Ecco ‘l’onorevole stress’, da sindrome burnout a chi si sente ‘immune’ dal panico dell’Aula
L'autoironia di Meloni: "Non so da quanti anni sono a Palazzo Chigi ma sono ancora viva". Gasparri: "Io stresso l'ansia..."
Mani sudate, sudori freddi, bocca secca, giramenti di testa, gambe molli. Alzi la mano il deputato o senatore che non ha mai provato una di queste spiacevoli sensazioni prima di una votazione decisiva, una diretta tv o un intervento in Aula. Anche se non figura nei manuali clinici, molti parlamentari soffrono di stress politico. La cosiddetta adrenalina da emiciclo che quando meno te l'aspetti si trasforma in ansia o in veri e propri attacchi di panico, prima o poi, colpisce tutti. O quasi. Secondo le 'testimonianze' raccolte dall'Adnkronos in occasione della 'Giornata mondiale della consapevolezza dello stress', c'è chi, infatti, confessa di avere la sindrome da burnout perché si sente ''limitata'' sui banchi dell'opposizione, come la pentastellata Ida Carmina, in questi giorni alla prese con le tensioni da finanziaria; chi ha deciso di rallentare un po' senza però venir meno ai propri doveri di 'onorevole', dopo aver vissuto sulla sua pelle gli effetti di una super pressione da lavoro ed è finito in ospedale in coma, come il responsabile cultura di Fdi, Federico Mollicone, e chi, invece, assicura di sentirsi affaticato nei momenti clou della 'battaglia parlamentare' ma mai stressato, come il leader dei Verdi Angelo Bonelli (''Se uno lo fosse, svolgendo una funzione delicata, non sarebbe al posto giusto'') e il critico d'arte Vittorio Sgarbi, famoso per i suoi 'sfoghi' televisivi e non: ''Solo chi 'sta fuori gioco', ovvero non sa distinguersi con una posizione ben riconoscibile si fa prendere dall'ansia da prestazione...''.
C'è chi invita a non esagerare perché esistono lavori molto più usuranti, come il dem Federico Fornaro: ''Lo stress appartiene alla vita quotidiana di tutti, dopodiché in miniera ci si stressa sicuramente di più...''. E c'è poi chi la prende con ironia. E' il caso di Giorgia Meloni che è solita scherzare sulle fatiche che la guida di Palazzo Chigi comporta, in barba a uno dei più celebri aforismi di Giulio Andreotti, 'Il potere logora chi non ce l'ha'. Solo mercoledì scorso, ricevendo il neo segretario generale della Nato Mark Rutte, la premier ha risposto al suo ''come va?'', con un "sono ancora viva...". A Bastia Umbria, dove a marzo scorso era arrivata per la firma dell'accordo per lo sviluppo e la coesione con la Regione Umbria, la presidente di Fratelli d'Italia si era soffermata sul lavoro portato avanti dal governo "in questi 14, 15 mesi... quanti sono? Non lo ricordo''.
"Non ricordo più da quanto tempo quanti sono a Palazzo Chigi, a me sembrano 15 anni, ma questa è un'altra storia..", aveva scherzato raccogliendo l'applauso dei presenti. E dal palco di Atreju, per la tradizionale kermesse di Fdi, aveva ironizzato in romanesco con chi la incitava a governare per altri 20 anni: "Raga dai, su, non scherzamo...". Ed è forse anche per via dello stress accumulato in questi due anni che la premier ha dovuto fare i conti con diversi acciacchi, dall'influenza -l'ultima l'ha colpita proprio in questi giorni - a frequenti abbassamenti di voce fino agli otoliti, che l'hanno inchiodata al letto durante le festività natalizie. Dei contraccolpi dello stress sulla salute ne sa qualcosa anche Guido Crosetto, il ministro della Difesa finito in ospedale due volte nell'arco di una manciata di mesi per problemi al cuore.
Gasparri: "Io stresso lo stress"
Altro parlamentare pronto a fare autoironia è un 'decano' del Parlamento, l'attuale capogruppo di Fi al Senato, Maurizio Gasparri: ''Sono stressato, ma io stresso lo stress... Difatti lo stress -sorride- ha indetto la 'Giornata nazionale di Gasparri', perché lo stress è stressato da me...''. Anche Matteo Mauri, deputato Pd ed ex viceministro dell'Interno nel secondo governo Conte, la butta sullo scherzo: ''Io stressato? No, lo sono, o forse sono sempre sotto stress e quindi non so cosa sia...''. Il senatore dem e portavoce a Palazzo Chigi di Matteo Renzi e Paolo Gentiloni, Filippo Sensi, non ha dubbi: ''Lo stress in politica è molto presente, nell'attività parlamentare e non solo". Ci sono "vari tipi di stress nella politica: c'è uno stress da responsabilità di lavoro, uno da burocrazia, ma c'è anche quello legato al sentirsi spesso di non contare nulla e di non fare la differenza nel lavoro quotidiano''. C'è poi, spiega Sensi, ''uno stress, una pressione, di competenza, di affrontare i temi in una maniera che sia sensata. Quindi, purtroppo, è una dimensione molto presente nella vita politica a tutti i livelli, dal Parlamento fino a i consiglieri municipali".
Altro esponente dem, il presidente della Giunta delle elezioni alla Camera Fornaro, racconta le sue personale tensioni dipese per lo più dal continuo spostarsi, in stile globetrotter: ''Lo stress per un parlamentare sono i viaggi, soprattutto se abiti lontano, significa investire molte ore della settimana, sacrificando la famiglia".
Mollicone: "Una volta finii al Gemelli"
Mollicone, presidente della Commissione cultura della Camera, ricorda la sua brutta esperienza di over stress, la sera del 18 gennaio 2022, quando collassò dopo il suo intervento in Aula e lo portarono in codice rosso al Gemelli dove arrivò in pre coma: ''Passai direttamente dall'Aula al Policlinico Gemelli per una sindrome vagale, che probabilmente aveva tra le sue cause lo stress. Stare in Parlamento non è certo lavorare in miniera ma è dimostrato che comunque se vuoi onorare il tuo ruolo -e non tutti lo fanno- lavorare ai nostri ritmi ogni giorno, sia dentro che fuori l'Aula, è certamente stressante. All'attività parlamentare si aggiunge quella istituzionale, di relazione e nel collegio dove sei stato eletto. Io personalmente lavoro spesso 13-14 ore al giorno".
Zangrillo e la sofferenza per i tempi lunghi
Paolo Zangrillo, parlamentare azzurro e ministro della Funzione pubblica, già manager nel privato, confida la sua ansia da performance: ''Provenendo dal privato, lo stress che vivo io è l'eccessiva dilatazione dei tempi tra l'assumere una decisione e poterne riscontrare il risultato''. Avvicinato in un Transatlantico semideserto, Ettore Rosato, vicesegretario di Azione e capogruppo in commissione Esteri alla Camera, scherza: ''Guardando oggi il Transatlantico non noto troppo stress, in generale la rilevanza del Parlamento nei processi decisionali è pari allo stress che si registra: venti anni fa c'era molto stress, oggi non c'è più stress...''. La cinquestelle Carmina ammette di "avere talvolta i sintomi della sindrome da burnout. Stando all'opposizione è chiaro che ci si possa sentire frustrati quando hai tante idee e vorresti cambiare il mondo ma ti senti limitato, quasi con le mani legate. E' come capita in famiglia: vedi che i figli vanno nella direzione sbagliata, vorresti impedire loro di andare a sbattere contro il muro, ma non puoi farci nulla. Certi giorni si prova la stessa sensazione in Aula, ti sembra di andare in burnout. Noi siamo qui per fare il bene dell'Italia non di una parte, ma ti senti frenato''.
Raffaele Nevi, portavoce nazionale di Fi, considera l'ansia come un 'rischio del mestiere': ''Tutti i giorni siamo sotto pressione perché la vita del parlamentare è fatta così. Innanzitutto bisogna distinguere la stress da fatica fisica, che non è il caso nostro, dallo stress psicologico ed emotivo, tipico del tran tran parlamentare. Chi fa politica inevitabilmente è sotto stress, che dipende soprattutto dall'adrenalina di una elezione importante (locale o nazionale che sia), di un voto decisivo, di una diretta tv...".
Sgarbi rivela la sua 'ricetta' anti stress: '' Mi è capitato solo qualche volta di essere un po' sotto pressione ma l'eccitazione del momento, il divertimento, la vis polemica ti fa passare tutto via". Pure giura di essere immune dal panico d'Aula: ''C'è un grande carico di lavoro, spesso sono affaticato, ma lo stress significa non essere lucido, non prendere decisioni giuste, e questo sarebbe un problema". "Se qualcuno fosse stressato, gli consiglierei di prendersi un periodo di pausa per risolvere'', suggerisce il leader dei Verdi che manifesta preoccupazione per chi vive fuori dal palazzo, sempre più stressato, dalle mille difficoltà quotidiane: ''Quello che vedo oggi, essendo un frequentatore assiduo di mezzi pubblici, sono persone che hanno problemi seri. Lo vedo anche tra i giovani, parlavo con uno psicologo e mi ha detto che c'è un forte uso di psicofarmaci tra i giovani legati alla competizione, allo stress, alle aspettative sociali. Dobbiamo lavorare per rendere un po' più umana la società'', avverte Bonelli, seduto sul divanetto del Transatlantico della Camera, convinto che 'l'onorevole stress' non è certo una malattia di cui preoccuparsi.
Politica
Meloni alle prese con nodo canone, Lega vuole taglio ma...
Salvini non rinuncia a cavallo di battaglia, Tajani: "Non è nel programma di governo". Fratelli d'Italia: Evitare strappi
Continua il muro contro muro tra Lega e Forza Italia sul canone Rai. Oggi, nel silenzio di Giorgia Meloni, si è consumato un nuovo duello a distanza tra alleati. "La proposta del Carroccio non fa parte del programma di governo del centrodestra e quindi non la condividiamo", taglia corto da Pechino Antonio Tajani. Secca la replica a stretto giro del partito di via Bellerio per bocca della deputata Elena Maccanti, membro della Vigilanza Rai: "Sorprendono le parole di Tajani, anche perché si tratta di confermare una misura approvata, nella manovra dell'anno scorso, anche con i voti di Fi".
In Transatlantico, a Montecitorio, girano due versioni sullo stato dei rapporti all'interno della coalizione. C'è chi sostiene che Giorgia Meloni abbia lasciato fare Matteo Salvini, quando quest'ultimo ha deciso di far presentare ai suoi l'emendamento ad hoc al decreto fiscale sul taglio a 70 euro del canone Rai. Una mossa, quella della premier, per capire l'effetto che fa, ma anche per non creare frizioni ora con l'alleato, su un tema considerato dal Carroccio un cavallo di battaglia elettorale e non solo. C'è chi, invece, ritiene - e secondo i boatos, la maggioranza nel centrodestra la penserebbe così - che Salvini voglia andare fino in fondo su un tema prioritario per lui. Insomma, il suo puntare i piedi sarebbe una sorta di clava da agitare per alzare il prezzo. Da qui la scelta di presentare un emendamento nonostante i dubbi di Fratelli d'Italia e il secco no di Forza Italia.
In casa Lega non vogliono sentire ragioni. "Penso che la Rai più che spendere troppo spende male, il nostro obiettivo è di diminuire le tasse agli italiani e quindi proseguiremo su questa strada", la posizione espressa dal sottosegretario alla presidenza del Consiglio e senatore Alessandro Morelli, fedelissimo di Salvini. Ma gli azzurri non ci stanno e mantengono il punto. Per il partito di Silvio Berlusconi, raccontano fonti autorevoli, "è una follia pensare di farsi finanziare dagli italiani il taglio del canone da 90 a 70 euro come è successo l'anno scorso". Nel 2023, infatti, fanno notare le stesse fonti, i 420 milioni di euro che non sono stati recuperati dalle bollette sono stati prelevati dalla fiscalità generale e "questo non deve ripetersi".
Alessandro Cattaneo, responsabile nazionale dei Dipartimenti di settore di Forza Italia, sottolinea: "La domanda di fondo dovrebbe essere se e come manteniamo un presidio pubblico nel comparto televisivo. La nostra risposta è che questo presidio, al pari di altri Paesi, compreso il Regno Unito con la Bbc, è opportuno mantenerlo e quindi, di pari passo, va conservato un finanziamento congruo che oggi ritengo adeguato con un canone a 90 euro".
Da Fratelli d'Italia viene accolta con freddezza la richiesta leghista di tagliare ulteriormente il canone. "Questo taglio non è una nostra priorità, ora bisogna trovare una sintesi in maggioranza, evitando strappi senza senso", dice all'Adnkronos il senatore di Fdi Raffaele Speranzon, membro della Vigilanza Rai e vicepresidente vicario del gruppo di Fratelli d'Italia a palazzo Madama. "La proposta della manovra - aggiunge Speranzon, a proposito della legge di bilancio - è arrivata dal governo, immagino che al di là delle dichiarazioni fatte attraverso i media, il Consiglio dei ministri nella sua interezza abbia già definito in modo coeso le linee guida principali che riguardano la manovra. Ora, se c'è qualche aggiustamento da fare lo farà il Parlamento".
Politica
Trump presidente, Schlein: “Brutta notizia per Italia...
La segretaria del Pd: "Chi festeggia smetterà presto per effetto dazi"
Una "brutta notizia", certo. "Per l'Europa e per l'Italia", dice Elly Schlein. Ma il voto americano e la vittoria di Donald Trump nelle elezioni Usa 2024 vengono letti anche come un avvertimento dai dem italiani. Perchè quello che è considerato il 'campione' del sovranismo, del populismo, del sessismo ha stravinto stanotte negli Usa. Nonostante i processi, l'assalto a Capitol Hill, nonostante una campagna oltre ogni limite del politicamente 'scorretto'. Ed è un dato che impone un riflessione, oltre che la reazione a spingere per un'Europa più forte.
A partire dagli "investimenti comuni" e da "una propria autonomia strategica" a livello geopolitico, argomenta Schlein che lega Giorgia Meloni, la presidente premiata da Elon Musk, al trumpismo: "Quello che vediamo non è molto diverso da quello che già stiamo vedendo con l'estrema destra al governo in questo Paese". Schlein mette in guardia chi oggi esulta per la vittoria del tycoon, come Matteo Salvini: "Chi oggi lo festeggia per ragioni di bandiera smetterà presto quando gli effetti di una nuova politica protezionistica colpiranno le imprese e in lavoratori in Europa e anche qui nel nostro Paese".
Per la segretaria del Pd l'unica reazione possibile è rafforzare l'Ue, di cui la presidenza Trump potrebbe mettere a rischio una tenuta già minata - è la preoccupazione dem - dalle spinte sovraniste di Orban e delle destre crescenti. "Serve uno slancio forte dell'Unione europea, in modo coeso, in modo unito, che rimetta al centro una politica di investimenti comuni - dice Schlein - come è stata quello del Next generation Eu, in grado di generare una vera politica industriale europea, che possa guidare l'innovazione e anche la conversione ecologica perché chi ha vinto negli Stati Uniti nega apertamente l'emergenza climatica".
Insomma, un modello alternativo. "Noi speravamo che andasse in un altro modo perché non ci riconosciamo, né mai ci riconosceremo, in una idea di società dove i miliardari, che ieri festeggiavano chiusi in una stanza con Trump, si ergono a paladini del ceto medio che si è impoverito quando sono loro stessi quelli che si sono arricchiti sfruttando il lavoro. Noi continuiamo ostinatamente a costruire un'alternativa a questa idea di società qui in Italia".
L'ex-commissario Paolo Gentiloni va dritto al punto: "L'America ha scelto Donald Trump. Ora molto dipenderà dall'Europa. Deve essere più unita e più forte". Perchè, come sottolinea Stefano Bonaccini, per l'Ue "si aprono scenari di grande incertezza, di fronte a una nuova autarchia americana, con Trump che ci ha indicato come avversari. Ma è proprio nei momenti più difficili che servono lucidità e determinazione. Verrebbe da dire: non sia la volta buona che ci si svegli, comprendendo che serve una Europa con politiche economiche, fiscali, sociali e di difesa comuni". Lo ribadisce anche Dario Nardella: ora "il sogno di David Sassoli diventa un imperativo.L'Europa deve darsi una vera politica estera e dotarsi di una vera difesa comune".
Ma quanto accaduto negli Usa impone anche una riflessione: "Non si può rispondere sventolando il vessillo di un populismo di sinistra", sottolinea Pina Picierno, vicepresidente del Parlamento Ue alludendo ad altre reazioni nel campo progressista italiano. Per Debora Serracchiani "a noi sta imparare la lezione o ignorarla, continuare a coltivare l'orto sicuro delle nostre certezze valoriali o fare i conti con le asprezze, le incertezze e i bisogni di persone in carne e ossa che misurano i soldi, cui dell'Europa, della Russia o della Cina importa poco o nulla". La "sberla", come la definisce, di Trump impone un cambio di passo: "Oggi possiamo decidere di diventare rapidamente adulti, affrontare i temi scomodi che muovono le masse, offrire una proposta alternativa e convincente. Oppure possiamo rassegnarci pensosamente ad accompagnare un declino delle democrazie occidentali il cui sentiero sembra già tracciato".
Politica
Il governo guarda a Trump: ora Italia più forte in Ue, su...
Rapporto privilegiato Meloni-Musk possibile 'ponte' per ruolo chiave in Europa
Da una parte c'è il partito, Fratelli d'Italia, e l'entusiasmo di una destra che ha la meglio sulla sinistra "in barba ai pronostici", dall'altra c'è il governo, che si tiene alla larga da 'tifoserie', e che per ora sta alla finestra, "con il faro dell'interesse nazionale da tutelare". Mentre Matteo Salvini cavalca la vittoria lampo di Donald Trump e marca le distanza - "penso che altri, anche nel centrodestra, la pensassero in maniera diversa", si affretta a dichiarare il leader della Lega di buon mattino - l'aria che si respira a Palazzo Chigi è di attesa, aspettando di capire l'America che verrà quando The Donald farà ritorno alla Casa Bianca. Con una convinzione tuttavia di segno positivo: "Da questo voto l'Italia esce rafforzata in Europa. Meloni aveva già cercato convergenza con gli Usa a guida dem e aveva centrato l'obiettivo, ora alla Casa Bianca arriverà un Presidente della stessa 'famiglia' politica", quella dei conservatori.
Il rapporto privilegiato Meloni-Musk
"Italia e Stati Uniti sono Nazioni 'sorelle', legate da un’alleanza incrollabile, valori comuni e una storica amicizia. È un legame strategico, che sono certa ora rafforzeremo ancora di più. Buon lavoro Presidente", scrive Giorgia Meloni diretta al tycoon, affidando le sue congratulazioni e quelle del governo italiano a X, la piattaforma di Elon Musk, pedina fondamentale nella campagna elettorale del Presidente repubblicano, per lui un ruolo chiave nella nuova amministrazione che si insedierà a gennaio. Tra la premier italiana e il patron di Tesla, SpaceX e Starlink, oltre che di X, i rapporti sono eccellenti, elemento non secondario ora che Trump si appresta a tornare alla guida degli States.
Solo a settembre scorso era stata Meloni a volere che fosse l'uomo più ricco del mondo a consegnarle a New York il prestigioso 'Global Citizen Award' dell’Atlantic Council, una scelta che in molti, a torto o ragione, avevano inquadrato in una strategia di avvicinamento della presidente del Consiglio al fronte repubblicano. Entrambi abituati a remare controcorrente, un passato comune da 'underdog' in grado di rovesciare i pronostici, tra i due si trattava in realtà del terzo incontro, dopo il primo a Palazzo Chigi e quello, altrettanto 'chiacchierato', sul palco di Atreju. Non ci sono conferme di contatti tra la premier e Musk in giornata, "difficile", viene spiegato, viste le ore concitate vissute dal numero uno di Tesla e la brutta influenza che ha costretto Meloni a casa. Ma oggi in molti vedono nell'imprenditore sudafricano, naturalizzato statunitense, il 'ponte' tra Roma e Washington, l'uomo chiave per gettare le basi di un rapporto privilegiato che potrebbe fare di Meloni l'interlocutore di riferimento di Trump in Europa, accanto a quel Viktor Orbàn da sempre schierato dalla parte del candidato repubblicano.
Il faro resta l'interesse nazionale
"In realtà - si dice convinto chi è vicino alla premier - lei non ha bisogno di biglietti di presentazione, perché è capace di entrare in empatia con chiunque e lo ha dimostrato in questi due anni: da Von der Leyen a Biden, senza dimenticare che è con un socialista, Edi Rama, che ha firmato il tanto contestato Memorandum con l'Albania. E Draghi? Meloni era l'unica che l'ex premier aveva contro, eppure con lei aveva il rapporto migliore e più franco". Anche con Trump, è la convinzione, "andrà allo stesso modo, tanto più che si fa riferimento alla stessa famiglia, agli stessi valori, quelli dei conservatori". Ma il "faro" del governo, viene rimarcato da più voci, resta quello "dell'interesse nazionale", che Meloni è pronta a far valere "al netto dell'interlocutore che ha davanti, perché è il ruolo che le compete".
L'incognita Ucraina
Una precisazione che rimbalza da più fronti, alimentata probabilmente dai 'fantasmi' che accompagnano l'ascesa di Trump alla Casa Bianca. Primo tra gli altri il timore di un'inversione di rotta sul conflitto in Ucraina, ma anche di un ritorno alla politica trumpiana dei dazi e di paletti più stringenti nell'impegno degli alleati sul bilancio della Nato. Sul primo e ultimo grattacapo proprio ieri, nel corso delle dichiarazioni alla stampa con il segretario generale della Nato Mark Rutte a poche ore dal Super Tuesday, Meloni ha ribadito l'incrollabile sostegno a Kiev, nonché il ruolo dell'Italia, "leader nella Nato per qualità e quantità d'azione", nell'Alleanza.
Lo spettro dei dazi
Quanto alla questione del protezionismo a 'stelle e strisce', è stato il sottosegretario alla presidenza Giovanbattista Fazzolari a mal celare la preoccupazione in seno al governo: "Speriamo di no, è presto per dirlo...", la sua stringata dichiarazione a Fanpage. E anche il ministro agli Affari esteri e leader di Fi Antonio Tajani ha espresso l'auspicio "che non ci siano scelte che penalizzino le esportazioni del nostro Paese, perché l'export rappresenta il 40% del Pil, quindi mi auguro che possano esserci posizioni di apertura per i prodotti italiani che dobbiamo esportare anche verso il mercato americano''. Due indizi che fanno una prova. Segno che, al netto della vittoria della destra americana, qualche timore che agita il governo italiano per l'America che verrà c'è. Ma chi ha sentito Meloni in queste ultime ore mostra ottimismo. "Si cercherà una sintesi su tutto - viene spiegato - e il fatto di avere di fronte un interlocutore della tua 'famiglia' politica, con una matrice di battaglie e valori comuni sicuramente è un valore aggiunto non da poco".