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Re Carlo III compie 76 anni: un compleanno all’insegna della speranza, solidarietà e resilienza in un anno difficile

Il 76º compleanno di Re Carlo III? Beh, tutto fuorché una festa pomposa e piena di sfarzo. Siamo il 14 novembre 2024, e Carlo ha deciso di celebrare in modo semplice, vero, dedicandosi a quello che gli sta più a cuore da sempre: aiutare gli altri, essere lì per chi ha bisogno, e portare un po’ di speranza. Niente parate, niente lustrini. Solo gesti concreti, fatti di cuore, per chi ne ha davvero bisogno. E sapete cosa? È proprio questo che amiamo di lui: quella sua responsabilità genuina, che non si ferma mai, che non si stanca mai.

Una giornata lontana dai riflettori

Ciò che differenzia Carlo III dagli altri membri della famiglia reale è proprio questa sua capacità di trasformare anche momenti personali in gesti simbolici di grande impatto sociale. Nessuna sorpresa quindi se, per il suo compleanno, ha deciso di concentrarsi su chi è meno fortunato, anziché su feste e celebrazioni mondane. Tradizionalmente, il compleanno ufficiale di un sovrano viene festeggiato in estate con la nota parata Trooping the Colour – una tradizione che va avanti da secoli. Ma quest’anno, il vero spirito della celebrazione è stato rappresentato dalle azioni di Carlo il 14 novembre.

Lontano dai riflettori, lontano da tutto quel glamour delle cerimonie ufficiali, il Re ha voluto fare di questo giorno un momento speciale per fare davvero la differenza. Ha inaugurato due nuovi centri di distribuzione alimentare – uno a Londra e uno nel Merseyside – nell’ambito del Coronation Food Project, quel progetto che aveva lanciato proprio lo scorso anno, durante l’incoronazione, per combattere la povertà alimentare e lo spreco di cibo. Ed eccolo qui, ancora, con la stessa determinazione. Non si è fermato e non si fermerà: questa è una delle sue battaglie più vere, più sentite. C’è il cuore di Carlo in tutto questo, e si vede.

Combattere la povertà alimentare: un obiettivo di tutti noi

Questi nuovi centri? Non sono solo posti dove chi è in difficoltà può trovare un pasto caldo. No, c’è molto di più. Vogliono anche insegnarci come gestire meglio le nostre risorse, come evitare lo spreco. Carlo ci ha messo anima e cuore in questa sfida, e si vede. “Non c’è nulla di più importante che garantire che ogni persona abbia il cibo di cui ha bisogno“, ha detto con la sua voce calma, ma che non lascia dubbi. “In un’epoca in cui lo spreco è così diffuso, dobbiamo davvero trovare modi per aiutare i nostri vicini e creare comunità più forti.” E come non essere d’accordo?

Una famiglia che si stringe

Nonostante Carlo volesse mantenere un basso profilo per il suo compleanno, la famiglia reale non ha dimenticato di celebrare questo giorno. William e Kate, per esempio, hanno deciso di condividere un messaggio dolce e tenero sui social, accompagnato da una foto informale del re scattata durante il suo recente viaggio alle Isole Samoa. Con una corona di fiori intorno al collo e quel sorriso che sembra dire “sono a mio agio, sono felice“, Carlo ci appare genuino, rilassato, più umano che mai. Anche Harry, nonostante il suo solito modo riservato di fare, ha mandato un messaggio di auguri dalla sua casa in California. Un piccolo gesto, ma di grande importanza, che ci ricorda una cosa: nonostante tutto, i legami familiari sono ancora lì, solidi. E forse, è proprio questo che conta di più.

Un anno complicato, ma con la testa alta

Il 2024… che anno, ragazzi. Difficile, difficile sul serio per Re Carlo e tutta la famiglia reale. Carlo e Kate hanno affrontato una diagnosi di cancro, tutti e due. Una notizia che ha scosso il Regno Unito, che ha fatto tremare tutti. Ma sapete cosa è successo? La gente si è stretta attorno a loro, li ha sostenuti. Perché sì, il dolore può dividere, ma spesso unisce. E William, in un’intervista recente, ha detto senza mezzi termini che “questo è stato probabilmente l’anno più duro della mia vita“. Ecco, è una frase che racconta tutta la fragilità di una famiglia che, anche sotto i riflettori, resta fatta di persone vere. Con paure, difficoltà, momenti bui. Ma nonostante tutto, loro, non mollano mai.

Carlo, in particolare, non si è mai fermato. Sempre lì, sempre con la testa alta. La sua dedizione ai doveri, incrollabile, nonostante il dolore, le difficoltà, tutto. La sua resilienza è diventata una fonte di ispirazione per tanti. Ci ha mostrato che, anche quando la vita ci colpisce forte, possiamo comunque andare avanti. Possiamo ancora fare del bene, restare fedeli a chi siamo, al nostro ruolo. Ed è questa forza che rende Carlo un simbolo di stabilità, di speranza, per molti britannici.

Un impegno che dura da una vita

Sapete qual è una delle cose che la gente ammira di più di Carlo? Il fatto che lui ci creda davvero. E non da ieri, ma da anni e anni. Il suo impegno per l’ambiente, per le cause sociali… è lì da sempre. Ben prima che parole come “sostenibilità” e “cambiamento climatico” diventassero sulla bocca di tutti. Lui ci credeva, ci metteva la faccia, e ci metteva l’anima. E continua a farlo. Quando ha parlato al centro di distribuzione alimentare, l’ha detto chiaro e tondo: “Non possiamo affrontare il cambiamento climatico senza pensare a chi è più vulnerabile.” Le sue parole non sono solo slogan. “Le soluzioni devono includere tutti, migliorare la vita di tutti, non solo di pochi.” Questo è Carlo, non c’è finzione. Lui agisce, promuove progetti, è lì in prima persona. Il Coronation Food Project? Solo l’ultimo esempio di questo suo modo di fare: concreto, altruista. Lui non parla solo, lui fa. Carlo agisce, promuove progetti, si spende in prima persona.

Un compleanno pieno di speranza, ma vero, umano

E la giornata? Beh, si è conclusa con qualcosa di molto più intimo. Un ricevimento a Buckingham Palace, niente di sfarzoso, solo un momento di pace. Carlo, finalmente, ha potuto rilassarsi un po’ e passare del tempo con le persone che ama. Tra gli invitati c’erano anche rappresentanti delle organizzazioni benefiche che sostiene. Un bel gesto, no? Un segnale forte di quanto tenga a stare vicino a chi ha bisogno, a chi lotta ogni giorno. Perché la visione di Carlo non si ferma al qui e ora. No, lui guarda avanti, sempre, con quel desiderio di lasciare qualcosa di bello e importante per chi verrà dopo. Un’eredità di speranza, di solidarietà.

E per tanti britannici, questo compleanno è stato un momento per fermarsi a pensare ai valori che Carlo rappresenta. Solidarietà, resilienza, speranza. Nonostante le difficoltà, sia personali che professionali, Carlo ha continuato a lavorare per migliorare la vita degli altri. E lo fa con quella convinzione profonda che solo l’unione e la compassione possono fare davvero la differenza. Che ne dite? Forse ha proprio ragione.

Questo 76° compleanno di Re Carlo III non è stato solo un promemoria della sua vita e del suo percorso. No, è stato un promemoria del suo impegno instancabile per il popolo britannico e per il pianeta. Una visione che non si limita alle parole ma che guarda lontano, verso un futuro in cui tutte le sfide, per quanto dure, possono essere affrontate insieme. E dopo tutto quello che ha passato quest’anno, il messaggio è chiaro: c’è sempre speranza, sempre. E c’è sempre una possibilità di fare del bene, anche quando tutto sembra difficile.

Animato da un’indomabile passione per il giornalismo, Junior ha trasceso il semplice ruolo di giornalista per intraprendere l’avventura di fondare la sua propria testata, Sbircia la Notizia Magazine, nel 2020. Oltre ad essere l’editore, riveste anche il ruolo cruciale di direttore responsabile, incarnando una visione editoriale innovativa e guidando una squadra di talenti verso il vertice del giornalismo. La sua capacità di indirizzare il dibattito pubblico e di influenzare l’opinione è un testamento alla sua leadership e al suo acume nel campo dei media.

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Attualità

“Women for Women against Violence – Camomilla Award”:...

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L’Auditorium del centro RAI di Napoli ha ospitato la registrazione televisiva della IX edizione dell’evento: “Women for Women against Violence – Camomilla Award”, una kermesse straordinaria e unica dedicata ai due killer delle donne, la violenza di genere e il tumore al seno, che è stata presentata, in maniera brillante e competente, da Arianna Ciampoli e Beppe Convertini per la regia di Antonio Centomani la cui messa in onda è prevista a gennaio 2024 in seconda serata su Rai Due.

Quasi sempre si parla di chi muore e non ce la fa, Women for Women, invece, ideato, prodotto e organizzato da Donatella Gimigliano, Presidente dell’Associazione Consorzio Umanitas, che ne è anche l’autrice con Fabrizio Silvestri e Cristina Monaco, patrocinato dal Senato della Repubblica, Camera dei Deputati, Ministero della Cultura, CUG del MIC, Unicef, Croce Rossa Italiana e LILT (Lega Italiana Lotta contro i Tumori), vuole dare voce alla forza delle donne che non smettono mai di combattere e che vincono ogni giorno. Un evento pensato anche per ricordare che ogni anno in Italia oltre 100 donne vengono uccise da uomini che, quasi sempre, sostengono di amarle, e per ricordare, inoltre, che il tumore al seno, nel nostro Paese, è il big killer più letale e più frequente del genere femminile e principale causa di mortalità oncologica (12 mila all’anno).

Un approdo per la prima volta a Napoli alla luce del fatto che, nonostante la regione sia fortemente impegnata e abbia posto in essere importanti provvedimenti, secondo un report dell’Istat, la Campania, dopo Lombardia e Lazio, è terza nella classifica italiana del maggior numero di denunce ai centri antiviolenza, questo significa che ogni giorno tre donne chiedono aiuto. Non solo, è tra le regioni che pagano il più alto tributo di sangue, solo nel 2023 ben otto omicidi, sangue che si aggiunge a dolore, se si pensa ai 72 orfani campani di femminicidio. Di contro, alla luce dei 4.000 nuovi casi di carcinoma della mammella che vengono stimati ogni anno, può vantare un esemplare punto di riferimento in eccellenza nella Breast Unit dell’Azienda ospedaliera universitaria Federico II.

Ha aperto la serata, che ha visto la collaborazione anche della giornalista Cinzia Profita, il fenomeno emergente della scena musicale napoletana amatissima sui social, la giovane cantante STE con il brano “T’aggiu vuluto bene”, accompagnata da due straordinari dancer di fama internazionale: Antonio Fini & Abby Silva Gavezzoli. Le luci dei riflettori si sono accese poi per ascoltare, tre toccanti monologhi, il racconto di Rosanna Banfi dal titolo “Io ballo per la vita”, la testimonianza di Nicolò Maja, giovane orfano del femminicidio da più di un anno supportato dall’associazione che si è chiesto: “Come posso perdonarti papà?”, dedicato all’autore della strage della sua famiglia di cui lui è l’unico sopravvissuto, che ha festeggiato il suo nuovo lavoro nell’azienda Leonardo e ha premiato con il camomilla Award il manager Antonio Liotti (Chief People & Organization Officer Leonardo Spa), sorpresa per il giovane da parte di Claudia Gerini che gli ha inviato un affettuoso messaggio augurale a sorpresa, a seguire ancora la storia di Nadia Accetti “Dal tunnel della violenza all’amore per la vita”, una combattente che ha trasformato il dolore di una violenza, e i gravi disturbi alimentari che le ha causato, in forza e resilienza e voglia di aiutare gli altri.

La kermesse ha ospitato anche due donne già raccontate nelle precedenti edizioni che hanno ricevuto un bellissimo viaggio rivelato sul palco da Leonardo Massa, Vice President Southern Europe della Divisione Crociere del Gruppo MSC, Valentina Pitzalis, data alle fiamme dal suo ex marito e rimasta gravemente sfigurata, attivamente impegnata nella sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, la stilista Antonietta Tuccillo, che sta combattendo un tumore ovarico di alto grado, e che ha presentato la sua nuova creatura dedicata all’award della kermesse, l’abito “Camomilla”, indossato dalla bellissima modella e influencer Ilaria Capponi, che ha ricevuto anche il riconoscimento “Women for Women Social” nato alla luce di una sempre frequente aggressività verbale nei social network che si trasforma in una vera e propria fenomenologia di azioni violente e discriminatorie, per il suo attivismo contro il body shaming.

Una emozionante sorpresa anche per Carla Caiazzo, vittima di violenza e Presidente dell’Associazione “Io rido ancora” che ha ricevuto un gioiello da una omonima donatrice.

Hanno ricevuto il “Camomilla Award”, scultura realizzata dal maestro orafo Michele Affidato che si ispira alla virtù terapeutiche del fiore della pianta che aiuta le piante malate a guarire, Carmela Pace, Presidente dell’Unicef, Rosario Valastro, Presidente Croce Rossa Italiana, lo Chef Gennaro Esposito, Simona Sala, Direttrice Rai Radio 2, il giornalista Giuseppe Brindisi, al timone del programma Mediaset “Zona Bianca”, il regista Giuseppe Nuzzo (per il corto e testimonianza di Cristina Donadio “La scelta”), la conduttrice tv Emanuela Folliero, l’attivista, scrittrice e opinionista Vladimir Luxuria, la fotografa Tiziana Luxardo, firma di “Women for Women against Violence – la Mostra” che sarà itinerante in Italia e all’estero in occasione del decennale dell’evento, la kosovara Adelina Trshana studentessa della World House di Rondine – Cittadella della Pace, che accoglie giovani provenienti da Paesi teatro di conflitti armati o post-conflitti.

Special guests gli esilaranti Gemelli di Guidonia che hanno entusiasmato il pubblico con performance tratte dal loro spettacolo “Intelligenza musicale” fatto di musica, parodie, monologhi, la violinista elettrica dall’archetto luminoso Elsa Martignoni, i Maestri Flautisti Giuseppe Mario Finocchiaro e Camilla Refice, le pianiste Scilla Lenzi e Cristina Donnini.

Tra le personalità presenti alla kermesse Francesco Schittulli (Presidente Lega Italiana Lotta contro i Tumori), Carolina Marconi con le Dancers for Oncology di Carolyn Smith, Maria Rita Grieco, Vicedirettrice Tg1, Emanuela Ferrante, assessore allo Sport e Pari Opportunità del Comune di Napoli, Patrizio Rispo con una nutrita rappresentanza di attori del cast di Un Posto al Sole, Alessandra Positano, Marketing Manager Carpisa.

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Attualità

La fine di un’era: Il Fondaco dei Tedeschi chiude nel...

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Venezia sta per perdere un altro pezzo della sua storia recente. Il Fondaco dei Tedeschi, quel posto incredibile che si affaccia sul Canal Grande, proprio lì, a due passi dal Ponte di Rialto, chiuderà per sempre nel 2025. Sapete, dopo anni di sfarzo, di lusso sfrenato, di tentativi di tenerlo a galla, il gruppo DFS (sì, quelli di LVMH, il colosso del lusso) ha deciso che non ne vale più la pena. Non ha più senso andare avanti. E ci sta. Alla fine, i tempi cambiano e forse questo tipo di attrattiva non funziona più come prima.

Non rinnoveranno il contratto di affitto. Le perdite si sono accumulate, anno dopo anno, senza sosta – più di 100 milioni di euro negli ultimi cinque anni – e ora è tempo di lasciare la scena. Ma, sapete, questa non è solo una storia di numeri o di affari andati male. È una riflessione profonda sul futuro di una città che già soffre, una città meravigliosa come Venezia, che ora deve fare i conti con un’altra ferita aperta.

Un cambiamento che invita alla riflessione

Venezia è un posto unico al mondo, un gioiello di cultura e architettura. Ma diciamocelo, i problemi che affronta sono sotto gli occhi di tutti, e il Fondaco dei Tedeschi è solo l’ultima goccia di un vaso già colmo. Ma sapete, forse questa è anche un’opportunità: un momento per fermarsi, ripensare la città, capire davvero come gestire e vivere questi luoghi che sono così speciali. La chiusura del Fondaco non è solo una questione di soldi o di affari in perdita – certo, il turismo asiatico è calato, la pandemia ha cambiato tutto, e il mercato del lusso è in declino – ma qui si parla di qualcosa di più grande. È un simbolo di cambiamento, un invito a guardarci attorno e capire che forse è ora di andare oltre il turismo di massa, oltre quel consumismo che consuma tutto, anche le nostre città.

Il Fondaco dei Tedeschi è stato una vera e propria icona del lusso. Storicamente, questo edificio risale al XIII secolo, quando fungeva da magazzino per le merci provenienti dalla Germania. Poi, nel 2016, è stato trasformato in un centro commerciale di lusso, con spazi culturali e una terrazza panoramica mozzafiato che – inutile negarlo – ha attirato migliaia di visitatori. Ma ora tutto questo non basta più.

Un modello insostenibile e il futuro da immaginare

Diciamolo chiaramente, il modello proposto da DFS non è stato sostenibile. La crisi economica e la pandemia hanno fatto a pezzi il settore del lusso, questo lo sappiamo tutti. Ma sapete cosa sembra ancora più chiaro? Che il pubblico, le persone, sono cambiate. E anche il turismo, inutile negarlo, non è più quello di prima. Quindi, ecco che la chiusura del Fondaco diventa un’occasione, un momento per ripensare il futuro non solo di questo posto ma di tutte le città d’arte, come Venezia.

Ecco, siamo qui, davanti a una sfida vera: come possiamo reinventare questo luogo? Come possiamo evitare che diventi solo un altro spazio vuoto, un altro segno di qualcosa che non c’è più? Magari è davvero il momento giusto per fare un passo indietro e pensare ad una gestione più sostenibile, qualcosa che non metta più al centro il lusso, ma la cultura, la comunità, la storia. Qualcosa che abbia senso per tutti noi, non solo per pochi.

Un’opportunità per Venezia

Immaginate il Fondaco come uno spazio rinnovato: non più solo un luogo per pochi, ma uno spazio per tutti. Un centro culturale, un luogo che valorizzi l’artigianato locale, un hub per eventi culturali che diano voce ai cittadini e ai visitatori in maniera nuova e responsabile. Potrebbe diventare un simbolo della rigenerazione urbana, un posto che celebri l’identità veneziana senza però ripetere i soliti schemi del passato.

Pensateci un attimo: Venezia, già così sovraccarica di turismo e pressioni esterne, ha l’occasione di trasformare questo edificio storico in qualcosa che abbia un valore vero, un impatto concreto sulla vita della città. La crisi climatica ci impone di cambiare, di prendere decisioni radicali. Venezia potrebbe approfittarne per reinventarsi, per creare un esempio di sostenibilità, di città che non solo valorizza il suo patrimonio, ma lo protegge e lo rende vivo in maniera intelligente.

Una nuova visione per il Fondaco dei Tedeschi

Insomma, non è solo una questione di numeri, di perdite economiche o di strategie commerciali fallite. Qui c’è una domanda davvero importante da porsi: che tipo di città vogliamo per il futuro? Vogliamo davvero continuare a vedere questi luoghi pieni di storia trasformati in centri di lusso dove nessuno di noi può entrare? O vogliamo che tornino a essere vivi, pieni di energia, di persone, di storie? Insomma, vogliamo che siano posti che uniscono passato e futuro in un modo che abbia davvero senso, che sia qualcosa di nuovo e che appartenga a tutti, non solo a pochi privilegiati?

La chiusura del Fondaco dei Tedeschi è una perdita, certo, è inutile negarlo. Ma è anche un riflesso delle contraddizioni che tutti noi viviamo ogni giorno. È una chiamata, un momento in cui ci si deve fermare e riflettere. Magari trasformare questo spazio in qualcosa di nuovo, di diverso, potrebbe essere un passo vero verso una Venezia più sostenibile, che riesce a cambiare senza mai dimenticare chi è, la sua anima, quello che la rende speciale.

Vedremo cosa succederà nel 2025. Chissà. Ma sapete cosa? Ci piace pensare che questo sia solo l’inizio di una nuova storia. Una storia in cui Venezia non è più solo vittima di un turismo di massa che la schiaccia ma trova il modo di essere protagonista di un cambiamento autentico, reale. Una città che si rinnova, sì, ma senza vendere la sua anima. Una città che valorizza ciò che è, per renderla ancora più bella, più viva, più vera.

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Attualità

La battaglia di Laura Santi: la dignità, la malattia e la...

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Laura Santi non è una donna che si arrende facilmente. Anzi, a 50 anni è diventata il simbolo di una battaglia che è tanto personale quanto sociale. Laura Santi, una giornalista di Perugia, ha affrontato oltre vent’anni di vita con la sclerosi multipla. Una forma progressiva, che l’ha messa alla prova, che l’ha cambiata profondamente.

Ma non è stata solo sofferenza. No, è stato anche un lungo percorso di tenacia, di forza, di voler sfidare ogni limite che la malattia cercava di imporre. Non si è mai arresa. Ha detto no alla rassegnazione, si è aggrappata con tutta sé stessa a quella scintilla di autonomia, di controllo. E oggi, la sua storia parla per tanti. È diventata un simbolo, un messaggio forte per il diritto di scegliere, di non farsi dettare le regole dalla malattia.

L’inizio del viaggio: un colpo improvviso nel 2000

Immaginatevi poco più che ventenni, con tutta la vita davanti e poi arriva la diagnosi: sclerosi multipla.

Era il 2000. Laura aveva poco più di vent’anni, la vita davanti, e poi… arriva quella diagnosi. Sclerosi multipla. Uno di quei colpi che ti levano il fiato. Tutto è iniziato con un problema alla vista, un’infiammazione al nervo ottico. Sembra una sciocchezza, vero? Invece no. Chi conosce questa malattia sa che spesso è proprio così che comincia: un piccolo segnale che ti cambia la vita per sempre.

Da allora, Laura ha lottato. Ha continuato a fare ciò che amava: il giornalismo, le attività sportive, la vita quotidiana, adattando ogni cosa al suo corpo che cambiava. Ma la malattia è progredita, inesorabile.

Oggi Laura è costretta a vivere con una tetraplegia totale. Non può fare nulla senza l’aiuto degli altri. Dipende da qualcuno per ogni cosa. Ogni maledetta cosa. Anche le più piccole, quelle che per chiunque altro sono niente: bere un sorso d’acqua, girarsi nel letto, accendere una luce. Ogni gesto che noi nemmeno notiamo, per lei è una montagna da scalare, o meglio, qualcosa che non può nemmeno scalare da sola. Ed è proprio questo che l’ha spinta, più di tutto, a cercare una soluzione. A voler riprendere almeno un piccolo pezzetto della sua vita, a voler decidere qualcosa, qualsiasi cosa. Anche solo una, che fosse ancora sua. Perché quello che le resta è questo bisogno disperato di sentirsi ancora padrona di sé, almeno un po’.

Una scelta coraggiosa: il percorso verso il suicidio assistito

Nel 2022, Laura ha detto basta. Ha deciso di riprendersi la sua vita, di fare una scelta che l’ha messa a dura prova, che è stata straziante, pesante, ma profondamente sua. Ha scelto di affrontare tutta la burocrazia, di andare per vie legali, per poter avere il diritto di dire basta, di andarsene con dignità, a modo suo.

Una strada fatta di ostacoli, di muri, di mille porte chiuse, ma per lei era fondamentale poter scegliere. In Italia questo diritto esiste solo grazie a una sentenza della Corte Costituzionale del 2019, un piccolo spiraglio per chi si ritrova a soffrire senza vie d’uscita, per chi non ce la fa più. Un percorso pieno di carte, burocrazia, attese interminabili.

Non è stato facile, affatto. Ma Laura ha messo tutto quello che le restava, ogni briciolo di energia, ogni frammento di forza per arrivare fino in fondo. Non è stato un cammino facile. Ma lei non si è fermata.

Supportata dall’Associazione Luca Coscioni, Laura ha fatto richiesta all’ASL Umbria 1 per la verifica delle sue condizioni, come richiesto dalla normativa. Ma le difficoltà burocratiche non sono mancate. Ritardi su ritardi, silenzi che urlavano più di mille parole, risposte che sembravano non arrivare mai. Laura si è trovata sommersa in un mare di carte, firme, promesse infrante. Era come se il sistema fosse fatto apposta per farti perdere la speranza, per soffocare ogni briciolo di forza rimasta, per spingerti a dire ‘basta’, a gettare la spugna. Sembrava tutto organizzato per toglierti la voglia di lottare, per distruggere il coraggio di chi, come lei, ancora osava chiedere solo un po’ di dignità, un po’ di rispetto.

Laura era esausta, arrabbiata, stanca di quell’immobilismo infinito. A maggio 2023 ha tirato fuori tutto il coraggio che le rimaneva, ogni briciolo e si è presentata all’ASL con un esposto per omissione di atti d’ufficio. Non ce la faceva più ad aspettare, non poteva più stare lì ferma a guardare il tempo passare. Doveva fare qualcosa, qualsiasi cosa, per provare a cambiare le cose, per dare un segnale, per smuovere quel muro di indifferenza.

Basta, doveva fare qualcosa.

“Da oltre un anno aspetto una risposta che tarda ad arrivare. La mia condizione peggiora ogni giorno, e io continuo a non avere certezze sul mio futuro”, ha dichiarato pubblicamente, portando alla luce la sua rabbia e il suo dolore.

Il riconoscimento del diritto: una vittoria che vale più di mille parole

Finalmente, nel novembre 2024, è arrivata la risposta tanto attesa. Il Comitato Etico regionale ha espresso parere positivo: Laura soddisfa tutti i requisiti stabiliti dalla Corte Costituzionale per accedere al suicidio assistito.

Una decisione che la rende la nona persona in Italia a ottenere questa autorizzazione.

“Per me, questa è la miglior cura palliativa che esista”, ha detto Laura, con una lucidità che colpisce. “Sapere di poter scegliere il momento in cui porre fine alla mia vita mi restituisce un senso di controllo che la malattia mi aveva tolto.”

Eppure, nonostante l’autorizzazione ottenuta, Laura non ha ancora fissato una data. Non è una questione di fretta: è la consapevolezza che, anche solo poter scegliere, è già una forma di sollievo.

Un dibattito acceso in Italia: il diritto di morire come parte del diritto di vivere

La storia di Laura ha riacceso una questione che in Italia è ancora un tabù: il diritto al fine vita. In Italia, parlare di eutanasia è ancora un tabù e il suicidio assistito è permesso solo in pochissimi casi, con mille difficoltà. La storia di Laura ha messo in luce, senza mezzi termini, le assurdità di un sistema che da una parte parla di autodeterminazione, ma dall’altra rende tutto dannatamente complicato.

Ti promettono libertà di scelta, ma poi, nei fatti, è una libertà che ti sfugge tra le dita, una promessa vuota.

Sì, la sentenza della Corte Costituzionale è stata un passo avanti. Ma uno piccolo, minuscolo. Non basta. Mancano ancora leggi chiare, dirette, che diano risposte certe a chi soffre, senza costringerlo a combattere contro una burocrazia lenta, fredda, indifferente. Laura lo ha detto senza giri di parole: questa incertezza l’ha fatta soffrire più di quanto fosse necessario. Se ci fosse stata una legge, una vera legge, tutto sarebbe stato diverso. Più semplice. Meno doloroso.

Il sostegno dell’Associazione Luca Coscioni e la lotta per i diritti civili

In tutta questa storia, Laura non è mai stata sola.

Laura ha trovato un alleato prezioso nell’Associazione Luca Coscioni. Gente che ci mette l’anima, che da anni combatte per chi soffre, per dare a tutti la libertà di scelta, per la dignità delle persone. Filomena Gallo, segretaria nazionale dell’associazione, lo ha detto senza mezzi termini:

“La storia di Laura ci insegna quanto sia urgente una legge sul fine vita, una legge vera, che finalmente difenda chi soffre e renda queste procedure semplici, umane, senza quella burocrazia infinita e insensibile.”

Ma non sono mancate le critiche. C’è chi vede il suicidio assistito come una sconfitta, chi crede che il sistema sanitario dovrebbe investire più nelle cure palliative.

E Laura ha una risposta anche per loro:

“Le cure palliative non possono restituirmi ciò che ho perso. La mia è una scelta personale, che riguarda solo me e la mia dignità.”

Parole forti, che riflettono la realtà di chi ha già perso molto, troppo e che non vuole perdere anche il diritto di decidere per sé stessa.

Riflessioni e speranze per il futuro

La storia di Laura non riguarda solo lei. Non riguarda solo una donna che decide di mettere fine alla propria sofferenza. Riguarda tutti noi. Riguarda la nostra capacità di capire, di rispettare le scelte degli altri, soprattutto quando si parla di cose così intime, così profonde. Parliamo di vita e di morte, della sfera più privata di una persona. Riguarda un sistema che deve fare ancora tanta strada per essere davvero vicino a chi soffre. Per riconoscere che, sì, il diritto di morire con dignità è parte del diritto di vivere con dignità.

Laura Santi è una donna che ha deciso di non piegarsi. Ha deciso di essere la protagonista della sua vita, fino alla fine. La storia di Laura è un urlo disperato, uno di quelli che non puoi più ignorare, anche se ti tappassi le orecchie. Nessuno, mai, dovrebbe essere costretto a combattere contro una burocrazia fredda, distante, solo per avere il diritto di decidere sulla propria sofferenza. Nessuno, mai. È inaccettabile, è disumano.

Il futuro? Ce lo dobbiamo ancora scrivere e questa è la verità. Ma c’è una cosa certa: la forza di Laura ha già cambiato qualcosa. Ha aperto una crepa in quel muro di indifferenza, ha costretto tutti noi, come Paese, a guardarci allo specchio e chiederci: davvero è giusto obbligare qualcuno a vivere una vita che non sente più sua? Davvero siamo questo?

Mentre il dibattito va avanti, vogliamo sperare che storie come quella di Laura ci portino verso una società più umana, più compassionevole, meno giudicante. Una società dove il diritto di scegliere non sia più un privilegio per pochi ma un diritto reale, per tutti.

Perché tutti meritiamo rispetto. Tutti meritiamo la possibilità di scegliere. Sempre.

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