Ue, è stallo sul von der Leyen bis: maggioranza sull’orlo di una crisi di nervi
Le audizioni dei sei vicepresidenti esecutivi in pectore hanno prodotto nervosismo a Bruxelles: veti incrociati all’interno della maggioranza tra Popolari e Socialisti, il caso Fitto
La nomina della seconda Commissione Europea di Ursula von der Leyen si va complicando sempre di più. Le audizioni dei sei vicepresidenti esecutivi in pectore, che avrebbero dovuto chiudere l’esame da parte del Parlamento Europeo, hanno prodotto a Bruxelles uno stallo nervosissimo, provocato dai veti incrociati all’interno della maggioranza, tra Popolari e Socialisti.
Il 'caso Fitto', Socialisti sul piede di guerra
In sostanza i Socialisti e Democratici non vogliono che a Raffaele Fitto, ministro degli Affari Europei del governo Meloni, malgrado sia generalmente considerato adatto a fare il commissario alla Coesione, venga assegnata una vicepresidenza esecutiva perché i Conservatori, il gruppo di Fratelli d’Italia, non fanno parte della maggioranza che ha eletto Ursula von der Leyen in luglio. Per i Socialisti, e anche per molti eurodeputati del Pd, la vicepresidenza esecutiva assegnata all’Ecr altera il profilo politico della Commissione.
I Socialisti sono sul piede di guerra, tanto che diversi eurodeputati dell’S&D, fuori microfono, dicono che potrebbero persino votare contro l’intero collegio a Strasburgo. Von der Leyen “faccia la maggioranza con Orban, Bardella e AfD e spieghi ai cittadini europei che è la curatrice fallimentare dell’Ue”, dice una fonte del Pd. Il francese Raphael Glucksmann, il primo ad aprire le ostilità via social nei confronti di Fitto, dice che non si può avere un "accordo a luglio" e una "maggioranza con l'estrema destra a novembre. Una linea rossa è una linea rossa". A palazzo Berlaymont, sede della Commissione, si è tenuto un incontro tra i vertici di Ppe, S&D e Renew Europe, ma non è andato bene.
La risposta dei Popolari: bloccata la nomina di Ribera
La capogruppo socialista Iratxe Garcia Perez, dopo aver incontrato von der Leyen, ha detto di non essere ottimista e di non sapere se verrà trovato un accordo. I Popolari, che hanno bisogno dei Conservatori in Parlamento per evitare uno spostamento troppo a sinistra del Green Deal, per tutta risposta hanno bloccato la nomina della vicepresidente spagnola Teresa Ribera, che è stata attaccata in audizione dai suoi compatrioti, che sulle alluvioni che hanno sconvolto la regione di Valencia stanno attaccando il governo di Pedro Sanchez e chiedono che Ribera riferisca alle Cortes, cosa che dovrebbe accadere la settimana prossima. Quindi, alla questione Fitto si aggiunge un problema tutto spagnolo, il tentativo del Partido Popular di dare una spallata a Pedro Sanchez, dopo le alluvioni a Valencia, che acquista grandissima rilevanza anche perché gli spagnoli conservano la presidenza del gruppo S&D, malgrado siano la seconda delegazione dopo il Pd.
Stallo totale e silenzio di von der Leyen, le tappe della rottura
Lo stallo, al momento, appare totale. Non aiuta il silenzio di von der Leyen: “Parli, dica qualcosa c…”, sbotta un eurodeputato Dem. Anche una dichiarazione politica, in cui si dica che la maggioranza è quella che l’ha eletta a luglio, aiuterebbe a distendere gli animi, ma per tutto il giorno von der Leyen ha taciuto, chiusa al Berlaymont. Ha persino annullato la sua partecipazione alla miniplenaria di Bruxelles, inizialmente ventilata. Per una fonte dell’S&D, solamente una dichiarazione politica della presidente eletta non basterebbe. Se vuole conservare la vicepresidenza esecutiva per Raffaele Fitto, allora, ragiona un eurodeputato socialista, dovrebbe “raddoppiare” le deleghe dei commissari socialisti.
Secondo una fonte popolare, la rottura si sarebbe consumata lunedì sera, quando i Socialisti avrebbero comunicato a Manfred Weber che non avrebbero votato né Fitto, né Oliver Varhelyi, il candidato ungherese alla Salute (attuale commissario all’Allargamento), il cui destino rimane appeso, insieme a quello dei sei vicepresidenti. Questo, come ha osservato Carlo Fidanza di Fdi, malgrado l'Ecr abbia appoggiato gli altri commissari, che senza l'appoggio dei Conservatori non sarebbero passati con la maggioranza necessaria dei due terzi. A quel punto Weber avrebbe deciso di bloccare Ribera, anche perché deve ancora riferire alle Cortes ed è preferibile che i prossimi componenti della Commissione non abbiano “ombre” in patria che possano creare noie a Bruxelles nel corso del mandato. La linea di Weber avrebbe incontrato qualche obiezione da parte dei coordinatori Ppe nelle commissioni, i quali temono che lo scontro con i Socialisti possa far deragliare la nomina della nuova Commissione.
Il capodelegazione della Lega, Paolo Borchia, dei Patrioti ha preso carta e penna e ha scritto alla presidente dell’Aula Roberta Metsola, osservando che il Parlamento “calpesta le sue stesse regole”. Le audizioni vengono tenute per appurare se un commissario è adatto o meno al lavoro che deve fare. In pochi sostengono che Fitto e Ribera siano inadatti al ruolo che devono ricoprire. Entrambi sono andati bene nelle rispettive audizioni: Fitto, in particolare, ha eretto un invalicabile 'muro di gommapiuma', rispondendo con calma e disponibilità al dialogo anche agli interventi più ‘aggressivi’.
A un certo punto, forte del suo passato nella Dc e dei suoi tre mandati da europarlamentare, ha lodato il lavoro fatto sulla coesione da Younous Omarjee, che ha redatto un rapporto di cui lui, Fitto, è stato relatore ombra. Ha definito il rapporto Omarjee un’ottima “base” su cui lavorare, malgrado le “differenze politiche” che lo separano dall’ex collega. Che milita nella France Insoumise, la Gauche del tribuno Jean-Luc Mélenchon. Ma ormai la partita è tutta politica e viene decisa dai vertici dei gruppi: l’esito sembra prescindere del tutto dal merito delle audizioni. Invano la capogruppo di Renew Valérie Hayer ieri ha fatto appello alle parti affinché tornino al tavolo, per evitare uno “stallo” che sarebbe dannoso “per tutti”.
Rischio nuove tensioni e rinvii
La von der Leyen bis non è ancora nata e la maggioranza che ha rieletto Ursula è percorsa da tensioni fortissime. E oggi, se non interverrà un accordo, le tensioni potrebbero aumentare ulteriormente perché i Popolari hanno presentato emendamenti al regolamento Ue sulla deforestazione, secondo i Socialisti violando gli accordi. La partita delle nomine al momento pare destinata ad essere rimandata alla settimana prossima. Per l’eurodeputata di Forza Italia Letizia Moratti, l’esito sarà successivo al passaggio di Ribera alle Cortes.
L'Ue a pezzi si presenta a Trump
Intanto, Donald Trump è stato rieletto negli Usa e si prepara a riprendere possesso della Casa Bianca. Con l’Ue non era stato tenero, nel suo primo mandato: il primo politico europeo che aveva ricevuto alla Trump Tower, dopo aver vinto alle urne, era stato Nigel Farage, il papà della Brexit. All’epoca Socialisti e Popolari governavano l’Aula. Questa volta si troverà di fronte un’Unione ancora più divisa, con la (ex?) maggioranza Ursula che pare sul punto di spaccarsi in mille pezzi, ancora prima che la nuova Commissione si insedi. Il tutto con la Germania, motore immobile dell'Unione, senza un governo nel pieno dei suoi poteri, con ogni probabilità almeno fino alla prossima primavera.
Esteri
Trump sfida il Senato repubblicano, Gaetz alla Giustizia e...
Shock e incredulità per la nomina ad attorney general del deputato sotto inchiesta alla Camera per uno scandalo sessuale
Le provocatorie nomine dei fedelissimi, e controversi, Matt Gaetz alla Giustizia e Tulsi Gabbard alla guida della National Intelligence sono piombate a Capitol Hill come una sfida alla stessa maggioranza repubblicana al Senato. Anche perché gli annunci sono stati fatti poche ore dopo che i senatori hanno scelto come prossimo leader della maggioranza il moderato John Thune, contro il quale negli ultimi giorni si erano scatenati gli attacchi del Maga, Elon Musk in testa, che bocciavano il senatore del South Dakota come rappresentante dell'establishment e davano il loro appoggio a Rick Scott, che ha raccolto però i sostegni di appena 13 senatori.
E' in particolare la nomina di Gaetz, sotto inchiesta alla Camera per questioni etiche dopo che il dipartimento di Giustizia (che ora dovrà guidare) l'ha indagato senza incriminarlo per traffico sessuale con minorenni, che sta creando il maggiore shock ed oltraggio al Congresso, anche tra i senatori repubblicani che dovranno confermarlo. I repubblicani avranno una maggioranza tra i 52 e i 53 seggi, quindi anche un piccolo gruppo di oppositori potrebbe creare dei problemi alla conferma del deputato.
Chi è Matt Gaetz
Gaetz, 42 anni, è stato indagato dai procuratori federali per accuse di sfruttamento sessuale di una 17enne. L'inchiesta federale si è chiusa senza incriminazioni, ma ora è la commissione Etica della Camera ad indagare sulle accuse di natura sessuale e uso illecito di droga. Al centro delle accuse i viaggi che Gaetz avrebbe fatto alle Bahamas con escorti pagate per viaggiare con lui, cosa che viola le legge federale, tra le quali anche una minorenne. Accuse sempre negate dal repubblicano che in questi anni si è imposto come una figura divisiva anche all'interno del partito repubblicano, soprattutto per essere stato alla guida del gruppo di trumpiani di estrema destra che fecero cadere lo Speaker Kevin McCarthy e precipitare la Camera nel caos.
Se confermato, e il se è d'obbligo date le dichiarazione negative o per lo meno scettiche arrivate dai senatori repubblicani che dovranno votare la sua ratifica, Gaetz sarà il primo attorney general in 40 anni che non abbia un passato di procuratore o giudice. Ma arriverà sulla scia di dichiarazioni incendiarie contro magistratura federale e Fbi. E la promessa, o minaccia, di vendette e purghe tra i 100mila dipendenti del dipartimento, dove la nomina viene definita come "folle" e "ridicola".
"Guardate ha qualifiche straordinarie, quanti altri possibili attorney general possono vantare un'esperienza come indagato in un'inchiesta federale?", ironizza un dipendente della Giustizia con Nbcnews, dimenticando forse che Trump ha vinto le elezioni da incriminato in un processo federale e condannato in uno penale. Ironia a parte, si prevede che l'arrivo di Gaetz alla Giustizia possa provocare una fuga di procuratori federali.
Quello che è certo è che il controverso repubblicano diventerà alla Giustizia il braccio armato di Trump senza ma e senza se. Ben diverso dal Jeff Sessions, attorney general della prima amministrazione Trump che fu messo nella lista nera del tycoon per aver seguito la legge nominando Robert Mueller procuratore speciale sul Russiagate. "Questo è il partito di Donald Trump e io sono un repubblicano di Donald Trump", recita lo slogan per la rielezione alla Camera di Gaetz che fu uno degli oratori del comizio del 6 gennaio in cui Trump poi esortò i suoi ad assalire il Congresso. "Non ci vergogniamo di nulla", disse.
Scetticismo dei repubblicani
"Non credo che sia una nomination seria ad attorney general, questa è la mia opinione, dobbiamo avere un attorney general serio, sono ansiosa di poter valutare qualcuno di serio", ha affermato senza mezzi termini Lisa Murkowski, la senatrice moderata dell'Alaska che è stata tra i sette senatori che votarono per condannare Trump al processo di impeachment per l'assalto al Congresso.
Più cauto John Cornyn, il presidente della commissione Giustizia che dovrà quindi passare al vaglio la nomination di Gaetz, che assicura che il Senato "prenderà in considerazione seriamente ogni nominato da Trump, ma abbiamo anche una responsabilità costituzionale". Riguardo poi al deputato repubblicano, il senatore texano aggiunge di "non conoscerlo, a parte la sua immagine pubblica".
E si dice "certo" che durante le audizioni di conferma ci saranno domande sull'inchiesta in corso alla Camera sulle accuse di natura sessuale. Sulla stessa posizione un altro membro repubblicano della commissione Giustizia, Thom Tillis, afferma che come "parte del processo" ci sarà uno "sguardo onesto" sulle indagini. Ancora più scettica Susan Collins, l'altra senatrice moderata: ""ovviamente, il presidente il diritto di nominare chi vuole, ma sono certa che si saranno molte domande" in particolare riguardo all'inchiesta del comitato etico.
Infine Kevin Cramer, affermando che le prospettive di conferma di Gaetz sono in salita, aggiunge apertamente che sia "molto possibile" che Trump stia testando quanto possa controllare il Senato. Anche alla Camera, dove lo scorso anno Gaetz è stato il principale animatore del gruppetto di estremisti di destra che hanno fatto cadere lo Speaker Kevin McCarthy facendo precipitare la Camera nel caos, molti repubblicani hanno replicato con incredulità alla nomina di Gaetz.
E Max Miller, deputato eletto in Ohio, non ha esitato a definire "stupida" la nomina di Gaetz: "Credo che il presidente lo stia premiando per essere stato un soldato così leale, ma il presidente è abbastanza intelligente per sapere che Mr Gaetz non verrà mai confermato in Senato".
Vale la pena comunque ricordare che nei giorni scorsi, quando Trump aveva annunciato nomine che raccoglievano solo elogi e sostegni al Senato come Susie Willes come capo dello staff della Casa Bianca, aveva avvisato che il prossimo leader repubblicano al Senato dovrà essere pronto ad accettare che i suoi nominati vengano confermati senza audizioni, tramite attraverso il ricorso del recess appointment, che permette, in effetti in condizioni di emergenza, al presidente di confermare ministri senza audizioni e voto al Senato.
Scott si era subito detto d'accordo "al 100%" con il presidente eletto, mentre Thune aveva messo le mani avanti rispetto alla possibilità di rinunciare alla principale responsabilità costituzionale del Senato di controllo del potere presidenziale. E subito dopo sono arrivate, proprio come una sfida, le nomine che stanno facendo venire il mal di pancia a qualche repubblicano. Prima di quella di Gaetz e Gabbard, quella al Pentagono di Pete Hegseth, affidando l'esercito più potente del mondo ad un conduttore di Fox News, che sfoggia tatuaggi con simboli dei crociati, cari ai membri delle milizie di estrema destra, la cui più importante qualifica è essere un fedelissimo di Trump.
Esteri
Minaccia a Tajani: “Stop sostegno a Israele, pronti...
La lettera minatoria al ministro degli Esteri e vicepremier con avvertimento del 'Movimento globale contro il nazi-sionista terrorista stato di Israele per la liberazione della Palestina'
Antonio Tajani destinatario di una lettera minatoria per il sostegno italiano a Israele. Il vice premier e ministro degli Esteri ha ricevuto "un avvertimento", che riguarda anche "le autorità" di altri Paesi, siglato dal cosiddetto "Movimento globale contro il nazi-sionista terrorista stato di Israele per la liberazione della Palestina", nel quale si annunciano attacchi a partire da domani contro "gli interessi dello Stato ebraico".
"Formati gruppi per difendere palestinesi, utilizzeremo forza armata"
"Un avvertimento alle autorità dei paesi che sostengono l'entità sionista israeliana, Stati Uniti d'America, Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia, alla luce del silenzio globale e del sostegno illimitato al crimine di genocidio contro il popolo palestinese - si legge nella lettera, il cui mittente è A.F. di Bologna e indirizzata all'ufficio di Tajani a Palazzo Chigi - Crediamo nel diritto del popolo palestinese a vivere sulla propria terra e a continuare la resistenza fino alla liberazione". "In risposta ai crimini commessi contro il popolo palestinese, tra cui l'uccisione fino ad oggi di oltre 50.000 bambini, donne e anziani innocenti e il ferimento di oltre 200.000 persone, abbiamo formato gruppi di persone di tutte le nazionalità del mondo per difendere i diritti dei palestinesi", afferma il movimento. Che poi minaccia: "Di conseguenza dichiariamo che a partire dal 15 novembre 2024 utilizzeremo la forza armata per colpire tutti gli interessi dello Stato terrorista di Israele, accusato a livello internazionale di crimini di guerra e genocidio, comprese le sue ambasciate, i suoi musei e tutte le sue attività e raduni in tutto il mondo".
"In questo contesto, invitiamo i governi sopra menzionati a smettere di sostenere politicamente, economicamente e militarmente lo stato terrorista nazi-sionista di Israele e ad adottare una posizione di neutralità. Esortiamo inoltre le vostre forze e tutti gli individui associati a questa entità a evacuare le loro posizioni per la loro sicurezza", conclude la lettera.
La solidarietà al ministro
''La mia vicinanza e solidarietà al vicepremier e ministro degli Esteri Antonio Tajani per la missiva dai toni minatori recapitata oggi a Palazzo Chigi intestata a un sedicente gruppo pro Palestina. Sono minacce inaccettabili che richiedono una risposta ferma e decisa da parte di tutti per evitare di alimentare un clima di odio e violenza in una situazione internazionale estremamente complessa e delicata. Gli investigatori sono già al lavoro per individuare i responsabili”, sottolinea il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi.
"Il gruppo parlamentare di Fratelli d’Italia alla Camera dei deputati esprime piena solidarietà al ministro degli Esteri, Antonio Tajani, per le ignobili minacce ricevute in una missiva firmata da un sedicente gruppo pro-Palestina. Siamo certi che queste vili intimidazioni non fermeranno il lavoro diplomatico del ministro, il cui obiettivo è il raggiungimento di una pace giusta e duratura, anche al fine di avere una stabilità internazionale nell’area mediorientale". Così Tommaso Foti, capogruppo di Fratelli d'Italia alla Camera.
"Piena solidarietà al Vicepresidente del Consiglio, Antonio Tajani, minacciato da folli antisemiti e antisraeliani. L'attacco a Tajani fa seguito a quello che molti di noi hanno ricevuto, qualche tempo fa, da un sedicente partito comunista, dalle cosiddette Carc. Come ho denunciato in un esposto alle forze dell'ordine e alla magistratura quell'appello, che ha colpito molti di noi, appare frutto di organismi deviati e di qualche ambiente giornalistico che vediamo impegnato, sulle televisioni e non solo, a denigrare Israele ed a dar luogo alla propaganda antisemita", dichiara il presidente dei senatori di FI, Maurizio Gasparri. "C'è un complesso di attacchi che viene da ambienti di militanza politica ed informativa, che adesso prende corpo anche in questa minaccia rivolta a Tajani. La cui azione ed il cui coraggio sono riferimenti interni ed internazionali. All'insegna della chiarezza e della lealtà verso tutti gli alleati dell'Occidente, a cominciare da Israele”, conclude.
“Nessuna vile intimidazione farà arretrare di un millimetro il nostro Governo sulle posizioni in politica estera: siamo impegnati nel favorire il dialogo, ribadendo il sostegno convinto a Israele e l’impegno per la ricerca di una giusta soluzione per la Palestina, così da arrivare ad ottenere quella pace duratura auspicata per tutto il Medio Oriente. Mai come ora, grazie al Governo Meloni, stabile, credibile e autorevole e grazie soprattutto alla serietà e all’ affidabilità riconosciuta in tutto il mondo ad Antonio Tajani, la nostra voce è rispettata e ascoltata. Innalzare i toni porta ad una degenerazione del clima che non va sottovalutata. A Tajani la massima solidarietà e vicinanza nell’assoluta certezza che continuerà alla grande, con coraggio, il suo eccellente e instancabile lavoro”, ha dichiarato Alessandro Battilocchio, deputato di Forza Italia.
"Esprimo la mia massima solidarietà al ministro Antonio Tajani, destinatario oggi di una grave e inaccettabile lettera di minacce. Sono certa che non si farà intimorire e proseguirà con ancor più determinazione gli obiettivi politici e gli incarichi istituzionali". Così l'eurodeputata azzurra Letizia Moratti da Bruxelles, dove è in corso la seduta plenaria del Parlamento Ue.
“Le minacce al ministro Tajani sono particolarmente gravi, perché sono indirizzate a un uomo che ha parlato e agito sempre con grande equilibrio sulla questione mediorientale. Esprimo a lui la mia totale vicinanza, consapevole che continuerà a lavorare per la pace, come ha sempre fatto con coraggio e abnegazione”. Lo ha dichiarato il Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega all’informazione e all’editoria, Alberto Barachini.
Esteri
Iran, in clinica psichiatrica chi sfida l’obbligo del...
La decisione delle autorità per zittire il movimento delle donne iniziato con l'uccisione di Masha Amini fino ad arrivare alla studentessa che si è spogliata all'università. Verrà aperta una clinica specializzata "per il trattamento della rimozione dell'hijab"
In Iran la sfida all'obbligo di indossare l'hijab rischia ufficialmente di finire in "cliniche" per il "trattamento psicologico" delle donne che osano non rispettare le norme sul velo. Indignate donne e attiviste, associazioni per la difesa dei diritti umani. E' stata una donna, Mehri Talebi Darestani, a capo del Dipartimento per le donne e la famiglia del quartier generale per la Promozione delle virtù e la prevenzione del vizio, ad annunciare l'apertura di una "clinica per il trattamento della rimozione dell'hijab". Una struttura che, ha detto, offrirà "trattamento scientifico e psicologico".
Una decisione "vergognosa", dice Sima Sabet, giornalista iraniana che vive nel Regno Unito sfuggita lo scorso anno a un tentativo di omicidio, citata dal Guardian. "E' agghiacciante l'idea di aprire cliniche per 'curare' le donne non velate", afferma. Un'iniziativa "né islamica né in linea con le leggi iraniane", le fa eco l'avvocato iraniano Hossein Raeesi. "Non sarà una clinica, sarà una prigione", dice una giovane dall'Iran.
L'annuncio delle autorità iraniane è arrivato dopo che i media iraniani hanno riferito del trasferimento in un ospedale psichiatrico di una studentessa universitaria arrestata dopo essersi spogliata a Teheran in quella che sarebbe stata una protesta per essere stata aggredita dagli agenti della sicurezza del campus per aver violato le disposizioni sull'hijab.