Meloni alla Cop29: “Proteggere ambiente con approccio pragmatico e non ideologico”
La presidente del Consiglio: "Sono una madre, lavoro perché mia figlia e sua generazione"
"Sono una madre e come madre niente mi dà più soddisfazione di quando lavoro per politiche che consentiranno a mia figlia e alla sua generazione di vivere in un posto migliore. Quindi, come direbbe William James, 'Agisci come se ciò che fai faccia la differenza, perché la fa'". Così la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, intervenendo alla Cop29 di Baku secondo la quale "occorre proteggere l'ambiente, con un approccio che sia non ideologico ma pragmatico o saremo lontani dalla via del successo".
"Come ogni Cop, spetta a noi determinare se sarà un successo o un fallimento. Sappiamo che potremmo non beneficiare personalmente dei risultati degli sforzi che stiamo compiendo. Ma non è questa la cosa importante", ha sottolineato la premier assicurando che nella lotta al cambiamento climatico “l'Italia intende continuare a fare la propria parte. Stiamo già destinando all'Africa una parte consistente del budget di oltre quattro miliardi di euro del nostro Fondo per il Clima, e continueremo a sostenere iniziative come il Fondo Verde per il Clima e il Fondo per le perdite e i danni, così come continueremo a promuovere il coinvolgimento delle Banche Multilaterali di Sviluppo”.
Gli obiettivi fissati a Dubai
"A Dubai ci siamo fissati degli obiettivi ambiziosi, arrivare a questi obiettivi richiede la cooperazione di tutti a partire dai maggiori emettitori e con un supporto finanziario adeguato, stiamo lavorando per compromesso efficace, ma responsabilità condivise, superare le divergenze tra Paesi sviluppati e Paesi emergenti", ha ricordato Meloni.
"Al momento non c'è un’altra alternativa ai combustibili fossili, dobbiamo avere una visione realistica. Abbiamo bisogno di un equilibrio e di un processo di transizione, dobbiamo usare tutte le energie a nostra disposizione, non solo le rinnovabili, anche i bio carburanti e la fusione nucleare" che "potrebbe fare la differenza", ha aggiunto.
"Occorre proteggere l'ambiente, con un approccio che sia non ideologico ma pragmatico o saremo lontani dalla via del successo", ha quindi detto. "Raggiungere un valido compromesso - ha sottolineato la premier - richiede la condivisione delle responsabilità, il superamento delle divisioni tra le nazioni sviluppate e le economie emergenti e in via di sviluppo".
Per Meloni è "prioritario" che "la decarbonizzazione tenga conto della sostenibilità dei nostri sistemi produttivi e sociali. Dobbiamo proteggere la natura avendo al centro l'uomo. Un approccio troppo ideologico e poco pragmatico su questo tema rischia di portarci fuori dalla strada del successo. La neutralità tecnologica è l'approccio giusto, poiché attualmente non esiste un'unica alternativa alla fornitura di combustibili fossili. Dobbiamo avere una prospettiva globale realistica. La popolazione mondiale raggiungerà gli 8,5 miliardi entro il 2030 e il Pil globale raddoppierà nel prossimo decennio - ha rimarcato Meloni -. Ciò aumenterà il consumo di energia, considerando anche la crescente domanda di sviluppo dell'intelligenza artificiale. Abbiamo bisogno di un mix energetico equilibrato per favorire il processo di transizione. Dobbiamo utilizzare tutte le tecnologie disponibili".
"Lavoriamo per una nuova diplomazia energetica, per moltiplicare le opportunità di cooperazione tra il Nord e il Sud del mondo. I nostri destini sono interconnessi e dalle connessioni energetiche possiamo trarre grandi opportunità. Questo è il motivo per cui il nesso clima-energia è uno dei pilastri del nostro Piano Mattei per l'Africa, la strategia di cooperazione 'peer-to-peer' che l'Italia sta perseguendo, e mi fa molto piacere vedere l'Azerbaigian come Presidente della COP29 ha valorizzato come parte dell'Iniziativa Climate for Peace", ha detto ancora concludendo: "Sotto la presidenza italiana il G7 ha promosso iniziative nuove e concrete, quali: Energy for Growth in Africa, per sviluppare infrastrutture per la produzione e distribuzione di energia verde e l'Adaptation Accelerator Hub, per sostenere le nazioni più vulnerabili del mondo nei loro sforzi di adattamento e mitigazione del cambiamento climatico".
Politica
M5S, la carica dei 90mila per la Costituente: la galassia...
Serve la maggioranza assoluta degli iscritti per la votazione di presidente e garante
La carica dei 90mila al voto per la Costituente del Movimento 5 Stelle. Sono 88.943, per la precisione, gli iscritti M5S che fino a domenica potranno prendere parte alla consultazione online per disegnare l'identikit del Movimento che sarà. Ma come si presenta la truppa pentastellata all'appuntamento con Nova?
Lo scontro Grillo-Conte
Lontani i tempi delle varie anime che attraversavano trasversalmente (a volte a geometrie variabili) il mondo grillino. Con l'addio di tanti big, il M5S di oggi è riconducibile in gran parte a Giuseppe Conte. Ma nessuno nasconde che il vero scontro in atto è tra il leader pentastellato e il fondatore Beppe Grillo. La metamorfosi è compiuta: dall'uno 'vale' uno' si è passati all'uno 'contro' uno. E, a meno di imprevedibili colpi di scena, in campo ne resterà solo uno.
L'appuntamento di domenica sarà uno snodo cruciale, tanto per il garante, quanto per il presidente. Se, infatti, la figura di Grillo rischia di essere cancellata con un colpo di penna, anche Conte è pronto a farsi da parte "se dalla costituente dovesse emergere una traiettoria politica opposta a quella portata avanti finora" dalla sua leadership, dice in un'intervista. Il riferimento è alla collocazione nel campo progressista, ma non c'è solo quello a far traballare la posizione del presidente pentastellato, che dalla sua ha sicuramente l''intellighenzia' del Movimento che, anche oggi, esorta la base a partecipare al voto.
Lo fa Roberto Fico con un post sui social, poco dopo aver spiegato che i problemi ci sono, ma non dipendono "dall'alleanza con il Pd. Sarebbe così anche se ci tenessimo a distanza", ma è proprio per questo motivo che "stiamo facendo l'Assemblea costituente, che deve essere un momento di ripartenza".
I big si schierano con l'ex premier
Fico, ex presidente della Camera e in odore di un nuovo posto al sole in Campania, non è l'unico a essersi esposto in tal senso: della collocazione nel campo progressista e di un 'matrimonio' con i dem ne ha più volte parlato anche l'unica governatrice regionale in quota Movimento 5 stelle, la sarda Alessandra Todde. E sulla stessa lunghezza d'onda viaggia anche il capogruppo al Senato, Stefano Patuanelli, uno dei primi ad applaudire il voto, tutt'altro che lusinghiero per il M5S, in Emilia-Romagna e Umbria. L'analisi di quelle percentuali un po' risicate ha sollevato qualche dubbio su Chiara Appendino, vicepresidente scelta da Conte. Ma è stata lei, sempre via social, a chiarire cosa intendeva quando ha parlato di un "Pd che ci sta fagocitando".
Dopo l'invito alla partecipazione, l'ex sindaca di Torino confermerà che voterà "per confermarci progressisti perché è quello che sono e sono sempre stata", oltre che per non cambiare nome e simbolo. E quindi: nessun problema con il presidente, che incassa l'encomio pubblico del capogruppo alla Camera dei pentastellati, Francesco Silvestri, e di Riccardo Ricciardi, anche lui vicepresidente del M5S.
Il toscano, che ruota nella galassia dei Cinquestelle dai meetup del 2007, è quello che più si è impegnato a portare acqua al mulino dell'ex premier, ammettendo gli errori - molti causati da scelte di qualcun altro e non di Conte -, ma evidenziando soprattutto la volontà di evolversi rispetto al passato. "Quando il Movimento era bambino - scrive su Facebook Ricciardi -, era giusto che vedessimo il mondo in quel modo, era giusto e normale che pensassimo che la politica fosse più semplice. Oggi il Movimento è adulto. E sarebbe ridicolo pensare come pensavamo allora". Un messaggio che, a giudicare dai numeri del post, fa breccia anche tra gli iscritti.
Toninelli e Raggi tifano Grillo
Tra i big, tra i quali Paola Taverna, vicepresidente vicaria del movimento, Vito Crimi, consulente del gruppo parlamentare pentastellato, Michele Gubitosa, Mario Turco, Pasquale Tridico, c'è anche qualcuno che non si schiera dalla parte di Conte. Tra i più critici c'è sicuramente Danilo Toninelli, che quasi quotidianamente tiene una rubrica sui social in cui spara a zero sulle scelte del presidente, una su tutte quella di non essere stato riconoscente a Grillo per averlo messo là, a capo del governo. Anche Virginia Raggi, che di fatto non si è mai esposta pubblicamente sull'argomento, è molto più vicina all'ala grillina e movimentista che a quella contiana. A fare il tifo per il garante, poi, ci sono tanti esponenti locali e attivisti.
Ormai lontani dal M5S, i due ex enfant prodige Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista hanno preso strade diverse. Il primo, oggi inviato Ue per il Golfo Persico, in un'intervista non ha voluto prendere posizione tra Conte e Grillo: "Ho vissuto anni straordinari, quando è nato mio figlio ho ricevuto messaggi bellissimi. Anche da Conte e da Grillo''. Il secondo, resta per molti una 'riserva' del Movimento, nonostante abbia abbandonato da tempo i pentastellati. Altro personaggio di spicco, che ha vissuto la stagione del Vaffa con Grillo e Gianroberto Casaleggio ma è stato anche lo spin doctor di Conte a palazzo Chigi, Rocco Casalino non si è espresso pubblicamente sulla contesa in atto. Ma intanto conta la base.
Sul ruolo del presidente, del garante, sulle modalità di votazione per le modifiche statutarie, sul Comitato di Garanzia e sul nome e sul simbolo serve che almeno la maggioranza assoluta degli iscritti partecipi affinché la votazione non debba essere ripetuta: in pratica 44.473 persone devono trovare del tempo tra oggi e domenica per collegarsi al sito e dare il proprio contributo. Per tutti gli altri quesiti, il quorum non serve, ma sarebbe auspicabile che si raggiungesse, anche perché è la prima volta, in Europa, che è la base a decidere, come spesso ha raccontato Conte nell'ultimo periodo.
Politica
**Università: Conte, ‘tagli, precariato e diritto...
"Nel contesto di tagli e deleterie riforme che stanno colpendo la nostra università e la nostra ricerca, ho incontrato le organizzazioni sindacali e le associazioni studentesche, dei dottorandi e dei ricercatori. Insieme ai capigruppo nelle commissioni Cultura di Camera e Senato, Antonio Caso e Luca Pirondini, e ai rappresentanti del nostro network giovani, ho ascoltato il loro grido di allarme, che è stato unanime, molto chiaro e ha chiamato in causa gravi criticità. A partire dai drastici tagli del fondo universitario, che porterà metà dei nostri atenei a rischio default, passando dalla riforma del cosiddetto 'pre-ruolo' che porterà all’aumento del precariato, che già oggi pesa sul futuro del nostro personale universitario e dei nostri ricercatori, fino a un rinnovo di contratto di settore per il quale non è stato previsto un euro in manovra". Lo scrive in una nota Giuseppe Conte, presidente del Movimento 5 Stelle.
"Senza dimenticare l’allarme lanciato dagli studenti - aggiunge -, tra il caro affitti che impedisce loro di trovare un alloggio dignitoso e i tagli che mettono a rischio il diritto allo studio, che si sta sempre più trasformando in un privilegio per pochi. L’atteggiamento di questo governo è inaccettabile e ben opposto rispetto all’attenzione da noi mostrata quando eravamo al governo. L’università italiana occupa le ultime posizioni in tutte le classifiche europee e questo significa che non siamo competitivi e che non riusciremo a trattenere le nostre eccellenze. Ovviamente è sempre attuale la scusa della coperta corta, ma è corta perché il governo punta alle spese militari e non ha il coraggio di tassare gli extraprofitti di banche e industrie delle armi. Inoltre abbiamo un Esecutivo incapace di spendere le risorse del Pnrr".
"Per tutti questi motivi, lanciamo un appello alla ministra Bernini: si fermi e cambi drasticamente rotta. Siamo ancora in tempo per salvare l’università e la ricerca italiana, ma il tempo sta scadendo", conclude Conte.
Politica
Fratelli d’Italia, si accende dibattito su fiamma...
Ciriani apre a cambio logo, Rampelli dice no. La figlia di Almirante: "La tolgano, tanto è una presa in giro..."
Spegnere la fiamma tricolore o lasciarla divampare ancora? Per un giorno Fratelli d'Italia torna a discutere del proprio simbolo, dopo le parole del ministro per i Rapporti con il Parlamento Luca Ciriani, che per il futuro non esclude un addio allo storico simbolo eredità del Msi. "Se vogliamo andare avanti, e noi certamente vogliamo guardare avanti cioè al futuro, allora arriverà anche il momento di spegnere la fiamma", spiega Ciriani accendendo il dibattito interno. In tanti in Transatlantico a Montecitorio si chiedono le ragioni delle dichiarazioni di Ciriani, un fedelissimo di Giorgia Meloni, pubblicate dal 'Foglio' ma frutto di un'intervista rilasciata a Stresa venerdì scorso: "Ha lanciato il sasso nello stagno su input della premier per vedere l'effetto che fa" o è stata una "uscita a titolo personale?".
Ciriani accende il dibattito
Il tema fa discutere e divide. C'è chi considera quella di Ciriani una 'fuga in avanti' da derubricare a boutade, e chi, invece, la legge come uno spunto di riflessione politica che inevitabilmente porterà ad affrontare e risolvere una volta per tutta e senza traumi il tabù legato al dilemma 'fiamma sì, fiamma no', che Guido Crosetto aveva sollevato nel gennaio 2019 quando era coordinatore del partito di via della Scrofa ("In futuro si può anche togliere"), provocando un polverone di polemiche.
Il vicepresidente della Camera Fabio Rampelli, parlando con l'Adnkronos, si iscrive al partito di coloro che vedono come il fumo negli occhi lo spegnimento della fiamma: "Parliamo di una storia antica che ha vinto, diversamente da altre che sono state sotterrate in pochi decenni. Quasi il 30 per cento degli italiani - ricorda il padre dei 'Gabbiani' - ha messo una croce sul nostro simbolo, che contiene la fiamma tricolore, non mi pare che i cittadini si pongano questo problema. Anzi, forse ci scelgono anche perché abbiamo la fiamma, bella ma nemmeno troppo originale. In tanti la usano nel proprio logo".
Rampelli contrario
Fratelli d'Italia, osserva Rampelli, "nasce senza fiamma, poi l'abbiamo recuperata, più per stroncare una congiura di alcuni ex colonnelli di An che volevano sabotarci che per convinzione. Ma ora c'è e penso sia logico lasciarla". Anche il senatore Roberto Menia è dello stesso avviso: "Sono entrato in Parlamento da missino e continuo a considerare la fiamma tricolore il simbolo della mia vita, un simbolo integerrimo che ha dimostrato sempre purezza. Mi rappresentava 40 anni fa e mi rappresenta tuttora". Ma sono molti gli esponenti di spicco del partito ad aprire a una modifica del simbolo: "Anche il mondo finirà prima o poi...", è la battuta che il presidente del Senato Ignazio La Russa regala ai cronisti. Fu, del resto, proprio La Russa a depositare nel 2012 uno dei primi vessilli di Fdi senza la fiamma, ma con la dicitura "centrodestra nazionale" accompagnata da un cordino tricolore.
"Quando l'argomento dovesse essere posto nelle competenti sedi politiche, non vi sarà difficoltà ad affrontarlo", dichiara il capogruppo alla Camera Tommaso Foti: parole che trovano la condivisione di Riccardo De Corato, Manlio Messina ed Emanuele Loperfido, che mostra fiero sulla giacca la spilla con la fiamma ma si dice pronto a rinunciarvi. Si trincera dietro il più classico dei no comment, invece, l'ex leader di An Gianfranco Fini, interpellato telefonicamente.
Cosa guadagna e cosa perde il partito
In vista di un possibile ritocco al simbolo di Fdi la domanda è d'obbligo: cosa perderebbe (o guadagnerebbe) Fratelli d'Italia in caso di addio alla fiamma tricolore? Si tratterebbe di una mossa vantaggiosa o controproducente? Il giurista Gabriele Maestri, esperto di simboli di partito, la vede così: "I militanti dalla storia più lunga - osserva il blogger, parlando con l'Adnkronos - potrebbero sentire mutilata quell'esperienza politica, non vedendo più il simbolo delle origini, ma difficilmente abbandonerebbero il partito solo per questo".
Per i simpatizzanti di Fdi che hanno iniziato a votare Meloni in un secondo momento, invece, il superamento della fiamma potrebbe essere un elemento positivo: "I militanti e gli elettori arrivati in seguito, potrebbero non avvertire nessun particolare cambiamento concreto; anzi, apprezzerebbero soprattutto il venir meno di un argomento utilizzato spesso contro Fdi, con l'idea di costruire anche sul piano grafico un partito conservatore contemporaneo", prosegue Maestri, ricordando come in origine il simbolo di Fdi non contenesse la fiamma:
"Il partito era nato senza. La fiamma fu chiesta alla Fondazione An per evitare che altri utilizzassero quel simbolo: ora, oltre dieci anni dopo averne ottenuto l'uso, quel bisogno probabilmente si è affievolito". Il futuro è tutto da scrivere: "Sarebbe interessante immaginare se si troverà un simbolo nuovo, magari lavorando sul leone dei Conservatori e riformisti europei, o se si rinuncerà del tutto a raffigurare quelle idee politiche", conclude Maestri.
La figlia di Almirante attacca
''Può sembrare assurdo, tutto sommato a me sta bene che tolgano la fiamma, perché così almeno finisce questa presa in giro...'', dice all'Adnkronos Giuliana de' Medici Almirante, figlia dello storico leader missino Giorgio e di Donna Assunta.
''Ci stanno prendendo in giro con questa fiammella, la lasci stare -avverte Giuliana dè Medici, attuale segretario generale della Fondazione Almirante- chi ormai non ha più niente a che vedere con il Movimento sociale italiano né nel modo di essere e di fare, né per le idee che portano avanti. Almeno usciamo da questo equivoco finalmente, una volta per tutte''.
Per la figlia dell'ex leader missino chi vuol spegnere la fiamma, vuol dimenticare il passato e la figura di Almirante. ''A questo punto -si sfoga- è inutile dire che la fiamma è di An o di Fdi. La fiamma è di tutti quelli che ci credono e ne portano avanti i valori. Ho letto le dichiarazioni di Ciriani. Lui dice di esser un missino. Io ci sono nata in questo partito ma francamente non me lo ricordo... Questa proposta che ha fatto non mi sembra una sua idea, ma un'apripista, della serie: buttiamola lì e vediamo che succede... Il ministro ha menzionato Pinuccio Tatarella, definendolo il padre di questa nuova destra ma vorrei ricordare semplicemente che l'unico vero padre della destra italiana è un signore che si chiama Giorgio Almirante, che ha vissuto per l'Msi, ha lavorato tutta la sua vita per questo partito, l'ha fondato e portato avanti arrivando ad avere anche 100 parlamentari''.
''Almirante -rammenta Giuliana deì Medici- aveva contro i giornali, l'opinione pubblica e allora rischiavano la pelle, non come questi che vanno in giro con l'auto blu. C'è una profonda differenza tra quelli dell'Msi e quelli di oggi, proprio dal punto di vista culturale. Tutto il rispetto per Tatarella che è stato un grande dirigente di partito, ma non possono dimenticarsi di Almirante, mi sembra un'assurdità. La Meloni non l'ha mai nominato negli ultime tre anni. Questa si chiama ingratitudine e significa anche non avere una visione politica, perché non possono dimenticare e vergognarsi del passato. Almirante ha sempre guardato avanti, non indietro. La smettessero, quindi, con questa storia, lasciassero stare la fiamma. Lascino stare non solo la fiamma ma anche i beni che mio padre ha lasciato... Ricordo che la sede di via della Scrofa è stata comprata da Almirante. Io nella Fondazione Almirante ho trovato mucchi di cambiali a firma di mio padre e anche di mia madre, e allora di che parliamo?''.