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Claudio Ranieri ‘uomo dei Friedkin’ nella Roma, le parole chiave

La conferenza stampa di presentazione del nuovo allenatore chiarisce ruolo e prospettive

Conferenza stampa Ranieri

La conferenza stampa di presentazione di Claudio Ranieri, nuovo allenatore e futuro dirigente della Roma, chiude la crisi aperta con l'esonero di Daniele De Rossi e conclamata con i fallimentari 50 giorni di Ivan Juric. Il campo, i prossimi mesi e le prossime scelte diranno se la scelta fatta da Dan e Ryan Friedkin sarà quella giusta. Intanto, però, ci sono le parole. Quelle di Ranieri, prima di tutto, ma anche quelle del direttore sportivo Florent Ghisolfi, ancora in francese.

Hanno detto tante cose che aiutano a rimettere al loro posto una serie di tasselli, sia rispetto alle ultime settimane vissute sia rispetto al confronto che c'è stato a Londra fra Ranieri e Dan Friedkin e alle reali prospettive di riprendere un percorso interrotto bruscamente da una serie di errori. La frase più importante, "Nel futuro sarò l'uomo vicino alla famiglia Friedkin, per aiutarli a sbagliare il meno possibile", dice più di qualsiasi forma contrattuale.

A Ranieri è stato chiesto di fare l'allenatore e di cambiare le cose sul campo, da qui a giugno. Ma a Ranieri è stato chiesto, o comunque si è arrivati a concordare dopo una 'trattativa' fatta solo sul livello di autonomia e le reali possibilità di incidere, di essere l'uomo di calcio che è sempre mancato a rappresentare la famiglia Friedkin.

La scelta che è stata fatta, definita "una priorità" da Ghisolfi quando evidentemente si sono considerate prima ipotesi alternative, può rappresentare un passaggio chiave per il futuro della Roma. Perché Claudio Ranieri oggi non è solo l'allenatore della Roma e non è solo un futuro dirigente della Roma. Claudio Ranieri è l'opportunità, forse l'ultima, che si sono concessi Dan e Ryan Friedkin per salvare la propria esperienza alla presidenza della Roma.

Era tutt'altro che scontato che finisse così. Fra tentazioni straniere, soluzioni esotiche e rischio di improvvisazione, la Roma ha corso il rischio di perdere definitivamente qualsiasi identità. Ora invece a Trigoria c'è un uomo di calcio e un uomo di Roma e della Roma. Se Ranieri diventasse veramente l'uomo dei Friedkin, la proprietà americana potrebbe ancora dare un senso agli investimenti fatti, rimediando alle conseguenze catastrofiche delle scelte sbagliate fatte e tornando a guardare a un futuro diverso. (Di Fabio Insenga)

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Sport

Zverev batte Alcaraz e lo elimina dalle Atp Finals

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Il tedesco vola in semifinale, dove affronterà Taylor Fritz

Carlos Alcaraz - Fotogramma

Clamoroso a Torino: Carlos Alcaraz è stato eliminato dalle Atp Finals. Fatale per lo spagnolo la sconfitta di questo pomeriggio contro Alexander Zverev, che nell'ultima giornata del girone 'Newcombe' si è affermato in due set con il punteggio di 7-6, 6-4 in un'ora e 57 minuti. Il tedesco, che era già sicuro della qualificazione dopo aver battuto Rublev e Ruud, si è così confermato come uno dei tennisti più in forma del torneo e ora diventa il rivale numero uno di Jannik Sinner per la vittoria finale. In semifinale Zverev affronterà domani lo statunitense Taylor Fritz, numero 5 del mondo che ha chiuso al secondo posto il proprio girone.

Grande delusione per Alcaraz, che nei giorni scorsi aveva lamentato problemi di stomaco e una stanchezza dovuta ai tanti impegni stagionali. Carlos chiude il suo torneo con un solo punto conquistato, contro Rublev, e abbandona le Finals in virtù anche della sconfitta rimediata all'esordio con Ruud. I due sono infatti appaiati a quota 1 punto in classifica e il norvegese, che questa sera chiuderà la fase a gironi contro il russo per conquistare la semifinale, è comunque avanti ad Alcaraz in virtù dello scontro diretto.

Sinner, che ha chiuso al primo posto il proprio girone, scoprirà questa sera il suo avversario. Se Ruud battesse Rublev volerebbe in semifinale contro l'azzurro, mentre in caso di vittoria del russo si andrebbero a contare i game vinti.

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Sport

A caccia di tempeste: la strategia dei navigatori oceanici...

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A caccia di tempeste: la strategia dei navigatori oceanici per vincere le regate

Probabilmente è l'unica categoria che potrebbe trarre un minimo di vantaggio dal cambiamento climatico in atto sul pianeta: sono i velisti oceanici impegnati nelle competizioni più lunghe ed estenuanti. Come il Vendée Globe, la cui decima edizione è in corso, con i primi che hanno già doppiato le isole Canarie a meno di una settimana -domenica scorsa, davanti a una folla di 300.000 persone inzeppate nel paesino vandeano di Les Sables d'Olonne- dalla partenza della regata più dura del mondo

Vendée Globe, come funziona

In solitaria, senza scalo né assistenza, sugli Imoca 60 che in una quindicina di esemplari sfoggiano i foil per sollevare scafi ma non sullo specchio acqueo piatto di Barcellona, sede dell'ultima America's Cup, bensì sulle colline mobili degli oceani, lontani da ogni terra e lungo rotte che prevedono navigazioni alle latitudini estreme tra i 40 e i 50 gradi. Paradossalmente per chi vive a terra, e a differenza di qualunque navigatore "normale", gli atleti delle regate oceaniche non scansano le tempeste: anzi le cercano. Lambire una zona di depressione, o a volte ficcarcisi dentro per scelta, garantisce una maggiore velocità di navigazione, poco importa il disagio ma sempre con un occhio alla tenuta delle strutture delle barche, sempre progettate per resistere alle condizioni oceaniche estreme ma tuttavia anche con un occhio alla leggerezza, come competizione vuole.

Nicolas Lunven e il nuovo record

Ha fatto impressione per esempio l'impresa del francese Nicolas Lunven su Holcim PRB: 546,6 miglia, vale a dire circa 1.021 km, in 24 ore appena due giorni fa: nuovo record sugli Imoca, migliorando di 6 miglia (10 km) quello di Thomas Ruyant del 2023. Il francese è stato costretto a cercare una zona di maggior vento azzeccando l'accelerazione di curvatura proveniente da capo Finisterre: alla partenza dalla Vandea aveva scelto una rotta molto più verso ovest-nord ovest degli altri 39 skipper, tutti diretti a sud ovest verso Finisterre, regalandogli il penultimo posto, peggiorato anche da una cima aggrovigliata su una delle due barre del timone che lo ha costretto a fermarsi e a sbrogliare la matassa in piena notte.

Una volta agganciata la giusta pressione del vento, dal 39mo posto Lunven ha risalito quasi tutti fino a raggiungere il quarto posto, una rimonta che ha dell'incredibile. Qualcosa che sta succedendo anche all'unico italiano in gara, Giancarlo Pedote su Prysmian, partito venticinquesimo e proprio oggi, secondo il sito del Vendée Globe, anche lui in quarta posizione geografica, ma solo perché più a sud est di altri, mentre in classifica reale navigherebbe sempre intorno alla quindicesima posizione.

La leggendaria impresa di Sir Peter Blake nel 1994

Ma la ricerca di tempeste per andare più veloci risale a molto tempo prima dei nostri anni. Il primo ad adottare scientemente questa strategia, annunciandola prima di partire, fu il grande velista neozelandese Sir Peter Blake nel suo storico record al Trofeo Jules Verne del '94 a bordo del catamarano Enza New Zealand, all'epoca il più grande del mondo con i suoi 80 piedi (circa 25 metri). Anche questa una regata intorno al mondo ma in equipaggio e con l'obiettivo di circumnavigare il globo entro gli 80 giorni, creata nel '91. Il primo tentativo fallì per colpa di un container a pelo dell'acqua che aprì una falla nello scafo di dritta e lo costrinse al ritiro, lasciando la vittoria al francese Bruno Peyron che impiegò circa 79 giorni, primo al mondo a scendere sotto gli 80.

Blake, che a bordo aveva anche un'altra leggenda della vela come Sir Robin Knox-Johnston, ripartì nel gennaio del '94 sull'Enza potenziato, in un duello con Olivier de Kersauson sul suo maxi trimarano Lyonnaise des Eaux Dumez. Il leggendario neozelandese completò il giro in 74 giorni e poco più di 22 ore, anche affrontando un'ultima tempesta dalla forza di un uragano dopo un viaggio forsennato saltando su onde che lambivano i 20 metri. Sir Peter Blake finì la sua vita nel 2000, assassinato a fucilate sulla barca-spedizione scientifica Seamaster alla foce del Rio delle Amazzoni da un gruppo di "topi d'acqua", ladri locali.

Gli Imoca "surfano" davanti alle depressioni

Tornando al Vendée Globe, "il loro gioco sarà proprio quello di mettersi davanti alle depressioni e restarci davanti: Come quando si fa surf, infatti 'surfano' davanti alle depressioni. Questo è possibile oggi perché gli Imoca viaggiano intorno ai 30 nodi, velocità simili a quelle delle depressioni. In altri tempi, con le barche dislocanti, non era una tattica da seguire perché andavano a velocità di parecchio inferiori: quindi ti prendevi le botte finché non passava". Gianni Bianchini, routier e "interprete" della meteo, esperto in rotte e strategie di regata, lavora con alcuni fra i più noti velisti oceanici italiani, Class40 Fornaro, Sericano, Rosetti, e collaboratore del team di comunicazione del fortissimo Ambrogio Beccaria, istruttore nei corsi di strategia per la ClasseMini 650, ci spiega il nucleo della strategia oceanica moderna.

"Restando davanti alle depressioni hanno vento che di fatto li spinge, e se riescono a mantenere la surfata. Come sulle tavole, se poi l'onda-depressione ti sorpassa, sei costretto ad aspettare o andare a cercare quella dopo per continuare a fare grandi velocità", che è poi l'intento principale di chi regata, a parte riportare a casa la pelle. "Infatti in questo gioco è fondamentale bilanciare i rischi, perché ci si espone al rischio di rotture. In definitiva, andare a vela è una costante gestione del rischio". Regate di questo tipo "si vincono nei mari del sud", quelli non dei tropici ma quasi di fronte all'Antartide, "dove le depressioni sono libere di scorrere senza incontrare terra, depotenziandosi". In sintesi, per vincere queste regate devi andare a cercare i guai senza farti convolgere troppo: se non è scherzare con il fuoco, è quantomeno giocare a scacchi con l'oceano.

di Paolo Bellino

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Sport

Dal morso a Holyfield allo schiaffo a Jake Paul: tutte le...

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Prima di salire sul ring in Texas, il pugile americano è tornato a far discutere per un altro dei suoi colpi di testa

Mike Tyson e Jake Paul - Fotogramma/IPA

Iron Mike ne ha fatta un'altra. A poche ore dal ritorno sul ring, a 58 anni e 19 dopo l'ultimo match, Tyson in queste ore sta facendo parlare per il ceffone tirato a Jake Paul. Il noto youtuber e ormai anche boxeur, che ha deciso di sfidarlo in un evento show da sold out ad Arlington (Texas), che con ogni probabilità sarà il match più visto della storia della boxe.

È successo un secondo prima del face off e delle foto di rito, dopo la pesa. Un pestone, poi lo schiaffo che ha fatto il giro del mondo. Colpi di testa non nuovi per Mike, definito tempo addietro 'The baddest man of the planet'. Il più cattivo di tutti.

I colpi di testa di Tyson

Tyson è così, ha abituato il suo pubblico a scatti del genere. Fanno parte del personaggio e si legano in parte a un vissuto complicato e a una storia personale tormentata. Quella di un ragazzo dalla famiglia difficile e che già a 12 anni si mise nei guai con la legge, che lo spedì al riformatorio dopo uno scippo. Lo schiaffo a Jake Paul è solo l'ultimo episodio della serie e rientra in parte nel trash talking che di solito avvolge eventi di questo tipo. Gli altri? Sono tanti, in passato hanno riempito le cronache e ancora oggi le prove vagano sul web. Normale per l'uomo che divenne trentotto anni fa - il 22 novembre del 1986 - il pugile più giovane a conquistare la cintura Wbc dei Massimi. Quel titolo mondiale vinto contro Trevor Berbick a 20 anni, 4 mesi e 22 giorni.

I morsi

La storia più celebre, che ormai va a braccetto con il suo nome, riguarda il morso all'orecchio di Evander Holyfield. Era il 28 giugno 1997 e si combatteva a Las Vegas per il titolo dei Massmi Wba. Il fattaccio nel corso del secondo round, quando Mike appoggiò la testa accanto a quella dell'avversario, per morderlo al lobo dopo aver sputato il paradenti. L'arbitro fermo il match e il pubblico cominciò a inveire: lui si giustificò parlando di una precedente testata di Holyfield. “È stato scorretto”, la motivazione. Quello a Holyfield non fu l'unico morso della carriera di Tyson. Cinque anni dopo Las Vegas, nel 2002, Mike ne rifilò un altro alla gamba dell'inglese Lennox Lewis, prima di un incontro in un hotel di New York. Gli specialisti parlarono di una malattia nervosa, strane pulsioni da legare a un discorso psichiatrico. Iron Mike, dalla sua, si convertì all'Islam e poi urlò al mondo di essere rinato.

Le donne

Un altro grande capitolo riguarda i problemi con le donne, spesso picchiate. I giornali degli anni Novanta e dell'inizio degli anni Duemila mettono in prima pagina diversi episodi controversi. Come quelli con Naomi Campbell, top model con cui ebbe una breve storia, e Robin Givens, la sua seconda moglie una volta trovata a letto con un giovane Brad Bitt. Nel 1992, invece, una pesante accusa di aggressione e violenza sessuale arrivò da Miss America Desiree Washington, mentre la difesa parlò di un rapporto consensuale. Venne processato e condannato a sei anni, ma ne scontò tre.

I problemi con la droga

Fu poi lui stesso a svelare tanti altri aneddoti della sua vita sregolata in un'autobiografia pubblicata nel 2013: parlò per esempio di abuso di alcol e di cocaina consumata prima di alcuni incontri. E nel 2018, quando la California legalizzò la coltivazione di marijuana, annunciò l'apertura di un ranch in cui produrla.

Addirittura, nel 2019, fumò veleno di rospo – sponsorizzato per le sue particolari 'proprietà' - e tutto venne filmato e dato in pasto ai social. Elenco finito? Per niente. Nel 2022, su un volo in partenza da San Francisco verso la Florida, Tyson prese a sberle un passeggero colpevole di averlo importunato dopo la richiesta di un selfie. Rientra nell'elenco dei suoi mille colpi di testa. Fino a stanotte e a un ritorno sul ring che sarà show, ma non solo. (di Michele Antonelli)

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