Giappone, la Corte d’Appello di Tokyo dichiara incostituzionale il divieto di matrimonio per coppie LGBTQ+
La Corte d’Appello di Tokyo ha emesso una sentenza storica, dichiarando incostituzionale il divieto di matrimonio tra persone dello stesso sesso in Giappone. Secondo la Corte, come riportato da Kyodo News, il divieto viola il diritto all’uguaglianza sancito dalla Costituzione e si basa su norme superate, prive di “ragioni valide”. La decisione della Corte rappresenta un passo significativo per i diritti LGBTQ+ in un Paese che rimane l’unico del G7 a non riconoscere legalmente il matrimonio omosessuale.
Uguaglianza e dignità individuale
Presieduta dal giudice Sonoe Taniguchi, la Corte ha stabilito che l’attuale divieto contrasta con l’articolo della Costituzione giapponese che prescrive la promulgazione di leggi familiari dal punto di vista della “dignità individuale e dell’uguaglianza essenziale dei sessi.” Questa norma, che intende garantire pari diritti e dignità a tutte le persone, è stata interpretata dalla Corte come incompatibile con la discriminazione subita dalle coppie omosessuali, negando loro il diritto di formalizzare la propria unione. Inoltre, Taniguchi ha sottolineato come la crescente accettazione sociale del matrimonio tra persone dello stesso sesso rappresenti una realtà non ignorabile, indicativa di un cambiamento culturale che il legislatore giapponese dovrebbe considerare.
Nonostante questo importante riconoscimento, la Corte ha comunque respinto la richiesta di risarcimento avanzata dai sette querelanti, i quali avevano chiesto allo Stato un risarcimento di 1 milione di yen ciascuno (circa 6.500 dollari) per la violazione dei loro diritti. La decisione di rigettare la richiesta è motivata dalla mancata pronuncia della Corte Suprema sul tema, segno che la magistratura giapponese procede con cautela su un tema socialmente e culturalmente complesso. La Corte ha infatti chiarito che, in assenza di un verdetto definitivo da parte della Corte Suprema, non si può ritenere il governo giapponese responsabile per la mancata azione del Parlamento in materia di matrimonio omosessuale.
La sentenza si colloca in un contesto legale frammentato, in cui diversi tribunali distrettuali giapponesi hanno espresso pareri discordanti: mentre le corti di Sapporo e Nagoya hanno già dichiarato incostituzionale il divieto, le corti di Tokyo e Fukuoka si sono limitate a definirlo in uno “stato di incostituzionalità,” invitando il Parlamento a legiferare in proposito senza imporre, però, un intervento immediato.
Il Giappone e diritti LGBTQ+
Il Giappone, unico paese del G7 a non riconoscere legalmente le unioni tra persone dello stesso sesso, si trova così al centro di una crescente pressione interna e internazionale per allineare il proprio ordinamento ai principi di uguaglianza e inclusività, principi che il movimento LGBTQ+ e i suoi sostenitori continuano a richiedere a gran voce.
La recente sentenza, pur non portando a un’immediata svolta legislativa, potrebbe esercitare un’influenza significativa sull’opinione pubblica e sui rappresentanti politici. La vicenda potrebbe anche intensificare il dibattito sul ruolo e sulla definizione della famiglia in Giappone, soprattutto considerando che in diverse amministrazioni locali sono stati introdotti sistemi di partnership civile per le coppie omosessuali. Tuttavia, come dichiarato dal Segretario Capo di Gabinetto Yoshimasa Hayashi, il governo sta osservando l’evoluzione delle cause legali in corso e il processo di discussione nel Parlamento, mantenendo una posizione prudente e interlocutoria.
Resta da vedere come il Giappone affronterà questa spinta verso il cambiamento: da una parte, l’evidente discrasia tra l’accettazione sociale e il mancato riconoscimento legale di diritti fondamentali, dall’altra la necessità di affrontare una trasformazione culturale che tocca aspetti profondamente radicati della società nipponica. La strada verso il matrimonio egualitario appare ancora lunga, ma la sentenza della Corte d’Appello di Tokyo rappresenta una vittoria morale per coloro che lottano per un Giappone più inclusivo e rispettoso della dignità di ogni individuo.
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Mundys, con Equilibrium un nuovo capitolo di welfare...
Mundys avvia Equilibrium: il nuovo capitolo di welfare aziendale dedicato al benessere globale dei dipendenti. Mundys è un’azienda internazionale di infrastrutture e mobilità che con 23.000 dipendenti opera in circa 30 Paesi e gestisce 5 aeroporti, circa 9.000 chilometri di autostrade e una serie di servizi digitali per la mobilità che semplificano gli spostamenti della vita quotidiana. Una società globale e inclusiva che fa della differenza tra gli individui e le culture un valore aggiunto.
La capogruppo ha da tempo intrapreso un percorso di valorizzazione delle proprie persone, costruendo una cultura organizzativa che guardi ai risultati (il ‘Cosa’) unitamente al modo in cui questi vengono raggiunti (il ‘Come’). L’approccio definito “human centric” è olistico e abbraccia ogni aspetto del vissuto aziendale, incluso il benessere organizzativo del lavorare in azienda, inteso come: modello di lavoro, sostegno alla salute psico-fisica, ricerca dell’equilibrio tra professione e vita privata.
Ora, questo percorso si arricchisce di un nuovo capitolo, ancora più stimolante: il progetto Equilibrium, un’iniziativa che si aggiunge all’impianto di welfare via via sviluppato da Mundys e che mira a promuovere il benessere globale dei dipendenti. Il progetto è frutto delle sfide degli ultimi anni che invitano chi lavora in azienda a sapersi muovere nel cosiddetto ‘Vuca’ (volatilità, incertezza, complessità, ambiguità) affrontando situazioni economiche e politiche in rapida e continua trasformazione, in cui la complessità sociale è una costante. Tutto questo richiede una capacità di continuo e naturale adattamento, competenza chiave del vivere quotidiano e dell’abitare Mundys oggi, contando sulla contaminazione culturale, il confronto continuo tra tutti gli stakeholder e la capacità di lavorare insieme.
Dell’Indagine del benessere: un’analisi annuale attraverso la quale Mundys rileva il livello di ben-essere delle persone che lavorano in azienda, utilizzando i KHI, ovvero i Key human indicators, che, a differenza dei più noti KPI (Key performance indicators) per l’analisi dei processi aziendali, misurano la metrica umana. I risultati dell’indagine aiutano a comprendere come vengono gestite le emozioni e regolate nella relazione con l’altro, che livello di consapevolezza individuale e sociale ciascuno ha, quanto si sente parte dell’azienda, indagando le dimensioni di relazione e inclusione, fiducia e ingaggio, responsabilità e coraggio manageriale, energia trasformativa, bilanciamento ed equilibrio tra agenda professionale e personale.
Per quanto alcuni interventi e strumenti professionali possano offrire le migliori condizioni nel condividere lo stesso spazio e lo stesso tempo in azienda il dipendente – in quanto individuo responsabile dei propri obiettivi, aspettative e scelte – è l’unico a poter indirizzare il suo percorso di crescita e consolidare la propria stabilità e maturità (personale e professionale). L’azienda può tuttavia affiancare il percorso di ognuno, dotandosi di strumenti in grado di promuovere il benessere psico-fisico delle proprie persone.
In particolare, Mundys ha concentrato il proprio impegno su diversi aspetti del vivere dentro fuori e l’azienda, tra cui:
- Flessibilità: Mundys ha introdotto da diversi anni un modello di lavoro “ibrido” in cui si ha la possibilità di pianificare giornate di lavoro da remoto per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Questa flessibilità, che sostiene l’equilibrio personale ma anche l’impegno all’agenda di sostenibilità, per la riduzione di emissioni di CO2, non manca di valorizzare il lavoro in presenza che rappresenta il legame più forte e costante della condivisione di idee, emozioni e della creazione di reti organizzative.
- Un check up annuale che prevede 16 visite – tra cui una con il medico nutrizionista per definire un percorso di ri-educazione alimentare, partendo dall’analisi di alcuni indicatori (ormoni) del benessere di quel momento:
- Melatonina: responsabile della regolazione ciclo sonno-veglia, per indicare la qualità del riposo e la regolarità del sonno.
- Cortisolo: regolatore della pressione arteriosa e del sistema immunitario
- Testosterone: funzionale alla produzione di globuli rossi, per regolare l’umore, le funzioni cognitive e mantenere la massa muscolare.
- Omocisteina: indicatore della salute cardiovascolare e/o dell’eventuale carenza di acido folico e vitamine.
- DHEA: responsabile del corretto funzionamento del sistema nervoso, e del mantenimento del metabolismo osseo.
- Un monitoraggio della postura in ufficio con il supporto di uno Posturologo che analizza i “vizi posturali” e suggerisce esercizi correttivi personalizzati.
- Integrazione, all’interno dei Food Corner (aree già esistenti negli uffici di Mundys), di alimenti che abbiano una funzione di integratori naturali, per nutrire il benessere quotidiano e allenare un’educazione alimentare.
- Un invito “formale” attraverso la registrazione della voce “Walk out” – disponibile nel sistema presenze dell’azienda – di un intervallo della pausa pranzo dedicato a una passeggiata per rigenerare mente e corpo al di fuori dell’edificio aziendale, all’aperto e nelle città e comunità in cui l’azienda lavora.
Il piano welfare aziendale prevede una serie di misure volte a supportare i dipendenti e i loro familiari. Alcuni esempi: i rimborsi spese per la propria istruzione e quella della famiglia, dai livelli prescolari fino agli studi universitari e post-laurea, inclusi i corsi di formazione continua. In più, il piano copre le spese per l’acquisto dei libri scolastici, attività extrascolastiche quali campus estivi e vacanze studio, nonché corsi di lingua e informatica. Sono previsti indennizzi anche per servizi di baby-sitting e assistenza agli anziani. Inoltre, il piano prevede anche buoni acquisto utilizzabili per attività culturali e sportive. Tutti i lavoratori possono usufruire anche di una polizza sanitaria, estendibile ai familiari e di una polizza vita. Tra le numerose iniziative promosse a favore della mobilità sostenibile, è garantito l’abbonamento annuale dei mezzi pubblici utilizzati per raggiungere le sedi di lavoro di Roma e Milano e di un parco auto full electric.
In ambito Formazione, negli ultimi 3 anni il Gruppo ha investito in oltre 1,6 milioni di ore di formazione per il personale con un focus sulla costruzione di quelle competenze che aiutano a restare competitivi in un mondo che evolve velocemente – ne sono un esempio le oltre 100.000 ore di formazione in materia di sostenibilità erogate al senior management del gruppo che è chiamato a guidare la transizione verde, digitale e sociale del nostro business, così come le prime sessioni pilota in ambito GenAI per formare i dipendenti su come usare questa nuova tecnologia nell’agenda di lavoro quotidiana.
Modello della ‘We Economy’
Il modello di We Economy, che Mundys applica da 3 anni, è basato su equità retributiva e accessibilità a percorsi di crescita e sviluppo. Oggi, nella Capogruppo a tutti sono riconosciute forme organizzative e retributive trasparenti, eque e inclusive.
Il modello “We Economy” – è stato pensato per creare un’organizzazione connotata dall’ampia condivisione delle responsabilità e delle opportunità, in questo modo, la retribuzione di ogni dipendente è strutturalmente formata da 3 elementi ordinari: lo stipendio, la remunerazione variabile e i piani di welfare integrativi. La Capogruppo ha completato il percorso di eliminazione di qualunque differenziale retributivo tra dipendenti di genere maschile e femminile, che ricoprono le medesime posizioni o posizioni dello stesso livello organizzativo. Questo su tutte le componenti della remunerazione, sia monetaria (fisso, variabile), sia in natura (benefits).
A livello di Gruppo, Mundys ha l’impegno di colmare entro il 2030 il divario retributivo di genere. Fanno parte della We Economy anche gli stessi strumenti di accessibilità a percorsi di ascolto, formazione e sviluppo per il Gruppo.
Liberare il potenziale delle persone che lavorano per le aziende di Mundys è un obiettivo della strategia della Capogruppo, che intende costruire una talent factory (fabbrica di talenti), incoraggiando e sponsorizzando percorsi di carriera nazionali e internazionali tra le proprie aziende operative, favorendo una contaminazione culturale che porti valore, confronto e scambio nelle organizzazioni.
10Days4, il modello di cittadinanza attiva
E’ oramai parte dell’azienda il modello di cittadinanza attiva per cui tutti i dipendenti di Mundys, che intendono offrire il loro impegno nell’ambito del terzo settore, possono usufruire fino a 10 giorni retribuiti per collaborare con associazioni, enti e istituti che svolgono attività benefiche caritatevoli, assistenziali, sociali, religiose, artistiche, culturali, sportive e ambientali.
L’accordo è stato sottoscritto con tutte le principali rappresentanze sindacali del settore e crea un’opportunità di azione concreta dei dipendenti e di vicinanza e integrazione tra Mundys, la società civile e le comunità in cui opera. L’iniziativa si configura, inoltre, come un’occasione per arricchire la sensibilità e le attitudini proprie del mondo non profit divenute ormai sempre più preziose e importanti, oltre che di grande rilevanza sociale: tenacia e concretezza, identità e diversità, apertura e inclusione, relazione e solidarietà, vicinanza e reciprocità, individualità e comunità.
I progetti di sostegno all’Ucraina e all’Emilia Romagna degli ultimi due anni sono le pagine più significative dei contributi umanitari dei dipendenti di Mundys.
Policy Diversity Equality & Inclusion
Le linea guida sulla Diversità, Uguaglianza e Inclusione (DE&I) hanno la finalità di:
- Favorire e promuovere una cultura della diversità, valore fondativo del concetto di uguaglianza e inclusione, che Mundys sostiene nel proprio modello di fare impresa.
- Garantire a ciascun dipendente uguali condizioni ed opportunità, senza distinzioni di età, sesso/genere e identità di genere, orientamento sessuale, etnia/cultura, religione, condizione fisica e disabilità, condizione economica, opinione politico-sindacale e altro.
- Informare tutti i lavoratori sui diritti e sui doveri per la prevenzione e la rimozione di ogni comportamento discriminatorio, per la promozione di un clima di lavoro che assicuri il rispetto della dignità di ciascuno.
- Ad oggi, le donne che ricoprono le circa 1700 posizioni manageriali nel gruppo sono circa il 31% e Mundys ha l’ambizione di continuare a promuovere la rappresentanza di genere a tutti i livelli nell’organizzazione, a partire da quelli manageriali dove almeno 1 manager su 3 deve sarà una donna entro il prossimo triennio.
Debito Green
Con le recenti emissioni di Sustainability-Linked Bond per oltre 1 miliardo di euro, Mundys ha confermato il suo forte impegno a integrare la sostenibilità nella propria strategia di finanziamento: oggi il 100% del i debito e linee di credito della capogruppo sono collegate e indicatori ESG. I tassi d’interesse aumentano o diminuiscono in base ai progressi che il Gruppo realizza sugli obiettivi ambientali e sociali, misurati da tre indicatori di performance, tra cui i progressi nella pari opportunità di genere nei ruoli manageriali, gli altri sono relativi alla decarbonizzazione delle proprie fonti energetiche e alla velocità di transizione verso l’energia elettrica verde.
“La ricerca di un equilibrio tra corpo, mente ed emozioni è possibile. Il progetto Equilibrium nasce per sostenere il benessere dei dipendenti. Questa l’idea di Maria Sole Aliotta, human resources director di Mundys.
Ogni anno, attraverso indagini approfondite sul benessere, raccogliamo dati preziosi per comprendere le esigenze dei lavoratori e per migliorarne la qualità di vita. Da tempo Mundys opera con un approccio che guarda al benessere della persona a 360° per offrire un ambiente di lavoro equilibrato e attento alle esigenze personali di ciascuno di noi:
- salute (prevenzione con check-up annuale che include specifiche analisi su ormoni del benessere e che copre anche i famigliari del dipendente)
- benessere digitale con diritto alla disconnessione
- benessere psichico con piano di welfare aziendale che offre fra i vari servizi (per famiglie, educazione, assistenza, attività sportive, viaggi) anche counseling psicologico e coaching.
Questa iniziativa fa parte del più ampio impegno di Mundys sul fronte ESG: in questo caso, particolare attenzione è dedicata agli aspetti sociali della nostra comunità lavorativa”, conclude Aliotta.
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#Childfree, cos’è il trend TikTok che parla di chi non...
“Perché non vuoi avere figli?” Inizia sempre con questa domanda uno dei dibattiti più accesi tra le nuove generazioni. La risposta è nell’hashtag “#Childfree”. Diventato un vero e proprio slogan social, “Child free” si è diffuso su piattaforme come TikTok, ad esempio, che ha raccolto sotto questa espressione tutte le testimonianze delle donne o di giovani coppie che decidono deliberatamente di non voler avere figli o che, per motivi diversi, non possono averne.
Ma oltre ad essere un semplice hashtag social, è anche un vero e proprio movimento e un fenomeno radicalmente diffuso da oltre 60 anni, con una Giornata internazionale dedicata che cade il primo agosto di ogni anno e che è nata proprio per rivendicare la libertà di coloro che scelgono di non avere figli.
Come nasce “#Childfree”?
L’espressione Child free, a differenza di “Child less (cioè chi non può avere figli, ma li desidera)”,
ha lo scopo di enfatizzare sull’intenzione e la volontà di non avere figli. Una scelta, insomma, che ha ripercussioni sociali e culturali su chi la prende e che oggi è tornata ad essere al centro del dibattito politico per le ripercussioni che ha anche sulla società e sul futuro della popolazione.
Anche se possa sembrare un termine diffusosi da poco, in realtà questa affermazione di una scelta di vita ben precisa pone le sue basi nella letteratura sociologica sin dagli anni ’60. L’espressione si è diffusa di pari passo con l’uso della pillola anticoncezionale, strumento usato dalle donne per avere il controllo sulle proprie scelte riproduttive, compresa quella di non avere figli.
Due attiviste di questo movimento, Ellen Peck e Shriley Radl, hanno fondato la National Organization for Non-Parents, nel 1972, che difende il diritto dei “senza figli per scelta”. In America, questo movimento fu ampiamente criticato da chi riteneva che la genitorialità fosse una caratteristica distintiva della famiglia americana tradizionale, ma più in generale dei valori occidentali.
Poiché questa scelta è stata culturalmente associata alla mancanza del desiderio di maternità, la maggior parte degli studi e delle statistiche sul fenomeno hanno per anni analizzato la percentuale di donne, e non di uomini, che intendeva rinunciare alla genitorialità.
A spiegare le cause di questi stereotipi è stata recentemente Kisten Varian, dottoressa dell’Istituto di salute comportamentale di Parkview, Fort Wayne, Indiana (Stati Uniti), studiosa del fenomeno “Child free”, secondo la quale, le persone che prendono volontariamente la decisione di non avere figli vengono “poi viste sotto una luce negativa”. Sono etichette che vanno dall’egoismo, all’innaturalezza della scelta, così come la manifestazione di un’insoddisfazione e infelicità relazionale.
“Tuttavia – ha spiegato la dottoressa Varian -, nessuna di queste ipotesi è necessariamente vera. Inoltre, gli studi hanno scoperto che le donne senza figli hanno semplicemente valori e atteggiamenti diversi rispetto alle madri o alle donne che vogliono avere figli. Le coppie senza figli sono anche percepite come aventi una soddisfazione coniugale più bassa rispetto alle coppie con figli, il che non è automaticamente vero, poiché i genitori negli anni di crescita dei figli hanno una soddisfazione coniugale significativamente inferiore rispetto ai non genitori”. A rilevare questo grado di soddisfazione sono stati gli studiosi J.M. Twenge, W. K. Campbell e C.A. Foster, in una ricerca dal titolo “Genitorialità e soddisfazione coniugale: una revisione meta-analitica, pubblicata nel 2003 sul Journal of Marriage and Family.
Perché ci sono persone che non vogliono avere figli?
Le motivazioni dietro la scelta di non avere figli includono un desiderio di libertà o di concentrarsi sugli obiettivi professionali, ma recentemente si sono aggiunte preoccupazioni riguardante i cambiamenti climatici, pandemie globali e crisi geopolitiche internazionali.
In uno studio sui modelli di maternità, in un campione rappresentativo a livello nazionale, Heaton et al. (1999) hanno scoperto che, mentre alcuni adulti sono rimasti “coerentemente childfree” nel tempo, altri che inizialmente intendevano avere figli hanno poi cambiato idea e deciso di non averne. Ma la maggior parte delle indagini quantitative in questo settore non distingue tra chi è volontariamente e involontariamente senza figli, riducendo all’essere o non essere genitore la dimensione del fenomeno.
Studiosi italiani, invece, quali Christian Agrillo e Cristian Nelini, entrambi docenti del dipartimento di Psicologia generale dell’Università di Padova, nel 2008, hanno esaminato il motivo per cui alcuni adulti decidano di non avere figli in uno studio dal titolo “Childfree by choice: a review”. Tra le motivazioni, configuravano come prioritarie forze macrosociali, come la crescente partecipazione delle donne al mondo del lavoro e microsociali come l’autodeterminarsi come “child free” semplicemente per avere maggior libertà e autonomia.
Oggi, per comprendere al meglio cosa ci sia dietro questo fenomeno è sufficiente cercare online hashtag come #childfreetok, #childfreebychoice e #nothavingkids, presenti su TikTok da un po’ di tempo, hanno guadagnato molta più popolarità negli ultimi anni.
La scrittrice Adrienne Rich ha raccolto nella sua produzione letteraria le motivazioni, gli scenari, le cause, le ripercussioni e la dimensione del fenomeno Child Free. In Of Woman Born, uno dei suoi libri più famosi, scrive: “Le madri: che vanno a prendere i figli a scuola; che siedono in fila durante le riunioni genitori-insegnanti; che calmano i neonati stanchi nei passeggini del supermercato; che tornano a casa per preparare la cena, fare il bucato e accudire i bambini dopo una giornata di lavoro; che lottano per ottenere un’assistenza dignitosa e aule vivibili per i loro figli; che aspettano gli assegni di mantenimento mentre il padrone di casa minaccia lo sfratto; che rimangono di nuovo incinte perché la loro unica via di fuga verso il piacere e l’abbandono è il sesso; che si infilano lunghi aghi nelle loro delicate parti interiori; che vengono svegliate dal pianto di un bambino dai loro sogni esteriormente incompiuti: le madri, se potessimo guardare nelle loro fantasie, nei loro sogni ad occhi aperti e nelle loro esperienze immaginarie, vedremmo l’incarnazione della rabbia, della tragedia, dell’energia sovraccarica dell’amore, della disperazione inventiva, vedremmo il meccanismo della violenza istituzionale lacerare l’esperienza della maternità”.
In sintesi, dietro questo fenomeno confluiscono forze sociali e culturali che variano negli anni e nei contesti geografici, ma che in tutto il mondo occidentale restituisce un quadro chiaro e preciso della consapevolezza che c’è dietro questa scelta e del peso che possa avere su di sé e sugli altri. Un principio di autodeterminazione, insomma, che sotto il vocabolo “Child free” ha trovato tutta la sua espressione massima di protesta.
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Debiti per oltre mezzo milione, coppia di anziani “salvata”...
Rischiavano di vedere la propria vita cadere a picco i due anziani che, dopo il fallimento imprenditoriale, avevano accumulato un debito di oltre mezzo milione di euro. Una situazione debitoria insostenibile, che il tribunale di Treviso ha cancellato con la cosiddetta “legge anti-suicidi” concedendo l’esdebitazione totale a una coppia di settantenni di Casale sul Sile.
I due pensionati si trovavano da anni in condizioni di estremo disagio economico. La legge anti-suicidi, che permette a privati e piccoli imprenditori di ottenere la cancellazione dei debiti in casi di gravi difficoltà economiche, ha permesso all’anziana coppia di ottenere una nuova opportunità di vita, senza più l’incubo di un debito insostenibile.
Treviso, il caso della coppia di anziani indebitati
I due anziani avevano accumulato i debiti per i canoni non pagati su un leasing per macchinari, beni strumentali per l’azienda, poi fallita, di carpenteria metallica di cui loro erano soci, ma che era gestita dal figlio.
La loro era una società in forma semplice e quindi, in quanto società di persone, non prevedeva distinzione tra il capitale dei soci e il capitale della società: i due anziani rispondevano con responsabilità patrimoniale illimitata; l’esposizione e i relativi interessi passivi dei canoni superavano di gran lunga la loro pensione. Peraltro, dopo il fallimento dell’attività, i due anziani, che possono contare solo sulle entrate del marito – in quiescenza – e sulla piccola pensione di invalidità della moglie, si erano trovati non solo in ristrettezze economiche ma praticamente strozzati dal leasing non pagato.
L’applicazione della legge anti suicidi da parte del tribunale di Treviso mette in luce l’importanza di un aiuto concreto per chi si trova in situazioni di sovraindebitamento, dimostrando come, in casi estremi, sia possibile chiedere il supporto del sistema giuridico.
Già seguiti dai servizi sociali, i due anziani hanno ricevuto anche l’appoggio economico del Comune di Casale sul Sile per avviare la procedura. Il sindaco Stefania Golisciani ha sottolineato che il caso rappresenta “un segnale di speranza” per chi si trova in situazioni simili, consentendo di guardare al futuro con una rinnovata serenità.
Come funziona la legge anti-suicidi
La cosiddetta “legge anti-suicidi”, entrata in vigore nel 2012, è uno strumento fondamentale per privati e piccoli imprenditori che si trovano in gravi difficoltà economiche. Questa legge consente di ottenere una cancellazione parziale o totale dei debiti, in base alla valutazione del tribunale, purché il debitore dimostri di non avere i mezzi per adempiere agli obblighi finanziari e di non aver agito in malafede o con colpa grave.
La Legge 3/2012 consente la cancellazione di diversi tipi di debiti all’interno delle procedure di sovraindebitamento, tra cui quelli con:
- Banche e istituti finanziari, come mutui e prestiti personali;
- Fornitori e privati, come quelli relativi al condominio o il caso dell’anziana coppia di Casale sul Sile;
- Debiti con le Pubbliche Amministrazioni, inclusi quelli con l’Agenzia delle Entrate e Equitalia.
Non possono essere eliminati tramite questa legge i debiti di mantenimento, come gli “alimenti” non pagati al coniuge separato o divorziato.
Il processo di esdebitazione inizia con la presentazione della domanda a un Organismo di Composizione della Crisi (Occ), che analizza la situazione del richiedente e formula un piano di risanamento o un accordo con i creditori. Se il tribunale approva la richiesta, il debitore non è più soggetto alle azioni di recupero crediti, e in alcuni casi il debito viene cancellato definitivamente. Questa procedura è stata ideata per offrire un’opportunità concreta a chi rischia di essere travolto dai debiti, spesso causa di gravi disagi personali e sociali. Durante la procedura di risoluzione della crisi, è fondamentale elencare tutti i debiti detenuti e dichiarare tutti i beni posseduti.
La coppia ha ottenuto l’omologazione della richiesta ai sensi del “Codice della Crisi”, introdotto nel sistema normativo italiano nel 2019.
Suicidi e crisi economica: una realtà preoccupante in Italia
In Italia, i suicidi legati a situazioni di sovraindebitamento e crisi economica sono una questione allarmante e poco discussa. I dati dell’Istituto Superiore di Sanità (Iss) indicano un tasso di suicidi di 7,2 casi ogni 100.000 abitanti, con una forte variabilità tra Nord e Sud e un’incidenza maggiore tra gli uomini nella fascia d’età 25-69 anni. Secondo l’Iss, nel 2020 si sono registrati 3.879 suicidi in Italia, con una percentuale significativa di questi legati alla crisi economica e ai problemi finanziari, aggravati dalla pandemia di Covid e dall’aumento dell’inflazione a cui non è corrisposto l’aumento dei salari.
Studi epidemiologici e ricerche sul tema confermano che, in periodi di recessione o difficoltà economiche, il tasso di suicidi tende a salire, specie tra coloro che si trovano in condizioni di vulnerabilità finanziaria. La correlazione tra crisi economica e rischio suicidario è stata documentata anche da organizzazioni internazionali come l’Oms, che ha evidenziato la necessità di misure preventive e di supporto per chi vive situazioni di debito insostenibile. Il supporto psicologico e la consapevolezza delle risorse legali a disposizione, come la legge anti-suicidi, possono scongiurare un esito tragico della vicenda.
Il ruolo della consapevolezza
La vicenda della coppia di Casale sul Sile offre uno spunto di riflessione sull’importanza di rafforzare i meccanismi di supporto per le persone indebitate e promuovere la consapevolezza degli strumenti disponibili. Molti cittadini in difficoltà, infatti, non sono a conoscenza della legge anti-suicidi e delle procedure di esdebitazione che potrebbero offrire una seconda possibilità. In un Paese dove la cultura del fallimento personale è ancora vista come uno stigma, è essenziale migliorare la comunicazione e l’accessibilità di tali strumenti.
L’esdebitazione totale ottenuta dai due anziani non solo rappresenta un aiuto concreto in termini economici, ma può servire da modello per altre situazioni analoghe, portando alla luce l’importanza di un sistema di assistenza che unisca sostegno legale, sociale e psicologico. In una società sempre più segnata dalle incertezze economiche, dove il lavoro è sempre più povero, diventa fondamentale che il diritto a una seconda possibilità sia riconosciuto e applicato in modo efficace, evitando che l’oppressione dei debiti possa spingere le persone verso situazioni di disperazione.
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