Ucraina, primi missili Usa contro Russia. Putin: “Armi nucleari se ci attaccano”
Kiev lancia i missili Atacms, il Cremlino aggiorna la dottrina nucleare
L'Ucraina lancia i missili Atacms forniti dagli Usa contro un obiettivo in Russia quando scoccano i 1000 giorni di guerra. Mosca incassa il colpo, indirizzato verso un deposito d'armi di Bryansk a circa 110 km dal confine, e rilancia con la firma di Vladimir Putin sulla nuova dottrina nucleare. L'uso dell'arma atomica rimane la soluzione estrema, ma per il Cremlino aumentano le minacce che possono portare alla risposta 'totale'.
Il nuovo capitolo del conflitto si apre poco più di 24 ore dopo l'ok del presidente americano Joe Biden all'uso di missili a lungo raggio, da parte delle forze ucraine, dei missili Atacms contro obiettivi in territorio russo. Kiev prende di mira un deposito d'armi a Bryansk, il ministero della Difesa di Mosca dichiara di aver abbattuto 6 missili e di aver danneggiato il sesto. Al di là della portata dell'azione, si tratta di una svolta che innesca una reazione immediata.
Putin vara formalmente la nuova dottrina nucleare russa che estende l'impiego di armi nucleari "in risposta ad aggressioni contro la Russia da un qualsiasi Paese non nucleare con la partecipazione o il sostegno di un Paese nucleare". Il Cremlino nel recente passato ha dichiarato che l'impiego degli Atacms direttamente contro la Russia avrebbe potuto innescare "una nuova ondata significativa di escalation". La nuova dottrina pubblicata è il primo passo concreto dopo mesi di dichiarazioni da parte dei diversi esponenti dell'establishment.
Cosa cambia con la nuova dottrina
Il decreto sui Fondamenti della Politica dello Stato nell'ambito della deterrenza nucleare, che aggiorna la precedente dottrina introdotta nel 2020, conferma che l'impiego di armi nucleari è da considerarsi come l'ultima risorsa per proteggere la sovranità del Paese. Ma l'emergere di nuove minacce e rischi militari - ed è questo il cambiamento importante: non si è più solo una minaccia all'esistenza stessa della Russia a poter innescare una risposta nucleare, ma una serie di altre minacce e rischi critici per la sovranità - ha portato la Russia a chiarire le condizioni per il loro impiego.
La nuova dottrina estende i Paesi e alleanze militari che sono oggetto di deterrenza nucleare, così come l'elenco delle minacce che tale deterrenza è chiamata a contrastare. La Russia, si precisa nel documento, considererà qualsiasi attacco di un Paese non nucleare sostenuto da un Paese nucleare come un attacco congiunto. La Russia si riserva anche il diritto di considerare una risposta nucleare a un attacco con armi convenzionali che minaccia la sua sovranità, il lancio su vasta scala di missili, droni e aerei nemici contro obiettivi nel territorio russo, il loro attraversamento del confine russo e un attacco contro la Bielorussia, suo alleato.
La dottrina russa considera come minaccia a cui sarà possibile rispondere con l'arma nucleare anche "il dispiegamento di sistemi di difesa missilistica da parte di potenziali avversari, missili a corto e medio raggio, armi di precisioni e ipersoniche non nucleari, droni e armi a energia diretta".
Mosca si riserva il diritto di usare armi nucleari in risposta ad attacchi con armi di distruzione di massa usati contro la Russia o uno dei suoi alleati, nel caso di una aggressione con armi convenzionali che minacci la sovranità o l'integrità territoriale della Russia o della Bielorussia.
La replica degli Stati Uniti
La decisione di Putin non sorprende gli Stati Uniti, a giudicare dalle parole di un'anonima fonte americana alla Cnn. "La Russia da tempo manifestava l'intenzione di aggiornare la dottrina", dice. La Casa Bianca intanto deplora la "retorica irresponsabile" di Mosca ma precisa che le nuove regole per l'impiego delle armi nucleari introdotte da Putin non rendono necessario, agli Stati Uniti, un cambiamento della loro postura nucleare. La nuova dottrina "è altro della stessa retorica irresponsabile della Russia che abbiamo visto negli ultimi due anni", afferma un portavoce del Consiglio di sicurezza nazionale.
Da Mosca, in direzione Washington, da giorni arrivano messaggi monocorde. L'ultimo è firmato dal ministro degli Esteri, Sergei Lavrov. L'impiego dei missili Atacms contro segna "una nuova fase della guerra dell'Occidente" contro la Russia che reagirà "di conseguenza". "Lo considereremo come una fase qualitativamente nuova della guerra dell'Occidente contro la Russia e reagiremo di conseguenza".
Zelensky insiste: vuole missili dalla Germania e bacchetta il G20
Da Kiev, Volodymyr Zelensky lancia un appello urbi et orbi: non bisogna allentare la pressione sulla Russia, Putin non è interessato alla pace. Il presidente non conferma ufficialmente l'attacco con i missili Atacms ma afferma che "l'Ucraina ha capacità a lungo raggio. Abbiamo droni, il missile Nettuno e ora gli Atacms. Useremo tutto", dice, mentre riserva una stoccata ai leader del G20 riuniti a Rio de Janeiro, accusando di 'inazione' dopo il nuovo decreto di Putin: "I Paesi del G20 sono riuniti in Brasile. Hanno fatto qualcosa? Niente", denuncia.
Nelle stesse ore, torna a chiedere missili Taurus alla Germania, ultimo partner da convincere. Gli Usa hanno fornito gli Atacms, Gran Bretagna e Francia hanno inviato gli Storm Shadow/Scalp. "Penso che sia giunto il momento che la Germania sostenga le decisioni appropriate", dice, precisando che in questo momento sta lavorando con gli altri Paesi alleati perché aderiscano alla decisione degli Usa: bisogna colpire la Russia 'in casa'.
Esteri
SpaceX, missione (quasi) compiuta per Musk davanti a Trump
Il presidente spettatore in Texas, il super razzo non rientra ma il risultato è comunque positivo
Missione (quasi del tutto) compiuta per Elon Musk e SpaceX davanti a Donald Trump e un altro passo nell'ambizioso progetto di raggiungere Marte. Il neo presidente eletto degli Stati Uniti assiste al lancio dello Starship, il veicolo spaziale più grande mai decollato.
Lo show va in scena dalla base di Brownsville, in Texas. Questa volta, al contrario di quanto accaduto nel test di ottobre, SpaceX rinuncia a completare il rientro del razzo vettore Super Heavy con l''abbraccio' dei giganteschi bracci meccanici della torre di lancio Mechazilla.
Il razzo conclude la sua missione nelle acque del Golfo del Messico. "Non accettiamo compromessi quando si tratta di garantire la sicurezza del pubblico e del nostro team, il rientro avverrà solo se le condizioni saranno giuste", il messaggio di SpaceX prima del lancio: la presenza di Trump, probabilmente, induce ad adottare misure extra di sicurezza. Il veicolo spaziale Starship, il secondo stadio, invece effettua l'ammaraggio nell'Oceano Indiano.
SpaceX esulta per il completamento dell'operazione più importante programmata oggi, l'accensione di un motore Raptor nello spazio che viene effettuata con successo. Ce n'è abbastanza per archiviare la giornata con un bilancio estremamente positivo, come confermano le congratulazioni di Bill Nelson, numero 1 della Nasa: "Elettrizzante vedere il riavvio del motore Raptor nello spazio, progressi notevoli nel volo orbitale".
Esteri
Il miliardario outsider Peter Thiel: vi spiego il successo...
In un'intervista a Bari Weiss, il consigliere ombra di Trump svela la strategia e le mosse della prossima amministrazione
Nell’epoca delle polarizzazioni politiche e delle identità contrapposte, il miliardario venture capitalist Peter Thiel ha sempre occupato un ruolo unico: quello di outsider tra gli outsider, re delle contraddizioni. Nato in Germania ed emigrato negli Usa con i suoi genitori “nel 1968, quando il Paese si stava autodistruggendo” oggi è a favore di una stretta anti-immigrazione. È stato il primo gay dichiarato a parlare dal palco di una convention repubblicana. Si professa campione della libertà di stampa e allo stesso tempo è responsabile della bancarotta del sito di gossip Gawker, reo di aver rivelato il suo orientamento sessuale. Membro dell’aristocrazia della Silicon Valley e della “Paypal Mafia”, è diventato un aedo dell’America rurale, e nel 2022 ha investito 15 milioni di dollari nell’elezione di JD Vance al Senato. Presidente di Palantir, società di AI fondamentale nelle guerre moderne, parteggia per un movimento che vuole cancellare la proiezione internazionale degli Stati Uniti.
Soprattutto, se Musk è il consigliere sempre al fianco di Donald Trump nelle occasioni pubbliche, Thiel è l’uomo che si muove nell’ombra. Un faro su quest’ombra lo ha puntato Bari Weiss, giornalista americana di 40 anni che nel 2020 ha lasciato il “New York Times” in protesta contro l’eccessiva ‘wokeness’ del quotidiano, per fondare “The Free Press” con la moglie Nellie Bowles. Weiss conduce un podcast, “Honestly”, in cui ha chiesto a Thiel la sua visione sull'elezione di Trump e su come si possono conciliare dazi al 60% e globalizzazione, l’annunciata deportazione di milioni di migranti e crescita economica.
Il trionfo della contro-élite
Thiel interpreta la vittoria di Trump come un segnale del crollo dei liberal americani. "Non è solo colpa di Biden o Harris", ha affermato, "ma di un intero sistema ideologico che non ha più nulla da offrire in termini di idee o sostanza”. Thiel sostiene che il 2024 non è paragonabile al 2016, quando Trump "forse aveva avuto fortuna" contro Hillary Clinton. Questa volta, l’ex presidente ha battuto un Partito Democratico che ha investito tutto e ha fallito, nonostante miliardi di dollari a disposizione e una pioggia di cause e processi penali contro Trump.
Per Thiel, la vittoria di Trump segna anche la fine di un’era in cui il potere culturale di Hollywood e delle élite liberal dominava incontrastato. "Celebrity non significa più quello che significava negli anni ’90", ha spiegato, criticando l’assenza di pensiero individuale tra le star progressiste e nelle università americane. In netto contrasto, Thiel vede Trump come il simbolo di una contro-élite che "pensa fuori dagli schemi" e sfida un sistema sempre più dogmatico.
Identity politics e il fallimento del liberalismo
Un altro tema cardine dell’intervista è stata l’implosione dell’identity politics, una strategia che Thiel considera ormai controproducente. Legare la propria proposta politica all’identità (etnica, sessuale, culturale) “aliena più persone di quante ne attragga", ha detto, indicando l’incapacità di Kamala Harris di rappresentare un’alternativa credibile. "Forse il momento in cui l’identity politics ha funzionato veramente è stato nel 2008 con Obama, ma da allora internet ha cambiato tutto: non puoi più raccontare messaggi diversi a gruppi diversi”.
Secondo Thiel, scegliere Harris è stato un errore prevedibile, dettato più dalla mancanza di opzioni valide che da una vera convinzione nella sua leadership. "Il Partito Democratico sembra incapace di riflettere e reinventarsi", ha aggiunto, paragonando il declino della sinistra americana a un lento ma inevitabile collasso.
Le sfide economiche: dazi e redistribuzione
Cosa pensa della proposta di Trump di introdurre dazi del 20% su tutte le importazioni e del 60% sui prodotti cinesi? Per Thiel, alla fine l’amministrazione Trump non sarà così netta, ma i dazi sono un passo nella direzione giusta per riequilibrare il commercio globale. "Il sistema attuale premia settori come Wall Street e Silicon Valley, ma danneggia le regioni manifatturiere del Midwest, che sono state essenziali per il successo dei Repubblicani”. In effetti sono regioni che era riuscito a strappare ai democratici nel 2016, ma nel 2020 Biden riuscì a convincere di essere in grado di proteggere meglio.
Thiel sostiene che la politica dei dazi non è solo una questione economica, ma anche geopolitica: "Spostare la produzione dalla Cina al Vietnam o all’India potrebbe fare qualche danno ai consumatori americani ma sarebbe un durissimo colpo al nostro principale rivale strategico”.
Immigrazione: cultura ed economia
Sul tema dell’immigrazione, Thiel ha offerto una prospettiva sfumata. Pur essendo egli stesso un immigrato, ha criticato il sistema attuale per aver creato enormi squilibri economici, specialmente nel mercato immobiliare. "L’apertura incontrollata delle frontiere ha gonfiato i prezzi degli affitti e trasferito ricchezza dai giovani ai proprietari immobiliari". Ha anche sottolineato il problema delle scuole pubbliche sovraccariche, che riflette una mancanza di pianificazione a lungo termine. Il fondatore di Palantir ha messo in guardia contro soluzioni drastiche, come la deportazione di massa di 11 milioni di immigrati. "Ciò di cui abbiamo bisogno è una politica migratoria che tenga conto sia delle dinamiche economiche che delle pressioni sociali”.
Il futuro dell’istruzione
Un altro pilastro della critica di Thiel è il sistema educativo americano, che descrive come "gonfio e inefficiente”. Ha appoggiato l’idea di Trump di ridimensionare il Dipartimento dell’Istruzione e riformare il sistema di finanziamento delle università. "Il debito studentesco è fuori controllo: molte università continuano a prosperare mentre gli studenti non riescono nemmeno a ripagare gli interessi sui loro prestiti", ha detto, proponendo di ridurre i finanziamenti alle università che non offrono un valore tangibile ai loro studenti. Il venture capitalist ha un fondo che incoraggia gli studenti più svegli ad abbandonare il college, ma allo stesso tempo ha riconosciuto l’importanza delle università Ivy League americane negli anni scorsi. “Pur essendo marce e corrotte, quelle università selezionano i più intelligenti. Il declino politico si vede anche lì: i democratici sono passati da Bill e Hillary Clinton (Yale Law) e Obama (Harvard) a Biden (University of Delaware), Harris (UC Hastings Law School) e Walz (Minnesota State)”.
Un'America in bilico
Thiel ha ammesso che il secondo mandato di Trump non sarà privo di sfide. Dalla crisi del confine meridionale alla crescente tensione con Cina, Russia e Iran, i problemi internazionali e domestici richiederanno soluzioni più incisive rispetto al passato. "Spero che Trump sia all’altezza", ha detto, pur riconoscendo le difficoltà di governare un Paese che sembra "avviato verso l’Armageddon”. Concludendo l’intervista, Thiel ha riaffermato la sua convinzione che la vittoria di Trump rappresenti non solo una rinascita politica, ma anche un’occasione per riconsiderare le fondamenta culturali ed economiche degli Stati Uniti. "La vera domanda", ha detto, "è se saremo capaci di sfruttare questa opportunità o se continueremo a ripetere gli errori del passato”.
Esteri
Il Doge di Musk contro lo smartworking: “Dipendenti...
Il co responsabile del dipartimento Vivek Ramaswamy: "Useremo martello pneumatico e sega elettrica"
"Non si dovrà neanche parlare di licenziamento di massa, diremo solo loro che devono tornare in ufficio cinque giorni alla settimana dalle otto alle 18". Così Vivek Ramaswamy, l'altro miliardario tech che insieme ad Elon Musk sarà alla guida del dipartimento per l'efficienza governativa, il Doge, ha detto che costringerà a tornare a lavorare in presenza i dipendenti federali che attualmente "non vanno a lavoro" ma continuano, a 18 mesi dalla fine della pandemia, ad usufruire in varia misura dello smartworking.
Intervistato dal conduttore di estrema destra, e fedelissimo di Trump, Tucker Carlson, l'imprenditore biotech ha confermato che il compito suo e di Musk sarà di usare "il martello pneumatico e la sega elettrica" per rivoluzionare, e tagliare drasticamente, l'apparato federale. E si dice convinto che togliendo la possibilità di lavorare da remoto "si ridurrà del 25% del la burocrazia federale".
Al momento - ricorda Nbcnews - sono 1,3 milioni i dipendenti federali, su un totale di 2,2 milioni, che possono lavorare in smartworking, il 10% di loro totalmente da remoto, mentre il restante, dall'agosto del 2023, deve andare in ufficio almeno la metà dei giorni di due settimane lavorative. L'insofferenza di Musk per il lavoro da remoto, da lui bollato come "moralmente sbagliato", è nota: nel giugno del 2022, in piena pandemia, costrinse i dipendente di Tesla a lavorare in presenza almeno 40 ore alla settimana. E la stessa cosa ha fatto subito dopo aver preso il controllo di Twitter, ora X, nell'ottobre dello stesso anno.
La crociata dei due miliardari contro il lavoro da remoto dei dipendenti federali potrebbe trovare però un'alleata non scontata, la sindaca democratica di Washington D.C. che da tempo chiede aiuto perché si riporti "vita al centro della nostra città" dove ormai da anni gran parte degli edifici che ospitano i dipartimenti federali sono svuotati. "Come fare in modo di riportare i nostri lavoratori federali negli uffici è una grande questione", ha detto la sindaca che ha già chiesto un incontro a Donald Trump per lavorare insieme verso questo obiettivo.
Secondo il Goverment accountability office, lo scorso anno 17 delle 24 principali agenzie federali hanno usato solo il 25% dei loro spazi. E ci sono corrispondenze tra le liste di questi edifici e quella su cui Musk e Ramaswamy intendono abbattere la loro scure, a cominciare dal dipartimento dell'Istruzione che utilizza solo il 16% dei suoi spazi, con il 98% dei dipendenti che posso lavorare da casa e oltre la metà che effettivamente lo fanno.
Dal sindacato dei dipendenti federali, American Federation of goverment employees, che ha oltre 700mila iscritti, si liquidano le affermazioni dei futuri capi del Doge come esagerate, ricordando che oltre metà dei lavori federali - nella sanità, nella sicurezza, nella protezione dei confini e della sicurezza alimentare - non prevedono lo smartworking. E si ricorda che permettendo di lavorare parzialmente da casa il governo federale può reclutare e mantenere talenti lavorativi nonostante i salari nettamente più bassi del settore privato.