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Il presidente russo Vladimir Putin

In Russia è vietata la propaganda child free. Il provvedimento è stato votato ieri, martedì 12 novembre, dalla camera bassa del parlamento russo. Con il parere favorevole all’unanimità il provvedimento sarà legge e prevede il divieto di quella che le autorità hanno definito una “propaganda perniciosa a favore di uno stile di vita senza figli”, nella speranza di rilanciare un tasso di natalità in calo.

E sono previste anche multe per chi contravviene e promuoverà “uno stile di vita Occidentale”, contro i valori tradizionali della famiglia.

La natalità in Russia

Il tasso di natalità in Russia è arrivato, lo scorso settembre, ad essere il più basso degli ultimi 25 anni. Dai dati ufficiali pubblicati è emerso che nascono meno bambini, mentre aumentano i tassi di mortalità con la guerra di Mosca in Ucraina. Il Cremlino ha definito le cifre “catastrofiche per il futuro della nazione”.

Il numero di neonati nella prima metà del 2024 è stato pari a circa 599.600 bambini, 16.000 in meno rispetto alla prima metà del 2023 e il numero più basso dal 1999. Il numero di decessi è aumentato di 49.000. Tuttavia, l’immigrazione è aumentata del 20%.

Il presidente Vladimir Putin ha, così, incoraggiato le donne ad avere almeno tre figli, dicendo che ciò aiuterà a garantire il futuro dei russi e del Paese. Ma a pesare sulle scelte delle donne ci sarebbero i “valori tradizionali dell’Occidente” che promuovono una propaganda child free.

Il provvedimento si unisce alle restrizioni alla libertà di espressione, al divieto di relazioni omosessuali e al divieto di adozione da parte di coppie formate da due persone dello stesso sesso o all’estero (Italia compresa, la cui sospensione di adozioni internazionali con la Russia risale già al 2022 da parte del Bel Paese).

Multe in arrivo

Cosa succede a chi promuove una vita senza figli? Le multe saranno fino a 400mila rubli (3.840 euro) per i cittadini, 800mila (7.680 euro) per i funzionari pubblici e fino a 5 milioni di rubli (47.992 euro) per enti giuridici.

“Stiamo parlando di proteggere i cittadini, in primo luogo le giovani generazioni, dalle informazioni diffuse dai media che hanno un impatto negativo sulla formazione della personalità delle persone”, ha affermato Vyacheslav Volodin, presidente della Camera bassa e alleato di Putin. “Bisogna fare tutto il possibile per garantire che le nuove generazioni dei nostri cittadini crescano incentrate sui valori tradizionali della famiglia”.

Per il World Factbook della Cia, la Russia rientra tra i 40 Paesi col tasso di natalità più basso nel 2023: circa 9,22 ogni 1.000 abitanti. Nei prossimi 20 anni, sostiene l’agenzia di statistica statale Rosstat, la popolazione passerà da 146,1 milioni di abitanti a 130 milioni. Il presidente russo aveva proclamato il 2024 come “anno della famiglia”: ma qualcosa sembra essere andato storto.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Do you speak English? In Italia non molto

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Inglese Vignetta

Il 2024 segna una tappa piuttosto amara per l’Italia nella classifica mondiale di conoscenza dell’inglese. Nell’indice stilato da EF Education First, l’Italia si colloca al 46° posto su 116 paesi non anglofoni, un calo evidente rispetto alle posizioni degli anni precedenti. Questo piazzamento sottolinea una preoccupante tendenza negativa: nel 2023 il paese era al 35° posto, nel 2022 occupava il 32° posto, mentre nel 2011, primo anno dell’indagine EF, si trovava in una ben più promettente 23ª posizione. Un decennio di declino che riflette le difficoltà strutturali nel migliorare le competenze linguistiche a livello nazionale. Mentre i Paesi europei migliorano o mantengono buone posizioni – basti pensare alla Spagna, all’Ucraina o all’Albania – l’Italia sembra percorrere un sentiero discendente, lasciandosi superare non solo da vicini europei, ma anche da economie emergenti che investono maggiormente nell’apprendimento linguistico.

La geografia interna ci rivela un quadro diversificato ma disomogeneo. Al vertice della classifica italiana, troviamo ancora una volta il Friuli-Venezia Giulia, la regione che si distingue per la competenza media più elevata. La città di Verona, inoltre, si è distinta come la migliore d’Italia in termini di padronanza dell’inglese. Tuttavia, persiste una notevole disparità tra il Nord e il Sud del paese. Sebbene il divario tra le regioni migliori e peggiori in termini di competenze sia diminuito nel corso degli anni (passando da oltre 100 punti nel 2012 a circa 70 punti oggi), le differenze restano significative, segnalando un’Italia ancora spaccata sul fronte linguistico.

Giovani in calo, professionisti in crescita

Uno degli aspetti più interessanti dell’indagine riguarda l’evoluzione delle competenze in inglese per fasce d’età. L’analisi per età mostra che i giovani adulti, coloro che dovrebbero rappresentare il futuro del paese, stanno attraversando un periodo di stagnazione o addirittura di regressione nelle competenze linguistiche. Gli italiani tra i 18 e i 20 anni, ad esempio, mostrano un calo costante nel livello medio di inglese, con i punteggi che scendono sotto i livelli del 2019. Anche la fascia di età tra i 21 e i 25 anni non presenta miglioramenti significativi, rimanendo pressoché stabile negli ultimi anni. Dati che destano preoccupazione, poiché segnalano che i recenti diplomati non stanno raggiungendo competenze linguistiche sufficienti per competere a livello internazionale.

Diversa è la situazione per le fasce d’età superiori. I giovani professionisti tra i 26 e i 30 anni, così come quelli tra i 31 e i 40 anni, mostrano invece una tendenza al miglioramento. Questo gruppo demografico ha visto una crescita costante nel livello di padronanza dell’inglese, presumibilmente grazie all’esperienza professionale e alla maggiore esposizione a contesti internazionali. I dati sembrano suggerire che l’inglese viene acquisito e consolidato più efficacemente attraverso l’uso pratico sul lavoro piuttosto che attraverso il sistema educativo tradizionale. Anche gli adulti oltre i 40 anni hanno registrato un leggero miglioramento, anche se rimangono lontani dai livelli di competenza delle fasce più giovani.

Un altro dato rilevante emerso dall’indagine riguarda la differenza di competenze tra uomini e donne. In generale, gli uomini continuano a registrare un livello di conoscenza dell’inglese leggermente superiore rispetto alle donne. Questo divario, sebbene non sia estremamente marcato, suggerisce che potrebbe essere necessario un maggiore supporto per le donne nel campo dell’apprendimento delle lingue, specialmente nei contesti professionali.

L’impatto della pandemia e la necessità di investimenti

È importante anche considerare come la pandemia abbia influenzato le competenze linguistiche dei giovani. La fascia dei neodiplomati sembra aver subito un rallentamento nell’apprendimento, che molti esperti attribuiscono all’interruzione dei normali cicli educativi durante il periodo del Covid-19. L’apprendimento a distanza, seppur efficace in alcuni contesti, sembra aver avuto un impatto negativo sullo sviluppo delle competenze linguistiche, soprattutto per una lingua come l’inglese, che richiede pratica e interazione. Le università, al contrario, hanno mantenuto un livello stabile, e i giovani professionisti hanno continuato a migliorare, probabilmente grazie alla ripresa delle attività economiche e dei viaggi all’estero.

Natalia Anguas, amministratrice delegata di EF Italia, ha sottolineato l’importanza di investire nel sistema educativo per colmare questo divario. “Benché l’EF EPI di quest’anno mostri che il livello dell’inglese in Italia non riesca a crescere, resta fondamentale il ruolo di questa lingua nella comunicazione e nella cooperazione internazionale”, ha dichiarato Anguas.

Europa e mondo: dove si posiziona l’Italia?

La classifica globale, che si basa su test effettuati su oltre 2,1 milioni di adulti dai 18 anni in su, rivela che la competenza in inglese sta crescendo a livello mondiale, anche in regioni che storicamente non hanno mai considerato l’inglese una lingua prioritaria. Al vertice della classifica, con punteggi eccellenti, si trovano paesi come i Paesi Bassi (636 punti), la Norvegia (610 punti) e Singapore (609 punti), che si confermano leader grazie a un’accurata integrazione della lingua nel sistema educativo e a un’esposizione culturale costante. A questi si aggiungono altre nazioni europee, come la Svezia (608 punti) e la Danimarca (603 punti), che continuano a migliorare, dimostrando come un forte impegno educativo e culturale possa garantire un continuo progresso nella padronanza dell’inglese.

In un contesto globale, la posizione dell’Italia appare preoccupante. Sebbene il Paese continui a registrare incrementi nel numero di parlanti, la sua posizione nella classifica mondiale è tutt’altro che brillante. Con 528 punti, l’Italia si colloca al 46° posto, tra il Paraguay e la Bolivia, due Paesi dell’America Latina con contesti socio-economici molto diversi, il che rende ancora più evidente il gap che separa l’Italia dai principali Paesi europei. Questo dato solleva interrogativi sull’efficacia delle politiche linguistiche adottate e sull’adattamento del sistema educativo alle esigenze globali di oggi. Nonostante gli sforzi per migliorare la conoscenza dell’inglese, come i programmi di bilinguismo e le iniziative di scambio, l’Italia fatica ancora a colmare il divario con altre economie avanzate.

Scorrendo la classifica europea, il divario diventa ancora più marcato. La Croazia (5° con 607 punti) e il Portogallo (6° con 605 punti) si distinguono come Paesi con una padronanza dell’inglese eccellente, non solo per le politiche educative efficienti ma anche per una cultura che incoraggia la pratica della lingua. Anche nazioni meridionali come la Spagna (36° con 538 punti) e la Grecia (8° con 602 punti) superano l’Italia, nonostante abbiano sfide simili in termini di esposizione culturale e di utilizzo dell’inglese nel quotidiano. Questi risultati mettono in evidenza un dato cruciale: l’Italia non solo non migliora, ma sembra anche essere superata da Paesi che, storicamente, non avevano lo stesso livello di competenza linguistica.

L’Italia si trova quindi in una posizione intermedia, distante dai Paesi di testa, ma ancora lontana da quelli che potrebbero sembrare comparabili. Questo fenomeno è particolarmente evidente nelle comparazioni tra le economie maggiori. Mentre nazioni come la Germania (10° con 598 punti) e l’Austria (9° con 600 punti) continuano a primeggiare in Europa con punteggi elevati, l’Italia non riesce ad avvicinarsi a questi standard. Al contrario, Paesi come la Romania (12° con 593 punti) e la Bulgaria (16° con 586 punti) hanno raggiunto risultati notevoli, mettendo in discussione la capacità dell’Italia di rispondere adeguatamente alle sfide globali.

In un contesto internazionale, l’Italia si ritrova a competere con Paesi dall’economia in crescita, ma con condizioni socio-culturali assai differenti. Paesi come il Kenya (19° con 581 punti) e l’Ucraina (40° con 535 punti) stanno migliorando la loro competenza linguistica, pur partendo da un contesto economico e culturale meno favorevole. Questo rende ancora più evidente il ritardo dell’Italia, non solo rispetto ai Paesi scandinavi e dell’Europa occidentale, ma anche rispetto a nazioni che storicamente non hanno investito altrettanto nell’insegnamento dell’inglese.

La domanda, quindi, è legittima: come mai l’Italia, pur essendo una delle maggiori economie dell’Unione Europea, non riesce a colmare il gap con i suoi vicini? Nonostante le politiche educative, gli investimenti in programmi linguistici e la crescente importanza dell’inglese nel mondo del lavoro, il Paese sembra non riuscire a rimanere al passo con le altre nazioni europee, un fattore che potrebbe avere conseguenze significative in termini di competitività globale e attrattività economica.

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Una mamma su quattro si addormenta mentre allatta il...

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Un quarto delle madri che allattano al seno ammette di addormentarsi mentre il neonato è impegnato a nutrirsi. Un comportamento che, purtroppo, può aumentare i rischi di soffocamento e di sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS). A rilevarlo è una ricerca condotta dal team dell’Università della Virginia a Charlottesville, che ha evidenziato che quando un bambino si addormenta in ambienti con cuscini morbidi e spazi angusti, come quelli di divani, poltrone o letti, il rischio di improvvisa morte aumenta significativamente.

Nell’80% dei casi, le madri non avevano intenzione di addormentarsi, ma è accaduto spontaneamente.

Lo studio

La dottoressa Fern Hauck, ricercatrice e esperta di sonno sicuro presso l’Università della Virginia Health and School of Medicine, ha spiegato che “mentre il fatto di addormentarsi quando si allatta non è sorprendente di per sé, ciò che è allarmante è che la maggior parte delle madri non aveva pianificato di addormentarsi, creando quindi un ambiente potenzialmente pericoloso per il bambino mentre entrambi dormivano”.

Il team di ricerca, infatti, ha sottolinea l’importanza di educare i genitori sui rischi legati al sonno durante l’allattamento e sulla necessità di pianificare lo spazio in cui il bambino si trova. “È essenziale preparare l’ambiente per garantire che la via respiratoria del bambino rimanga libera“, ha aggiunto la dottoressa Hauck.

Ciò include la rimozione di cuscini e coperte, per evitare che il neonato possa trovarsi in una posizione pericolosa.

Lo studio si basa su un’indagine condotta su 1.250 neomamme intervistate in 16 ospedali negli Stati Uniti. I bambini avevano tra i 2 e i 3 mesi al momento dell’intervista. Più del 28% delle donne ha dichiarato di essersi addormentata “a volte” o “solitamente” durante l’allattamento nelle due settimane precedenti alla rilevazione.

Molte mamme che si sono addormentate durante l’allattamento hanno scelto di farlo su un divano o su una poltrona, piuttosto che sul letto, per cercare di evitare di addormentarsi. Tuttavia, spesso questa precauzione non ha funzionato.

L’importanza della posizione e delle raccomandazioni ufficiali

Le raccomandazioni attuali dell’American Academy of Pediatrics (Aap) non supportano la condivisione del letto con un neonato, per evitare il rischio di rotolarsi sopra il bambino o che quest’ultimo si ritrovi intrappolato nei cuscini o nelle coperte.

Lo studio ha mostrato che le probabilità di addormentarsi durante l’allattamento sono molto più alte quando il bambino è nel letto (circa il 34% dei casi) rispetto a quando è su un divano o una poltrona (circa il 17%).

Tuttavia, le linee guida sottolineano anche che se la madre teme di addormentarsi, il letto è un posto relativamente più sicuro rispetto a un divano o una poltrona. La questione principale, spiegano i ricercatori, è trovare soluzioni per aiutare le mamme ad evitare il sonno mentre allattano, specialmente quando sono particolarmente stanche.

Soluzioni pratiche e consapevolezza

“È importante venire incontro alle esigenze delle famiglie e aiutarle a pianificare un programma per l’allattamento e il sonno che funzioni per loro e che sia il più sicuro possibile”, ha affermato la dottoressa Ann Kellams, pediatra e specialista in medicina dell’allattamento presso il dipartimento di Health Children’s dell’Università della Virginia. “I nostri dati suggeriscono che troppi incidenti di sonno non sono pianificati, quindi è fondamentale discutere di come gestire l’allattamento quando si è molto stanchi“.

L’educazione delle madri sui pericoli potenziali legati al sonno durante l’allattamento è cruciale, affermano i ricercatori. “Speriamo che i genitori di neonati pensino proattivamente a cosa potrebbe accadere nel mezzo della notte”, ha concluso la dottoressa Rachel Moon, pediatra e esperta di sonno sicuro. “Allattare il proprio bambino nel letto è più sicuro che farlo su un divano o una poltrona, se si rischia di addormentarsi”.

Lo studio, che è stato pubblicato nel numero di novembre della rivista Pediatrics, invita quindi le famiglie a riflettere sui rischi e a prendere precauzioni per garantire un sonno sicuro per il neonato, senza compromettere la sicurezza durante i momenti di allattamento.

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Un quarto delle madri che allattano al seno ammette di addormentarsi mentre il neonato è impegnato a nutrirsi. Un comportamento che, purtroppo, può aumentare i rischi di soffocamento e di sindrome della morte improvvisa del lattante (SIDS). A rilevarlo è una ricerca condotta dal team dell’Università della Virginia a Charlottesville, che ha evidenziato che quando un bambino si addormenta in ambienti con cuscini morbidi e spazi angusti, come quelli di divani, poltrone o letti, il rischio di improvvisa morte aumenta significativamente.

Nell’80% dei casi, le madri non avevano intenzione di addormentarsi, ma è accaduto spontaneamente.

Lo studio

La dottoressa Fern Hauck, ricercatrice e esperta di sonno sicuro presso l’Università della Virginia Health and School of Medicine, ha spiegato che “mentre il fatto di addormentarsi quando si allatta non è sorprendente di per sé, ciò che è allarmante è che la maggior parte delle madri non aveva pianificato di addormentarsi, creando quindi un ambiente potenzialmente pericoloso per il bambino mentre entrambi dormivano”.

Il team di ricerca, infatti, ha sottolinea l’importanza di educare i genitori sui rischi legati al sonno durante l’allattamento e sulla necessità di pianificare lo spazio in cui il bambino si trova. “È essenziale preparare l’ambiente per garantire che la via respiratoria del bambino rimanga libera“, ha aggiunto la dottoressa Hauck.

Ciò include la rimozione di cuscini e coperte, per evitare che il neonato possa trovarsi in una posizione pericolosa.

Lo studio si basa su un’indagine condotta su 1.250 neomamme intervistate in 16 ospedali negli Stati Uniti. I bambini avevano tra i 2 e i 3 mesi al momento dell’intervista. Più del 28% delle donne ha dichiarato di essersi addormentata “a volte” o “solitamente” durante l’allattamento nelle due settimane precedenti alla rilevazione.

Molte mamme che si sono addormentate durante l’allattamento hanno scelto di farlo su un divano o su una poltrona, piuttosto che sul letto, per cercare di evitare di addormentarsi. Tuttavia, spesso questa precauzione non ha funzionato.

L’importanza della posizione e delle raccomandazioni ufficiali

Le raccomandazioni attuali dell’American Academy of Pediatrics (Aap) non supportano la condivisione del letto con un neonato, per evitare il rischio di rotolarsi sopra il bambino o che quest’ultimo si ritrovi intrappolato nei cuscini o nelle coperte.

Lo studio ha mostrato che le probabilità di addormentarsi durante l’allattamento sono molto più alte quando il bambino è nel letto (circa il 34% dei casi) rispetto a quando è su un divano o una poltrona (circa il 17%).

Tuttavia, le linee guida sottolineano anche che se la madre teme di addormentarsi, il letto è un posto relativamente più sicuro rispetto a un divano o una poltrona. La questione principale, spiegano i ricercatori, è trovare soluzioni per aiutare le mamme ad evitare il sonno mentre allattano, specialmente quando sono particolarmente stanche.

Soluzioni pratiche e consapevolezza

“È importante venire incontro alle esigenze delle famiglie e aiutarle a pianificare un programma per l’allattamento e il sonno che funzioni per loro e che sia il più sicuro possibile”, ha affermato la dottoressa Ann Kellams, pediatra e specialista in medicina dell’allattamento presso il dipartimento di Health Children’s dell’Università della Virginia. “I nostri dati suggeriscono che troppi incidenti di sonno non sono pianificati, quindi è fondamentale discutere di come gestire l’allattamento quando si è molto stanchi“.

L’educazione delle madri sui pericoli potenziali legati al sonno durante l’allattamento è cruciale, affermano i ricercatori. “Speriamo che i genitori di neonati pensino proattivamente a cosa potrebbe accadere nel mezzo della notte”, ha concluso la dottoressa Rachel Moon, pediatra e esperta di sonno sicuro. “Allattare il proprio bambino nel letto è più sicuro che farlo su un divano o una poltrona, se si rischia di addormentarsi”.

Lo studio, che è stato pubblicato nel numero di novembre della rivista Pediatrics, invita quindi le famiglie a riflettere sui rischi e a prendere precauzioni per garantire un sonno sicuro per il neonato, senza compromettere la sicurezza durante i momenti di allattamento.

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