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Un giovane su tre ha paura di fare un figlio, le proposte per invertire il trend

Non adesso. È quello che dicono i giovani quando pensano all’idea di avere un figlio: una scelta che viene spesso rimandata al futuro, un futuro indefinito come incerta è la situazione che i ragazzi sentono di vivere nel momento attuale. E così la genitorialità si sposta sempre più avanti, a volte anche troppo.

Le difficoltà dei ragazzi si riflettono nei tassi di natalità italiani, che ormai ogni anno fanno segnare record negativi e gettano ombre sulla tenuta del nostro sistema sanitario e di welfare e in generale sulla società. Fondazione Magna Carta ha realizzato un nuovo studio proprio per andare a fondo sulle motivazioni che frenano i giovani dal ‘mettere su famiglia’. La ricerca, dal titolo ‘Per una Primavera demografica’, è stata presentata oggi a Roma, alla presenza della ministra per la famiglia, la natalità e le pari opportunità Eugenia Roccella, della sottosegretaria alla economia e alle finanze Lucia Albano, e del commissario straordinario Sisma 2016 Guido Castelli.

Duplice l’obiettivo dello studio, che non a caso è diviso in due parti. Dopo aver indagato le cause profonde della denatalità, Fondazione Magna Carta ha voluto anche avanzare una serie di proposte concrete per invertire il trend negativo delle nascite. In sintesi, spiega l’associazione, va creata una sinergia tra politiche pubbliche e welfare aziendale in modo da mettere in campo iniziative ampie e innovative che agiscano sì sull’aspetto economico, ma più in generale sul benessere della persona.

Manca una rete di supporto pubblica o privata

Secondo lo studio, condotto su un campione di 1072 persone suddiviso tra giovani (17-28 anni) e adulti over 29, a cui si aggiungono alcune categorie specifiche – in particolare 400 insegnanti, 60 operatori sanitari e 70 psicologi – in Italia quasi un giovane su 3 ha paura di mettere al mondo un figlio, mostra “una palpabile esitazione”.

Questo perché sente che manca una rete di supporto pubblica o privata e pensa di non avere garanzie di una rete di sicurezza collettiva in grado di ridurre le inquietudini legate alla dimensione familiare.

• In poche parole, non si mettono al mondo figli soprattutto perché “costano”: le preoccupazioni economiche sono uno dei fattori più importanti che frenano la natalità, con gli adulti che danno una valutazione più alta (9 su 10) a questa motivazione rispetto ai giovani (6 su 10).
• Ma ci sono altre cause: le limitazioni legate alla carriera e al tempo personale rappresentano un forte motivo per non avere figli, per entrambi i gruppi di età. Un problema sentito soprattutto dalle donne adulte, con una valutazione di 7,5 su 10.
• E ancora, una parte viene svolta dai “convincimenti personali”, che per 8 su 10 rispondenti in entrambe le fasce d’età è uno dei motivi rilevanti per non diventare genitori. Un dato che evidenzia un cambiamento culturale e sociale rispetto all’attitudine verso la genitorialità. Se prima si guardava con ottimismo al futuro, adesso ci si chiede “cosa viene dopo” avere avuto un figlio.

Insomma, dallo studio della Fondazione Magna Carta emerge come le cause profonde del calo delle nascite in Italia siano in primis economiche e lavorative, ma come ad esse si affianchino paure, resistenze e nuove fragilità che vanno allo stesso modo tenute in conto.

Ecco perché la seconda parte della ricerca approfondisce le buone pratiche di welfare aziendale che le imprese mettono in campo per favorire la maternità, la paternità, la conciliazione e in generale il benessere delle persone, in modo da stabilire un nuovo modello di partenariato tra pubblico e privato in cui le istituzioni possano supportare le aziende impegnate in questo percorso.
Per questo tipo di lavoro, il think tank si è avvalso della collaborazione di JOINTLY, Engineering, WellMakers by BNP-Paribas e Prysmian Group, che rappresentano oltre 30mila dipendenti con quasi 900 sedi operative a livello nazionale. E di altre sei aziende che operano nei settori della distribuzione alimentare, della cosmesi e dell’abbigliamento.

Ma non solo: Fondazione Magna Carta ha deciso di istituire un Osservatorio sulla crisi demografica per continuare a indagarne le cause, valutare politiche pubbliche favorevoli alle imprese e sostenere giovani e famiglie.

Le best practice del welfare aziendale

Quali sono dunque gli strumenti che a livello di imprese si sono rivelati più efficaci per incoraggiare la natalità?

Lavoro ibrido. Due terzi delle aziende intervistate hanno giudicato l’efficacia dello smart working con un punteggio alto, pari a 8,5 in una scala da 1 a 10
Politiche di conciliazione. La maggioranza delle aziende le ha attuate, in particolare rispetto all’organizzazione del tempo di lavoro (part time, flessibilità degli orari), e le ha valutate con un punteggio medio di efficacia pari a 9 su 10
Piattaforme di welfare aziendale. Nel concreto, le chiavi emerse sono tre: ascolto attivo, personalizzazione e digitalizzazione dei servizi
Servizi e iniziative in favore della genitorialità. Ad esempio, i campi estivi e i soggiorni invernali per i figli dei dipendenti hanno ottenuto una valutazione di efficacia pari a 7,5 su 10. Ma ci sono anche i corsi e i servizi di consulenza su misura per rispondere ad esigenze specifiche dei genitori, oltre ai programmi dedicati all’orientamento scuola-lavoro. Un terzo delle aziende intervistate, negli ultimi sette anni, ha organizzato corsi specifici per i neogenitori, workshop e programmi educativi a sostegno della genitorialità, valutati come utili: 7,5 su 10.
Da tre anni, inoltre, una parte delle imprese del campione fornisce unilateralmente servizi di babysitting ai dipendenti, una misura giudicata 7 su 10 quanto a efficacia
Congedi prolungati. Questa iniziativa è considerata molto utile, con un giudizio pari a 8 su 10. Stesso voto per il congedo di paternità, che guadagna rapidamente terreno in ambito aziendale
Incentivi economici e gender pay gap. Agire sulla leva economica è sicuramente un modo efficace per diminuire la denatalità, un esempio ne sono i rimborsi per gli asili nido, valutati con efficacia 7 su 10 da un terzo delle aziende campione
Tutela della salute riproduttiva. Anche in campo sanitario le imprese possono agire, offrendo alle dipendenti screening periodici, pacchetti di check-up e servizi specializzati di medicina di genere. I risultati di queste misure sono stati valutati con un punteggio di 7 su 10. Tra le iniziative più apprezzate vi è il counseling relazionale, valutato utile con voto 8 su 10.
Supporto all’istruzione e alla formazione. Le aziende possono attivare rimborsi per le tasse scolastiche, per l’acquisto dei libri scolastici, borse di studio, tutoraggio per i compiti a casa, e integrare le spese delle famiglie nella prima infanzia. Particolarmente apprezzate le borse di studio la cui utilità è giudicata 9 su 10, mentre la copertura delle spese relative alla prima infanzia e all’assistenza domiciliare ottiene un punteggio di 7,5.

Le proposte della Fondazione Magna Carta

Problemi e paure concrete delle persone da un lato e best practice delle aziende dall’altro. Il quadro tratteggiato dallo studio della Fondazione Magna Carta è approfondito e articolato, e ha consentito al think tank di stilare delle proposte, consegnate al decisore politico.

• La prima è quella di valorizzare l’esperienza degli ‘asili nido diffusi’ o ‘di prossimità’, un modello che mette in relazione aziende, infrastrutture scolastiche private e territorio, per garantire un servizio di assistenza ai dipendenti con figli da 0 a 3 anni. Funziona così: le aziende individuano e selezionano le strutture di assistenza all’infanzia in base alla loro convenienza e alla qualità dei loro servizi. In queste strutture i dipendenti hanno un diritto di precedenza sulle iscrizioni. In tal modo si riducono i tempi necessari ai genitori per inserire i figli nei nidi, e si diminuisce lo stress correlato. Inoltre, i dipendenti potrebbero godere di tariffe agevolate negli asili, finanziate in parte o completamente dalle aziende.

• Ancora, le imprese potrebbero fornire dei ‘voucher baby-sitter’ che prevedano un numero di ore prestabilito di baby-sitting a disposizione dei genitori, oppure servizi come il “baby-sitting last minute”, per far fronte a improvvise emergenze personali o professionali.
• Altra proposta è quella di rafforzare iniziative pubblico/private per abbattere parzialmente o totalmente il costo dei centri estivi. Si potrebbero prevedere costi differenziati in base al reddito familiare, forme di sponsorizzazione diretta da parte delle aziende o borse di studio ad hoc per i bambini e gli adolescenti più svantaggiati cofinanziate dagli enti locali attraverso donazioni private e crowdfunding
• Quanto al congedo parentale, l’obiettivo dovrebbe essere quello di stabilizzare questa misura, rendendo strutturali gli indennizzi all’80% e portandoli ad almeno 3 mesi.
• Andrebbero poi previsti meccanismi di decontribuzione per le aziende che investono risorse nelle misure in favore della neo-genitorialità
• Capitolo smart working: fondamentale consolidare una cultura basata su un orario di lavoro agile e flessibile, e dunque sull’alternanza tra presenza e lavoro a distanza.

Quello che in definitiva è necessario, sottolinea la Fondazione, è pensare ad azioni a lungo termine, di sistema, nelle quali la demografia sia intesa come un investimento e non solo come un costo, come sottolinea Annamaria Parente, Capo-progetto Per una Primavera Demografica e Coordinatrice dell’Area sanità e welfare – Scienza e Persona del Comitato Scientifico di Fondazione Magna Carta: “È necessaria una politica a lungo termine con la collaborazione di istituzioni, territori e aziende per invertire i dati sul calo delle nascite. L’obiettivo è da un lato dare valore sociale alla maternità e alla paternità e dall’altro incoraggiare quel desiderio di futuro che comunque persiste nei giovani”.

Un team di giornalisti altamente specializzati che eleva il nostro quotidiano a nuovi livelli di eccellenza, fornendo analisi penetranti e notizie d’urgenza da ogni angolo del globo. Con una vasta gamma di competenze che spaziano dalla politica internazionale all’innovazione tecnologica, il loro contributo è fondamentale per mantenere i nostri lettori informati, impegnati e sempre un passo avanti.

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Sessualità e social, la dottoressa: “Utile ai giovani per...

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Fanni Guidolin Perineo

Una donna su tre fa sesso nonostante il dolore e non sempre si rivolge ad un esperto. È per questo motivo che la comunicazione e l’informazione sessuale assumono rilevanza strutturale nel panorama social (e real) della nostra società.

Sessualità, disturbi e soluzioni. Tutto questo a portata di un click è possibile? Secondo la dottoressa Fanni Guidolin sì. Esperta in attività di riabilitazione del pavimento pelvico e consulenza sessuale, ha insegnato all’Università di Padova e Ferrara ed è specializzata proprio nella riabilitazione del pavimento pelvico. Ha fondato La clinica del perineo e ad oggi, sulla propria pagina social conta olre 110mila follower su Instagram.

Con un linguaggio semplice e diretto che spazia dalla sessualità fisica agli aspetti più introspettivi ed emotivi dei rapporti sessuali, il suo lavoro social ha catturato l’attenzione. Ma Dottoressa, parlare di sesso è ancora un tabù?

“Sì. Nonostante i progressi, il sesso rimane un argomento delicato in molte comunità. Retaggi culturali, influenze religiose, abitudini familiari e educative possono ancora ostacolare conversazioni aperte. Abbiamo ancora molti coperchi da scoperchiare nella disabilità e in molti aspetti del piacere femminile”.

Si possono sfatare miti e tabù attraverso i social?

“L’accesso all’informazione sui social educa molto facilmente, a patto che i contenuti siano creati da professionisti (educatori sessuali, consulenti sessuali, sessuologi, medici o personale sanitario formato). I social offrono spazi di discussione e scherma il pudore e la vergogna consentendo commenti più liberi e confessioni aperte. Le testimonianze personali sono argomento di dibattito e divulgazione. Ben vengano i social per questo. Ci sono Leader di pensiero (io mi sento un’infermiera influencer in questo campo). Smaschero miti e dico quello che le donne o gli uomini non dicono oltre che parlare di pavimento pelvico a 360°”.

Dott Fanni Guidolin
Dottoressa Fanni Guidolin de La Clinica del Perineo

Utenti diversificati, donne e uomini, follower di ogni età: sente la responsabilità di dover informare? Come si concilia informazione e intrattenimento?

“La comunicazione e i contenuti sono studiati anche nella punteggiatura. Nonostante questo, mi scontro con leoni da tastiera e mancanza di cultura, bontemponi che non aspettano altro che poter criticare e offendere soprattutto su Facebook. Io però sento di rispondere a pregiudizi, diffondo materiale educativo, tengo corsi di formazione sulla sessualità anche per giovanissimi, perciò, vado avanti come un treno. I followers crescono maggiormente quando intrattengo con ironia ma le persone prendono in mano il telefono o scrivono via mail per prenotare un appuntamento quando abbasso i toni e parlo di argomenti più tecnici pur intimi. Ci vuole questo e quello. La gente non guarda più la tv, perciò dobbiamo diversificare i contenuti come si fa con i programmi”.

Il 18 novembre ha tenuto un corso di educazione sessuale in presenza a Treviso (e online): un corso attivo per adolescenti tra i 12 e i 18 anni. A che età si può parlare di sesso?

“Si è tenuto ieri nella sede del mio studio La Clinica Del Perineo a Castelfranco Veneto in provincia di Treviso: un corso innovativo, diretto, unico nel genere e approvato all’unanimità da 35 genitori presenti alla prima edizione. Dobbiamo iniziare a parlare di sesso sia ai maschi che alle femmine poco prima dell’arrivo delle mestruazioni dagli 11-12 anni (anche a 9 anni se il menarca avviene così presto) e comunque saper dare risposte appropriate per età a chi chiede “come si fanno i bambini”. Anche se hanno 4 o 5 anni”.

Quanto pensa sia importante che corsi di questo tipo passino attraverso il pubblico e non solo attraverso il privato?

“L’educazione sessuale dovrebbe essere garantita dal sistema pubblico per consentire a tutti in ugual modo di apprendere. Nel pubblico è più facile collegarla alle materie come scienze, educazione alla salute o educazione civica. Il sistema pubblico potrebbe investire nei già educatori per ulteriore formazione. Essi hanno le competenze di linguaggio per una educazione chiara e schematica nonché efficace. Mancando tutto questo, cerco di colmare il gap assistenziale nel mio piccolo, in forma privata con un servizio e contenuti di qualità”.

Educazione sessuale, ma anche affettiva. Alla luce dei recenti dati della Fondazione Libellula sulla violenza di genere tra i giovani, cosa consiglierebbe ai genitori che hanno paura di parlare di sessualità ai figli adolescenti?

“Ecco hai detto bene, “Paura” da sconfiggere aggiungo. La paura frena il mondo e arresta il cambiamento culturale. I genitori per primi dovrebbero formarsi ed informarsi. È urgente il bisogno dei figli di ricevere comunicazione corretta. Eppure, i genitori preferiscono portarmi i figli piuttosto che chiedermi come spiegare certe cose. Oppure lamentano mancanze scolastiche senza essere i primi a studiare. Ci sono libri facili, libri illustrati, c’è il mio libro. Ma la carta stampata sta passando di moda. Soluzioni smart sembrano più efficaci. Una fuga dalle responsabilità che non consentirà ai ragazzi di comprendere cosa significa essere appunto responsabili, nelle malattie, nel consenso, nel rispetto di genere ecc.”

Quali sono i rischi della mancanza di comunicazione/informazione?

“In primis quello di SUBIRE con incoscienza. Contrarre malattie sessualmente trasmissibili, manifestare disfunzioni del pavimento pelvico già in giovane età, difficoltà ad avere una sessualità libera dal dolore, rimanere con il/la partner sbagliato, perdere la dignità. Morire. E non aggiungo altro”.

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Cure gratis per procreazione medicalmente assistita e...

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Dottoressa visita donna

La sanità italiana compie un passo cruciale verso l’accesso universale alle cure. Grazie a un nuovo decreto approvato nella Conferenza Stato-Regioni negli scorsi giorni, il Sistema Sanitario Nazionale (Ssn) garantirà gratuitamente cure essenziali per la procreazione medicalmente assistita (Pma) e per l’endometriosi, riconosciuta come malattia invalidante.

Il provvedimento, che entrerà in vigore il 30 dicembre 2024, ridefinisce le tariffe per oltre 1.100 prestazioni sanitarie e introduce aggiornamenti fondamentali nei Livelli Essenziali di Assistenza (LEA). Con un investimento di 550 milioni di euro, il decreto punta a ridurre le disuguaglianze regionali e a offrire trattamenti innovativi e uniformi su tutto il territorio nazionale.

Procreazione medicalmente assistita e endometriosi

La Pma è una delle novità più attese. Le procedure, ora incluse nei Lea, saranno erogate gratuitamente, garantendo alle coppie che affrontano problemi di fertilità l’accesso a tecniche avanzate. Questo cambiamento mira a sostenere chi non potrebbe affrontare i costi elevati di queste terapie in ambito privato.

L’endometriosi, che colpisce una donna su dieci in età fertile, è stata ufficialmente riconosciuta come malattia invalidante dal Ssn già da diversi anni. Le cure e i trattamenti diagnostici per questa patologia saranno gratuiti a partire dal 30 dicembre, migliorando significativamente la qualità della vita delle pazienti.

L’endometriosi, spesso sottovalutata o diagnosticata tardivamente, è associata a sintomi debilitanti come dolore cronico e infertilità, e ora potrà essere affrontata con strumenti diagnostici avanzati.

Un Sistema sanitario nazionale più equo e innovativo

Oltre alla Pma e all’endometriosi, il decreto prevede altre importanti innovazioni:

Diagnosi e monitoraggio della celiachia. Saranno coperte le prestazioni necessarie per la diagnosi e il monitoraggio della celiachia.
Screening neonatali. Estesi a patologie come l’atrofia muscolare spinale (Sma).
Diagnostica avanzata: inclusa l’enteroscopia con microcamera ingeribile e altre tecnologie di diagnostica per immagini.
Radioterapia avanzata: accesso a terapie come la radioterapia stereotassica, adroterapia e radioterapia con braccio robotico.
Ausili tecnologici per disabilità gravi: dispositivi come comunicatori oculari, tastiere adattate, apparecchi acustici digitali e arti artificiali di ultima generazione.

Il Ministro della Salute ha dichiarato: “Questo decreto rappresenta un punto di svolta. Garantire l’accesso a cure all’avanguardia non è solo una questione di salute, ma di giustizia sociale.”

Con questo aggiornamento, il Servizio Sanitario Nazionale rafforza il suo impegno nel garantire il diritto alla salute per tutti, eliminando le barriere economiche e geografiche che ancora ostacolano l’accesso a cure di qualità.

I limiti e i rischi del decreto

La notizia ha generato alcune perplessità. È emerso che ci siano preoccupazioni in merito ai potenziali effetti delle nuove misure sanitarie sulle liste d’attesa. Diversi esperti hanno evidenziato che l’estensione della copertura gratuita per la procreazione medicalmente assistita e per le cure dell’endometriosi, pur rappresentando un grande passo avanti per garantire l’accesso equo, potrebbe aggravare le già esistenti difficoltà di gestione delle liste d’attesa nel Servizio Sanitario Nazionale (Ssn).

Alcuni analisti sottolineano che le nuove prestazioni incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza richiederanno risorse aggiuntive e una riorganizzazione del sistema, specialmente in contesti già caratterizzati da carenze strutturali e diseguaglianze regionali. Questi aspetti sono già oggetto di discussione a livello istituzionale, con misure come il rafforzamento del controllo sulle liste d’attesa attraverso piattaforme dedicate, l’integrazione dei Centri Unici di Prenotazione (Cup), e l’adozione di strumenti tecnologici come l’intelligenza artificiale per ottimizzare le agende di prenotazione e monitorare l’appropriatezza delle richieste di prestazioni.

Tuttavia, l’efficacia di tali misure dipenderà dalla loro implementazione pratica, dal superamento delle diseguaglianze tra le Regioni e dalla capacità di evitare un sovraccarico di richieste che potrebbe rallentare l’accesso ai servizi. L’adozione dei decreti attuativi in programma, insieme a piani di finanziamento adeguati, sarà cruciale per mitigare questi rischi.

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David Lynch ha un enfisema polmonare: “Fumo da quando ho 8...

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David Lynch non può uscire di casa a causa di un enfisema polmonare. Maestro di cinema visionario e artista poliedrico, Lynch ha rivelato in un’intervista a People il lato più oscuro della sua vita: un legame di lunga data con il tabacco, iniziato a soli 8 anni e durato fino ai 76. Oggi, a 78 anni, il regista combatte quotidianamente contro l’enfisema polmonare, una malattia debilitante diagnosticata nel 2020, che ha reso impossibile ignorare gli effetti devastanti della sua dipendenza. Lynch ha smesso solo due anni dopo la diagnosi di enfisema polmonare.

Lynch: “Fumo da quando avevo 8 anni”

Il regista descrive il fumo come parte integrante della sua identità creativa: “Amavo l’odore, il sapore del tabacco, accendere le sigarette. Faceva parte del mio essere pittore e regista.” Il tabacco è stato una costante durante la sua carriera, accompagnandolo nella realizzazione di capolavori come Velluto Blu e I segreti di Twin Peaks. La meditazione trascendentale, pratica a cui si dedica da anni, non è bastata a scardinare questo vizio.

La lotta contro l’enfisema

L’enfisema polmonare, una malattia cronica e incurabile che compromette progressivamente la capacità respiratoria, ha cambiato radicalmente la vita del regista. Costretto a utilizzare una bombola d’ossigeno anche per spostamenti minimi, Lynch descrive la sensazione come “camminare con un sacchetto di plastica intorno alla testa.” Nonostante le difficoltà, trova ancora il modo di scherzare, ammettendo che uscire non gli è mai piaciuto troppo, ma confessa che gli manca il contatto umano sui set cinematografici.

Dopo anni di tentativi falliti di smettere, Lynch ha abbandonato il fumo solo quando la malattia lo ha costretto a farlo. “Ho visto la scritta sul muro: morirei in una settimana se non smettessi,” racconta. Questo richiamo all’urgenza ha segnato il suo punto di svolta, ma non senza difficoltà: “Quando cercavo di smettere, l’astinenza diventava insopportabile. Bastava una sigaretta per ricominciare tutto da capo”.

Un monito per i fumatori

Nonostante il suo passato, Lynch non esita a parlare del rischio legato al fumo: “Nella mente di ogni fumatore c’è la speranza che ciò che ama gli faccia bene, ma è un’illusione. Ho giocato col fuoco e sono stato morso.” Le sue parole suonano come un avvertimento per chiunque consideri il tabacco una compagnia innocua.

Con l’enfisema che lo limita, Lynch guarda al futuro cercando di adattarsi. Tra le ipotesi, quella di dirigere film da remoto, mantenendo vivo il suo amore per la regia e l’arte, pur nella consapevolezza dei limiti imposti dalla sua malattia.

Età media in cui si inizia a fumare

In Italia, l’età media in cui si inizia a fumare si è abbassata: secondo un recente rapporto, oggi si inizia intorno ai 17 anni, rispetto ai 19 degli anni ‘90. Nel mondo, la situazione varia, ma in molti Paesi in via di sviluppo il debutto al fumo avviene anche prima, spesso a causa della mancanza di regolamentazioni rigide e di campagne di sensibilizzazione.

In generale, però, il trend è positivo sia a livello nazionale che internazionale. Se nel 2001 il 24% della popolazione sopra i 14 anni fumava regolarmente, nel 2021 questa percentuale è scesa al 19%. A livello globale, è stato osservato un trend simile, con un calo costante grazie alle politiche antifumo e all’aumento delle alternative meno dannose, come le sigarette elettroniche e i dispositivi senza combustione, anche se queste soluzioni hanno sollevato dibattiti sulla loro reale efficacia nel ridurre il tabagismo​ e su altri nuovi rischi per la salute.

Secondo i dati Aiom in Italia fuma il 22% degli under 17 e di questi, l’11% consuma più di mezzo pacchetto di sigarette al giorno. Tra i tabagisti abituali, di ogni fascia d’età, oltre il 44% ha iniziato prima dei 18 anni.

Nonostante il calo dei numeri, il fumo rimane uno dei maggiori killer nel Paese. Secondo i dati presentati dall’Aiom, nel 2023 sono state diagnosticate circa 40.000 nuove neoplasie polmonari, con il fumo responsabile di circa il 90% di questi casi. Ogni anno, si contano oltre 93.000 morti attribuibili al tabagismo, tra malattie oncologiche, cardiovascolari e respiratorie. Nonostante le campagne di sensibilizzazione abbiano portato a una leggera riduzione del numero di fumatori negli ultimi anni, il problema è tutt’altro che risolto. Particolarmente preoccupante è l’aumento della mortalità tra le donne, un dato che riflette un consumo di sigarette in crescita nella popolazione femminile.

Prezzo sigarette nel 2025

Il vizio del fumo è dannoso due volte: per la salute dei fumatori e per le casse del Sistema sanitario nazionale, che in Italia sta già vivendo una profonda crisi. Per questo, l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (Aiom) insieme alla Fondazione Aiom e Panorama della Sanità, ha presentato una proposta di legge che chiede di aumentare di cinque euro il costo di ogni pacchetto di sigarette.

Il tema è centrale in un Paese come l’Italia che fa della sanità pubblica gratuita uno dei pilastri del proprio ordinamento.

Le difficoltà economiche del Ssn richiedono di tarare quanto dice l’art. 32, comma 1 della Costituzione: “La Repubblica tutela la salute come fondamentale diritto dell’individuo e interesse della collettività, e garantisce cure gratuite agli indigenti”. La gratuità e le pari opportunità di trattamento vengono consolidate dall’articolo 3 della Carta secondo cui “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”.

Nella realtà, la maggior parte degli italiani patisce un grosso gap di trattamento rispetto a chi può accedere alle strutture private senza aspettare i tempi della sanità pubblica. Per questo, occorre intervenire in modo da rendere più concreta la tutela, applicando un principio ‘meritocratico’: chi pesa di più sul Ssn, deve fare più sforzi per sostenerlo. Senza correttivi, anche chi si sforza di condurre una vita sana, continuerà a trovarsi in enormi difficoltà davanti alla necessità di cure pubbliche e gratuite (o meglio: sostenute dalle tasse di cittadini e aziende in base alla capacità contributiva).

Secondo le stime, l’aumento di 5 euro per ciascun pacchetto di sigarette potrebbe portare nelle casse del Ssn fino a 13,8 miliardi di euro all’anno, una somma ingente per rafforzare un servizio in crisi e ridurre al contempo il consumo di tabacco, una delle principali cause di tumori e malattie respiratorie.

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