Malattie rare: cure solo per 5% patologie, al via campagna ‘Molto più di quanto immagini’
In occasione del Rare Disease Day 2025. Scopinaro (Uniamo), 'investire in ricerca scientifica, unica arma a disposizione pazienti'. Nisticò (Aifa), 'ogni malato raro ha diritto a cure innovative'
In Italia le persone con una malattia rara sono più di 2 milioni, ben 300 milioni nel mondo, per circa 8mila patologie conosciute. Solo per il 5% di queste malattie, però, esiste un trattamento farmacologico. Una situazione che può cambiare solo attraverso la ricerca scientifica, che rappresenta l'unica vera speranza di miglioramento della qualità di vita di queste persone. In Italia, però, gli investimenti nel settore sono insufficienti e poco coordinati. Con il lancio della campagna di comunicazione 'Molto più di quanto immagini', Uniamo - Federazione Italiana Malattie Rare - Rare Disease Italy ha deciso di focalizzare il tema della Giornata delle malattie rare 2025 (che negli anni bisestili cade il 29 febbraio, un giorno 'raro' appunto) proprio su questo argomento. L'iniziativa, con i suoi obiettivi e attività, è stata presentata in occasione di una conferenza stampa a Roma.
"Una malattia è definita rara quando colpisce meno di 2 persone ogni 10mila - spiega Annalisa Scopinaro, presidente di Uniamo Fimr - ma il numero di pazienti sale vertiginosamente se si considera la quantità di patologie conosciute oggi. Eppure, al momento, solo per 450 di queste sono state individuate terapie farmacologiche. Per tutte le altre esistono solo riabilitazione, farmaci 'adottati' da altre patologie e prodotti da banco in grado di contenere alcuni effetti collaterali, ma non risolutivi. La ricerca scientifica è l'unica arma che i pazienti hanno a disposizione".
In Italia, nel 2022, sono state erogate 11,4 milioni di dosi di farmaci orfani (lo 0,04% del consumo farmaceutico totale), con una spesa di 1,982 milioni di euro (il 6% della spesa farmaceutica). Sono 135 i farmaci orfani messi in commercio in Italia; ulteriori 40 sono quelli usati 'off label', cioè per un'indicazione diversa da quella approvata. Otto terapie avanzate e innovative sono già in commercio in Italia e altre nove sono in corso di valutazione. "Quindi nel nostro Paese l'investimento in questo settore esiste - continua Scopinaro - ma non ha ancora trovato una integrazione fra i vari enti come sarebbe auspicabile. E' proprio questo lo spirito che anima l'edizione 2025 del Rare Disease Day. Come Uniamo invitiamo università e scuole, istituti di ricerca, strutture ospedaliere, enti e associazioni a unirsi a noi realizzando convegni, manifestazioni sportive, culturali e ricreative, flash mob, incontri con specialisti, iniziative sui social e altro, proprio per accendere un riflettore sulle necessità di chi convive con queste patologie. Desideriamo che i pazienti sappiano che siamo in tanti a lavorare per loro".
Alla conferenza stampa - riporta una nota - hanno partecipato i rappresentanti dei principali attori in gioco nel campo della ricerca, con l'obiettivo di creare sinergie e far emergere tutto il loro lavoro in modo che nessuna occasione di maggior conoscenza vada sprecata e gli sforzi di tutti siano ottimizzati. "Ogni paziente affetto da malattia rara ha il diritto a speranza, dignità e cure innovative: un impegno che Aifa porta avanti con responsabilità, determinazione e dedizione", il commento di Robert Nisticò, presidente dell'Agenzia italiana del farmaco. "L'Istituto superiore di sanità è sempre stato sensibile al tema malattie rare, tanto da creare il centro che attualmente dirigo - l'intervento di Marco Silano, direttore del Centro nazionale malattie rare - che offre anche supporto ai pazienti attraverso il Telefono verde dedicato. La ricerca è un tema fondamentale per l'istituto, che nel corso degli anni ha prodotto approfondimenti dedicati a singole patologie, oltre a istituire alcuni registri specifici. Continueremo il nostro impegno, anche con il supporto di diffusione della newsletter RaraMente, edita in collaborazione con il ministero e Uniamo".
Ha preso quindi parola Elena Mancini, Cid Ethics Cnr: "Il ruolo delle associazioni dei pazienti nello sviluppo di un farmaco può migliorare notevolmente la qualità della partecipazione dei pazienti, il processo di sviluppo del farmaco stesso, il grado di soddisfacimento del farmaco dal punto di vista del paziente. E questo ha un significato dal punto di vista etico in quanto consente un maggior rispetto dei bisogni, delle esigenze e delle volontà dei pazienti, un miglior rapporto medico paziente, un vantaggio sul piano clinico, in particolare grazie ad una migliore interpretazione degli outcomes". Ilaria Villa, direttrice generale di Fondazione Telethon, ha commentato: "Fondazione Telethon è nata su mandato dei pazienti per finanziare la ricerca sulle malattie rare: siamo molto felici di affiancare Uniamo, quest'anno e per la prima volta, nella campagna per la giornata delle malattie rare che sarà dedicata al tema della ricerca scientifica e a come quest'ultima, se ben finanziata, possa avere un impatto concreto sulla vita delle persone".
Sono intervenuti anche Giovanni Leonardi del Dipartimento della Salute umana, della salute animale e dell'ecosistema (One Health) e dei Rapporti internazionali, Armando Magrelli, dirigente Ufficio Ricerca Aifa, e Simona Durante, esperta per la disabilità e i Dsa del ministero dell'Università e della Ricerca: "La ricerca scientifica rappresenta la speranza per le persone con malattia rara: lo sviluppo di una cura, di un trattamento trasformativo, di ausili, di un miglioramento della qualità di vita. Grazie agli studi di ieri, i malati rari di oggi possono tornare a costruire il proprio percorso di vita con lo sguardo rivolto al futuro. Dobbiamo lavorare insieme perché questo continui ad avvenire, oggi e domani", concludono.
Cronaca
Scacchi e ballo, le attività anti-demenza per il cervello
Neurologa Perani: "La riserva cerebrale va stimolata nell'arco di una vita"
Essere bilingui, avere un istruzione superiore e un lavoro di un certo livello di complessità, ballare ("più che fare le flessioni"), giocare a scacchi. Sembrano attività che non hanno molto in comune, ma un filo rosso le lega. Una missione condivisa che ha a che fare con un tesoro nel nostro cervello. Una 'riserva aurea' che si alimenta tutta la vita e per non dissiparla serve un impegno costante, soprattutto quando l'età avanza. La posta in gioco? A livello ideale il sogno dell'eterna giovinezza, ma più concretamente questo tesoretto che si costruisce con esperienze e stimoli cognitivi aiuta il cervello a compensare i danni neurodegenerativi, a spingerli più in là nel tempo, ritardando il momento in cui si faranno sentire. Una forma di prevenzione delle demenze. E come mettere questo patrimonio al sicuro in banca lo spiega una scienziata che ha studiato per decenni proprio questo.
"Cos'è la riserva cerebrale? La caratteristica fondamentale del cervello è che è plastico, cioè si adatta alle situazioni esterne e interne per ottenere una risposta migliore, si modifica in accordo a stimoli sensoriali cognitivi rilevanti, all'esperienza, per modularsi a breve e lungo termine", illustra all'Adnkronos Salute Daniela Perani, neurologa e neuroradiologa, professore emerito di Neuroscienze all'università Vita-Salute San Raffaele di Milano, che approfondirà l'argomento domani, sabato 16 novembre, aprendo l'appuntamento con la proiezione di 'Remember' di Atom Egoyan nell'ambito del festival 'Cervello & Cinema' (in corso fino al 17 novembre all'Anteo Palazzo del Cinema). Quest'anno il festival esplorerà la longevità con il titolo 'Forever Young?', presentando 7 film cult che fanno riflettere sulle sfide dell'allungamento della vita.
"Il cervello è capace di cambiare nel giro di pochi secondi - assicura Perani -. Andando a studiare i topolini con la microscopia ottica si vedono le spine dendritiche che immediatamente dopo una stimolazione elettrica cominciano a formarsi, il neurone butta fuori questi bottoni che sono poi la base delle modifiche sinaptiche. La plasticità è questo: modifiche sinaptiche. Perché noi non moltiplichiamo i neuroni, per ora almeno non c'è evidenza di questo se non probabilmente nell'ippocampo, ma è una struttura unica quella. In ogni caso, la nostra corteccia si modifica per alcuni precisi motivi: si modificano la quantità dei dendriti, i punti in cui si toccano i neuroni, aumenta la vascolarizzazione cerebrale, possono anche ingrossarsi i neuroni", elenca. "La cosa importante di questa capacità plastica del cervello è che è possibile in tutto l'arco della vita. Quindi in tutto l'arco della vita possiamo creare la riserva cerebrale, che è questo nuovo assetto del nostro sistema nervoso centrale che ci permette di funzionare meglio da un punto di vista cognitivo, sensorimotorio, comportamentale, e per tante delle sue componenti".
Si chiama riserva, prosegue l'esperta, "perché oggi si sa che è legata a degli stimoli". E' come un tesoretto, appunto, perché "lo costruiamo tutta la vita e dietro c'è la plasticità. La riserva è tutte queste modifiche che oggi sappiamo però essere correlate ad alcune esperienze in particolare. Due su tutte: l'educazione e i livelli di occupazione. Se una persona fa l'Università, ha un bagaglio di esperienze e un modo di far funzionare il cervello che è diversissimo da un'altra persona che si è fermata alle elementari. L'Università, poi, genera occupazione di tipo diverso, almeno percentualmente nella storia. Certo, oggi la società sta cambiando, ma questo è quanto è stato misurato finora in persone anziane. Quindi l'occupazione della vita, se è di un livello elevato, fa sì che ci sia una quantità maggiore, anche misurabile con le tecniche di imaging, di spessore corticale, di forza della connettività dei sistemi neurali. Anche qualsiasi tipo di lavoro cognitivamente è uno stimolo. Questa è la riserva cognitiva che stimola per tutta la vita una riserva cerebrale, il cosiddetto tesoretto".
L'elenco di esperienze che consentono di custodire questo tesoro in realtà non è breve: "Sapere più lingue, ad esempio - dice Perani - un aspetto su cui ho fatto diverse ricerche. Ovviamente parlarle, non imparare solo 5-10 parole. Sono lo sforzo e l'esperienza di un certo livello che incidono". Ancora: "Giocare a scacchi è impressionante come crei plasticità e quindi contribuisca alla riserva. Pure l'attività motoria è fondamentale per il cervello, perché ad esempio aumenta il fattore neurotrofico Bdnf (Brain Derived Neurotrophic Factor). Per alzare l'asticella ci vuole tanto e costante". E infatti l'attività che ha più sorpreso la specialista per l'impatto sulla riserva cognitiva è "sicuramente quella che dura tutta la vita, quindi l'educazione e l'occupazione, e abbiamo evidenze fortissime su questo. Ci sono più studi epidemiologici. Per esempio uno canadese su 6.800 soggetti seguiti per anni e per tutte le demenze - vascolare, Alzheimer, frontotemporale - mostra che più sale la scolarità più si abbatte l'incidenza di queste patologie. La riserva non ti toglie la demenza, però la rallenta".
Il bilinguismo
L'impatto del bilinguismo è emerso invece "studiando gli indiani: livello scolastico basso, spesso contadini, ma parlano 5 o 6 dialetti, o non potrebbero commerciare e sopravvivere. Quello di cui i neurologi si sono accorti esaminando queste popolazioni è che la demenza insorge da 6 a 7 anni dopo" nei bilingui, "quindi questo gruppo ha un'età di insorgenza che è molto più anziana. Noi abbiamo poi fatto degli esperimenti che mostrano che c'è una riserva: il cervello dei bilingui anziani e con demenza è diverso da quello dei" corrispettivi "monolingui, perché hanno network rafforzati, connettività migliore, e così via. Così come ci sono gli effetti della musica, ma sono meno misurabili rispetto a qualcosa che dura tutta la vita".
Quali sono dunque i consigli per coltivare la propria riserva cognitiva? "Negli anziani vanno considerati alcuni fattori negativi - avverte la scienziata - smettere il lavoro ha un effetto deleterio, magari si associa anche a un po' di depressione reattiva, l'anziano si chiude in se stesso. Questo va combattuto. Si deve stimolare la persona a continuare a mangiare bene, ad avere una vita sociale, a trovare svaghi e divertimenti stimolanti. Non è male imparare uno strumento, una lingua, ascoltare la musica, anche con un certo approfondimento culturale, e fare moto. Quando si diventa anziani si perde massa muscolare, ma i fisiologi hanno studiato i motoneuroni della corteccia e del midollo spinale e questi si riducono, riducono le spine, la mielina degli assoni. Quindi bisogna fare moto per stimolarli".
Il movimento fisico
Quale tipo di movimento fisico è migliore? "Gli studi hanno anche dimostrato che l'attività motoria monotona fa bene alle fibre muscolari, certamente, ma parlando di cellule nervose si è scoperto che per esempio il ballo è la cosa migliore: ti muovi tanto, però i movimenti sono vari e devi mantenere l'equilibrio. Quindi per mantenere le cellule nervose, per quanto riguarda il sistema motorio, è meglio il ballo, che fare i piegamenti", sorride Perani. A che età cominciare? Dal giorno zero di vita, sembra essere il suggerimento. "Va detto che per esempio i bambini che sanno suonare gli strumenti sono molto bravi nel linguaggio, sulle capacità matematiche, esecutive e così via. E' tutto l'arco della vita che conta, perché il cervello si modifica. Però non bisogna mollare invecchiando, o dopo la pensione. Oggi si può vivere fino a 90-100 anni e ritardare la malattia di 6-7 anni è anche un risparmio" per il sistema sociosanitario "che vale miliardi".
'Cibo' per neuroni
I neuroni vanno anche nutriti bene. "La saggezza è la cosa migliore - conclude l'esperta - fa molto male l'eccesso di cibo pieno di grassi, che è dannoso per il cuore, il sistema vascolare e quindi anche per il cervello. La carenza di vitamine è dimostrato essere un problema, e infatti la prima cosa che si fa quando arrivano dei pazienti con disturbi cognitivi è misurare la vitamina B12 per vedere se è bassa. Il cervello ha bisogno di vari meccanismi metabolici. Incide negativamente la disidratazione, la carenza di vitamine, sono fondamentali anche le proteine perdendo massa muscolare. E oggi si scopre sempre di più che magari mangiare a intervalli regolari e soprattutto lasciare lunghi periodi di digiuno sembra faccia bene, perché le cellule del corpo, per dirlo in maniera semplice, sono più in grado di organizzare le scorie, di buttarle fuori meglio, quindi di non ammalarsi e morire".
Cronaca
Progetto Giovani debutta in Tv con la sitcom ‘Ho...
L'Istituto nazionale tumori di Milano diventa un set. Dal 18 novembre su Mediaset una serie scritta e recitata dagli adolescenti che combattono il cancro
C'è il latin lover di natura, chi è già influencer, c'è il musicista in erba e chi incarna debolezze, vizi e virtù: l'agofobico, la viziata, la problem solver. Scene di adolescenza che la malattia non può cambiare, nemmeno il cancro. Le racconta 'Ho preso un granchio', sitcom scritta e recitata dai ragazzi del Progetto Giovani dell'Istituto nazionale tumori (Int) di Milano. Avviato nel 2011 con l'obiettivo di creare e promuovere un modello di assistenza su misura per chi affronta una patologia oncologica nell'età più difficile, il 18 novembre il progetto debutterà in Tv su Mediaset con la serie realizzata in collaborazione con Mediafriends e con il supporto della Fondazione Bianca Garavaglia Ets. Sette episodi di 7 minuti l'uno, girati in un set speciale: l'Ambulatorio di oncologia pediatrica dell'Int, dove tutto è nato.
Ai teenager colpiti da un cancro - 'apolidi' troppo grandi per essere curati come bambini, non abbastanza per essere trattati come adulti - Progetto Giovani vuole dare una casa, una 'terra di mezzo' tra l'oncologia pediatrica e l'oncologia tout court, offrendo spazi di espressione creativa che permettono di elaborare e condividere le emozioni complesse legate al percorso di cura. Tante le iniziative artistiche firmate in questi anni dai ragazzi di Andrea Ferrari, l'oncologo pediatra coordinatore di Progetto Giovani: canzoni diventate 'hit', incursioni nel mondo della moda, esperienze di scrittura e fotografia. Adesso anche la televisione, nuova avventura, stessa filosofia: parlare di paure e speranze con sincerità e ironia.
"La qualità della vita è una componente essenziale - sottolinea Ferrari - tanto quanto la qualità della cura. Per questo abbiamo riservato ai nostri pazienti adolescenti spazi esclusivi dove possono partecipare a progetti che utilizzano percorsi artistici e creativi per permettere loro di raccontarsi, di esprimere paure, speranze e sogni. Questi progetti, che richiedono diversi mesi di realizzazione, offrono ai ragazzi un obiettivo verso cui tendere, una prospettiva di futuro". E intanto "servono a porre l'attenzione sulle peculiarità mediche dei pazienti adolescenti, che hanno meno probabilità dei bambini di essere curati nei centri di eccellenza e nei protocolli clinici - evidenzia Maura Massimino, direttore della Divisione di Oncologia pediatrica dell'Int - e per diverse neoplasie hanno meno problemi di guarire dei pazienti più piccoli".
La nuova sitcom "è stato un progetto meraviglioso - testimonia Ferrari - I ragazzi sono stati sceneggiatori e attori. E' stato divertente, impegnativo e, soprattutto, un momento di unione e condivisione". Supervisionati da un team multidisciplinare, i ragazzi sono stati protagonisti di ogni fase creativa del progetto. Ogni episodio affronta un aspetto della vita in ospedale, dalle difficoltà di chi arriva in reparto odiandolo per poi scoprire una seconda famiglia, alla festa a base di sushi organizzata alle spalle dei medici. "Forse sorprenderanno i temi che abbiamo scelto di raccontare - dicono Edoardo e Marta - ma in realtà sono proprio quelli che per un ragazzo della nostra età contano sul serio: come ti vedi allo specchio, come ti sai o non ti sai relazionare ai tuoi amici, alle ragazze con cui vorresti provarci, ma non hai il coraggio di farlo". Partire da storie vere e "renderle comunicabili agli altri, ridendoci sopra", aggiunge Marco. "La sitcom - spiega - ci ha permesso di affrontare tematiche che, per noi, leggere e ironiche purtroppo non sono. Non è facile raccontare la propria storia di malattia, gli ostacoli che ogni giorno abbiamo affrontato o che ancora dobbiamo affrontare. Possiamo dire, in questo senso, che è stato davvero terapeutico".
'Ho preso un Granchio' debutterà lunedì in seconda serata su La 5, il canale 30 del digitale terrestre, con un episodio della serie arricchito dalla partecipazione straordinaria di Aldo, Giovanni e Giacomo, che verrà riproposto il giorno successivo alle 17 su Cine34, spiega una nota.
Tutte e 7 le storie, che vedono protagonisti 25 ragazzi tra i 15 e i 24 anni, saranno invece visibili su Mediaset Infinity. Una campagna di sensibilizzazione sul tema dei giovani oncologici che durerà un anno e che sarà disponibile per tutto questo arco di tempo, gratuitamente, su Mediaset Infinity, in una sezione arricchita da contenuti extra, realizzati sempre dai protagonisti.
Anche il programma di Italia 1 'Le Iene', attraverso i propri canali social, sarà parte attiva nel sostenere il Progetto Giovani dell'Int, che rappresenta un modello di eccellenza nell'oncologia adolescenziale, considerando la cura come un percorso che va oltre il trattamento clinico e includendo strumenti innovativi per migliorare la qualità della vita e favorire la resilienza.
Cronaca
Covid Italia oggi, 2.631 casi e 86 morti: bollettino ultima...
Contagi in calo e tasso di positività scende dal 6% al 4%. Le vaccinazioni non decollano: lo ha fatto solo il 2% della popolazione a rischio
Casi e morti Covid ancora in calo nell'ultima settimana in Italia. Dal 7 novembre al 13 novembre sono stati registrati 2.631 casi, in diminuzione rispetto ai 3.911 della settimana precedente. I decessi sono stati 86, 10 in meno rispetto ai 96 della settimana precedente. E' quanto indica il bollettino diffuso sul sito del ministero della Salute. A fronte di 66.289 tamponi (erano 65.685 la settimana prima), il tasso di positività scende dal 6% al 4%.
La Lombardia è la regione che in valori assoluti riporta più nuovi positivi (712 contro 1.019 contro della settimana precedente).
Non si vaccina più nessuno: meno del 2% da inizio campagna 2024
Intanto le vaccinazioni Covid non decollano. In totale - secondo i dati pubblicati sulla pagina del Governo dedicata - dall'inizio della campagna 2024-2025 ad oggi sono state somministrate 281.964 dosi, nell'ultima settimana 62.261. Un andamento 'lumaca' rispetto ad esempio all'antinfluenzale che fa registrare numeri più grandi in molte regioni (in Lombardia già 1,3 milioni di vaccinati, nel Lazio 713mila), con dati in rialzo rispetto allo scorso anno.
Perché la campagna di prevenzione contro il Covid non decolla? "I dati ci dicono che, nonostante 3mila decessi per Covid nel 2024, le persone al momento si vaccinano poco. Se i candidabili all'immunizzazione, tra anziani, fragili e immunocompromessi, si stimano in 18 milioni di soggetti, ad oggi meno del 2% si ha fatto il vaccino anti-Covid". E' la risposta all'Adnkronos Salute di Massimo Andreoni, direttore scientifico della Simit, la Società italiana di malattie infettive e tropicali.
Secondo Andreoni, "un certo numero di persone non si vaccina perché ha fatto la malattia durante l'estete quando c'è stato un rialzo di casi". Comunque "al momento la campagna vaccinale per il Covid non sembrerebbe essere un successo, anzi. Si sta salvando un po' quella antinfluenzale. Ma i conti - precisa - poi si faranno alla fine".