Assegno unico novembre, i pagamenti partono in questi giorni (ma ci sono delle eccezioni)
Assegno unico di novembre in arrivo da oggi per le famiglie con figli. In base al calendario pubblicato dall’Inps le date per l’accredito di questo mese sono 18, 19 e 20 novembre. Molte famiglie aspettano con ansia l’annuncio dell’Istituto di Previdenza perché l’Assegno unico universale per i figli è la principale misura a sostegno della genitorialità, pensata per le famiglie con figli a carico.
Quando arriva l’Assegno Unico a novembre
Il pagamento sarà erogato in uno di questi tre giorni per chi ha già beneficiato dell’Auu negli scorsi mesi, senza alcuna variazione di importo. Il pagamento sarà erogato nell’ultima settimana di novembre per chi registra un conguaglio (a debito o a credito) e per chi è in attesa della prima mensilità.
Si ricordi che il sostegno viene erogato dall’Inps ed è proporzionale all’Isee presentato in fase di domanda dai genitori. Più è alto il reddito, minore è il contributo economico ricevuto.
Assegno unico, quanto vale e requisiti
Nel 2024, gli assegni sono saliti del 5,4% rispetto all’anno scorso per l’adeguamento al costo della vita.
L’importo massimo è passato da €189,2 a €199,4 e il minimo è salito da €54,10 a circa €57 per coloro che hanno un Isee uguale o maggiore di €43.240. Nel periodo gennaio-dicembre 2023 sono stati erogati alle famiglie assegni per €17.986,3, che si aggiungono ai €13.215,3 erogati nel 2022. I nuclei familiari che hanno ricevuto l’Assegno unico e universale sono stati 6.479.173, per un totale di 10.021.926 figli.
Il beneficio è corrisposto tramite accredito su conto corrente bancario o postale; libretto di risparmio dotato di codice Iban; carta di credito o di debito dotata di codice Iban; bonifico presso l’ufficio postale.
L’assegno unico è valido per tutti i nuclei familiari indipendentemente dalla condizione lavorativa dei genitori. Che siano disoccupati o lavoratori autonomi o pensionati, non ha un limite di reddito, ma varia in base all’Isee.
In particolare, spetta alle famiglie che abbiano:
- Un figlio minorenne a carico a partire dal settimo mese di gravidanza;
- Un figlio maggiorenne a carico, fino al compimento dei 21 anni;
- Uno o più figli con disabilità a carico per cui non sono previsti limiti di età.
I requisiti per cui una famiglia che può chiedere l’Assegno unico riguardano anche l’essere cittadino italiano o membro di uno Stato dell’Unione europea, titolare del diritto di soggiorno o del diritto di soggiorno permanente, oppure cittadino di uno Stato non appartenente all’Ue, ma in possesso di permesso di soggiorno per lungo periodo o titolare di permesso unico di lavoro autorizzato a svolgere un’attività lavorativa per un periodo superiore a sei mesi o di permesso di soggiorno per motivi di ricerca autorizzato a soggiornare in Italia per più di sei mesi.
Assegno unico, le novità dal 2025
In base al testo della Manovra 2025, ci potrebbe essere un’importante novità per il prossimo anno: l’erogazione dell’Assegno non dovrebbe impattare più sul calcolo dell’Isee. Fino a fine 2024, invece, l’accredito fa aumentare l’importo dell’Indicatore, spesso facendo perdere il diritto ad altri sussidi, come il bonus nido, che dipendono dall’Isee.
Quest’anno, secondo i dati Inps dell’Osservatorio sull’Assegno unico, hanno ricevuto almeno un accredito di assegno unico 6.119.861 di nuclei familiari, per un totale di 9.697.565 figli.
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Bonus Scuola da 1.500 euro per le paritarie, nuove...
Nel fitto panorama degli emendamenti alla Manovra 2024, che ha visto il deposito di ben 4.562 proposte in commissione Bilancio alla Camera, spicca una proposta destinata a far discutere: un bonus fino a 1.500 euro per studente, dedicato esclusivamente alle scuole paritarie. Questo voucher, inserito nell’emendamento firmato dai deputati di Fratelli d’Italia, Lorenzo Malagola e Giovanni Coppo, promette di aprire una nuova fase per il sistema scolastico italiano, accendendo il dibattito su equità e libertà di scelta educativa.
Cosa prevede il Bonus Scuola 2025?
Il bonus sarà riservato alle famiglie con un reddito ISEE non superiore a 40mila euro. Ogni nucleo familiare potrà beneficiare di un voucher annuale fino a 1.500 euro per ciascun figlio iscritto a una scuola paritaria primaria, secondaria di primo grado o nei primi due anni di una scuola secondaria di secondo grado paritaria. L’entità del bonus sarà proporzionale al reddito ISEE, con un budget complessivo fissato a 65 milioni di euro annui dal 2026.
Le risorse saranno allocate attraverso un fondo dedicato nel bilancio del Ministero dell’Istruzione, a partire dal 2025 con uno stanziamento iniziale di 16,25 milioni di euro, per poi salire a regime.
La posizione del Ministro Valditara
Il Ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha rilanciato l’idea di estendere il buono scuola a livello nazionale. Durante un recente intervento a Roma, il ministro ha citato l’articolo 30 della Costituzione, che garantisce il diritto dei genitori di scegliere l’educazione per i propri figli. “Il sistema del Buono Scuola potrebbe essere uno strumento cruciale per garantire questa libertà anche alle famiglie meno abbienti,” ha affermato.
Attualmente, questo modello di sostegno è già operativo in Lombardia e Piemonte, finanziato dalle rispettive Regioni. La proposta di Valditara mira a un’applicazione uniforme su tutto il territorio italiano, eliminando disparità territoriali.
Un passo verso un’istruzione più equa o un rischio per il sistema statale?
Secondo Antonio Affinita, direttore generale del MOIGE (Movimento Italiano Genitori), il buono scuola rappresenta uno strumento democratico per superare le disparità educative legate al reddito familiare. “Per troppo tempo, le famiglie a reddito medio-basso sono state escluse dalla possibilità di scegliere tra scuole pubbliche statali e paritarie, costrette a optare per il sistema statale per motivi economici”, ha dichiarato. La misura, inoltre, potrebbe allineare l’Italia al resto d’Europa, dove la libertà di scelta scolastica è già una realtà consolidata. Affinita sottolinea come la riforma del sistema pubblico scolastico del 2000, che include le scuole paritarie, non abbia ancora espresso appieno il suo potenziale a causa di barriere economiche.
Non mancano, di contro, le critiche all’iniziativa. Alcuni osservatori sostengono che il voucher, limitato alle sole scuole paritarie, rischi di distogliere risorse dal sistema statale, che già affronta sfide importanti come carenza di personale e infrastrutture obsolete. Altri, invece, temono che la misura favorisca istituzioni religiose, dato che molte scuole paritarie italiane sono legate a enti ecclesiastici.
Resta inoltre da capire come verrà regolamentata la misura: il decreto attuativo del Ministero dell’Istruzione sarà cruciale per definire i dettagli applicativi e per garantire trasparenza nell’erogazione del bonus.
Il buono scuola da 1.500 euro segna un possibile punto di svolta per il sistema educativo italiano. Da un lato, rappresenta un’opportunità per le famiglie meno abbienti di accedere a scuole di qualità, dall’altro solleva interrogativi sulla sostenibilità e l’equità dell’intervento. Sarà fondamentale monitorare l’impatto di questa misura per capire se riuscirà a promuovere una reale democratizzazione dell’istruzione o se accentuerà le divisioni esistenti.
Questa iniziativa potrebbe trasformare il sistema scolastico italiano o rivelarsi un ulteriore terreno di scontro politico. Le famiglie e gli studenti restano in attesa: il 2025 sarà l’anno del cambiamento?
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Crollo delle nascite? De Palo: “Siamo in una fase di...
L’Italia è alle prese con una vera e propria emergenza demografica, che spinge esperti e rappresentanti politici a lanciare allarmi e a proporre soluzioni innovative per arginare una crisi che rischia di compromettere il futuro del Paese. A guidare questo movimento di sensibilizzazione è Gigi De Palo, presidente della Fondazione per la Natalità, che nel corso del Tour della natalità a Roma (i prossimi a Palermo il 21 novembre e a Milano il 13 dicembre) ha rilanciato con forza il messaggio e l’urgenza di azioni concrete: “Crollo delle nascite? Siamo in una fase di terremoto. Non possiamo più permetterci una politica di frammentazione delle risorse. Serve un commissario straordinario per la natalità, e bisogna creare un’Agenzia dedicata con esperti capaci di elaborare proposte concrete per invertire la tendenza”.
Durante gli Stati Generali della Natalità a Roma, De Palo ha avanzato una proposta provocatoria ma significativa: nominare il Presidente del Consiglio Giorgia Meloni come commissario straordinario per la natalità. L’idea nasce dalla consapevolezza che il problema è ormai troppo grande per essere affrontato con misure frammentarie.
Un problema sistemico che travolge l’Italia
La gravità della situazione è stata sottolineata anche dai dati presentati durante l’evento: il Lazio, così come il resto d’Italia, sta vivendo un calo delle nascite allarmante. Dal 2007 al 2023, i nuovi nati nella regione sono diminuiti del 35%, una percentuale che supera la già drammatica media nazionale del 34%, con la città metropolitana di Roma che registra un decremento del 36%. Un quadro preoccupante che trova riscontro nelle proiezioni demografiche dell’Istat per il 2050: il Lazio avrà 345.600 residenti in meno e un rapporto squilibrato tra over 65 e under 15 di 308 a 100.
Questi dati non sono solo numeri, ma fotografano un fenomeno che rischia di compromettere il tessuto sociale ed economico del Paese. L’invecchiamento progressivo della popolazione e il calo dei potenziali genitori alimentano una spirale negativa: meno giovani significa meno forza lavoro, meno innovazione e un sistema di welfare insostenibile. Come sottolinea De Palo, “lo squilibrio generazionale rischia di far crollare tutto, obbligando i nostri giovani ad andarsene”.
Un’Italia sempre più anziana e sempre meno ottimista
Secondo Francesco Rocca, presidente della Regione Lazio, il calo delle nascite non è solo una questione economica, ma riflette una profonda mancanza di speranza nel futuro. “I dati sul calo delle nascite nella nostra Regione, come nel resto d’Italia, mi preoccupano. Il trend è pericolosissimo”, sottolinea Rocca. “Ma non solo perché c’è una ragione economica dietro, soprattutto perché questo denota una mancanza di speranza sul futuro da parte dei giovani e delle giovani famiglie – prosegue-. Nel Lazio abbiamo strumenti modesti, con un sostegno alla natalità fragile fatta dalla precedentemente amministrazione, per dire che quanto questo non sia un tema di sinistra o destra. Noi abbiamo raddoppiato il fondo. Anche se ancora non basta. Proprio oggi approveremo il piano della procreazione medicalmente assistita. Mentre a gennaio sarà approvata la legge sulla famiglia”.
L’impegno delle amministrazioni locali: l’esempio di Roma
Il sindaco di Roma, Roberto Gualtieri, intervenendo all’evento, ha illustrato le iniziative messe in campo dalla Capitale per sostenere la natalità. Tra queste, l’ampliamento della rete di asili nido, con tariffe abbattute fino alla gratuità per molte famiglie, e politiche per la casa che offrono contributi per l’affitto fino a 1.000 euro, reso possibile anche grazie alla Fondazione Roma
“Dobbiamo costruire un sistema che sostenga le famiglie e migliori la qualità del lavoro, soprattutto per i giovani”, ha affermato Gualtieri. “Nella fase del loro ingresso nel mercato del lavoro si trovano spesso ad essere sfruttati tra contratti precari e attività a cifre indecenti rendendo così impossibile formarsi una famiglia. Quindi, dobbiamo favorire la diffusione del lavoro di qualità, contrastare il precariato”. Il sindaco ha sottolineato l’importanza di estendere modelli di contrattazione virtuosi, come quelli introdotti per i lavori del Giubileo, anche al settore terziario.
La crisi delle nascite non è solo un problema nazionale, ma coinvolge profondamente i territori. Come sottolineato da Barbara Funari, assessora alle Politiche Sociali e alla Salute di Roma Capitale, “le politiche per la famiglia possono essere decisive, ma devono essere integrate e coordinate su più livelli”. L’iniziativa Rome for Baby, che distribuisce card per sostenere le spese delle neo-famiglie, rappresenta un piccolo passo nella giusta direzione. Tuttavia, il quadro complessivo richiede un approccio ben più ambizioso.
Quali soluzioni per il futuro?
Il presidente De Palo ha enfatizzato la necessità di rendere le città “a misura di famiglia”, puntando sulla conciliazione tra lavoro e vita privata. Le esperienze locali come quella di Roma possono fungere da modello, ma senza un coordinamento nazionale il rischio è quello di ottenere risultati frammentari e disomogenei.
Se l’Italia vuole superare la crisi demografica, deve puntare su interventi strutturali e coordinati. Tra le soluzioni proposte durante l’evento spiccano:
- sostegno economico diretto alle famiglie: contributi per l’infanzia, agevolazioni fiscali per i genitori e incentivi per le coppie giovani;
- politiche per il lavoro femminile: garantire maggiore autonomia e indipendenza economica alle donne attraverso contratti stabili e servizi di conciliazione lavoro-famiglia;
- potenziamento del welfare locale: ampliare la rete di asili nido e introdurre politiche abitative che rendano gli affitti sostenibili per le famiglie;
- un’agenzia nazionale della natalità: un ente capace di coordinare politiche a lungo termine, indipendentemente dal colore politico del governo in carica.
Il Tour della Natalità dimostra come il tema non sia solo una questione nazionale, ma anche locale. “Le politiche familiari territoriali possono incidere profondamente”, ha affermato De Palo. A Roma, come a Palermo e Milano, le amministrazioni locali sono chiamate a favorire la conciliazione tra famiglia e lavoro, rendendo le città a misura di bambini. Eventi come quelli organizzati dalla Fondazione per la Natalità servono a sensibilizzare l’opinione pubblica e a mettere pressione sulle istituzioni affinché agiscano.
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Vite spezzate, Napoli teatro di violenza: l’analisi del...
Emanuele Tufano, Santo Romano e Arcangelo Correra avevano rispettivamente 15, 17 e 18 anni quando la violenza ne ha stroncato le giovani vite. Sono loro le ultime tre vittime di un fenomeno che ha sconvolto la città di Napoli e l’opinione pubblica nazionale.
Come da cliché, la colpa sarà addossata alla Camorra, quell’Anti-Stato che entra nelle case del Mezzogiorno per sopperire alla mancanza di servizi. Ma la verità è che il fenomeno della violenza giovanile è più grande, diffuso ormai in tutta Italia, e non riguarda più solo il crimine e neppure solo il Sud.
Le responsabilità, così come le opportunità per combatterlo, vanno ricercate nelle stesse famiglie e nelle stesse istituzioni contro le quali oggi puntiamo il dito.
Non ci si può girare più dall’altro lato e far finta di niente. Perché? “Siamo sul baratro di un’emergenza educativa che non sembra interessare né la politica e neanche l’opinione pubblica – ci spiega il pedagogista Daniele Novara -. Ragazzi e ragazze vagano nella solitudine di un mondo che non li aiuta a crescere, ma sembra, anzi, fare di tutto per portarli in situazioni insostenibili”.
Come evitarlo? “Dobbiamo lavorare sulla capacità dei bambini, dei ragazzi e dei giovani, di affrontare le contrarietà, di vivere le frustrazioni, di accettare il conflitto come motivo di crescita, come occasione per conoscere altri punti di vista. Il conflitto non deve essere più vissuto come una minaccia”. Ma cosa c’è dietro questo fenomeno e dove lo Stato e le istituzioni possono (e devono) intervenire?
“Favorire attività di gruppo”: sì, ma dove?
La scuola, secondo il pedagogista Novara, “dovrebbe urgentemente sviluppare il metodo della discussione, abbandonato da decenni. Dovrebbe favorire le attività di gruppo, sollecitare il confronto anche divergente tra alunni. Questo sosterrebbe davvero l’educazione alla comprensione reciproca. L’antidoto – conclude il pedagogista – alla violenza è imparare l’arte del vivere con se stessi e con gli altri”.
Si parla, quindi, della necessità di “attività di gruppo” e “confronto tra coetanei” che però viene a mancare quando mancano spazi di ritrovo, di aggregazione e di sviluppo del pensiero sociale e critico di un adolescente. A Napoli, infatti, ci sono solo 3,6 biblioteche per 1.000 abitanti minori. Molte scuole faticano a restare aperte a causa dei tagli ai personali. E, per una panoramica più ampia, meno della metà delle scuole italiane (46,4%) ha una palestra, con una percentuale che varia dal 41,5% per le scuole primarie al 53,2% per quelle secondarie di primo grado.
Il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara, ha firmato proprio oggi due decreti che mettono in campo un piano di 335 milioni di euro destinati al miglioramento delle palestre scolastiche. La maggior parte delle risorse, oltre il 72%, sarà destinata proprio al Mezzogiorno, con “l’obiettivo di rafforzare le infrastrutture sportive nelle scuole e garantire pari opportunità formative a tutti gli studenti”, si legge in una nota.
Abbandono scolastico
Secondo il ministro, inoltre, “le attività sportive non solo migliorano la salute e il benessere dei nostri giovani, ma contribuiscono in modo significativo all’inclusione sociale e alla lotta contro l’abbandono scolastico”.
Abbandono scolastico, però, che in Campania è più profondo che altrove. Il 21,7% dei giovani lascia la scuola precocemente. Il 30% è Neet, cioè non studia, non si forma e non cerca occupazione. A Napoli, la disoccupazione giovanile è al 31,39%. E a questi numeri si aggiunge l’aumento dei minori con armi che nel 2023 è stato pari ad un sequestro di 206 armi da fuoco, ben 51 in più rispetto all’anno precedente.
“Sempre più soli”, tra affettività e salute mentale
“Troviamo sempre più adolescenti isolati, ritirati nella realtà virtuale – ha poi spiegato il pedagogista -, e fin dall’infanzia abituati non a giocare con gli altri ma a giocare con un videoschermo. Sia chiaro, qui non si tratta di punire o di colpevolizzare comportamenti inammissibili, fatto salvo le leggi vigenti che vanno rispettate, ma di pensare a programmi di prevenzione educativa centrati sull’apprendimento delle buone pratiche relazionai, sociali, di autostima reciproca”.
L’abbandono alla realtà virtuale, per il pedagogista, così come per il Governo nazionale e per la maggior parte dei Paesi europei, ma non solo, si può ridurre con il divieto dell’uso degli smartphone tra i 14 e i 16 anni. Realtà come l’Australia o l’Italia stessa stanno varando provvedimenti per limitarne l’uso, almeno nelle scuole. Seppur utile, però, provvedimenti di questo tipo non sembrano sufficienti.
La violenza giovanile dilaga aldilà dell’online. Basti pensare che “Toccare o baciare una persona senza il suo consenso” è normale per un adolescente su cinque; così come Raccontare ad amici e amiche dettagli intimi del o della partner senza il consenso, va bene un adolescente su quattro.
Educazione affettiva
E se per le palestre, dopo le mense, arrivano fondi e progetti, ancora poco si sa di quella “Educazione all’affettività” promessa nelle scuole italiane. “L’educazione al rispetto verso le donne – ha dichiarato Valditara negli scorsi giorni al Corriere del Veneto – deve permeare l’intera attività didattica, non limitarsi alle 33 ore annuali di educazione civica previste per legge, anche attraverso laboratori”. Un timido rimando a quel progetto che risale all’anno scorso, ma del quale al momento, se non la proposta dello psichiatra Paolo Crepet come papabile coordinatore, non c’è altro.
La figura dello psicologo nelle scuole
Negli ultimi anni, inoltre, la questione del benessere psicologico nelle scuole italiane è diventata una priorità. Le proposte di legge A.C. 247 e A.C. 520, che puntano a introdurre la figura dello psicologo scolastico, riflettono la crescente consapevolezza dell’importanza di un supporto psicologico per studenti, docenti e famiglie.
Entrambe le proposte condividono obiettivi simili, come contrastare fenomeni di bullismo, ansia, stress e difficoltà relazionali, ma differiscono nelle modalità operative e nella copertura finanziaria. La A.C. 247 prevede che lo psicologo scolastico lavori sotto la direzione del dirigente scolastico, con un ruolo subordinato rispetto alla figura dirigenziale. Questo solleva preoccupazioni riguardo alla sua indipendenza professionale. Così come, la copertura finanziaria è incerta, con fondi che provengono da risorse destinate a interventi straordinari.
La A.C. 520, invece, punta a una gestione più flessibile, con criteri stabiliti dal Ministero dell’Istruzione e della Salute per selezionare gli psicologi scolastici. In questo caso, il professionista avrebbe un ruolo attivo nella comunità scolastica, partecipando ai consigli di classe e lavorando a stretto contatto con docenti e famiglie. L’approccio è preventivo e integrato, mirando a migliorare il benessere di tutti i membri della scuola.
Entrambe le proposte, però, hanno sollevato dubbi sulla copertura finanziaria. Se la prima prevedeva un impegno di 30 milioni di euro nel 2023, con un aumento a 60 milioni nel 2024, provenienti da un fondo utilizzato per emergenze straordinarie, ci si è interrogati sulla sostenibilità a lungo termine. La seconda prevede un impegno di 40 milioni annui, ma anche qui è mancata chiarezza su come garantire queste risorse nel tempo.
Il futuro dei giovani?
Dove è mancata la presenza dello Stato, si è insinuato l’Anti-Stato a prendersi “cura” di loro. Gli ha creato opportunità di lavoro, seppur criminali. Gli ha fornito famiglia e assistenza a chi non ne ha mai avuta una. E infine, ha alimentato scenari di violenza nel silenzio di chi la dà ormai per scontata.
Alcuni di questi sono stati costretti a scegliere il “male minore”. Gli altri combattono con la mancanza di opportunità e alternative. E a noi resta solo una domanda: “Cosa stiamo facendo per evitare che nel loro futuro ci sia tutta questa violenza?”