Casalinghe e/o casalinghi, chi è oggi l’‘angelo del focolare’
L’immagine tradizionale della casalinga – associata alla dedizione esclusiva alla casa e alla famiglia – sta cambiando, sfumandosi in una figura più complessa e sfaccettata. Ma chi sono le persone, giovani e adulte, che oggi decidono o sono portate a dedicarsi alle faccende domestiche? E come si intrecciano queste vite con i cambiamenti sociali ed economici del nostro tempo? Nel 2016, un’indagine Istat contava 7 milioni 338 mila le donne in Italia, di almeno 15 anni, che si dichiaravano casalinghe, un numero che ha mostrato un calo di 518 mila unità rispetto al 2006. Questi dati, seppur datati, offrono un quadro utile per comprendere le dinamiche attuali. Stefania Negri, ricercatrice Adapt e senior fellow, sottolinea ad Adnkronos Labitalia l’importanza di aggiornare costantemente queste informazioni, affermando che oggi è necessario consultare i database dell’Istat per ottenere un’immagine più attuale e inclusiva, considerando anche i casalinghi maschi.
La categorizzazione delle casalinghe ha una lunga storia che riflette le trasformazioni socio-economiche della nostra società. In particolare, la divisione del lavoro ha sempre avuto una forte connotazione di genere, con aspettative e compiti ben definiti per uomini e donne. Nelle società preindustriali, uomini e donne si integravano nelle attività lavorative, contribuendo entrambi alla sussistenza della famiglia. Con l’avvento della rivoluzione industriale, tuttavia, questo equilibrio si è rotto. Gli uomini sono stati spinti verso il lavoro nelle fabbriche, mentre le donne hanno mantenuto un ruolo domestico, contribuendo a stabilire una netta separazione tra lavoro produttivo e riproduttivo.
La figura della casalinga nella storia
Con l’affermarsi del capitalismo industriale, le dinamiche di potere tra i generi sono state profondamente influenzate. Gli uomini, abbandonando le campagne per le fabbriche, hanno conquistato un nuovo status sociale, mentre le donne sono state relegate all’ambiente domestico. Gary Becker, noto economista, ha sostenuto che il matrimonio è diventato un contratto volto a proteggere le donne, permettendo loro di specializzarsi nelle mansioni domestiche senza timore di essere abbandonate. Tuttavia, questa visione, seppur storicamente significativa, ha anche contribuito a confinare le donne in un ruolo di subordinazione e dipendenza economica. Così Chiara Altilio, Ilaria Fiore, Silvia Loponte, Giorgia Martini, phd candidates Adapt – Università di Siena, ripercorrono l’evoluzione storico-sociale del lavoro di cura domestico
L’immagine della casalinga si è così cristallizzata nella cultura popolare, identificata storicamente con il concetto di “madre di famiglia”, utile alla collettività per il suo contributo all’allevamento dei figli. Questa visione ha avuto ripercussioni significative sulla costruzione del welfare state, dove il lavoro domestico è stato spesso considerato come un’attività secondaria e non retribuita. Nonostante l’importanza sociale del lavoro di cura, le politiche per la famiglia sono rimaste marginali nei sistemi di welfare.
Negli anni ’70, il femminismo italiano ha iniziato a contestare queste narrazioni, con la richiesta di un salario per le casalinghe che mirava a riconoscere il valore del lavoro domestico. Il dibattito si è quindi spostato sulla necessità di socializzare il lavoro di cura attraverso servizi pubblici, al fine di liberare le donne da un fardello pesante e non riconosciuto. Questo movimento ha gettato le basi per l’emergere di un mercato del lavoro di cura, in cui compiti precedentemente affidati alle casalinghe sono stati esternalizzati a lavoratori, spesso in condizioni di vulnerabilità.
Le trasformazioni socioeconomiche e culturali che hanno caratterizzato l’ultimo secolo hanno ridisegnato il panorama delle responsabilità familiari. Con l’aumento dell’occupazione femminile e il progressivo invecchiamento della popolazione, si è assistito a una crescente domanda di servizi di cura. Questo ha portato a una nuova configurazione dei ruoli, in cui il modello tradizionale della casalinga è stato messo in discussione, aprendo spazi per una maggiore condivisione delle responsabilità familiari e domestiche.
I dati attuali
Analizzando i dati più recenti, risulta chiaro che il numero di casalinghe continua a diminuire. Nel 2023, le donne che si dichiarano casalinghe sono circa 6,2 milioni, rappresentando il 41,43% delle donne inattive, mentre gli uomini inattivi nella stessa fascia di età si attestano a solo lo 0,009%. Questo calo è particolarmente marcato nel sud Italia, dove si concentra il 50,7% delle casalinghe italiane, evidenziando un divario territoriale significativo.
Inoltre, l’inattività femminile è fortemente influenzata dalla presenza di figli. Secondo i dati dell’Istat, per il 73% delle giovani casalinghe (15-34 anni), la motivazione per non cercare lavoro è di natura familiare. Anche il tasso di occupazione femminile rimane basso, attestandosi al 52,5%, contro il 70,4% degli uomini nella fascia di età 15-64 anni. Questo divario, seppur in riduzione, rimane un tema di preoccupazione e riflessione, poiché il carico delle responsabilità familiari è ancora prevalentemente a carico delle donne.
La questione della casalinga non è esclusivamente un fenomeno italiano, ma si colloca in un contesto europeo più ampio. Dati Eurostat mostrano che l’Italia ha una delle più alte percentuali di donne inattive nell’Unione Europea, superata solo dalla Romania. La percentuale di donne inattive in Italia è del 42,3%, rispetto alla media europea del 29,8%. Questo dato evidenzia la necessità di politiche più efficaci per promuovere l’occupazione femminile e ridurre il divario di genere.
L’analisi del tempo dedicato alle attività domestiche rivela ulteriormente l’ineguaglianza di genere. Le donne italiane dedicano in media oltre 5 ore al giorno a queste attività, rispetto a poco più di 2 ore per gli uomini. Questo divario di 2 ore e 47 minuti è il più alto nell’Unione Europea e sottolinea l’inequità persistente nella distribuzione delle responsabilità familiari.
Nonostante i progressi, il modello di casalinga è ancora presente, soprattutto in alcune fasce demografiche e territoriali. Tuttavia, il cambiamento è in atto.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato dall’agenzia Adnkronos. Sbircia la Notizia Magazine non è responsabile per i contenuti, le dichiarazioni o le opinioni espresse nell’articolo. Per qualsiasi richiesta o chiarimento, si prega di contattare direttamente Adnkronos.Demografica
Debiti per oltre mezzo milione, coppia di anziani “salvata”...
Rischiavano di vedere la propria vita cadere a picco i due anziani che, dopo il fallimento imprenditoriale, avevano accumulato un debito di oltre mezzo milione di euro. Una situazione debitoria insostenibile, che il tribunale di Treviso ha cancellato con la cosiddetta “legge anti-suicidi” concedendo l’esdebitazione totale a una coppia di settantenni di Casale sul Sile.
I due pensionati si trovavano da anni in condizioni di estremo disagio economico. La legge anti-suicidi, che permette a privati e piccoli imprenditori di ottenere la cancellazione dei debiti in casi di gravi difficoltà economiche, ha permesso all’anziana coppia di ottenere una nuova opportunità di vita, senza più l’incubo di un debito insostenibile.
Treviso, il caso della coppia di anziani indebitati
I due anziani avevano accumulato i debiti per i canoni non pagati su un leasing per macchinari, beni strumentali per l’azienda, poi fallita, di carpenteria metallica di cui loro erano soci, ma che era gestita dal figlio.
La loro era una società in forma semplice e quindi, in quanto società di persone, non prevedeva distinzione tra il capitale dei soci e il capitale della società: i due anziani rispondevano con responsabilità patrimoniale illimitata; l’esposizione e i relativi interessi passivi dei canoni superavano di gran lunga la loro pensione. Peraltro, dopo il fallimento dell’attività, i due anziani, che possono contare solo sulle entrate del marito – in quiescenza – e sulla piccola pensione di invalidità della moglie, si erano trovati non solo in ristrettezze economiche ma praticamente strozzati dal leasing non pagato.
L’applicazione della legge anti suicidi da parte del tribunale di Treviso mette in luce l’importanza di un aiuto concreto per chi si trova in situazioni di sovraindebitamento, dimostrando come, in casi estremi, sia possibile chiedere il supporto del sistema giuridico.
Già seguiti dai servizi sociali, i due anziani hanno ricevuto anche l’appoggio economico del Comune di Casale sul Sile per avviare la procedura. Il sindaco Stefania Golisciani ha sottolineato che il caso rappresenta “un segnale di speranza” per chi si trova in situazioni simili, consentendo di guardare al futuro con una rinnovata serenità.
Come funziona la legge anti-suicidi
La cosiddetta “legge anti-suicidi”, entrata in vigore nel 2012, è uno strumento fondamentale per privati e piccoli imprenditori che si trovano in gravi difficoltà economiche. Questa legge consente di ottenere una cancellazione parziale o totale dei debiti, in base alla valutazione del tribunale, purché il debitore dimostri di non avere i mezzi per adempiere agli obblighi finanziari e di non aver agito in malafede o con colpa grave.
La Legge 3/2012 consente la cancellazione di diversi tipi di debiti all’interno delle procedure di sovraindebitamento, tra cui quelli con:
- Banche e istituti finanziari, come mutui e prestiti personali;
- Fornitori e privati, come quelli relativi al condominio o il caso dell’anziana coppia di Casale sul Sile;
- Debiti con le Pubbliche Amministrazioni, inclusi quelli con l’Agenzia delle Entrate e Equitalia.
Non possono essere eliminati tramite questa legge i debiti di mantenimento, come gli “alimenti” non pagati al coniuge separato o divorziato.
Il processo di esdebitazione inizia con la presentazione della domanda a un Organismo di Composizione della Crisi (Occ), che analizza la situazione del richiedente e formula un piano di risanamento o un accordo con i creditori. Se il tribunale approva la richiesta, il debitore non è più soggetto alle azioni di recupero crediti, e in alcuni casi il debito viene cancellato definitivamente. Questa procedura è stata ideata per offrire un’opportunità concreta a chi rischia di essere travolto dai debiti, spesso causa di gravi disagi personali e sociali. Durante la procedura di risoluzione della crisi, è fondamentale elencare tutti i debiti detenuti e dichiarare tutti i beni posseduti.
La coppia ha ottenuto l’omologazione della richiesta ai sensi del “Codice della Crisi”, introdotto nel sistema normativo italiano nel 2019.
Suicidi e crisi economica: una realtà preoccupante in Italia
In Italia, i suicidi legati a situazioni di sovraindebitamento e crisi economica sono una questione allarmante e poco discussa. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) indicano un tasso di suicidi di 7,2 casi ogni 100.000 abitanti, con una forte variabilità tra Nord e Sud e un’incidenza maggiore tra gli uomini nella fascia d’età 25-69 anni. Secondo l’Iss, nel 2020 si sono registrati 3.879 suicidi in Italia, con una percentuale significativa di questi legati alla crisi economica e ai problemi finanziari, aggravati dalla pandemia di Covid e dall’aumento dell’inflazione a cui non è corrisposto l’aumento dei salari.
Studi epidemiologici e ricerche sul tema confermano che, in periodi di recessione o difficoltà economiche, il tasso di suicidi tende a salire, specie tra coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità finanziaria. La correlazione tra crisi economica e rischio suicidario è stata documentata anche da organizzazioni internazionali come l’Oms, che ha evidenziato la necessità di misure preventive e di supporto per chi vive situazioni di debito insostenibile. Il supporto psicologico e la consapevolezza delle risorse legali a disposizione, come la legge anti-suicidi, possono scongiurare un esito tragico della vicenda.
Il ruolo della consapevolezza
La vicenda della coppia di Casale sul Sile offre uno spunto di riflessione sull’importanza di rafforzare i meccanismi di supporto per le persone indebitate e promuovere la consapevolezza degli strumenti disponibili. Molti cittadini in difficoltà, infatti, non sono a conoscenza della legge anti-suicidi e delle procedure di esdebitazione che potrebbero offrire una seconda possibilità. In un Paese dove la cultura del fallimento personale è ancora vista come uno stigma, è essenziale migliorare la comunicazione e l’accessibilità di tali strumenti.
L’esdebitazione totale ottenuta dai due anziani non solo rappresenta un aiuto concreto in termini economici, ma può servire da modello per altre situazioni analoghe, portando alla luce l’importanza di un sistema di assistenza che unisca sostegno legale, sociale e psicologico. In una società sempre più segnata dalle incertezze economiche, dove il lavoro è sempre più povero, diventa fondamentale che il diritto a una seconda possibilità sia riconosciuto e applicato in modo efficace, evitando che l’oppressione dei debiti possa spingere le persone verso situazioni di disperazione.
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Gli utensili e i giocattoli di plastica nera sono...
Se anche voi nella vostra cucina avete degli utensili di plastica nera, mettetevi comodi.
Una nuova ricerca condotta da Megan Liu di Toxic-Free Future, pubblicata sulla rivista Chemosphere, ha messo in luce un grave rischio per la salute legato agli utensili da cucina in plastica nera, spesso presenti nelle nostre cucine. Il rischio riguarda anche i bambini, che spesso mettono in bocca gli oggetti che si trovano tra le mani, siano essi giocattoli, utensili o qualsiasi altra cosa.
Il team di ricerca ha analizzato oltre 200 oggetti domestici, come mestoli, spatole, contenitori per alimenti e appunto giocattoli per bambini, rilevando la presenza di ritardanti di fiamma nell’85% dei prodotti. L’obiettivo è evitare che gli oggetti, esposti al calore, prendano fuoco o si sciolgano e questi composti chimici, come il bromo, sono particolarmente usati nell’industria elettronica per rendere ignifughi i materiali. Ora la ricerca di Toxic-Free Future lancia l’allarme: questi prodotti sono un grave rischio per la salute, soprattutto a contatto con il cibo.
Ritardanti di fiamma e rischi per la salute
Il principale problema dei ritardanti di fiamma negli utensili da cucina è legato al riciclo dei materiali: la plastica nera utilizzata in questi prodotti proviene infatti da scarti di elettrodomestici, come vecchi televisori e computer, trattati in precedenza con sostanze ignifughe. Come evidenziato da Megan Liu, “i ritardanti di fiamma possono disperdersi facilmente, e i bambini, ad esempio, mettono spesso i giocattoli in bocca”. Da qui l’urgenza di migliorare la regolamentazione sui materiali che entrano nei cicli di riciclo, per evitare che sostanze nocive arrivino nei prodotti domestici.
Attualmente, il processo di separazione delle plastiche riciclate non distingue tra plastica trattata e non trattata, portando quindi alla produzione di utensili domestici con composti chimici potenzialmente pericolosi per la salute. Questo fenomeno è particolarmente problematico per gli utensili neri, poiché i sistemi di separazione dei rifiuti non sono in grado di identificare correttamente il pigmento nero, rendendo difficile l’isolamento dei materiali pericolosi.
Un rischio domestico sottovalutato
I ritardanti di fiamma, oltre a ridurre l’infiammabilità dei materiali, presentano però anche effetti collaterali significativi. Alcuni di questi composti sono classificati come interferenti endocrini e possono alterare il sistema ormonale umano, aumentando il rischio di patologie della tiroide, cancro e altre malattie croniche come il diabete. Uno studio precedente, pubblicato su Jama Network Open, ha rilevato che i livelli elevati di eteri difenile polibrumati (Pbde) – una classe di ritardanti di fiamma – sono associati a un aumento del rischio di cancro del 300%.
I ritardanti di fiamma presenti in plastica nera usata per cucinare possono migrare facilmente nel cibo, soprattutto in presenza di calore. Una ricerca del 2018 ha dimostrato che questi composti possono trasferirsi nei grassi alimentari, come l’olio di cottura, rendendo il consumo di cibo cucinato con questi utensili potenzialmente dannoso per la salute.
Oltre agli utensili da cucina, i ritardanti di fiamma sono stati trovati anche in giocattoli per bambini e contenitori alimentari in plastica nera. A differenza degli adulti, i bambini sono particolarmente vulnerabili, poiché tendono a portare in bocca gli oggetti, aumentando il rischio di esposizione. Inoltre, questi composti chimici possono accumularsi nella polvere domestica, entrando così nel nostro sistema respiratorio.
Come limitare l’esposizione
L’enorme diffusione di oggetti di plastica nera nelle nostre case preoccupa diversi gli italiani, o almeno quelli che hanno letto di questa ricerca. Allora cosa si può fare per ridurre il rischio di ammalarsi o di fare ammalare i propri figli?
Gli esperti di Toxic-Free Future suggeriscono due semplici accorgimenti:
- sostituire utensili da cucina in plastica nera con materiali alternativi come l’acciaio inossidabile o il silicone, che non rilasciano sostanze tossiche;
- non usare o ridurre l’utilizzo dei contenitori alimentari in plastica nera, compresi i coperchi di plastica nera per le bevande da asporto, soprattutto se si prevede di riscaldare il cibo.
Un allarme per la regolamentazione e il futuro del riciclo
La scoperta della diffusione di sostanze tossiche nella plastica nera evidenzia la necessità di una maggiore regolamentazione e trasparenza nei processi di riciclo. Come ha affermato Megan Liu, l’attuale mancanza di controlli chimici sui materiali riciclati rischia di rendere inadeguato un sistema che dovrebbe invece promuovere la sostenibilità e la sicurezza.
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Il Sistema 0, ovvero come l’Ai sta già cambiando il...
L’essere umano ha una parte irrazionale e una razionale, una parte rapida e una più lenta, ciò che il premio Nobel 2002 Daniel Kahneman ha individuato come Sistema 1 e Sistema 2, nella sua opera magna Pensieri lenti e veloci del 2012. Da dodici anni abbiamo trovato conferme e risposte molto dettagliate su come il nostro cervello risponda a determinati stimoli, ma l’intelligenza artificiale potrebbe cambiare le nostre convinzioni. O meglio i nostri cervelli.
La notizia arriva da una ricerca pubblicata su Nature che introduce una teoria rivoluzionaria sul pensiero umano mediato dall’intelligenza artificiale: il Sistema 0. In base a questo modello, ideato da un team di esperti multidisciplinari, l’interazione con l’Ai creerebbe un nuovo livello di elaborazione cognitiva, esterno al cervello umano ma strettamente legato al nostro processo decisionale. A differenza dei Sistemi 1 e 2 descritti dal Premio Nobel Daniel Kahneman, il Sistema 0 offre un “pensiero” automatizzato e inorganico, che affascina e al contempo spaventa: come l’Ai può cambiare (e sta già cambiando) la nostra cognizione e la nostra percezione della realtà?
Dai Sistemi 1 e 2 al Sistema 0: l’evoluzione della cognizione
Per comprendere appieno il concetto di Sistema 0, è utile guardare alla teoria dei due sistemi di pensiero di Kahneman. Secondo Kahneman, il Sistema 1 rappresenta un pensiero rapido e intuitivo, che consente risposte immediate in situazioni quotidiane; il Sistema 2 è invece più lento, analitico e riflessivo e viene usato per decisioni complesse.
Il Sistema 0 si distingue perché non è legato al corpo umano, ma è piuttosto un sistema esterno e inorganico, ovvero l’Ai, che svolge compiti cognitivi complessi. Questo sistema è capace di immagazzinare e rielaborare grandi quantità di dati, producendo risposte e suggerimenti che facilitano la nostra comprensione e decisione ma non ha la capacità di dare significato ai dati: la comprensione finale spetta a noi, che dobbiamo attribuire senso e valore alle sue risposte. Anche se si tratta di un sistema esterno, il Sistema 0 può influenzare il nostro modo di ragionare soprattutto quando le interazioni tra l’essere umano e i sistemi di Ai aumentano di frequenza.
L’Ai e il rischio di “Automation Bias”
Il Sistema 0 non è solo un dispositivo che raccoglie e organizza dati, ma un meccanismo che filtra e semplifica le informazioni, rendendole più fruibili. È come avere un assistente digitale che pre-elabora i dati per presentarceli in modo più chiaro e accessibile, ma che non ha capacità interpretative. Tuttavia, questa funzione introduce un rischio: abituarsi a ricevere risposte rapide e semplificate può indurre a passività nel pensiero critico, portando a una fiducia automatica nell’output dell’Ai senza esaminarlo. I software di Ai specificano, chi più chi meno, di non essere infallibili, “ChatGPT può commettere errori. Considera di verificare le informazioni importanti”, avverte il software di OpenAi, ma quanti lo fanno davvero?
Questo fenomeno, noto anche come “automation bias”, è stato studiato anche in ambito medico, dove i professionisti possono fare affidamento eccessivo sulle tecnologie di supporto diagnostico, anche quando presentano errori o limiti.
Il Sistema 0 pone interrogativi profondi in termini di fiducia e trasparenza sugli output prodotti, mentre il pericolo di fake news e di disinformazione/propaganda politica aumenta a dismisura. Sempre più spesso il cervello umano avrà a che fare con elementi generati dagli algoritmi, nati e finiti all’interno di un contesto digitale, a differenza del Sistema 1 e Sistema 2 che partono dal contesto reale.
La crescente presenza di dati sintetici può distorcere la percezione dei fenomeni e influenzare negativamente le decisioni. È quindi necessario stabilire dei framework di valutazione che monitorino l’affidabilità e trasparenza dell’Ai e identifichino possibili bias, assicurando che l’output del Sistema 0 rimanga un supporto e non un sostituto del pensiero umano critico.
Introspezione mediata dall’Ai, un pericolo silenzioso
Un aspetto interessante e preoccupante del Sistema 0 è la sua capacità di influenzare il modo in cui percepiamo e comprendiamo noi stessi. Con Ai sempre più avanzate in grado di monitorare i nostri comportamenti e stati mentali, si apre la possibilità di usare queste tecnologie per analizzare la psicologia individuale. Tuttavia, questa analisi, seppur utile, non può realmente sostituire l’introspezione che deve restare un’esperienza soggettiva e riflessiva che permette di accedere a pensieri ed emozioni interiori; si tratta di una funzione profondamente legata all’identità individuale. Tra le righe della ricerca si evidenzia come la crescente fiducia nell’Ai per auto-analisi o per interpretare comportamenti potrebbe portare a una “depersonalizzazione” della nostra esperienza interiore, delegando a una macchina il compito di definire aspetti che dovrebbero restare strettamente personali.
La standardizzazione del pensiero
L’adozione del Sistema 0 e la diffusione dell’Ai nella vita quotidiana sollevano importanti questioni etiche. L’affidarsi a un sistema esterno per prendere decisioni può ridurre la capacità individuale di pensare criticamente e di analizzare le informazioni in modo autonomo. Se gli individui tendono ad accettare passivamente le risposte dell’Ai senza verificarle, si rischia una pericolosa standardizzazione del pensiero.
Questo non solo può ridurre la diversità di opinioni, ma ha anche implicazioni su larga scala, come la manipolazione delle informazioni e la perdita di autonomia nella gestione delle scelte collettive. La fiducia acritica in un sistema tecnologico potrebbe infatti rendere le società più vulnerabili alla disinformazione e all’influenza di attori con interessi economici o politici. Assicurare che il Sistema 0 resti uno strumento a disposizione degli utenti, e non viceversa, è quindi fondamentale per preservare l’autonomia decisionale e la trasparenza.
La cronaca getta ancora più ombra sugli strumenti di Ai dopo che, a febbraio, un ragazzo di 14 anni si è suicidato con tanto di “sostegno” da parte di un chatbot, come dimostrano le conversazioni riportate da The Telegraph. Al centro della bufera Character.AI, dove sono saltati fuori persino dei chatbot che parlano e scrivono come Giulia Cecchettin e Filippo Turetta.
Le opportunità del Sistema 0 nella ricerca (e non solo)
Il Sistema 0 offre anche enormi opportunità. La capacità dell’Ai di elaborare grandi quantità di dati e di offrire un supporto pre-elaborato è un valore aggiunto in molti campi, dalla ricerca scientifica alla gestione di sistemi complessi. In ambito scientifico, ad esempio, il Sistema 0 può contribuire all’analisi di dataset su larga scala, migliorando la velocità e la precisione delle scoperte come dimostra lo studio del Mit secondo cui l’Ai sarebbe in grado di rilevare il cancro al seno con cinque anni di anticipo rispetto ai metodi “tradizionali”. Nella gestione di sistemi sociali e ambientali complessi, il Sistema 0 può rivelarsi prezioso per identificare trend e ottimizzare risorse, supportando decisioni che vanno oltre le capacità umane.
La sfida passa dal bilanciare il potenziale di questi strumenti con una gestione responsabile degli stessi, garantendo trasparenza, affidabilità e supervisione etica. La creazione di linee guida e framework di controllo può aiutare le persone a beneficiare delle capacità dell’Ai senza perdere di vista l’importanza del pensiero critico e dell’autonomia decisionale.
Da decenni sappiamo che la tecnologia è neutra, ma con l’Ai non ci sono mezze misure: può essere la più grande scoperta tecnologica o la peggiore. Tutto dipenderà da cosa vorremo farci noi esseri umani.
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