Manovra, fino a 1.000 euro in più all’anno, ecco come cambiano gli stipendi dal 2025
Gli stipendi degli italiani potrebbero cambiare dal 2025, e non di poco. Il testo della Manovra prevede fino a mille euro in più all’anno per chi ha redditi tra 35 mila e 40 mila euro e dei bonus (indennità) per chi ha redditi fino 20 mila euro. Per le altre fasce subentra una novità storica per l’assetto fiscale italiano: dal prossimo anno non conterà più solo la retribuzione da dipendente, ma il reddito complessivo, quindi anche eventuali guadagni da case in affitto e simili.
Stipendi, come e perché cambiano dal 2025
Prima di approfondire le novità previste nella Manovra, un paio di considerazioni:
- se “l’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro”, “il Fisco italiano è un sistema fondato sul ceto medio”, come confermano i Report di Itinerari previdenziali sulla spesa pubblica e le dichiarazioni dei redditi 2022. I contribuenti che dichiarano almeno 35 mila euro sono circa 6,4 milioni, il 15,27%, ma pagano il 63,4% delle imposte
- il sistema fiscale ha creato un paradossale effetto soglia, una “trappola” fiscale per cui chi supera anche di un centesimo il reddito di 35.000 euro guadagna (al netto) meno di alcuni contribuenti che stanno al di sotto di questa soglia, perché oltre i 35.000 euro non si applica il taglio del cuneo fiscale. La “perdita” annuale può arrivare fino a 1.100 euro.
Questo paradosso si traduce in un disincentivo ad aumentare i salari e, in alcuni casi, “incentiva” gli aumenti salariali in nero.
L’intervento del governo punta a introdurre una riforma più inclusiva, con benefici distribuiti in modo graduale su una platea di lavoratori più ampia e un nuovo meccanismo di calcolo basato sul reddito complessivo.
Il “paradosso di quota 35 mila euro” era emerso all’indomani della Manovra 2024, quando l’Ufficio parlamentare di bilancio aveva spiegato che “la modalità per fasce (e non per scaglioni, ndr.) fa cessare ogni beneficio oltre la soglia di retribuzione lorda di 35 mila euro”.
Addio taglio del cuneo fiscale nel 2025
La manovra introduce una nuova forma di bonus fiscali che va a sostituire il taglio del cuneo fiscale inaugurato dal governo Draghi e in vigore fino al 31 dicembre 2024. La platea dei beneficiari si allarga dai 13 milioni coinvolti finora a oltre 14 milioni e, considerando anche la conferma del taglio delle aliquote Irpef da quattro a tre il costo per le casse pubbliche sale dai 14 ai 17 miliardi.
Il testo della Manovra propone una riduzione graduale (décalage) delle agevolazioni per far cessare il paradosso fiscale appena visto sopra. Questo cambiamento permette di evitare il brusco calo di reddito netto, sostenendo così gli aumenti salariali regolari. La situazione sarà la seguente:
- Per i redditi tra 20 mila e 32 mila euro praticamente non cambierà nulla: ci sarà una detrazione fissa di mille euro all’anno, ovvero 83,3 euro per dodici mensilità. Come vedremo, la situazione resta invariata anche fino a 36 mila euro, pur cambiando il meccanismo;
- Per i redditi dai 32 mila euro fino ai 44 mila euro si attuerà un décalage di sgravio: tra i 35 e i 36 mila euro si prevedono circa mille euro annuali in più in busta paga; quindi, in pratica non cambierà nulla per chi rientra in questi redditi. Lo sgravio cala progressivamente fino a 5,5 euro in più all’anno per chi guadagna 44 mila euro.
C’è poi un’altra differenza fondamentale: a differenza del passato, dove lo sgravio era applicato solo sul “reddito da lavoro”, ora si tiene conto del “reddito complessivo” di ogni lavoratore, che può includere anche altre fonti di reddito, inclusi i canoni di affitto. Di conseguenza, chi ha altre entrate oltre allo stipendio potrebbe non beneficiare dello sgravio, anche se ha un reddito da lavoro che non supera i 44 mila euro annui.
Bonus per i redditi sotto i 20 mila euro
Per i redditi inferiori ai 20 mila euro, la Manovra 2025 introduce un indennità calcolata come percentuale sul reddito annuale. Questo contributo non concorre alla formazione del reddito imponibile ed è modulato in base alle tre fasce:
- Redditi fino a 8.500 euro: in questa fascia, il bonus equivale al 7,1% del reddito annuale;
- Redditi tra 8.500 e 15 mila euro: il bonus scende al 5,3%;
- Redditi tra 15 mila e 20 mila euro: l’importo del bonus corrisponde al 4,8% del reddito;
Ad esempio, chi percepisce 15 mila euro annui riceverà circa 795 euro di bonus (pari a circa 66,25 euro mensili), un importo comparabile a quello attuale grazie al taglio del cuneo contributivo. Per i redditi prossimi ai 20 mila euro, il beneficio si attesta attorno a 960 euro, migliorando lievemente rispetto al 2024.
Stipendi dal 2025, lo schema
La Manovra interviene quindi sia introducendo delle indennità, sia rimodulando il taglio del cuneo fiscale. Spiegati i meccanismi, ecco uno schema pratico tra i vari scaglioni di reddito:
- Inferiori a 8.500 euro (no tax area): bonus pari al 7,1% del reddito;
- Tra 8.500 euro e 15 mila euro 5,3%: bonus al 5,3%;
- Tra 15 mila euro e 20 mila euro: bonus al 4,8%.
Per questi ultimi redditi, la situazione sarà analoga a quella attuale, solo che al posto del taglio del cuneo fiscale ci saranno delle indennità, dei bonus. Continuando:
- Tra i 20 mila euro e i 32 mila euro: sgravio fiscale di mille euro fissi;
- Tra i 32 mila euro e i 36 mila euro: sistema diverso (décalage) ma non cambia la sostanza, si resterà sui mille euro in più all’anno;
- Tra i 36 mila e i 44 mila euro: sgravio progressivo fino a raggiungere la quota di 5,5 euro annui per i redditi di 44 mila euro.
In pratica, riceveranno sicuramente un beneficio i contribuenti che rientrano nei redditi (complessivi e non solo da lavoro) tra i 35 mila e i 40 mila. Per gli altri, la differenza può essere minima rispetto al “vecchio” sistema del taglio del cuneo.
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TikTok, genitori denunciano l’app perché “danneggia i...
TikTok e il suo algoritmo esporrebbero i giovani a contenuti che li mettono in pericolo. Sette famiglie francesi, per questo motivo, hanno deciso di denunciare l’app cinese. A raccontare la vicenda è Maître Laure Boutron-Marmion, avvocata penalista specializzata nella difesa dei minori coinvolti nella denuncia, due dei quali hanno posto fine alla loro vita recentemente.
“Vi confermo che ho presentato al tribunale di Créteil un ricorso proposto da sette famiglie che denunciano tutte la stessa cosa, il deterioramento dello stato di salute fisica e mentale dei loro figli – ha raccontato l’avvocata lunedì 4 novembre a Franceinfo -. Purtroppo, alcuni non sono più qui per parlarne”.
Denunce e testimonianze contro TikTok
Le sette famiglie si sono unite attorno ad un collettivo che ha preso il nome di Algos Victima. Secondo le testimonianze raccolte dal collettivo, l’algoritmo di TikTok proporrebbe numerosi video che promuovono il suicidio, l’autolesionismo o che presentano disturbi alimentari.
“Il nostro appello è ricco di documenti e di prove tangibili per ciascuna delle storie di queste sette famiglie”, ha precisato l’avvocata. Questo appello si aggiunge a una denuncia penale presentata nel 2023 dai genitori di una di loro, Marie, che si è suicidata.
Una delle testimonianze raccolte dal quotidiano francese racconta di una giovane ragazza, già vittima di molestie e bullismo a scuola, che, da quando ha ricevuto il suo primo cellulare a 14 anni, ha iniziato a vedere per puro caso contenuti che incoraggiano l’autolesionismo, il suicidio e simili. Su TikTok, ha spiegato l’adolescente, “ci sono, ad esempio, persone che mostrano le loro cicatrici, alcune ancora fresche, con il sangue. Oppure gente che dice che andrà a comprare delle lamette e altre che dicono che, se non finisci al pronto soccorso dopo un tentativo di suicidio, non conta. Oppure, per i disturbi alimentari, bisogna essere sottopeso, con la sonda nel naso, per essere considerati”.
“TikTok – ha aggiunto la ragazza – mi ha incoraggiato a porre fine alla mia vita, dando consigli su dove acquistare medicine o cosa usare per farsi del male, cose del genere. Mi sono resa conto che avevo solo video di persone tristi, ma questo mi ha fatto piacere, mi è piaciuto perché mi sentivo ascoltato”.
E dopo un tentativo di suicidio, “vorrei che TikTok rivedesse le sue priorità di scelta dei contenuti, perché ci sono video che incitano al suicidio o all’autolesionismo, o altre cose del genere, che sono abbastanza comuni sulla piattaforma. In ogni caso, su TikTok ho preso davvero coscienza di molte cose che non sono salutari”.
TikTok nel mirino dei governi
Non è la prima volta che TikTok finisce “a processo” per questo genere di eventi. Anche la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen ha più volte ribadito che il social network rappresenta una minaccia agli anni dell’adolescenza che sono molto importanti per le “funzioni cerebrali” e “per lo sviluppo della personalità”. Per questo preoccupa la Commissione Ue, ma non solo. Anche perché le “interferenze” operate tramite i social media “su scala industriale” non sarebbero le stesse che hanno in Cina. Lì è “leggero e motivante”, in Europa no. E così “non può” andare avanti: “È un terreno completamente nuovo – ha spiegato – La tutela dei minori e il lavoro contro le caratteristiche di questi social che creano dipendenza sono cose di cui l’Ue si deve occupare”.
Per pedagogisti e studiosi dello sviluppo cognitivo giovanile il problema è ancora più profondo e riguarda proprio l’uso o meno dello smartphone da parte di adolescenti e giovani. Una petizione è in corso nel nostro Paese e vede protagonista la richiesta al governo di vietare ai minori di 14 anni di avere un cellulare e agli under 16 di aprire un profilo sui social media.
Per il momento, il divieto è arrivato negli istituti scolastici italiani e europei con esempi quali il liceo Volta di Torino che chiude a chiave gli smartphone delle prime e seconde classi. Mentre da quest’anno, il governo olandese ha esteso il divieto di smartphone, smartwatch e tablet a tutte le scuole primarie e secondarie, per contrastare le distrazioni e migliorare le prestazioni accademiche. Così come la Francia stessa che ha vietato l’uso degli smartphone nelle scuole elementari e medie dal 2018, per promuovere un ambiente di apprendimento più sano e ridurre la dipendenza dai dispositivi digitali. O anche la Grecia che ha implementato divieti simili nelle scuole, in linea con un trend crescente in Europa volto a ridurre l’impatto negativo della tecnologia sull’istruzione.
Secondo il surgeon general degli Stati Uniti, Vivek Murthy, una delle più alte cariche sanitarie del Paese, negli Usa il 95% degli adolescenti di età compresa tra 13 e 17 anni afferma di utilizzare almeno un’app di social media e più di un terzo afferma di utilizzarla “quasi costantemente”. In un report da loro redatto lo scorso anno è emerso che 1 adolescente su tre usa il cellulare anche oltre la mezzanotte e che spesso sente di essere vittima di “insoddisfazione del proprio corpo, disturbi alimentari, confronto sociale e bassa autostima, specialmente tra le ragazze adolescenti”.
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Una donna su 20 fa uso di marijuana durante la gravidanza
Quasi il 6% delle donne usa marijuana durante la gravidanza. Questo è quanto emerge da un sondaggio condotto dall’Università della Georgia su un campione di oltre 4mila donne. Si tratta di più di una gravidanza su 20, ha osservato il team.
“La marijuana è considerata una cura per la nausea, ma non è così che dovrebbe essere gestita durante la gravidanza perché è dannosa sia per la madre che per il feto”, ha affermato l’autore principale dello studio Mohammad Rifat Haider, professore associato di politica sanitaria dell’ateneo georgiano.
Lo studio
Il nuovo studio è stato pubblicato di recente sull’American Journal on Addictions e si è basato sui dati di un’indagine federale condotta su 4.338 donne incinte. Il 5,7% delle donne intervistate ha dichiarato di aver fatto uso di cannabis nel mese precedente alla somministrazione del sondaggio. L’uso tendeva a raggiungere il picco nel primo trimestre e a diminuire con l’avanzare della gravidanza, il che suggerisce che la maggior parte delle donne lo utilizzava per alleviare la nausea mattutina.
La maggior parte di esse, cioè il 70,9% del campione di donne che hanno fatto uso di marijuana durante la gravidanza riteneva che loro e il loro bambino corressero pochi o nessun rischio a causa della marijuana, nonostante gli studi abbiano da tempo collegato la pratica del consumo di questa “droga leggera” al basso peso alla nascita, al parto prematuro e agli effetti sullo sviluppo neurologico del nascituro.
Secondo il rapporto, due terzi delle donne che hanno dichiarato di aver fatto uso di erba durante la gravidanza vivevano in uno dei 39 Stati in cui è legale usarla per scopi terapeutici. Questa facilità di accesso potrebbe danneggiare le donne e i loro bambini, ha affermato Haider.
Marijuana: terapia e conseguenze
“Quando la marijuana medica è disponibile, quando è legale, è venduta in farmacia. Si trova facilmente, quindi”, ha spiegato in un comunicato stampa l’università. “Quindi dobbiamo essere estremamente cauti in quegli Stati e creare una politica solida che aiuti a rendere le donne incinte consapevoli degli effetti dannosi dell’uso di marijuana”.
Il dottor Haider e il suo team hanno sottolineato che esistono farmaci da prescrizione che possono limitare la nausea mattutina e che le donne dovrebbero consultare il proprio ginecologo prima di ricorrere alla marijuana.
Haider ha anche osservato che le donne incinte con una storia di disturbi da abuso di sostanze o altri problemi di salute mentale sono più inclini a consumare marijuana durante la gravidanza.
“Per farla breve, questa è una popolazione molto vulnerabile e le prove dimostrano che durante la gravidanza, l’uso di marijuana è dannoso sia per la madre che per il bambino“, ha affermato Haider. “È necessario che lo Stato indichi una politica per avere queste discussioni”.
Consumo di marijuana negli Stati Uniti: trend in crescita
Tra il 2008 e il 2022, il tasso pro capite di segnalazione dell’uso di marijuana è aumentato del 120% e i giorni di utilizzo segnalati pro-capite sono aumentati del 218% (in termini assoluti dall’equivalente annuo di 2,3 a 8,1 miliardi di giorni all’anno).
Dal 1992 al 2022, c’è stato un aumento di 15 volte del tasso pro capite di segnalazione dell’uso giornaliero o quasi giornaliero. Mentre l’indagine del 1992 ha registrato 10 volte più alcol giornaliero o quasi giornaliero rispetto ai consumatori di cannabis (8,9 contro 0,9 milioni), l’indagine del 2022, per la prima volta, ha registrato più consumatori giornalieri e quasi giornalieri di cannabis rispetto all’alcol (17,7 contro 14,7 milioni). Molte più persone bevono, ma il consumo frequente è meno comune. Nel 2022, il bevitore medio ha dichiarato di aver bevuto per 4-5 giorni nel mese precedente, rispetto ai 15-16 giorni nel mese precedente per la cannabis.
Nel 2022, i consumatori di cannabis del mese precedente avevano quasi quattro volte più probabilità di dichiarare un uso quotidiano o quasi quotidiano (42,3% contro 10,9%) e 7,4 volte più probabilità di dichiarare un uso quotidiano (28,2% contro 3,8%).
“Le tendenze a lungo termine nell’uso di cannabis negli Stati Uniti vanno di pari passo con i corrispondenti cambiamenti nella politica sulla cannabis – ha spiegato Jonathan Caulkins, ricercatore della Carnegie Mellon University’s Heinz College di Pittsburgh in “Changes in self-reported cannabis use in the United States from 1979 to 2022” -, con cali durante i periodi di maggiore restrizione e crescita durante i periodi di liberalizzazione delle politiche. Una quota crescente di consumatori di cannabis segnala un uso quotidiano o quasi quotidiano e i loro numeri ora superano il numero di bevitori giornalieri e quasi giornalieri”.
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Nuovi asili nido in arrivo, soprattutto al Sud. Valditara...
40,8 milioni di euro per 64 nuovi asili. Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato ieri un decreto per finanziare le nuove strutture, il tutto nell’ambito del PNRR. Il 55% della cifra, precisa il Ministero, andrà al Mezzogiorno. “Investire negli asili nido è una scelta strategica per il futuro del nostro Paese”, ha spiegato Valditara.
La decisione del ministro si inserisce nel contesto italiano, caratterizzato da poche strutture e costi alle stelle ma in miglioramento.
In crescita i posti per i bambini 0-2 anni
Come riporta Openpolis, infatti, tra il 2021 e il 2022 è cresciuta l’offerta di posti in asili nido e servizi prima infanzia, passata da 28 a 30 posti ogni 100 bambini con meno di 3 anni residenti in Italia. Mancano perciò 3 punti per raggiungere l’obiettivo stabilito nel 2002 dal Consiglio europeo di Barcellona per gli Stati membri per quanto riguarda la diffusione di nidi, servizi e scuole per l’infanzia, ovvero offrire un posto negli asili nido per almeno il 33% di bambini sotto i 3 anni e per il 90% di quelli tra 3 e 5 anni. In seguito, tra l’altro, il Consiglio dell’Ue del febbraio 2021 ha aggiornato l’obiettivo al 45% per la fascia 0-3 anni e al 96% in quella 3-5 anni.
La crescita dei posti è dovuta a un duplice effetto: quello del calo della domanda, causata dalla importante diminuzione delle nascite nel nostro Paese, una tendenza che si osserva ormai da anni, e dall’effettivo aumento dell’offerta.
Aumenta l’offerta ma rimangono forti differenze tra regioni
Quanto al primo aspetto, basti pensare che nel 2022 i residenti in Italia con età compresa tra 0 e 2 anni erano 1,2 milioni, in calo del 9% rispetto al 2019 e del 24% rispetto al 2013, il primo anno considerato da Istat nella serie storica.
Quanto invece al secondo fattore, se è vero che l’offerta è cresciuta va anche sottolineato che i 30 posti a bambino in asili nido e servizi prima infanzia registrati nel 2022 sono la media di situazioni molto diverse tra le regioni italiane, con una carenza di servizi particolarmente accentuata al Sud.
Undici regioni superano l’obiettivo europeo del 33%, dodici se consideriamo il Piemonte a cui manca un soffio (32,7%). Tra queste, Umbria (46,5%), Emilia-Romagna (43,1%) e Valle d’Aosta (43%) sono particolarmente virtuose. Dall’altro lato della classifica troviamo invece tutte le regioni del Sud, con situazioni di particolare carenza in Calabria (15,7%), Sicilia (13,9%) e Campania (13,2%).
Il Piano Asili Nido 2024
In questo contesto si inseriscono le iniziative del governo Meloni, a partire dal nuovo Piano Asili Nido 2024, approvato lo scorso maggio nell’ambito del PNRR (Missione 4 – Istruzione e Ricerca). Obiettivo specifico dell’iniziativa governativa è quello di ridurre i divari territoriali nei servizi per l’infanzia e supportare le famiglie, favorendo inoltre la partecipazione delle donne al mercato del lavoro.
Con un finanziamento di 734,9 milioni di euro, il Piano prevede la realizzazione di 838 nuovi interventi in 845 Comuni beneficiari, che si aggiungono ai 2.228 interventi precedentemente autorizzati. In questo modo, si dovrebbero creare circa 31.600 nuovi posti negli asili nido per bambini di età compresa tra 0 e 2 anni, con il fine ultimo di raggiungere il target finale previsto dal PNRR (150.480 nuovi posti).
Valditara: “Rafforzare i servizi per l’infanzia significa anche dare un sostegno alle famiglie italiane”
In questa direzione vanno anche i 40,8 milioni di euro per 64 nuovi asili stanziati ieri dal ministro Valditara. Che ha chiarito: “Ogni risorsa residua viene immediatamente reinvestita per creare nuovi posti nella fascia 0-2 anni, affinché si migliori l’offerta educativa sin dalla prima infanzia e si garantiscano a tutti i bambini, al di là dei territori di appartenenza, le stesse opportunità. Rafforzare i servizi per l’infanzia significa anche dare un sostegno alle famiglie italiane e in particolare alle mamme lavoratrici. Questa è la direzione di un Governo e di un Ministero che credono nel valore della persona”.