano che nei paesi con un alto livello di sostegno finanziario basato sui mezzi, come Regno Unito, Irlanda e Polonia, il divario educativo è maggiore. Qui, le madri meno istruite, rispetto a quelle con livelli più elevati, trovano più agevole prendere la decisione di crescere un figlio senza partner o di uscire da una relazione problematica. Norvegia e Francia, invece, offrono un quadro diverso: grazie a un’infrastruttura di assistenza all’infanzia accessibile e ben sviluppata, l’equilibrio tra lavoro e famiglia risulta meno ostico anche per le madri meno istruite. Questo contesto riduce parzialmente il peso del basso livello educativo, permettendo una gestione autonoma delle sfide della genitorialità single.

Che cosa suggeriscono questi risultati per il futuro delle politiche sociali? La necessità di un supporto più mirato per le famiglie più vulnerabili è evidente. In particolare, un sistema di assistenza all’infanzia flessibile e accessibile, come pure congedi parentali che garantiscano un sostegno adeguato anche per le madri meno qualificate, potrebbe alleviare molte delle difficoltà affrontate da queste donne. Le politiche di affidamento condiviso potrebbero inoltre sostenere un contatto continuo con entrambi i genitori, elemento vitale per il benessere dei bambini. Nel complesso, è chiaro che misure come i sussidi per l’infanzia si rivelano tra gli strumenti più efficaci per ridurre il rischio di povertà tra i genitori single e i loro figli.

Questa indagine non solo getta luce su un fenomeno sociale sempre più rilevante, ma apre anche la strada a nuove ricerche. Sebbene limitato da dati trasversali, lo studio suggerisce che indagini su panel o con storie di vita retrospettive potrebbero approfondire ulteriormente il quadro, monitorando i percorsi delle madri single e i fenomeni di ‘ripartnering’ e formazione di famiglie allargate. Inoltre, l’inclusione di variabili legate alla migrazione e al background etnico potrebbe aggiungere nuovi elementi a un fenomeno in continua evoluzione, specie in una società europea dove la mobilità e le diversità culturali sono in crescita.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.

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Demografica

Il viaggio della speranza nel mondo della maternità...

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Due cittadini italiani sono stati bloccati all’aeroporto di Buenos Aires mentre cercavano di tornare in Italia con una bambina. La neonata è venuta al mondo gravidanza surrogata. A darne la notizia è stato il quotidiano spagnolo La Nacion, venerdì scorso, e il caso è diventato di interesse internazionale anche in seguito al divieto “universale” italiano di ricorrere alla gestazione per altri, sul territorio nazionale e su quello estero.

Cosa rischiano i due genitori adesso?

La storia

In Argentina la materia non è regolamentata e non è ancora chiaro di quale reato si tratti o chi sia il responsabile. La testata argentina, infatti, ha chiarito che i due cittadini italiani non sarebbero tecnicamente sul banco degli imputati, ma che – insieme alla donna che si è prestata alla maternità surrogata -sarebbero le vittime. Dietro questo episodio, pare possa esserci un’organizzazione che sfrutta le donne in situazione di estrema vulnerabilità, da un lato, e chi intende diventare genitore dall’altro. La bambina è stata affidata alla coppia di italiani che nel frattempo ha affittato un appartamento a Buenos Aires e si è impegnata a non portarla fuori dal Paese, ha detto a La Nacion l’avvocato che li rappresenta.

Ma cosa accadrà adesso ai due italiani quando torneranno nel nostro Paese?

Il viaggio della speranza

Dalle prime indiscrezioni emerse sull’identità dei due uomini, sembra che si tratti di un oncologo che lavora a Padova e del suo compagno, i quali dopo lo stop in aeroporto, dove volevano raggiungere Parigi, per uno scalo che li avrebbe condotti in Italia, sono stati fermati.

La coppia italiana aveva già provato a lasciare l’Argentina prima di essere fermata nella notte di sabato all’aeroporto di Ezeiza, secondo quanto ricostruisce La Nacion. Prima, insieme alla donna, uno dei due uomini ha tentato di ottenere l’autorizzazione a partire da solo, dallo scalo cittadino Aeroparque, a Buenos Aires, senza successo, I due ci hanno poi riprovato il giorno dopo, giovedì scorso, presso l’hub internazionale di Ezeiza. Ma la residenza argentina della donna e l’unico viaggio nel Paese di uno dei due uomini che avrebbe dovuto configurare come ipotetico compagno della stessa ha destato sospetti.

La federale che si occupa di Migrazione ha chiamato il Tribunale di Lomas de Zamora, competente per l’aeroporto, sporgendo denuncia, e il giudice Federico Villena ha assegnato il caso al procuratore Sergio Mola che ha chiesto l’apertura di un’indagine penale per tre possibili reati: traffico di persone, vendita di bambini o appropriazione di minori.

Il giudice ha firmato il divieto di lasciare il Paese e la neonata, con la mamma e i due uomini, sono stati fermati prima dell’imbarco, in quello che sarebbe potuto essere l’ultimo tentativo riuscito.

Cosa rischia la coppia in Italia?

La nuova legge italiana che vieta la maternità surrogata anche all’estero non è ancora in Gazzetta ufficiale. Per questo motivo, si potrebbe dire che i due non incorrono in nessuna conseguenza penale. Inoltre, la bambina è nata il 10 ottobre scorso, prima dell’approvazione della legge, perciò, in ogni caso, non ci sarebbero ripercussioni rispetto a questo determinato reato.

Quando surrogazione è uguale a disperazione

La storia della donna originaria di Rosario inizia su un gruppo Facebook. La madre della bambina ha dichiarato di essere stata contattata e di aver ricevuto un pagamento sei mesi dopo l’inizio della gravidanza: prima i test di idoneità, poi la firma del contratto, e infine, i 10 milioni di pesos, pari a circa 10 mila euro.

Questo genere di attività illegale è oggetto di diverse inchieste in molte parti del mondo e attualmente sono in corso le indagini su oltre 100 casi di tratta di essere umani.

La gestazione per altri retribuita è una pratica di procreazione assistita che sta diventando sempre più difficile da perseguire a causa dell’inasprimento dei controlli sui rischi di sfruttamento. Il costo può variare tra i 50mila e i 200mila euro, spingendo alcuni a rivolgersi a Paesi in via di sviluppo per trovare madri surrogate a prezzi più accessibili.

Solo pochi giorni fa, tredici donne filippine incinte sono state accusate di aver agito illegalmente come madri surrogate in Cambogia e potrebbero affrontare pene detentive dopo il parto. La polizia ha scoperto 24 donne straniere, tra cui 20 filippine e quattro vietnamite, durante un’irruzione in una villa vicino a Phnom Penh. Le donne sono state reclutate online e la legge cambogiana, aggiornata nel 2016, vieta la maternità surrogata commerciale.

Le autorità non considerano le donne vittime, ma piuttosto criminali che hanno cospirato per vendere i bambini. Le donne non incinte saranno deportate, mentre le incinte potrebbero essere incarcerate per due o cinque anni.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Demografica

Più uguaglianza nella scuola di domani?

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Nella giornata di oggi, insegnanti e personale scolastico in tutta Italia hanno deciso di incrociare le braccia per un’intera giornata, uno sciopero generale che segna una presa di posizione decisa per “un contratto giusto e un lavoro stabile”. Questa mobilitazione non rappresenta unicamente una richiesta di maggiori tutele e risorse per il personale scolastico, ma anche e soprattutto un grido d’allarme per il futuro della scuola italiana. In questo contesto, il recente report del think tank Tortuga “La scuola del 2124: un motore di uguaglianza”, diventa una guida preziosa per immaginare come potrebbe evolvere il sistema educativo nei prossimi cento anni. Il documento non si limita a proposte superficiali ma affonda nelle radici storiche della scuola italiana, mettendo in evidenza come l’attuale struttura derivi ancora dall’impronta della Riforma Gentile, promulgata ormai un secolo fa, e che questa continui a perpetuare le disuguaglianze anziché superarle.

Giovanni Gentile, Ministro della Pubblica Istruzione del governo fascista negli anni ’20, concepì una riforma che fosse al tempo stesso elitaria e funzionale a una società autoritaria e fortemente gerarchizzata. Questo modello educativo stratificato, che divide la scuola secondaria in licei, istituti tecnici e professionali, è rimasto sostanzialmente invariato nei decenni successivi. L’accesso ai licei, spesso visti come percorsi privilegiati per l’università e le carriere più ambite, è limitato da criteri impliciti che, sebbene non dichiarati, selezionano spesso in base al contesto familiare e socioeconomico. Allo stesso modo, gli istituti tecnici e professionali, pur avendo un valore formativo indiscutibile, rappresentano per molti studenti un’alternativa meno prestigiosa e, in alcuni casi, un vicolo cieco che offre poche opportunità di mobilità sociale. Il report di Tortuga denuncia apertamente come questo sistema, nel tempo, abbia consolidato una disuguaglianza strutturale e socioeconomica che continua a penalizzare le fasce più deboli della popolazione, perpetuando un modello di istruzione rigido e ingiusto.

Verso una scuola inclusiva e flessibile

Il report di Tortuga propone un’immagine della scuola del 2124 che si allontana radicalmente dai modelli attuali. Al centro del cambiamento vi è un principio cardine: la scuola deve essere un luogo di pari opportunità per tutti, indipendentemente dalle origini sociali o economiche. Una delle proposte più innovative e audaci è il superamento dell’attuale sistema di “tracking” – ovvero la suddivisione precoce tra indirizzi liceali, tecnici e professionali – che secondo Tortuga dovrebbe essere sostituito da un percorso unificato almeno fino ai 16 anni, momento in cui gli studenti, più consapevoli delle proprie inclinazioni, possano scegliere un indirizzo con maggiore cognizione di causa. In questo nuovo modello, l’integrazione tra percorsi diversi dovrebbe essere massimizzata, permettendo una maggiore flessibilità e un continuo passaggio tra i vari indirizzi senza penalizzazioni. Questo approccio, che si ispira a modelli di educazione più aperti come quelli del nord Europa, mira a creare una scuola dove ogni studente possa sviluppare le proprie potenzialità senza essere costretto in un percorso che non gli appartiene o che non rispecchia le sue aspirazioni.

Un altro aspetto centrale nel documento è la creazione di ambienti scolastici che superino il tradizionale modello di aula e orario rigido. La scuola del 2124 immaginata da Tortuga è una realtà che si integra nel tessuto sociale e territoriale, un luogo di aggregazione non solo per gli studenti, ma anche per le famiglie e le comunità locali. Secondo Tortuga, le scuole dovrebbero essere aperte anche al di fuori dell’orario curricolare, offrendo spazi per il supporto allo studio, attività extra-scolastiche, laboratori di innovazione e momenti di confronto su temi di cittadinanza attiva e inclusiva. Questo modello di scuola “aperta” non è solo un elemento di modernizzazione, ma un vero e proprio strumento per combattere la dispersione scolastica e ridurre il divario culturale ed economico che caratterizza ancora molte aree del paese. Un’infrastruttura scolastica di questo tipo, più flessibile e multifunzionale, potrebbe rappresentare una risorsa strategica per contrastare le disuguaglianze geografiche e sociali, offrendo a tutti i cittadini un accesso continuativo alla conoscenza e alla cultura.

Formazione continua e valorizzazione degli insegnanti

Un altro capitolo importante del report riguarda la figura dei docenti e il loro percorso formativo. Nel modello immaginato per il 2124, gli insegnanti non sono semplici erogatori di contenuti, ma veri e propri facilitatori di apprendimento, dotati di una formazione pedagogica continua e avanzata. La formazione dei docenti, secondo Tortuga, dovrebbe includere competenze trasversali e didattiche che vadano ben oltre le nozioni delle singole discipline, con un focus particolare su metodologie inclusive e sull’uso delle nuove tecnologie. Questo approccio multidisciplinare richiederebbe un sistema di formazione iniziale molto più solido e coerente, in cui gli insegnanti vengano preparati non solo sulla materia che insegneranno, ma anche sui metodi più efficaci per trasmetterla in modo coinvolgente e inclusivo. Nel report si evidenzia come, nel contesto attuale, la frammentazione e la precarietà della carriera docente rappresentino un ostacolo significativo alla qualità dell’istruzione; al contrario, un sistema educativo del futuro dovrebbe garantire percorsi di carriera chiari e remunerativi, con possibilità di avanzamento basate sulle competenze e sui risultati ottenuti.

Per raggiungere questo obiettivo, Tortuga suggerisce di riformare la struttura salariale dei docenti, portandola in linea con quella dei paesi più avanzati. Attualmente, infatti, gli insegnanti italiani sono tra i meno pagati d’Europa, una situazione che non solo riduce l’attrattiva della professione, ma contribuisce anche a una selezione meno qualificata e motivata. Un salario competitivo e una prospettiva di carriera chiara e meritocratica permetterebbero di attrarre nel mondo dell’istruzione professionisti di talento, capaci di adattarsi alle sfide del futuro. A lungo termine, il valore di una classe docente formata e ben supportata potrebbe tradursi in un effetto moltiplicatore sulla qualità dell’intero sistema educativo, con benefici tangibili non solo per gli studenti, ma per la società nel suo complesso.

Scuola e comunità: una rete di sostegno reciproco

Un’altra area di trasformazione, secondo Tortuga, riguarda il ruolo della scuola come punto di riferimento per il territorio e le comunità locali. In questo modello, la scuola del futuro non è solo un luogo di apprendimento ma diventa un centro di innovazione e di partecipazione attiva per tutti i cittadini, in cui le famiglie e le istituzioni locali sono coinvolte direttamente nella gestione e nell’organizzazione delle attività. Questo approccio mira a creare una vera e propria “rete educativa” che superi i confini scolastici e si estenda al contesto sociale più ampio, favorendo l’inclusione e la coesione. Tra le proposte, spicca quella di incentivare le esperienze di volontariato e di cittadinanza attiva per gli studenti, che potrebbero così acquisire competenze non solo accademiche ma anche sociali e civiche. Questo legame tra scuola e territorio potrebbe inoltre fungere da strumento di prevenzione contro fenomeni come la dispersione scolastica e il disagio giovanile, fenomeni che affliggono soprattutto le periferie e le aree meno servite dai servizi pubblici.

In sintesi, il report di Tortuga propone una visione della scuola del 2124 che non si limita a rispondere alle necessità didattiche, ma che si configura come un vero e proprio pilastro sociale, capace di includere, valorizzare e unire. In un mondo sempre più complesso e globalizzato, una scuola che sappia adattarsi e integrarsi con le dinamiche territoriali diventa un fattore fondamentale per garantire una coesione sociale solida e duratura, un obiettivo che la mobilitazione di oggi sottolinea con forza. Lo sciopero generale dei lavoratori della scuola, infatti, non è solo una protesta per i diritti dei lavoratori ma è anche una richiesta urgente per un cambiamento radicale che parta dal basso, dagli insegnanti, dagli studenti e dalle comunità locali, e che sia capace di trasformare la scuola italiana in un autentico motore di uguaglianza.

Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.
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Come proteggere i bambini dai malanni invernali: guida...

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L’autunno sta ormai per cedere il passo all’inverno, e con esso le temperature più miti si trasformeranno in un freddo pungente. Il passaggio da una stagione all’altra porta con sé non solo il cambiamento del paesaggio e l’arrivo di profumi tipici come quello delle castagne arrostite, ma anche la riemersione di malanni di stagione, che colpiscono in particolare i bambini. Con l’aria fredda e secca, le porte del contagio si aprono, e i virus respiratori iniziano a proliferare. A tal proposito, l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma ha recentemente pubblicato una guida esaustiva su come prevenire e affrontare i principali disturbi respiratori che affliggono i più piccoli durante i mesi invernali. Dalla tosse al mal di gola, dal raffreddore all’influenza, la salute dei bambini è un tema cruciale, soprattutto considerando che, lo scorso anno, circa 15 milioni di italiani sono stati colpiti da influenza e sindromi parainfluenzali, con un terzo di essi costituito da bambini e ragazzi.

La prevalenza delle malattie respiratorie

I malanni di stagione sono una costante nelle famiglie italiane, e i numeri parlano chiaro: i virus respiratori colpiscono ogni anno centinaia di milioni di persone nel mondo, con picchi di contagio che si concentrano nei mesi più freddi. I medici del Bambino Gesù avvertono che i principali responsabili di queste malattie includono il rhinovirus, il coronavirus, i virus influenzali e parainfluenzali, nonché l’adenovirus e l’enterovirus. Questi virus si diffondono facilmente attraverso l’inalazione delle goccioline respiratorie infette o il contatto con superfici contaminate, rendendo la prevenzione fondamentale.

La sintomatologia è spesso simile, ma varia in intensità: i più piccoli possono manifestare mal di gola, tosse persistente, febbre, naso che cola, e nei casi più gravi, dolori articolari e gastrointestinali. Durante la scorsa stagione epidemica, l’ospedale ha registrato oltre 13mila accessi in pronto soccorso per infezioni respiratorie acute e circa 1.500 ricoveri, di cui circa 100 in terapia intensiva.

Non tutte le malattie respiratorie hanno lo stesso decorso stagionale. Gli specialisti evidenziano che i picchi di influenza si concentrano generalmente tra dicembre e febbraio, mentre i casi di raffreddore si intensificano per tutta la stagione invernale. La bronchiolite, causata dal virus respiratorio sinciziale, si manifesta prevalentemente tra novembre e marzo, mentre i virus parainfluenzali tendono a emergere con maggiore frequenza durante la primavera e l’estate. Questa variabilità stagionale implica la necessità di un’adeguata preparazione e consapevolezza da parte dei genitori, affinché possano riconoscere tempestivamente i sintomi e agire di conseguenza.

La prevenzione come prima linea di difesa

La prevenzione è senza dubbio l’arma migliore per proteggere i bambini dai malanni invernali. Gli esperti del Bambino Gesù sottolineano che il rispetto delle norme igieniche è fondamentale. Con l’arrivo del freddo, i bambini trascorrono più tempo in spazi chiusi, dove il ricambio d’aria è limitato, aumentando così il rischio di contagio. Lavarsi frequentemente le mani, coprire naso e bocca con un fazzoletto o il gomito durante gli starnuti, e ridurre il contatto tra mani e occhi, bocca e naso sono comportamenti che possono contribuire a diminuire il rischio di malattie.

In aggiunta alle pratiche igieniche, è essenziale mantenere un corretto stile di vita. Un’alimentazione equilibrata, ricca di frutta e verdura, aiuta a rinforzare le difese naturali dell’organismo. Gli specialisti raccomandano anche di mantenere i bambini idratati, poiché l’adeguata assunzione di liquidi è cruciale, soprattutto in presenza di infezioni respiratorie.

La vaccinazione rappresenta un altro pilastro fondamentale della prevenzione. Quest’anno, la campagna vaccinale antinfluenzale è iniziata il 1° ottobre, e il vaccino è raccomandato a tutti i bambini dai 6 mesi fino ai 7 anni, così come a ragazzi e adulti con patologie croniche, donne in gravidanza e tutte le persone sopra i 60 anni. Inoltre, per la prima volta, è disponibile un nuovo anticorpo monoclonale contro il virus respiratorio sinciziale, che ha dimostrato di ridurre significativamente il rischio di malattie gravi nei bambini sotto i 2 anni, un dato cruciale considerando che negli ultimi anni si sono registrati oltre 15mila ricoveri in Italia per bronchiolite, di cui circa 3mila in terapia intensiva.

La gestione dei sintomi e quando consultare il pediatra

Nonostante le migliori pratiche preventive, è inevitabile che alcuni bambini possano ammalarsi. La gestione dei sintomi è quindi un aspetto cruciale. La maggior parte delle malattie respiratorie invernali si presenta con sintomi comuni: raffreddore, mal di gola, tosse e febbre. Queste affezioni generalmente si risolvono da sole in pochi giorni, ma è essenziale fornire un adeguato supporto al bambino durante la malattia. L’ospedale Bambino Gesù consiglia di tenere il bambino a riposo e di somministrare farmaci per il controllo della febbre, come il paracetamolo, che ha proprietà antifebbrili e antidolorifiche, risultando una scelta sicura e efficace.

In caso di raffreddore, i lavaggi nasali possono essere un’ottima soluzione per liberare le vie aeree superiori e facilitare la respirazione, soprattutto nei neonati e nei bambini molto piccoli. L’utilizzo di una soluzione salina per i lavaggi nasali può migliorare il comfort del bambino e contribuire a una migliore gestione dei sintomi. È importante eseguire i lavaggi nasali nei momenti opportuni, come prima delle poppate o prima di dormire, per massimizzare i benefici.

Tuttavia, è fondamentale che i genitori prestino attenzione allo stato di salute generale del loro bambino. Non esiste un singolo sintomo che debba destare preoccupazione, ma è necessario considerare il quadro complessivo. La febbre, in particolare, è un segno che l’organismo sta combattendo un’infezione virale e non deve essere vista come un motivo di panico. Al contrario, il pediatra deve essere contattato se si notano cambiamenti significativi nel comportamento del bambino, come un’improvvisa perdita di appetito o una diminuzione della mobilità.

La situazione diventa ancor più delicata quando si ha a che fare con bambini fragili, per i quali i fattori di rischio aumentano notevolmente. Condizioni preesistenti come prematurità, cardiopatie congenite o immunodeficienze richiedono una particolare attenzione e una tempestiva consultazione con il pediatra. È fondamentale garantire una valutazione medica nei casi in cui il bambino presenti segni di grave malessere o difficoltà respiratoria.

In questi contesti, il consiglio di prevenzione rimane prioritario, ma l’accesso tempestivo a cure mediche adeguate è altrettanto cruciale. I genitori non devono temere di contattare il pediatra, specialmente quando il loro bambino presenta sintomi preoccupanti o se si nota una grave alterazione del suo stato di salute.

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