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Bannon: “Meloni? Può essere ponte, ma Usa non hanno bisogno di aiuto da Europa”

Parla al Corsera l'ex stratega della vittoria di Trump nel 2016 che guida il braccio mediatico del Maga: "Ucraina? Soldi finiti. Se Europa ci tiene ce li metta lei"

Steve Bannon - Afp

La premier Giorgia Meloni? Può essere un ponte tra America e Europa ''se resta fedele alle sue convinzioni fondamentali, sì''. Lo ha detto in una intervista al Corriere della Sera Steve Bannon, ex stratega della vittoria di Trump nel 2016 che guida il braccio mediatico del movimento Make America Great Again (Maga). Bannon aggiunge comunque che ''non abbiamo bisogno di aiuto da nessuno in Europa. I populisti hanno preso questo Paese, Trump è un grande leader e sono certo che sarà magnanimo, ma il movimento Maga, che è più a destra di Trump, dirà che l’Europa non ha fatto nulla per gli Stati Uniti. Vi abbiamo salvati nella Prima e Seconda guerra mondiale, nella Guerra fredda e in Ucraina. Basta. Perché ci servirebbe un ponte? Abbiamo un modello, America First: riportare la sicurezza economica e lavorativa nel Paese. Se volete un partner, ok, sennò ok uguale. Al movimento Maga non serve un ponte, perché Le Pen, Farage e Orbán sono con noi. Raccomanderei a Meloni: sii ciò che eri quando i Fratelli d’Italia erano al 3%''.

Bannon ritiene inoltre che ''molti, nel movimento Maga, pensano che Meloni si è quasi trasformata in una Nikki Haley. E' stata tra i più grandi sostenitori della continuazione della guerra in Ucraina. Però l’Italia non ha fatto abbastanza per tenere il canale di Suez aperto per il commercio: tra i gruppi tattici di portaerei là, credo che ci sia solo una corvetta italiana. Comunque penso che il suo atteggiamento cambierà con l’arrivo del presidente Trump, che la convincerà''.

Bannon non ha avuto contatti con Salvini, ''sono stato schierato al 100% nell’assistere Trump a tornare alla Casa Bianca: 20 ore al giorno per 4 anni, senza un giorno libero tranne quand’ero in prigione''. Per quanto riguarda il fatto che in Europa molti sono preoccupati per i dazi, Bannon dichiara che sì, ''dovrebbero esserlo. Non pagheremo per la vostra difesa mentre lasciamo che ci colpiate con accordi commerciali sbilanciati. Sì, i dazi stanno arrivando, dovrete pagare per avere accesso al mercato Usa. Non è più gratis, il libero mercato è finito, perché l’Europa ha abusato di noi, come hanno fatto gli altri alleati''.

"Ucraina? Soldi finiti, se Ue ci tiene ce li metta lei"

''Noi del movimento Maga siamo irremovibili, vogliamo tagliare al 100% i fondi per l’Ucraina alla Camera''. E l'Europa, se crede nel sostegno a Kiev, ''dovrebbe essere pronta a metterci i soldi, a staccare assegni grandi quanto i discorsi'', ha tuonato Bannon. Ora le priorità, ha dichiarato, sono la ''decostruzione dello Stato amministrativo'' e il debito pubblico, ''la principale minaccia alla sicurezza nazionale''.

In politica estera, ''Trump dirà che vuole la pace in Ucraina. E' evidente che vuole porre fine a questa semi-ossessione di spingere la Nato quasi in territorio russo'', ha detto Bannon. In questo, ha aggiunto, la premier Giorgia Meloni ''è piuttosto ovvio che aveva scommesso che Trump non sarebbe più tornato, si vede dalle sue politiche. La scommessa era sbagliata, non ha pagato. Ora che Trump è tornato, il movimento Maga è più forte che mai e ci prenderemo l’apparato della sicurezza nazionale e della politica estera''.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

Esteri

Trump, quante minacce: da Russia a Corea del Nord, servono...

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Lo scenario delineato dal Wall Street Journal

Donald Trump

Gli Stati Uniti dovranno essere pronti ad aumentare la loro forza nucleare come deterrente rispetto alla minaccia crescente che proviene dalla Cina, dalla Russia e dalla Corea del Nord. Lo scrive il Wall Street Journal citando alti funzionari dell'Amministrazione Biden e sottolineando che una decisione in tal senso spetterà al nuovo presidente eletto Donald Trump, che deve ancora definire i suoi piani per la difesa.

Durante il suo primo mandato, ricorda il Wall Street Journal, Trump ha approvato tutti i principali programmi sulle armi nucleari ereditati dall'amministrazione Obama e ha aggiunto due nuovi sistemi nucleari.

Allo stato attuale, negli Usa è in vigore la 'Nuclear Weapons Employment Planning Guidance', una direttiva altamente riservata firmata all'inizio dell'anno dal presidente americano Joe Biden e che incarica il Pentagono a elaborare opzioni per scoraggiare l'aggressione di Cina, Russia e Corea del Nord. Il tutto mentre la Cina sta compiendo un importante accumulo di armi nucleari, la Russia sta rifiutando i colloqui sul controllo degli armamenti e la Corea del Nord sta aumentando il suo arsenale nucleare. Tre Paesi che, tra l'altro, stanno collaborando in campo militare e così stanno creando il rischio che gli Stati Uniti si trovino ad affrontare più conflitti contemporaneamente.

Lo scenario e le contromisure Usa

Quello che Biden ha voluto fare durante la sua presidenza, spiegano i funzionari della sua amministrazione al Wall Street Journal, è stato puntare allo sviluppo di sistemi non nucleari avanzati e di approfondire la cooperazione militare con gli alleati in Asia e in Europa per far fronte ai potenziali pericoli.

Il Pentagono si sta però allo stesso tempo preparando alla possibilità di schierare più testate nucleari qualora questi sforzi si rivelassero insufficienti. "Se le tendenze attuali continuano, con la Russia che dice 'no' al controllo degli armamenti, la Cina e la Corea del Nord che li potenziano, potrebbe esserci in futuro la necessità di schierare più armi nucleari statunitensi", ha affermato un alto funzionario dell'amministrazione Biden a condizione di anonimato.

Un rapporto declassificato sulle linee guida per l'impiego nucleare che sarà inviato al Congresso nelle prossime ore afferma che "potrebbe essere necessario adattare le attuali capacità, posizione, composizione o dimensione della forza nucleare statunitense" per poter affrontare "molteplici avversari che stanno rendendo le armi nucleari più centrali nelle loro strategie di sicurezza nazionale".

Le opzioni per Trump

Trump avrà varie opzioni da aggiungere a quella che è nota come la triade nucleare degli Stati Uniti, ovvero una componente terrestre missilistica, una navale con sottomarini nucleari e una aerea con bombardieri strategici. Il nuovo presidente Usa potrebbe aggiungere diverse testate ai missili terrestri Minuteman III, aumentare le armi nucleari su sottomarini dotati di missili balistici e portare avanti lo sviluppo di un sottomarino che trasporta missili da crociera con armi nucleari. Un programma che l'amministrazione Biden ha inizialmente annullato, ma che il Congresso ha ripristinato.

L'amministrazione Trump "erediterà alcuni compiti e opzioni rigorosi" in linea con le raccomandazioni del gruppo nominato dal Congresso per analizzare le minacce alla sicurezza nel periodo 2027-2035, ha affermato Vipin Narang, fino ad agosto funzionario senior del Dipartimento della Difesa per le questioni nucleari. "Investire in capacità convenzionali sembra essere un modo molto più efficiente per influenzare gli avversari rispetto alla spesa in più armi nucleari", ha affermato Hans Kristensen della Federation of American Scientists, un'organizzazione no profit che si occupa di sicurezza. "Si possono usare armi convenzionali e noi abbiamo un arsenale nucleare che è stato strutturato per gestire un'ampia gamma di scenari diversi", ha aggiunto.

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Spettacolo

Tutto esaurito a Liegi per la compagnia dell’Opera di...

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Sold out anche per le altre rappresentazioni nella rilettura del celebre balletto firmato da Carla Fracci. Oltre mille persone hanno applaudito le étoile e i danzatori del corpo di ballo diretto da Eleonora Abbagnato

'Un'immagine di 'Giselle' con la compagnia del Teatro dell'Opera di Roma in scena  all'Opéra Royal de Wallonie - (foto J. Berger)

Ha fatto registrare il tutto esaurito ieri sera a Liegi, all’Opéra Royal de Wallonie, la prima rappresentazione di 'Giselle' (coreografia di Carla Fracci) con la compagnia del Teatro dell'Opera di Roma diretta da Eleonora Abbagnato. Già sold out anche le prossime quattro repliche in programma. Nei ruoli principali hanno danzato alla prima del celebre balletto (ripreso per l'occasione da Gillian Whittingham), dinanzi a mille spettatori, le étoiles Rebecca Bianchi (Giselle) e Alessandra Amato (Myrtha) e i primi ballerini Michele Satriano (Albrecht) e Claudio Cocino (Hilarion). La musica di Adolph Adam è affidata all’Orchestra dell’Opéra Royal de Wallonie diretta da Alessandro Cadario.

"Il titolo, il più importante del repertorio classico romantico, è l’unico del genere nel cartellone della città della Vallonia - si legge in una nota del Teatro dell'Opera- La volontà di dare sempre più spazio al grande repertorio di balletto è storia recente, e la si deve all’attuale direzione dell’Opera di Liegi, completamente italiana, con Stefano Pace direttore generale e artistico e Giampaolo Bisanti direttore musicale. Una strada che ha incontrato facilmente quella intrapresa dal sovrintendente dell’Opera di Roma Francesco Giambrone, in cui la danza ha un ruolo centrale, tanto da essere stata protagonista di quattro tournée internazionali nella Stagione 2023/24 del Costanzi".

"Dopo esser stato portato in Oman nel 2023, il prezioso allestimento di Giselle dell’Opera di Roma ha dunque conquistato anche il Belgio - si legge ancora in una nota- un nuovo successo dunque per l’eccellenza italiana rappresentata da Carla Fracci, leggendaria interprete di Giselle, che firma la coreografia, dai costumi e le scene di Anna Anni, e soprattutto dagli interpreti, étoiles, primi ballerini, solisti e Corpo di Ballo del Teatro capitolino. Le luci sono di Jean-Michel Désiré".

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Politica

Autonomia, il presidente emerito della Consulta Mirabelli:...

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"Calderoli attento, trasferire macrofunzioni vuol dire trasferire materie". Sulla Protezione civile Musumeci "aveva ragione". Da Corte un 'aiuto' al Mezzogiorno: ''Ripartizione risorse non perpetui squilibrio con Sud"

Autonomia, il presidente emerito della Consulta Mirabelli:

Legge Calderoli costituzionale - Legge Calderoli incostituzionale. E' il ping pong semplificato fra centrodestra e centrosinistra seguito alla nota dell'ufficio stampa della Corte costituzionale che anticipa la complessa ed articolata sentenza sull'Autonomia differenziata, non ancora depositata. Mentre si riapre anche il capitolo referendum il cui destino "seppure i quesiti fossero ammessi dopo il deposito della sentenza della Corte" è legato a doppia mandata al fatto che "la maggioranza potrebbe prima del voto arrivare a una nuova legge ridefinita secondo le indicazioni della Corte che farebbe venire meno il referendum seppur ammesso dalla Consulta".

Una nuova legge sull'Autonomia differenziata in cui, come spiega all'Adnkronos il presidente emerito della Corte Cesare Mirabelli, i giudici costituzionali affermano che "l'incremento di autonomie regionali, può essere costituzionalmente corretto" ma "rimettono in equilibrio il rapporto fra autonomie e unità dell'ordinamento e riconoscono che le autonomie non possono contrastare con un principio di solidarietà ed eguaglianza", spezzando così una lancia in favore delle regioni del Mezzogiorno perché la "ripartizione delle risorse secondo la Consulta non si può basare sul 'piede storico'"; chiedono sia d'ora in poi attore "il Parlamento a cui la legge Calderoli aveva serrato i bulloni", che la Corte dischiude nella sentenza stabilendo che "la legge che disciplina la devoluzione approvata dal governo per dare luogo alle intese è emendabile"; che "è il Parlamento che per singoli diritti e prestazioni stabilisce quale è il livello essenziale di prestazione (Lep)", riguardo a cui "non possono essere delegate intere materie ma possono solo essere distribuite funzioni invocando la sussidiarietà". Infatti "Musumeci aveva ragione a non voler concedere alle Regioni la delega sulla Protezione civile". "Ed attenzione alle etichette" - ammonisce Mirabelli - "Attraverso l'attribuzione alle regioni di macrofunzioni in sostanza si delegano materie...".

Cosa si evince dal contenuto anticipato della sentenza? "La cornice e i limiti nei quali l'autonomia differenziata, o meglio l'incremento di autonomie regionali, può essere costituzionalmente corretto. La Corte è intervenuta su alcun punti importanti attraverso alcuni strumenti: i principi da rispettare, i vizi di costituzionalità di alcune norme, una correzione interpretativa del meccanismo della legge. Altro punto di straordinaria rilevanza - rileva Mirabelli - è il riassetto dei rapporti fra Governo e Parlamento, questione che tocca da una parte il corretto vincolo tra le due istituzioni e dall'altra alcune garanzie generali anche per i cittadini".

Cosa dice la Corte sui principi? "La Corte rimette in equilibrio il rapporto fra autonomie e unità dell'ordinamento e riconosce che le autonomie non possono contrastare con un principio di solidarietà ed eguaglianza e quindi con un rapporto equilibrato di distribuzione delle risorse alle regioni - risponde il costituzionalista - Su questo punto è interessante che la ripartizione delle risorse secondo la Consulta non si può basare sul 'piede storico'. Va piuttosto definito un equilibrato principio di distribuzione delle risorse". La Corte spezza quindi una lancia in favore delle regioni del Mezzogiorno? "Sì - risponde il costituzionalista - puntando a guardare ai bisogni reali perché la precedente distribuzione ha perpetuato squilibri. E' un nodo importante per il Mezzogiorno che risponde a un principio di solidarietà fra le regioni ed è garanzia di unità per un verso e di eguaglianza fra i cittadini per l'altro".

Inoltre, fra i principi di riferimento i giudici costituzionali rivendicano anche la necessità che le singole regioni siano giustificate singolarmente "rispetto a caratteristiche di specialità al fine di soddisfare più efficacemente i bisogni in base a un principio di efficienza ed economicità che va valutato". "Indicano inoltre la sussidiarietà, che significa che determinate funzioni possono essere attribuite ai diversi livelli di governo più idonei a soddisfare in modo efficace determinati bisogni. Attenzione - ammonisce Mirabelli - la sussidiarietà opera sia verso il basso sia verso l'alto, quando c'è una esigenza che è di carattere nazionale".

"L'esempio lo abbiamo vissuto con il covid, in cui lo Stato ha recuperato delle funzioni che altrimenti sarebbero state regionali perché la dimensione dei problemi era eccedente rispetto alla gestione locale". "Il tema in discussione sulla Protezione civile, ad esempio, non consente una devoluzione territoriale totale di funzioni perché ci sono dimensioni che sono nazionali o richiedono un intervento statale. Mi pare difficile che possa essere devoluto un disastro di carattere nazionale, anche se per dimensioni territorialmente circoscritto o per estensione". Il ministro Musumeci quindi aveva ragione a non voler concedere alle Regioni la delega sulla Protezione civile? "Sì, aveva ragione", risponde il presidente emerito della Corte.

"Il punto più importante è che non può essere stravolto l'assetto stabilito all'articolo 117 della Costituzione" sulle materie potestà legislativa dello Stato e quelle di competenza regionale oltre a quelle di legislazione concorrente (rapporti internazionali e con l'Ue delle regioni). "La Corte chiarisce che non possono essere delegate intere materie ma possono solo essere distribuite funzioni. Quindi è molto circoscritto l'ambito in cui si può operare", rimarca Mirabelli. Il ministro Calderoli dice di essere d'accordo e che se ne terrà conto in legge attuativa. "Attenzione alle etichette! Attraverso l'attribuzione alle regioni di macrofunzioni in sostanza si delegano materie, funzioni che assorbono la materia - ammonisce il costituzionalista - La legge attuativa deve essere ricalibrata in rapporto alle indicazioni della Corte. E sarà molto interessante leggere la motivazione della sentenza a cui la legge deve rispondere. Ma Calderoli è parlamentare di lungo corso e ritengo si muova nello spirito di una democrazia parlamentare, cioè di valorizzazione del Parlamento".

E' proprio ai rapporti fra Governo e Parlamento che guarda con riguardo la Corte nella sentenza. "Spetta al Parlamento, nell’esercizio della sua discrezionalità, colmare i vuoti derivanti dall’accoglimento di alcune delle questioni sollevate dalle ricorrenti, nel rispetto dei principi costituzionali, in modo da assicurare la piena funzionalità della legge", si legge infatti nella nota della Consulta. "La legge Calderoli aveva serrato i bulloni al Parlamento, la C orte ha stabilito invece che la legge che disciplina la devoluzione approvata dal governo per dare luogo alle intese è emendabile. Il parlamento riacquista quindi un potere che gli è proprio diventando co-protagonista. In caso di emendamento parlamentare il governo sarà infatti tenuto a rinegoziare con le regioni mentre prima l'intesa con le stesse era considerata non emendabile dal Governo. Questo punto è importantissimo - sottolinea - E' il parlamento che adesso ha gli strumenti per intervenire disciplinando la materia. La Corte lo esorta a svolgere appieno le sue funzioni nella analisi di una proposta legislativa governativa o più propriamente su iniziative legislative parlamentari, o ancora meglio di diversi gruppi parlamentari".

Sui lep, livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, la Corte costituzionale afferma che 'devono essere disciplinati dal Parlamento, il quale non può delegare al governo perché la delega legislativa, priva di idonei criteri direttivi, limita il ruolo del Parlamento'. Ma, obietta Calderoli, i principi direttivi non sono già contenuti nella legge di Bilancio che nessuno ha mai contestato? "C'è differenza tra indicare i principi e criteri direttivi e disciplinare la materia - replica il presidente emerito della Corte - I principi e criteri direttivi sono così eterei da consentire il potere al governo di muoversi come vuole, invece attribuendo questo potere al Parlamento è il Parlamento che per singoli diritti e prestazioni stabilisce quale è il livello. Quindi cambia profondamente la dimensione dell'esercizio del potere parlamentare. E' una cosa diversa stabilire i principi e il contenuto totale della legge. Stabilire i principi significa dire: fai tu secondo questi criteri. Altra cosa invece è dire: li detto io parlamento quelli che sono i livelli. Cambia la prospettiva: i principi possono essere quelli, ma all'interno di questi principi - conclude - sarà il Parlamento a stabilire il contenuto che riempirà la cornice dei principi". (di Roberta Lanzara)

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