Australia, divieto social per gli under 16. L’esperto: “In Italia sarebbe indice di civiltà”
L’Australia introdurrà limiti di età per l’uso dei social media e la notizia ha già creato un dibattito internazionale.
La polemica sull’argomento si è amplificata nel Paese dopo la morte di una studentessa, Ella Catley-Crawford, di Brisbane, vittima giovanissima di cyberbullismo che a maggio si è tolta la vita e, secondo alcuni esponenti di governo, sarebbe solo la punta di iceberg molto più grande. Il primo ministro australiano Anthony Albanese ha sostenuto che il divieto dei social sotto i 16 anni sarà legge “entro la fine dell’anno”, poiché il partito laburista sostiene con fermezza che questo “limite nasce per proteggere i bambini dai pericoli online”.
E in Italia si parla già di “Scuole smartphone free” e una petizione, con oltre 70mila firme, chiede il divieto di cellulari sotto i 14 anni e dei social sotto i 16. Secondo il pedagogista Daniele Novara, oltre che essere un bene per la salute dei giovani, sarebbe un grande “gesto di civiltà per il nostro Paese”.
Australia e social: verso il divieto
Le piattaforme social prevedono già limiti di età fissate tra i 13 e i 14 anni. Il problema, secondo le famiglie, i genitori e gli esperti, è che non mettono in pratica i dovuti controlli per assicurarsi che non si iscrivano ragazzi più piccoli. È per questo motivo che il premier australiano, entro la fine dell’anno, ha previsto l’introduzione di una legge per aumentare il limite di età a 16 anni. L’Australia, in questo modo, diverrebbe uno tra i primi Paesi al mondo a imporre un’età minima per l’uso dei social media.
In una riunione straordinaria del governo nazionale, Albanese chiederà ai rappresentanti regionali di sostenere la proposta approvata dal suo governo. Ma non è solo una scelta politica, perché, come riporta l’Herald Sun, gli esperti che studiano la legge sostengono che il piano del governo di imporre limiti di età sui social media ha fondamenta scientifiche.
Quali rischi corrono gli adolescenti con i social?
Il dottor Simon Wilksch, ricercatore senior in psicologia presso la Flinders University, ha affermato al quotidiano australiano che il suo lavoro con i giovani di età compresa tra 11 e 13 anni ha dimostrato un legame tra i disturbi alimentari e la quantità di tempo che trascorrono sui social media: “L’inizio e la metà dell’adolescenza sono periodi in cui il cervello cerca ricompense sociali, in cui aumenta la sensibilità all’attenzione e all’approvazione degli altri”.
E le sue tesi sono supportate dalla professoressa neuroscienziata Selena Bartlett della Queensland University of Technology, secondo la quale, il cervello degli adolescenti è vulnerabile perché si trova in “un periodo di neuroplasticità”. “Il cervello del bambino è aperto all’impulsività e alla scarsa capacità decisionale, ovvero alla dipendenza. Il cervello non è completamente sviluppato fino ai 22 anni per le ragazze e ai 25 per i ragazzi”.
Anche uno studio globale pubblicato su Lancet Psychiatry ha scoperto che gli indicatori della salute mentale dei giovani sono diminuiti in tutto il mondo negli ultimi due decenni e che l’età di massima insorgenza delle malattie mentali è proprio 15 anni.
La reazione alla notizia
Se c’è chi da un lato accoglie la notizia con entusiasmo, meno felici sembrano essere i gestori di queste piattaforme. In primis, il danno è d’immagine, perché sostenere che non si fa a sufficienza per tutelare i minori, oltre che un reato perseguibile, sarebbe un grande colpo di reputazione. Ma è anche una questione di applicabilità delle norme.
Meta, società di Facebook e Instagram, ha dichiarato che avrebbe collaborato con il governo australiano nel processo di consultazione alla formazione della norma. Lo scorso settembre, Antigone Davis, vicepresidente globale per la sicurezza dell’azienda, ha dichiarato a una commissione parlamentare che gli utenti di tecnologia di età inferiore ai 16 anni dovrebbero avere bisogno dell’approvazione dei genitori prima di scaricare le app. Altre piattaforme, invece, sostengono di avere già limiti di questo tipo e che faranno il possibile per mediare i contenuti al proprio interno anche per le fasce minime di età consentita.
Per quanto riguarda i limiti negli altri Paesi, dagli Stati Uniti, alla Corea del Sud, passando per India e Brasile, già sono in vigore per gli adolescenti o si sta altrettanto pianificando di introdurre regole simili.
L’Unione europea si è espressa in passato, con la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen che ha sostenuto che alcune di queste piattaforme rischiano di creare depressione e ansia. Una conseguenza è la decisione di sette famiglie francesi che hanno provveduto per vie legali contro TikTok perché, secondo loro, “non farebbe abbastanza per moderare i contenuti, amplificando il dolore dei figli”.
“Smartphone free” in Italia
In Italia, una petizione, a firma di pedagogisti e psicoterapeuti e presentata al governo, chiede esattamente un divieto degli smartphone sotto i 14 anni e e dei social sotto i 16. “La notizia che arriva dall’Australia – ha commentato Daniele Novara, pedagogista e ideatore della petizione in Italia – è sicuramente positiva, è anche una delle richieste presenti nell’appello ‘Stop smartphone e social sotti i 14 e 16 anni’ indirizzato al governo italiano”.
Secondo l’esperto, infatti, le “piattaforme devono avere l’obbligo di controllare l’età dei loro utenti e i governi devono agire perché questa legge venga rispettata. Il controllo non può essere delegato totalmente ai genitori che devono concentrarsi sull’educazione e non sulle procedure di vigilanza. I genitori oggi sono lasciati soli, come se la crescita delle nuove generazioni fosse un problema solo loro e non dell’intera comunità. Quindi guardo con estremo interesse quello che sta succedendo nel mondo. L’Australia si sta facendo capofila di un movimento internazionale su cui l’Italia assolutamente non dovrebbe risultare una retroguardia, ma un’avanguardia”.
E ha concluso: “Certo il nostro appello, che ha raccolto 70.000, punta anche al divieto di utilizzo di smartphone sotto i 14 anni, cosa che garantirebbe davvero alle nuove generazioni di evitare che il loro cervello entri in uno stato osmotico con i vari device. Gli smartphone sono capaci di attaccarsi alle aree dopaminergiche neuro-cerebrali impedendo ai bambini, alle bambine, ai ragazzi e le ragazze di fare una vita normale fatta di relazioni, di gioco, di spazi aperti. Non possiamo rimanere immobili di fronte a una generazione che rischia di isolarsi nelle camerette in una condizione di gravissimo rischio psico-evolutivo. Rischio abbondantemente segnalato da tutti gli indicatori psichiatrici e sociologici”.
Ma non è solo una questione di salute per i giovani, per Novara è proprio “un indice di civiltà. Ricordiamoci che siamo il Paese che per primo ha abrogato nel mondo le classi differenziali e i manicomi, due leggi a tutela delle fasce più deboli e fragili della nostra società. Ora si pone un problema simile e mi auguro che la politica, che già ha dato segnali di interesse, passi al più presto dalle parole ai fatti, con norme chiare che non lascino il cerino per l’ennesima volta in mano ai genitori”.
E le opinioni del pedagogista trovano il ministro dell’Istruzione italiano d’accordo. Infatti, secondo Valditara bisognerebbe “che i giovani prendano una pausa, almeno a scuola, dallo smartphone per fare in modo che non maturino una dipendenza”.
“Facciamo che le scuole siano ambienti smartphone free. Molti Paesi hanno già avviato un percorso di contenimento dell’utilizzo in particolare per i ragazzi delle scuole primarie e secondarie di primo grado, come abbiamo fatto noi”. Ma si può fare di più: “vietare l’accesso ai social ai minori di 15 anni – sostiene Valditara -. Esiste già una direttiva europea che interviene su questo settore, ora bisogna arrivare al riconoscimento dell’utente”. Dell’uso degli smartphone a scuola e dei social sotto una certa età, si discuterà il 25 novembre a Bruxelles.
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Gravidanza e bellezza: i rischi nascosti di smalti e trucco
Attenzione all’uso di smalti per le unghie, trucco, se siete in gravidanza. Potreste aumentare l’esposizione a sostanze chimiche tossiche, con tutte le conseguenze per la salute vostra e del vostro bambino. Una ricerca della Brown University School of Public Health, la scuola di salute pubblica della Brown University, un’università di ricerca privata nel Rhode Island (USA), ha infatti trovato una correlazione tra l’uso di prodotti per la cura della persona (PCP) e le concentrazioni di PFAS nelle donne in gravidanza o in allattamento.
In sostanza, più prodotti per l’igiene personale si usano, più si rischia di accumulare alti livelli di sostanze perfluoroalchiliche e polifluoroalchiliche, PFAS appunto, nel plasma sanguigno e nel latte materno.
Cosa sono i PFAS, onnipresenti e dannosi per la salute
I PFAS sono sostanze chimiche sintetiche utilizzate fin dagli anni ’50 nei prodotti di consumo e in contesti industriali, grazie alla loro capacità di resistere a olio, acqua e calore. Il lato negativo è che sono stati associati a una tutta una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui malattie epatiche, problemi cardiometabolici e cardiovascolari e vari tipi di cancro. Inoltre, possono contribuire a esiti avversi alla nascita, come il calo del peso alla nascita, il parto pretermine, alcuni disturbi dello sviluppo neurologico e una ridotta risposta ai vaccini nei bambini. Effetti in parte dovuti al trasferimento dei PFAS attraverso la placenta e il latte materno, che facilita l’esposizione durante la gestazione e l’infanzia.
I PFAS sono persistenti nell’ambiente, onnipresenti e, sottolinea lo studio, rilevabili in quasi il 100% dei canadesi – la ricerca ha riguardato il Paese nordamericano, ma certamente il problema ci riguarda tutti. Ognuno di noi entra in contatto con i PFAS ingerendo cibo contaminato, bevendo anche semplice acqua, o attraverso gli imballaggi alimentari, le pentole, i mobili e PCP come trucco, prodotti per capelli e smalto per unghie.
Occorre sottolineare che i PFAS continuano a essere prodotti a livelli elevati a livello globale, con volumi annuali superiori a 230mila tonnellate di fluoropolimeri e 46mila tonnellate di acidi perfluoroalchilici. “Sebbene i PFAS siano onnipresenti nell’ambiente, il nostro studio indica che i prodotti per la cura della persona sono una fonte modificabile di PFAS“, ha affermato l’autrice dello studio Amber Hall, ricercatrice associata post-dottorato in epidemiologia presso la Brown University School of Public Health. Per modificabile si intende che si può ridurre l’esposizione limitando l’uso dei prodotti a rischio.
L’uso di trucco, smalti e tinture aumenta i livelli di PFAS nel corpo
L’analisi della Brown University School of Public Health, recentemente pubblicata su Environment International, ha utilizzato i dati del Maternal-Infant Research on Environmental Chemicals Study, che ha esaminato solo quattro tipi di PFAS tra i migliaia utilizzati nell’industria e nel commercio, e che dunque probabilmente sottostima l’entità del problema. La ricerca ha coinvolto 2001 donne incinte in 10 città del Canada tra il 2008 e il 2011.
L’effetto dei prodotti per la cura delle persone sui livelli di PFAS è stato analizzato nel plasma prenatale (da sei a 13 settimane di gestazione) e nel latte materno (da due a 10 settimane dopo il parto). Le partecipanti dovevano riferire la frequenza di utilizzo di otto categorie di prodotti in tre momenti: durante il primo e il terzo trimestre di gravidanza, da uno a due giorni dopo il parto e da due a dieci settimane dopo il parto.
I risultati dimostrano che nelle donne incinte al primo trimestre, un uso maggiore di prodotti per la cura delle unghie, profumi, trucco, tinture per capelli e lacche o gel per capelli era associato a concentrazioni plasmatiche di PFAS, PFOA, PFOS e PFHxS più elevate. Risultati simili sono stati osservati per l’uso di prodotti per la cura personale nel terzo trimestre e per le concentrazioni di PFAS nel latte materno da due a 10 settimane dopo il parto.
Ancora, le partecipanti che si truccavano ogni giorno nel primo e nel terzo trimestre avevano concentrazioni di PFAS nel plasma e nel latte materno rispettivamente del 14% e del 17% più elevate rispetto alle persone che non lo facevano ogni giorno.
Inoltre, i ricercatori hanno scoperto che chi usava tinture colorate permanenti uno o due giorni dopo il parto aveva livelli di PFAS più elevati (16%-18%) rispetto a chi non le utilizzava mai nelle concentrazioni del latte materno. In generale, un maggiore utilizzo di PCP è stato associato a livelli più elevati di PFOS, PFOA, PFNA e PFHxS nel post-partum.
Risultati allarmanti, che possono servire, si augurano i ricercatori, per stabilire una regolamentazione dei PFAS e, più nel piccolo, a guidare le scelte individuali in modo da ridurre l’esposizione a queste sostanze tossiche laddove possibile.
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Eduscopio 2024, quali sono le migliori scuole in Italia?...
È stata pubblicata la nuova edizione di Eduscopio 2024, il rapporto della Fondazione Agnelli che fornisce una guida completa per orientare studenti e famiglie nella scelta delle scuole superiori. Questo strumento di analisi si basa su un database che raccoglie i dati di oltre 1,3 milioni di diplomati provenienti da più di 7.000 scuole in tutta Italia, offrendo una panoramica dettagliata delle istituzioni scolastiche che preparano meglio gli studenti per l’università e il mondo del lavoro.
Le migliori scuole città per città: la classifica
Milano
- Miglior Liceo Classico: Sacro Cuore
- Miglior Liceo Scientifico: Alessandro Volta
- Miglior Liceo Linguistico: Civico Manzoni
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Gino Zappa
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Galvani
Roma
- Miglior Liceo Classico: Ennio Quirino Visconti
- Miglior Liceo Scientifico: Augusto Righi
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Antonio Labriola
- Miglior Liceo Linguistico: Edoardo Amaldi
- Miglior Liceo Scienze Umane: Margherita di Savoia
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Cristoforo Colombo
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Boaga
Torino
- Miglior Liceo Classico: Vincenzo Gioberti
- Miglior Liceo Scientifico: Altiero Spinelli
- Miglior Liceo Linguistico: Altiero Spinelli
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Bosso – Monti
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Santorre di Santarosa
Bologna
- Miglior Liceo Classico: Luigi Galvani
- Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Copernico
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Enrico Fermi
- Miglior Liceo Linguistico: Niccolò Copernico
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Crescenzi-Pacinotti-Sirani
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Arrigo Serpieri
Napoli
- Miglior Liceo Classico: Convitto Vittorio Emanuele II
- Miglior Liceo Scientifico: Convitto Vittorio Emanuele II
- Miglior Liceo Scientifico – Scienze Applicate: Eleonora Pimentel Fonseca
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Francesco Saverio Nitti
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Della Porta-Porzio
Firenze
- Miglior Liceo Classico: Galileo Galilei
- Miglior Liceo Scientifico: Niccolò Machiavelli
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Russell – Newton
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Morante-Ginori Conti
Palermo
- Miglior Liceo Classico: Umberto I
- Miglior Liceo Scientifico: Galileo Galilei
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Giovanni Falcone
- Miglior Istituto Tecnico Tecnologico: Giovanni Verga
Catania
- Miglior Liceo Classico: Marco Polo
- Miglior Liceo Scientifico: Galilei
- Miglior Istituto Tecnico Economico: Ferraris
Bari
- Miglior Liceo Classico: Aristotele
- Miglior Liceo Scientifico: Fermi
- Miglior Istituto Tecnico Economico: De Viti De Marco
Novità dell’edizione 2024
Quest’anno, per la prima volta, Eduscopio ha analizzato separatamente le prestazioni dei diplomati degli indirizzi scientifici sportivi. Questa scelta risponde all’aumento di popolarità di questi percorsi, che combinano l’approfondimento delle discipline scientifiche con la preparazione fisico-sportiva.
Dopo la scuola, tra università e lavoro
L’edizione 2024 riflette ancora le conseguenze della pandemia per i diplomati del 2020-2021. Secondo il rapporto, molti studenti hanno incontrato difficoltà nell’adattarsi alla didattica universitaria, con una lieve riduzione del numero di esami sostenuti e della media dei voti.
La buona notizia arriva dagli istituti tecnici e professionali: il tasso di occupazione per i diplomati di questi percorsi sta tornando ai livelli pre-pandemia. Questo dato conferma la crescente domanda di profili tecnici nel mercato del lavoro, soprattutto nei settori tecnologici e manifatturieri.
Come viene stilata la classifica Eduscopio
L’analisi di Eduscopio si basa su criteri rigorosi e oggettivi che tengono conto di due macro-aree:
- Prestazioni accademiche degli studenti universitari, valutate sulla base del numero di esami sostenuti e della media dei voti;
- Occupabilità dei diplomati negli istituti tecnici e professionali, calcolata in termini di percentuale di studenti occupati a due anni dal diploma.
Questo approccio permette di identificare le scuole non solo in base alla preparazione accademica ma anche in relazione alla capacità di inserirsi rapidamente nel mondo del lavoro.
Cosa significa Eduscopio per studenti e famiglie
Con l’avvicinarsi del periodo delle iscrizioni scolastiche, Eduscopio rappresenta una risorsa fondamentale per orientarsi tra le molteplici opzioni disponibili. Scegliere la scuola giusta non significa solo optare per il percorso formativo più adatto alle inclinazioni dello studente, ma anche garantire una preparazione che risponda alle esigenze future del mercato del lavoro.
L’analisi evidenzia forti disparità regionali. Le scuole delle città settentrionali, in particolare quelle di Milano e Bologna, continuano a distinguersi per eccellenza accademica e occupazionale, mentre nel Sud Italia permangono difficoltà strutturali legate alla carenza di risorse e infrastrutture scolastiche. Tuttavia, alcune città meridionali, come Napoli e Bari, stanno emergendo con scuole in grado di competere con quelle del Centro-Nord, dimostrando come l’impegno di studenti e docenti possa fare la differenza. Il Politecnico del capoluogo pugliese, inoltre, è il primo in Italia per assunzioni entro un anno dalla laurea.
Consigli per sfruttare al meglio Eduscopio
Per le famiglie che devono scegliere la scuola superiore, è importante:
- Considerare i propri obiettivi: se l’intenzione è proseguire con l’università, privilegiare scuole con buoni risultati accademici. Per chi vuole entrare nel mondo del lavoro subito dopo il diploma, preferire istituti tecnici e professionali con alti tassi di occupazione;
- Confrontare le opzioni locali: Eduscopio consente di filtrare i risultati per area geografica, permettendo di scegliere scuole vicine e accessibili;
- Valutare i trend futuri: il mercato del lavoro evolve rapidamente, ed è utile considerare percorsi che offrono competenze richieste in settori emergenti, come la tecnologia e la sostenibilità.
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Femminicidio, uccise 96 donne nel 2023. Valditara: “Mai...
I femminicidi stimati in Italia sono pari a circa l’82% del totale delle donne uccise. È quanto emerso dal report Istat “Le vittime di omicidio anno 2023” che ha preso in considerazione, in base al framework delle Nazioni Unite al quale l’Italia ha aderito, la definizione di femminicidio come l’omicidio che riguarda l’uccisione di una donna in quanto donna.
Dalle informazioni al momento disponibili (relazione tra vittima e autore, movente, ambito dell’omicidio) è stata elaborata una stima del fenomeno che, per molti, smentirebbe le parole del ministro all’Istruzione Giuseppe Valditara.
All’inaugurazione della Fondazione Giulia Cecchettin alla Camera dei deputati, in un videomessaggio, il ministro aveva citato il fenomeno dell’immigrazione illegale tra le cause della violenza sessuale: “È legato anche a forme di marginalità e di devianza in qualche modo discendenti da una immigrazione illegale”. Parole che hanno creato polemica in quanto, sempre secondo il report Istat, il 94,3% delle donne italiane uccide per motivi sentimentali è vittima di italiani. Scopriamo, quindi, la dimensione del fenomeno in Italia e come il ministro ha chiarito il fraintendimento che si è generato in seguito alle sue parole.
Femminicidi e omicidi in Italia
Secondo quanto emerso dal report, “sono 63 le donne uccise nell’ambito della coppia, dal partner o ex partner; sono 31 le donne uccise da un altro parente; due le donne uccise da un conoscente con movente passionale. In totale si tratta di 96 femminicidi presunti su 117 omicidi con una vittima donna. Nel 2019, erano 101 su 111, nel 2020 erano 106 su 116, nel 2021 104 su 119, nel 2022 105 femminicidi presunti su 126 omicidi”.
“Tra le restanti 21 vittime donne: quattro sono state uccise per rapine, una per follia, tre per interessi economici o debiti, sei per futili motivi, liti o rancori da conoscenti e sconosciuti, una per motivi legati agli stupefacenti ed una per regolamento di conti nell’ambito mafioso, mentre per cinque non è stato stabilito il movente e di queste tre non hanno un autore identificato – si osserva nel report dell’Istat – Di questi 21 casi, 15 omicidi sono stati perpetrati da uomini, uno da una donna conoscente e per quattro non si conosce il sesso dell’autore, in quanto si tratta di casi di omicidio non risolti”.
“Sono i partner a compiere omicidi”
Per le donne si conferma un quadro stabile in cui le morti violente avvengono soprattutto nell’ambito della coppia. Nel 2023 è pari allo 0,21 per 100mila donne il tasso delle donne uccise da un partner o un ex partner – sia esso un coniuge, un convivente o un fidanzato o un amante – del tutto simile a quello del 2022 (0,20). Mentre per gli uomini, lo stesso tasso è pari a 0,02 per 100mila uomini”.
“In particolare – continua il report Istat – sono i partner con cui la donna ha una relazione al momento della morte (coniugi, conviventi, fidanzati) a compiere il maggior numero degli omicidi nella coppia (il 41%), mentre sono il 12,8% gli ex partner (ex coniugi, ex conviventi, ex fidanzati). Il rischio di essere uccise da un partner non si differenzia a seconda delle età (a partire dai 18 anni)”. “Sessantuno sono i partner maschi (96,8%) delle 63 donne uccise nell’ambito della coppia, mentre i sei uomini vittime di partner sono stati uccisi tutti da donne”, continua il report.
“Le donne italiane vengono uccise dai partner, attuali o precedenti, nel 51,5% dei casi, le straniere nel 68,7% – prosegue – Risulta lievemente in diminuzione il tasso delle donne uccise da parenti (0,10 nel 2023; 0,14 nel 2022). Le donne uccise da altri familiari (31) sono state uccise da uomini nell’83,8% (26 casi) e da donne in cinque casi. Sono 40 gli uomini uccisi dai parenti, 37 dei quali sono stati assassinati da altri uomini”.
La polemica
I dati Istat riportano anche la nazionalità d’origine degli assassini e arrivano in seguito alle polemiche nate dalle parole del ministro Valditara che – nel videomessaggio – ha dichiarato che tra le cause della violenza contro le donne ci sarebbe anche l’immigrazione illegale. Un’affermazione, questa, che ha destato qualche perplessità nell’opinione pubblica, anche alla luce di quel “94,3% delle donne italiane è vittima di italiani” riportato dall’Istituto di ricerca.
Il messaggio è stato espresso nel giorno dell’anniversario della morte di Giulia Cecchettin, studentessa 22enne uccisa dal fidanzato, alla presentazione da parte del padre Gino della fondazione inaugurata negli scorsi giorni e che si propone l’obiettivo di sensibilizzare e tutelare le donne vittime di violenza.
La ragazza, un anno fa, è stata assassinata dal compagno “bianco perbene”, come lo ha definito la sorella, secondo la quale, come Giulia, sono tante le donne uccise da partner o ex partner e non di nazionalità straniera. Inoltre, lo stesso padre della giovane vittima ha ribadito che la violenza è violenza indipendentemente dalla provenienza dell’assassino.
A creare la polemica che divampa sui social, però, sono stati due principali fattori:
- Il fatto che il ministro abbia detto che il concetto di “patriarcato” si è ormai estinto nonostante persistano fenomeni di maschilismo. Nel suo intervento, Valditara aveva dichiarato che “la visione ideologica vorrebbe risolvere la questione femminile lottando contro il patriarcato. Ma come fenomeno giuridico è finito con la riforma del diritto di famiglia del 1975, che ha sostituito alla famiglia fondata sulla gerarchia la famiglia fondata sulla eguaglianza”. Per alcuni “Cassare a ideologico il femminismo vs il patriarcato è stato un atto sminuente (si legge sui social)” che affievolirebbe le cause culturali che persistono dietro la violenza di genere.
- Il fatto che il ministro, dicendo che tra le cause della violenza contro le donne c’è anche l’immigrazione illegale, avrebbe spostato il focus dell’attenzione su uno dei temi maggiormente trattati in campagna elettorale dell’attuale governo: le politiche migratorie. Per molti, si è trattato di un atto di “propaganda politica non supportato dai dati”.
La risposta di Valditara
Il ministro si è difeso dalle accuse, oggi al Salone dello studente a Roma, sostenendo di non aver mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati: “Non ho mai detto che il femminicidio è colpa degli immigrati, ma che in Italia c’è un aumento preoccupante delle violenze sessuali a cui contribuisce anche, ed è importante l’anche, la marginalità e la devianza conseguenti a un’immigrazione irregolare”.
“Le violenze sessuali sono un altro fenomeno molto triste – ha aggiunto Valditara -. I dati Istat e del ministero dell’Interno sono purtroppo inequivocabili e mi dispiace che qualcuno li abbia alterati o non li abbia conosciuti. Non ho detto che l’immigrato è causa di questo”.